Il filosofo statunitense Daniel Dennet (1942-2024) ha riformulato e ridefinito l’indagine, crocevia di scienza e filosofia, su cosa sia la coscienza.
Coscienza
“La coscienza umana è praticamente l’ultimo mistero che ancora sopravvive. Un mistero è un fenomeno sul quale la gente non sa – ancora – come ragionare. ”Vecchi e nuovi paradigmi – dal dualismo al funzionalismo al materialismo – devono lasciare il posto a nuovi modi di pensare”.
“Quando avremo compreso la coscienza, quando non ci sarà più mistero, la coscienza apparirà differente, ma ci sarà ancora bellezza”. Il modo in cui consideriamo la coscienza mette retroattivamente in causa il nostro stesso modo di vivere: “la coscienza, come l’amore e il denaro, è un fenomeno che dipende effettivamente e in una misura inaspettata dai concetti a essa associati”.
Quella della coscienza è un’esperienza che non può essere fine a se stessa, è l’esperienza di qualcuno, ed anzi definisce chi quel qualcuno sia. Ne va di che cosa sia il pensiero, ma anche l’immaginazione; l’apprezzamento di ciò che percepiamo sensibilmente, ma anche la nostra responsabilità morale. È’ la coscienza, per certi aspetti, che interagisce con ciò che accade, generando un’intenzione e/o un’azione.
Dennet si confronta dunque con la fenomenologia, che aveva sottolineato l’importanza del processo di intenzionalità della coscienza. Dennet propone tuttavia, ai fini di una teoria empirica della coscienza, di avere di mira l’intenzionalità di altri e non la propria, poiché quest’ultima evocherebbe gli insondabili misteri di quello che lui chiama il Teatro Cartesiano: la supremazia di un invisibile ego che è finalmente chiaro solo a se stessi.
Ma soprattutto, contro il dualismo idealista di Cartesio, enuncia, guardando semmai a Leibniz, una Teoria delle Molteplici Versioni (Multiple Drafts Model). Una mente cosciente è un osservatore, il punto di vista di ciascun punto che si muove nello spazio-tempo. Ma a differenza di quanto aveva pensato Cartesio dando un ruolo fondamentale alla ghiandola pineale, per Dennet “non esiste un singolo punto nel cervello verso il quale tutte le informazioni vengono incanalate”. “Non c’è un unico e definitivo flusso di coscienza, perché non c’è un Quartier Generale centrale, un Teatro Cartesiano dove tutto converge per essere attentamente scrutinato da un Autore Centrale. Invece di un unico (per quanto ampio) flusso del genere, ci sono canali multipli in cui vari circuiti specializzati tentano, in un pandemonio parallelo, di fare varie cose, creando man mano delle Molteplici Versioni”.
“Secondo il modello delle Molteplici Versioni, ogni tipo di percezione – in verità, ogni tipo di pensiero o attività mentale – è compiuto nel cervello da un processo parallelo e a piste multiple di interpretazione ed elaborazione dei dati sensoriali in ingresso”. Ci sono continuamente diversi processi paralleli che concorrono e che si strutturano in una rete di continuo feedback e rimodellamento. Non c’è una narrazione unica e canonica a definire il reale flusso di coscienza di un soggetto, ma molteplici narrazioni interrelate. All’interno delle quali non è neppure possibile escludere falsi ricordi, illusioni e manipolazioni del racconto.
Altro aspetto importante dell’analisi della coscienza è riconoscere in essa il risultato di un’evoluzione: la coscienza è evolutiva. Il riconoscimento di se stessi comincia dalla delimitazione di sé rispetto ad un mondo esterno. Le caratteristiche importanti dell’ambiente devono essere rilevate e possibilmente anticipate, per evitare pericoli o per procurarsi ciò è utile e piacevole: la coscienza avviene in un flusso temporale, è essa stessa la condizione di questo scorrere del tempo. C’è in questo stadio evolutivo un sistema nervoso che raccoglie ed utilizza informazioni. È qui che avviene una fondamentale specializzazione di due aree di questo sistema nervoso: la dorsale utile a controllare ciò che possa costituire pericolo; la ventrale che può prendersi il tempo di analizzare taluni oggetti con maggiore cura. Questa specializzazione si è ulteriormente evoluta in quella tra emisfero destro, globale e spaziotemporale e quello sinistro, analitico e seriale. Ciò che si correla con il salto evolutivo determinante, quando la coscienza cresce da se stessa grazie alla sua plasticità: “gli organismi migliori saranno quelli che possono in una certa misura riprogettare se stessi per fronteggiare le condizioni che incontrano.”
Dennet cita Spinoza: “Così anche l’intelletto con la sua forza innata si fa degli strumenti intellettuali con i quali si acquista altre forze per altre opere intellettuali e da queste opere si forma altri strumenti, ossia il potere d’indagare ulteriormente; e così avanza gradatamente, fino ad attingere il culmine della sapienza”. Il linguaggio è uno straordinario traguardo dell’evoluzione non solo per la sua funzione comunicativa, ma anche per la sua capacità di essere uno strumento di autoregolazione. La coscienza pone continuamente domande a se stessa, è un processo continuo di autostimolazione e di dialogo interiore. La coscienza è in grado di apprendere, mettendosi in relazione non solo con l’ambiente ma anche con la cultura che continuamente la coscienza stessa ha prodotto.
L’idea pericolosa di Darwin
“A partire dalla pubblicazione dell’Origine delle specie, nel 1859, l’idea fondamentale di Charles Darwin ha sempre suscitato reazioni intense, dalla più feroce condanna alla devozione estatica”. Darwin, dopo Copernico, ha dimostrato come la scienza possa cambiare la nostra visione del mondo. “Non esiste una scienza affrancata dalla filosofia”. “Quella darwiniana è una rivoluzione sia scientifica che filosofica e nessuna delle due rivoluzioni avrebbe potuto verificarsi in mancanza dell’altra”.
“L’idea dell’evoluzione per selezione naturale unifica, in un colpo solo, il regno della vita, del significato e dello scopo con il regno dello spazio e del tempo, della causalità, dei meccanismi e delle leggi fisiche. Ma non si tratta soltanto di un’idea scientifica meravigliosa. È un’idea pericolosa”. Un certo disincanto del mondo sembra necessario dopo Darwin. La ricerca della verità ha forse minato definitivamente l’idea che ci possa essere qualcosa di invalicabile e di sacro. E tuttavia – scrive Dennett nell’introduzione al suo Darwin’s dangerous idea Evolution and the meanings of life del 1995:1 “questo libro è per quanti concordano che l’unico significato della vita di cui valga la pena curarsi è quello che può resistere ai nostri migliori tentativi di esaminarlo”.
Le specie non sono eterne e immutabili, possono evolversi nel tempo. La selezione naturale è questo processo di discendenza con modifiche. Queste semplici ipotesi avrebbero riconfigurato la nostra visione del mondo. “Darwin offriva al mondo scettico… un piano per creare il Progetto dal Caos senza l’aiuto di una Mente”. L’albero della vita deriva da un qualche processo algoritmico. “Questa idea, che tutti i frutti dell’evoluzione si possano spiegare come prodotti di un processo algoritmico, è l’idea pericolosa di Darwin”.
L’evoluzione della libertà
La nostra libertà non dipende dalla nostra presunta prerogativa di essere anime immateriali. “Non abbiamo bisogno di ricorrere alle care vecchie anime immateriali per mantenere vive le nostre speranze; le nostre aspirazioni di essere morali, i cui atti e le cui vite hanno un senso, non dipendono affatto dalla presenza di una mente che obbedisca a una fisica differente da quella che governa il resto della natura”.
Il libero arbitrio è reale: “È una creazione evoluta delle attività e delle credenze umane, ed è reale almeno quanto le altre creazioni umane come la musica e la moneta; e decisamente più preziosa”.
Dennett si definisce un naturalista, che indica alla Filosofia la via di non volersi sostituire o di ergersi al di sopra delle indagini dei vari campi della natura, ma semmai di cercare di renderle coerenti tra di loro. In questo senso va la sua teoria materialistica della coscienza, il suo resoconto degli algoritmi darwinisti. Il naturalismo non è nemico del libero arbitrio, anzi gli è più amico di una qualsivoglia speculazione metafisica.
Determinismo non vuol dire ineluttabilità. Anzi ci sono nel mondo fisico organismi che evolutivamente dimostrano l’eluttabilità, cioè la loro capacità di evitare determinati pericoli. Ogni cosa che ha una determinata causa ha anche numerose varie possibilità. Il determinismo fisico non riduce le nostre possibilità.
I computer sono brillantemente progettati per essere deterministici, ma nel Progetto c’è Libertà. “Mondi deterministici… possono contemplare possibilità più ampie e interessanti”. “Il determinismo non implica che ciò che facciamo non avremmo potuto farlo in maniera diversa, che ogni evento abbia una causa o che la nostra natura sia fissata”.
In un universo deterministico possono esserci eventi privi di cause. La simultaneità di due eventi, sia pure relativizzata da Einstein alla velocità della luce, è la prova che quei due eventi sono collegati nell’indipendenza l’uno dall’altro. Già Jung, in dialogo con Pauli, aveva definito la sincronicità come un principio di nessi acausali. Come appunto l’entanglement quantistico.
Semplificando al massimo: la libertà è una porta scorrevole tra mondi compatibili, cioè contemporaneamente possibili e che possono anche comunicare tra loro. Lo stesso evento può essere spiegato, in questo parallelismo di diversi mondi possibili, da cause differenti o comunque concomitanti. La Teoria delle Molteplice Versioni è anche la teoria della nostra possibile Libertà.
La libertà si è evoluta da quando la vita ha avuto origine. L’evoluzione fornisce un numero sempre maggiore di gradi di libertà.
La cultura è la maggiore innovazione nella storia dell’evoluzione. Ed è per questo che le vere minacce alla libertà non sono metafisiche, ma politiche e sociali. Anzi la questione della libertà è la questione etica per eccellenza. La libertà umana è reale, ma anche fragile. “Ciò che il futuro tiene in serbo per il nostro pianeta dipende da tutti noi, dal nostro ragionare insieme”.