Michel Foucault: il sogno e l’esistenza

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14 Giugno, 2022
Tempo di lettura: 6 minuti

L’opera di Michel Foucault (1926-1984) attraversa il secolo scorso, dinamicamente orientandosi sull’asse sapere, potere e soggetto: indagando le procedure di verità (giochi di verità), come queste stesse procedure possano diventare logiche di dominio, come finalmente è sempre nel potere del soggetto di dire la Verità. 

Il Medesimo e l’Altro

L’esercizio del potere si avvale di procedure di verità escludenti in base a polarità del tipo normale/anormale, salute/malattia, ragione/follia. E’ a partire dal XVII secolo che il pensiero razionale diventa intollerante e confina la follia, la povertà, la marginalità, la malattia in luoghi chiusi di reclusione. Un ruolo cruciale in questo senso lo ha svolto la nascita della medicina clinica a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo.

Cose e parole si separano: il linguaggio si astrae dalla sua somiglianza con la realtà, istituisce un ordine del significante sovrano ed arbitrario. C’è un aspetto normativo nella medicalizzazione della società, che finisce per ricondurre la salute e la normalità alla negazione di ciò che è altro: la follia, la malattia, la morte.

L’esperienza della follia arricchiva la cultura antica e medievale, ad essa nell’età moderna si sostituisce invece “la semplice separazione del giorno e delle tenebre, dell’ombra e della luce, del sogno e della veglia, della verità del sole e delle potenze notturne”. L’epistemologia moderna, nella pretesa di conoscere l’irrazionale, lo svuota tuttavia e ne fa socialmente oggetto di vivisezione e confinamento. La sorveglianza della follia e della malattia sono il simulacro e la condizione di possibilità della medicina e della psicologia clinica. Come se solo all’interno di un ospedale si sciogliesse la malattia dai legami complessi della vita del malato e la si potesse mostrare ed in qualche modo “produrla finalmente nella sua verità”. L’ospedale “era quindi un luogo di osservazione e di dimostrazione, ma anche di purificazione e di messa alla prova”. E d’altronde, se è vero che la terapia quasi si propone come eradicazione del male: “affinché  questa terapia sia razionale e possa fondarsi sulla verità, non deve forse lasciare che la malattia si sviluppi?” Ed ancora un dubbio ben fondato: “Non c’è in fondo un’unica malattia, di cui tutte le altre sarebbero forme più o meno lontanamente derivate?” Sembrerebbe un avvicinamento alla teoria hahnemaniana dei miasmi: determinando però l’agente del male nell’invasione microbica, la domanda è stata in qualche modo evitata.

Se dunque nell’ospedale pasteuriano il medico “scompare in una struttura di conoscenza”, nell’ospedale psichiatrico (Esquirol, Charcot) il medico diventa invece ipertrofico produttore di verità, nella sua missione di conoscere, smascherare, sconfiggere e ridirezionare la follia.

Il germe dell’antipsichiatria – dice Foucault – nasce dal sospetto che sia il medico stesso a produrre le crisi di isteria che descrive; così come Pasteur aveva scoperto la facile diffusione delle infezioni in ospedale in quanto trasmesse dai medici stessi. 

L’analisi di Foucault oltre che storica, ovvero archeologica come preferiva dire, è anche strutturale: il confinamento dell’Altro avviene attraverso una struttura del linguaggio che preesiste al linguaggio e che gli consente di mettere ordine nelle cose. “Si pensa all’interno di un pensiero anonimo e vincolante che è quello di un’epoca e di un linguaggio”.

L’esercizio dei poteri

Foucault definisce la società contemporanea come una società disciplinare. Proprio quando il crimine perde connotazioni religiose e morali, esso deve essere riferito ad un potere politico. E “una legge penale deve semplicemente rappresentare ciò che è utile alla società”. Il criminale è quel nemico interno che deve essere sorvegliato e punito.

A partire dall’Ottocento tuttavia, secondo la ricostruzione di Foucault, la società moderna ricomincia a fare un processo alle intenzioni, attraverso la definizione di una “scandalosa nozione”, quella di pericolosità. E da questo punto di vista il potere giudiziario non può essere separato, ma deve essere supportato da poteri collaterali di controllo: “la polizia per la sorveglianza, le istituzioni psicologiche, psichiatriche, criminologiche, mediche, pedagogiche per la correzione”. 

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Carcere di S. Stefano Ventotene

“Entriamo così in quella che chiamerei l’epoca dell’ortopedia sociale.” L’emblema della quale è il Panopticon di Bentham, il progetto di un edificio a forma di anello con al centro una torre di controllo che renda trasparente tutto ciò che avviene in ciascuna delle celle tutte intorno: “in modo da poter vedere tutto, senza che nessuno lo veda”. Il panottismo “si ordina intorno alla norma, in termini di quello che è normale e di quello che non lo è, di quello che è corretto o meno, di quello che si deve o non si deve fare”.

Quella di Foucault è una distopia che rischia di perdere, nell’attualità storica e politica, la misura della differenza tra democrazia e sovranismi e/o dittature. Ma è un’indagine ed un esame dei rischi insiti nella sovrapposizione tra pratiche e procedure di sapere e di potere.

Alla statalizzazione della giustizia fa da contrappunto una parcellizzazione del potere di controllo. La lettre de cachet, per esempio, da decreto regio d’urgenza diviene, attraverso le molteplici richieste che se ne facevano, uno strumento “di controllo in certo modo spontaneo, di controllo dal basso che la società, la comunità esercitava su sè stessa”.

Ad un potere così diffuso e capillare non interessa più tanto il diritto sulla morte dei suoi sudditi, quanto il potere sulla loro vita. “Le discipline del corpo e le regolazioni della popolazione costituiscono i due poli intorno ai quali si è sviluppata l’organizzazione del potere sulla vita”. Foucault definisce questo biopotere come un elemento indispensabile allo sviluppo del capitalismo. 

La medicalizzazione indefinita

Un importante funzione dello Stato è garantire la salute fisica dei suoi cittadini. “La medicina, almeno dal XVIII secolo, costituisce un’attività sociale”. Ma scientificità ed efficacia non sempre corrono insieme. “Quel che appare all’inizio del XX secolo è che la medicina può essere pericolosa non a causa della sua ignoranza, ma per il suo sapere, proprio perché essa è una scienza”. C’è un effetto iatrogeno insito. “Si può affermare che, a causa degli effetti dei medicinali stessi – effetti terapeutici positivi – si produce una perturbazione, per non dire una distruzione, dell’ecosistema non solo dell’individuo, ma della intera specie umana.” Il biopotere interviene e modifica la biostoria. 

“Oggi la medicina è dotata di un potere autoritario che ha funzioni normalizzatrici che vanno ben oltre l’esistenza delle malattie e la domanda del malato”. 

Dunque anche nel campo della medicina, l’archeologia del potere di Foucault diventa una critica dell’attualità. “A partire dal momento in cui il corpo umano entra nel mercato per il tramite del consumo di salute, appaiono diversi fenomeni che provocano delle disfunzioni nel sistema della sanità e della medicina contemporanea”.

Dall’analisi dei dati scaturisce un consiglio di vita epicureo. “Per vivere più a lungo, un buon livello d’istruzione è preferibile al consumo medico”. Mentre non c’è dubbio su chi tragga il maggior vantaggio da questa medicalizzazione indefinita: “quelle che traggono i più grandi profitti dalla salute sono le grandi imprese farmaceutiche”.

La critica di Foucault è radicale, quasi claustrofobica: la crisi deriva da un modello di sviluppo, rispetto al quale non ha neppure senso cercare un’antimedicina che faccia da antidoto alla medicina. Non c’è soluzione possibile, che sia di tipo bucolico o paramedico o di mero contenimento della spesa.

Costituzione del Sé e Libertà

Le ultime ricerche e riflessioni di Foucault spostano l’attenzione sui giochi di verità dal loro essere strumento di una pratica coercitiva al loro poter essere invece una pratica di autoformazione del soggetto. Pratiche di libertà, se non proprio processi di liberazione. 

In questo modo, come già nell’individuazione del carattere proprio dell’Illuminismo nel suo saper porre le condizioni di una critica dell’attualità, Foucault ritrova la matrice kantiana della sua riflessione filosofica. “La libertà è la condizione ontologica dell’etica. Ma l’etica è la forma riflessa che assume la libertà”. Prendersi cura di sé è una questione morale.

Queste pratiche di libertà fanno riferimento, anche nella letteratura, ad un pensiero del di fuori: tale per cui il soggetto trova nel suo vuoto un linguaggio non più finito e manipolabile, ma infinito e trasgressivo.

Raccontandosi in una conversazione quasi intima con Claude Bonnefoy, Foucault ricorda cosa abbia significato nella sua educazione alla parola ed alla scrittura il fatto di essere cresciuto in una famiglia di medici. “Il medico ascolta, ma per attraversare la parola dell’altro e raggiungere la verità muta del suo corpo”. “Il medico parla solo per dire la verità con una parola e prescrivere la ricetta”. A Foucault sembra che anche oggi ci si trovi in una sorta di sottovalutazione del discorso e del linguaggio.

La scrittura trova il suo valore nel poter essere una diagnosi libera e dinamica. “La scrittura consiste essenzialmente nell’intraprendere un compito grazie al quale e alla fine del quale potrò trovare per me stesso qualcosa che inizialmente non avevo visto”. 

La psichiatria, come conoscenza di quella non-malattia che è la follia, ha rischiato di travolgere quel rapporto, pure possibile secondo la medicina tradizionale, di complicità con la malattia che deve curare. Ma la follia è pure tuttavia quell’assenza di opera, quel limite e quella discontinuità da cui può scaturire quel pensiero del di fuori, necessario alla critica del presente e ad una libera cura di sé.  

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