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Karl-Jaspers
28 Marzo, 2023

Karl Jaspers e l’alleanza tra Scienza e Filosofia per la Medicina

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Karl Theodor Jaspers (Oldenburg, 23 febbraio 1883 – Basilea, 26 febbraio 1969) è stato un filosofo e psichiatra tedesco con cittadinanza svizzera. Laureato prima in Medicina, sviluppò poi la sua ricerca sulla Psicopatologia in termini filosofici, divenendo l’alter ego della filosofia esistenzialista tedesca rispetto ad Heidegger. Quest’ultimo aderì al nazismo; Jaspers, ebreo, si confinò nella sua casa ad Heidelberg. Heidegger tenne sempre a considerare la sua filosofia come una sorta di Ontologia; Jaspers ha sempre riconosciuto ed indagato le radici umanistiche di una Filosofia esistenzialista.

Psicopatologia

La Psicopatologia di cui Jaspers delineò i confini è forse ciò a cui la Psichiatria dovrebbe sempre poter ritornare. L’attuale nosografia e farmacologia psichiatrica rischia di non comprendere il significato dei sintomi della sofferenza mentale. Come si legge nella prefazione (di G. Stanghellini) all’edizione italiana, La cura della mente, di un breve scritto di Jaspers preliminare al suo saggio sulla Psicopatologia: “La Psicopatologia è il punto archimedeo in cui le Scienze della Natura incontrano le Scienze dell’Uomo, riconoscendo le une la complementarità del sapere e dei metodi delle altre.”

La clinica psichiatrica deve esser vista come una comunicazione esistenziale. L’empatia dello psichiatra lo invita ad una riattualizzazione nel proprio mondo interiore dei sintomi del paziente. Al di là di una rigida contrapposizione tra psicologia oggettiva e soggettiva, l’approccio deve essere fenomenologico. “La fenomenologia ha a che fare con ciò che viene realmente vissuto. Mediante una presentificazione immediata, è in grado di vedere il mentale «dall’interno».” La Medicina necessita di un’alleanza tra Scienza e Filosofia.

“Il nostro tema è l’uomo totale nella condizione di ammalato, in quanto la sua malattia è psichica e condizionata dallo psichico”. È perciò un tema per sua natura umgreifend (onnicomprensivo), che ci accoglie e ci limita, avvolgente ma di cui non si può avere perfetta conoscenza. Si tratta di cercare di tener dietro alla differenziazione della vita psichica, tra coscienza ed inconscio, tra mondo interiore e mondo esteriore. “Nell’essere umano la sua imperfezione, la sua apertura, la sua libertà e le sue illimitate possibilità sono il fondamento stesso del suo essere ammalato”.

L’anima è quell’Umgreifend che non diviene oggetto, ma da essa scaturisce tutto ciò di cui la Psicopatologia si occupa. “La sperimentiamo in noi come esperienza interiore cosciente e quindi ci raffiguriamo l’esperienza interiore degli altri, sia mediante manifestazioni obiettive, sia mediante la comunicazione delle loro proprie esperienze”.

Occorre pertanto una fenomenologia, attraverso la quale acquisiamo “una serie di frammenti della vita psichica realmente vissuta”; ma anche una psicologia che ci faccia comprendere come uno stato psichico derivi da un altro: “cogliamo l’inquietudine dell’animo, il movimento, la relazione”.

“L’uomo è sempre più di quanto si possa conoscere di lui”.

Psicologia delle visioni del mondo

Se per Filosofia si intenda la creazione di una nuova visione del mondo, essa è oggi più che mai ubiquitaria. “Se miglior filosofo può dirsi colui che è a un tempo sommamente universale e concreto — senza essere un puro enciclopedico — e che più largamente accoglie comprende esprime e configura lo spirito del proprio tempo, così forse oggi il filosofo migliore è uno scienziato, che tiene per così dire i piedi in un settore della scienza, e in pratica indaga, senza mai perder di vista il concreto, tutti i lati del rapporto con la conoscenza in generale, e sta in uno scambio continuo con la realtà, così come essa gli è presente nella sua concretezza.” Una considerazione dell’universale, da cui dare un senso ed un fine all’esistenza.

Lo Psicologo delle visioni del mondo può d’altronde passare in rassegna quelle del passato, con lo stesso approccio che uno psicopatologo ha verso la clinica. E potrà pertanto ritrovare atteggiamenti anche molto diversi: attivo, contemplativo, estetico, razionale, mistico, edonistico, ascetico, entusiastico.

Del mondo possiamo avere un’immagine spazio-sensoriale, ma anche psichico-culturale, se non una metafisica.

Una visione del modo si confronta con l’amore, la lotta, la sofferenza, la colpa. Nell’epoca della tecnica si misura con il nichilismo. Ma se questo debba significare che il mondo non esiste più, allora tale visione finisce per assomigliare ad una psicosi. Ma “noi vediamo che l’umanità vive ad onta di ogni nichilismo, e non può quindi non avere un punto di appoggio.” Ci sono punti di appoggio prudenti e circoscritti, ma c’è anche il punto di appoggio nell’infinito. “La vita è sempre infinita”. Una macchina potrà essere sempre più complicata, ma pur sempre finita. Invece “se noi prendiamo a concepire le connessioni finalistiche dell’organismo non arriviamo mai a una fine.”

Finché c’è vita, ci saranno delle nuove idee.

Il medico nell’età della tecnica

Tra il 1950 ed il 1955 Jaspers scrive alcuni saggi sul ruolo del medico, che egli intende restituire al piano della comunicazione con il paziente, dovendosi questa sua antica vocazione misurarsi con l’oggettivazione delle nuove tecnologie mediche ma anche con il modello veicolante di comunicazione che è proprio della psicoanalisi.

La terapia ha ancora un luogo umanista, che non può essere ridotto a quello dell’oggettivazione scientifica, ma neanche pretendere, come in una certa deriva della psicoanalisi, di farsi portatrice di una sorta di salvezza dell’anima. La clinica deve fare riferimento anche a tutto ciò che non è oggettivabile; ma la guarigione medica non deve assurgere a salvezza dell’anima.

“Il medico, oltre che sulla scienza naturale, fondò la sua professione solo sulla sua umanità, che lo rese disponibile ad aiutare ogni uomo afflitto da sofferenze fisiche, indipendentemente da fedi, visioni del mondo, politica, origine e razza”. Il paradosso è che oggi che la scienza rende il medico sempre più competente e capace di grandi successi terapeutici; tuttavia, si riscontra un certo grado di insoddisfazione verso la medicina moderna.

“Com’è oggi la situazione? Si sente dire: quanto più crescono conoscenza e competenza, quanto più le apparecchiature per la diagnostica e la terapia aumentano le loro prestazioni, tanto più difficile è trovare un buon medico, anzi trovarne in assoluto uno!”

La generalizzazione e burocratizzazione della medicina pregiudica il rapporto individuale e personale tra medico e paziente. “L’umanità presente nell’idea di un’assistenza medica generalizzata, estesa a tutta la popolazione, si trasforma in disumanità a causa delle modalità di tale assistenza.”

Le possibili riforme devono essere guidate da un ethos efficace. “Il pensiero-guida dovrebbe essere questo: solo il medico che si relaziona ai singoli malati adempie all’autentica professione medica. Gli altri praticano un onesto mestiere, ma non sono medici.”

Il medico sia anche ricercatore, ma avendo per così dire un rispetto dell’incomprensibilità della malattia. “La malattia non risiede nelle cose comprensibili, ma nell’incomprensibile, in particolare nelle trasposizioni dei fattori di senso comprensibili in disturbi somatici o psichici.” Questa incomprensibilità è il giusto limite delle scienze naturali e delle tecniche diagnostiche, ma lo è anche della psicoterapia stessa.

La psicoanalisi travisa “il proposito di instaurare una prossimità comunicativa con l’individuo nella sua irripetibilità”, volendo comunque “intervenire sulla base di una verità che sia universale rispetto a qualsiasi malato”. “Questo tipo di psicoanalisi non è una scienza”. Ma molti ne sentono il bisogno. “E’ perché esige la felicità che quest’uomo moderno si sente spinto ad andare dal terapeuta dell’anima.” Ciò che rende indefinita l’idea stessa di malattia – “questo uomo moderno si sente in sé malato perché si sente infelice” – ma creando una confusione esistenziale.

La filosofia che dialoga con la scienza deve poter anche restituire la psicoanalisi entro i suoi giusti confini. Ciò che nella psicoanalisi “vi è di corretto va capito, ciò che essa distorce va rimesso a posto. La verità che la oltrepassa si trova nello spazio della filosofia, la quale appartiene all’uomo che pensa in quanto tale”.

La filosofia è d’altronde proprio il riconoscimento di un limite.

“È in questo limite che si mostra la libertà. Per la scienza della natura non vi è alcuna libertà. La libertà non è un oggetto della ricerca, ma lo spazio infinito della chiarificazione di ciò che l’uomo in se stesso può essere. Qui risiede il punto che decide di tutto, il punto in cui avviene il rovesciamento.”

Il che rende di nuovo attuale il motto ippocratico dell’ιατρς φιλόσοφος ισόθεος. Il medico che si fa filosofo è come un dio. “Nell’unione dei compiti di scienza e filosofia risiede la condizione essenziale che rende oggi possibile non la ricerca, ma la preservazione dell’idea di medico. La pratica del medico è concreta filosofia.” Un’auspicabile medicina umanistica del futuro è questa medicina che veda e riconosca i suoi limiti.