Un blog ideato da CeMON

11 Gennaio, 2025

Riflessioni sulla capacità portante dell’ambiente e la pressione umana

La capacità portante dell’ambiente per la vita umana è di molti ordini di grandezza maggiore da quando abbiamo iniziato la nostra esistenza sulla Terra

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Ogni lunedì riceverai una ricca newsletter che propone gli articoli più interessanti della settimana e molto altro.
Tempo di lettura: 9 minuti

BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno IX • Numero 32 • Dicembre 2019

 

La natura nebulosa del concetto di capacità portante dell’ambiente

In un documento pubblicato dalla Nature Sustainability1 a febbraio dell’anno scorso, un team di studiosi concludeva che la Terra poteva sostenere, al massimo, solo 7 miliardi di persone a livelli di sussistenza. Nel giugno del 2018 la nostra umanità, però, avrebbe già raggiunto i 7,6 miliardi. In una tale prospettiva, di un pianeta con una capacità di carico2 fissa per la vita umana, il raggiungimento dell'”alta soddisfazione di vita” per tutti noi umani supererebbe i confini biofisici della Terra, portando al collasso ecologico.

Nonostante la sua apparente precisione scientifica, l’affermazione è piuttosto vecchia. Nelle parole di Ted Nordhaus3, essa sarebbe “l’ultima versione dell’affermazione di lunga data secondo cui la nostra popolazione e il nostro consumo potrebbero presto superare la capacità di carico fissa della Terra. Il concetto4, a quanto pare, deve la sua origine alle pratiche di navigazione del XIX secolo, riferendosi alle capacità di carico utile delle navi a vapore. In un qualche modo tale idea passò dal contesto marittimo all’interpretazione della biosfera, descrivendo il numero massimo di bestiame o selvaggina che gli ecosistemi delle praterie e dei pascoli potevano sostenere.

Applicato all’ecologia, secondo Nathan Sayre, il concetto risulta problematico. Il carico non si moltiplica per sua propria volontà, né la capacità di un ecosistema può essere determinata dai disegni di un ingegnere. Tuttavia, gli scienziati ambientali hanno applicato per decenni questo concetto alle società umane con una tale presunta precisione che sono riusciti a nascondere la sua natura nebulosa.

L’ecologo William Vogt5 fu il primo a farlo negli anni ’40, predicendo che un uso eccessivo dei terreni agricoli avrebbe portato all’esaurimento del suolo e, quindi, alla catastrofe. Alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70, Paul Ehrlich6 si concentrò sulla produzione alimentare e il Club di Roma sulle risorse materiali, mentre scienziati ed attivisti ambientalisti degli ultimi tempi si sono concentrati maggiormente sugli effetti che l’inquinamento e la distruzione dell’habitat avranno sui “sistemi terrestri” da cui dipende il benessere umano.

In realtà tutti sostengono e condividono l’ottocentesca visione maltusiana della fertilità e dei consumi umani. Dagli argomenti del reverendo Thomas Robert Malthus7 in poi, i profeti della rovina ambientale hanno immaginato che in risposta all’abbondanza, gli umani avrebbero risposto con più bambini e più consumi. Come i protozoi o le mosche della frutta, secondo questa interpretazione, avremmo continuato a riprodurci e a consumare fino all’esaurimento delle risorse che consentono la crescita continua.

Fertilità e consumo umani, tuttavia, sembrano non funzionare in questo modo. Ricchezza e modernizzazione sembrano comportare un calo, non un aumento dei tassi di fertilità. Man mano che le circostanze materiali migliorano, abbiamo meno figli, non di più. L’esplosione della popolazione umana negli ultimi 200 anni non è stata il risultato dell’aumento dei tassi di fertilità ma piuttosto del calo dei tassi di mortalità. Con una migliore salute pubblica, alimentazione, infrastrutture fisiche e sicurezza pubblica viviamo molto più a lungo.

Oggi, negli Stati Uniti, in Europa, in Giappone, in gran parte dell’America Latina, anche in alcune parti dell’India, i tassi di fertilità sono inferiori al ricambio della popolazione che perisce, vale a dire il numero medio di bambini nati per donna è inferiore a due. Gran parte del resto del mondo probabilmente seguirà questo pattern nei prossimi decenni. Di conseguenza, la maggior parte dei demografi prevede che la popolazione umana raggiungerà il picco e poi inizierà un lento declino, in alcuni casi prima della fine di questo secolo8.

Per questo motivo, gli avvertimenti di oggi di un imminente collasso ecologico si concentrano principalmente sull’aumento dei consumi, non sulla crescita della popolazione. Come molti ora riconoscono, la nostra biologia sociale potrebbe non funzionare come quella dei protozoi, ma il capitalismo lo fa. Non può sopravvivere senza una crescita infinita del consumo di materiale.

Non esiste una base particolarmente consolidata per questa affermazione, esistono, invece, molte prove contrarie. La tendenza a lungo termine nelle economie di mercato è stata verso una crescita più lenta e meno dispendiosa in termini di risorse. La crescita del consumo pro-capite aumenta drammaticamente mentre le persone passano dalle economie agricole rurali alle moderne economie industriali. Ma, poi, diminuisce gradatamente. Oggi, l’Europa occidentale e gli Stati Uniti lottano per mantenere una crescita annuale del 2%.

Anche la composizione delle economie benestanti si modifica. La produzione, una volta, rappresentava il 20% o più della produzione economica e dell’occupazione nella maggior parte delle economie sviluppate. Oggi in alcuni casi è pari al 10%, con la stragrande maggioranza della produzione economica proveniente da settori della conoscenza e dei servizi con intensità materiali ed energetiche significativamente inferiori.

Per decenni, ogni incremento della crescita economica nelle economie sviluppate ha comportato un consumo di risorse e di energia inferiore rispetto al precedente. Questo perché la domanda di beni materiali e servizi si satura quando arriva ad un certo livello. Pochi di noi abbiamo bisogno o vogliamo consumare più di 3000 calorie circa al giorno o vivere in una casa di 500 metri quadri. Molti americani preferiscono guidare i SUV ma c’è poco interesse nel trascinare i bambini alla pratica di calcio in un semi-camion. I nostri appetiti per i beni materiali potrebbero essere sorprendenti, ma esiste un limite.

Ciò che la documentazione paleo-archeologica suggerisce

Anche così, ciò non significa necessariamente che non supereremo l’ipotizzata capacità di carico del pianeta. Alcuni scienziati ambientalisti affermano che abbiamo già superato tale capacità. Ma, questa visione, supponendo che la capacità di carico sia statica, è profondamente antistorica9.

In effetti, abbiamo progettato e rielaborato i nostri ambienti per soddisfare in modo più produttivo le esigenze umane per decine di millenni. Abbiamo eliminato le foreste per praterie e agricoltura e abbiamo, anche, creato boschi e laghi. Abbiamo selezionato e allevato piante e animali che fossero più nutrienti, fertili e abbondanti. Ci sono volute sei volte più terreni agricoli per sfamare una sola persona 9000 anni fa, all’alba della rivoluzione neolitica, rispetto a oggi, nonostante quasi tutti mangiamo cibi molto più ricchi. Ciò che la documentazione paleo-archeologica suggerisce fortemente è che l’ipotizzata capacità portante dell’ambiente non è fissa. È di molti ordini di grandezza maggiore da quando abbiamo iniziato il nostro viaggio su questo pianeta.

Non vi è alcun motivo particolare per pensare che non saremo in grado di continuare ad aumentare ulteriormente la capacità di carico. L’energia nucleare e solare sono entrambe, chiaramente, in grado di fornire grandi quantità di energia a un gran numero di persone senza produrre grandi emissioni di carbonio. I sistemi agricoli moderni e intensivi sono allo stesso modo in grado di soddisfare le esigenze dietetiche di molte più persone. Un pianeta con molte più galline, mais ed energia nucleare potrebbe non essere l’idillio che molti desiderano, ma sarebbe chiaramente in grado di supportare molte più persone che consumano molte più cose anche per molto tempo.

Un simile futuro, tuttavia, è un anatema per molti sostenitori dei limiti planetari, il che suggerisce arroganza al massimo livello. Ma un simile domani nasce almeno dall’ottimismo, dalla convinzione che con saggezza e ingegnosità noi umani possiamo continuare a prosperare. Le richieste di limitare le società umane ai limiti planetari, che gli scienziati e i sostenitori dell’ambiente affermano di conoscere in modo prospettico, potrebbero suggerire qualcosa di molto più oscuro.

Considerare gli esseri umani nello stesso modo in cui vediamo organismi monocellulari o insetti si rischia di trattarli in quel modo. Malthus discusse contro le Poor Laws10, nella convinzione che queste non facessero altro che incentivare i poveri a riprodursi. Ehrlich ha contestato gli aiuti alimentari per i paesi poveri per ragioni simili e ha ispirato misure di controllo della popolazione di controversa validità. Oggi, le richieste di imporre confini planetari a livello globale sono piuttosto espresse in retorica redistributiva ed egualitaria, in modo da evitare qualsiasi suggerimento che ciò possa condannare miliardi di persone alla profonda povertà agraria. Ma dicono poco, in particolare, su come l’ingegneria sociale di tale portata globale sarebbe imposta in modo democratico o equo.

In definitiva, non è necessario sostenere l’imposizione di limiti pseudo-scientifici alle società umane per essere convinti che molti di noi farebbero meglio a consumare meno. Né si deve sostenere il crollo delle società umane per rendersi conto che l’aumento indiscriminato e sommario del consumo umano possa avere conseguenze terribili per il resto della biosfera.

Ma le minacce di collasso sociale affermano che la capacità di carico è fissa e le richieste di ampie restrizioni sull’aspirazione umana non sono né scientifiche né giuste. Essa costituisce una bio-politica apertamente riduzionista della possibile cooperazione umana quando essa viene avviata da un riconoscimento di specie pervasa da valori relativi piuttosto che da un’ideologia di un universo materiale e metafisico assoluto e, comicamente, con nazioni e potenze contrapposte.

Non siamo moscerini della frutta, programmati per riprodursi fino al collasso della nostra popolazione. Né siamo bovini, i cui numeri devono essere gestiti. Comprendere l’esperienza umana sul pianeta è capire che abbiamo rifatto il pianeta, ancora e ancora, per servire i nostri bisogni e i nostri sogni. Oggi, le aspirazioni di miliardi di persone dipendono dal continuare a fare proprio questo. Possa essere così, nella più senziente compassione per la biodiversità e nella consapevolezza che noi umani solo conosciamo l’esperienza soggettiva che il nostro cervello sociale è oggi capace di apprendere.

 

  1. Daniel W. O’Neill, Andrew L. Fanning, William F. Lamb & Julia K. Steinberger. A good life for all within planetary boundaries. In “nature sustainability”, 1, pp. 88-95 (2018). Secondo questo rapporto, l’umanità deve affrontare la sfida di come ottenere un’alta qualità della vita per oltre 7 miliardi di persone senza destabilizzare i processi planetari critici. Utilizzando indicatori progettati per misurare uno spazio di sviluppo “sicuro e giusto”, questo gruppo di studiosi ha quantificato l’uso delle risorse associato al soddisfacimento dei bisogni umani di base e lo hanno confrontato con i confini planetari ridimensionati per oltre 150 nazioni. La conclusione sarebbe che nessun paese soddisfa le esigenze di base per i suoi cittadini a un livello di utilizzo delle risorse globalmente sostenibile. Esigenze fisiche come l’alimentazione, i servizi igienico-sanitari, l’accesso all’elettricità e l’eliminazione della povertà estrema potrebbero probabilmente essere soddisfatte per tutte le persone senza trasgredire i confini planetari. Tuttavia, il raggiungimento universale di obiettivi più qualitativi (ad esempio, alta soddisfazione per la vita) richiede un livello di utilizzo delle risorse pari a 2-6 volte il livello sostenibile, basato sulle relazioni attuali. Le strategie per migliorare i sistemi di approvvigionamento fisico e sociale, con particolare attenzione alla sufficienza e all’equità, avrebbero il potenziale per spostare le nazioni verso la sostenibilità, ma la sfida rimane sostanziale.
  2. La “carrying capacity” (letteralmente “capacità di carico”), traducibile in italiano come capacità portante dell’ambiente, è la capacità di un ambiente e delle sue risorse di sostenere un certo numero di individui. Argomento di studio nelle più svariate discipline, è importante per valutare l’evoluzione temporale di una specie in diretta relazione ai fattori limitanti del territorio in cui vive, che possono essere: 1. fattori limitanti di tipo chimico; (variazione di ossigeno, alterazione del ph, ecc.), 2. fattori limitanti di tipo fisico; (variazioni della temperatura, della luce, ecc.), 3. fattori limitanti di tipi biologico; (presenza di predatori, scarsità di cibo, ecc.). Solo un numero definito di individui può vivere in un certo ambiente con a disposizione risorse limitate; superare la capacità portante può condurre anche all’estinzione della specie.
  3. Esperto di politica ambientale, cofondatore e direttore esecutivo del Breakthrough Institute in California. È coautore di An Eco-Modernist Manifesto (2015)
  4. Nathan F. Sayre. The genesis, history, and limits of carrying capacity. In “Nature and Society”, pages 120-134, 27 Feb 2008. Il concetto di capacità di carico è impiegato in una vasta gamma di discipline e dibattiti, ed è stato fortemente criticato in numerosi settori. Eppure le sue origini storiche rimangono oscure. Lo studio di N. Sayre identifica quattro principali tipi di usi della capacità di carico: (1) come un attributo meccanico o ingegnerizzato di oggetti o sistemi fabbricati, a partire dal 1840 circa nel contesto del trasporto marittimo internazionale; (2) come attributo degli organismi viventi e dei sistemi naturali, a partire dal 1870 e più completamente sviluppato nella gestione della gamma e del raggio all’inizio del ventesimo secolo; (3) come K, il limite intrinseco dell’aumento della popolazione negli organismi, utilizzato dai biologi della popolazione dalla metà del XX secolo; e (4) come il numero di umani che la terra può supportare, impiegato dai neo-malthusiani. Tutti e quattro gli usi persistono fino ad oggi, sebbene il primo sia stato ampiamente soppiantato da altri termini come payload. In tutti i casi, la capacità di carico è stata concepita come caratteristica ideale, statica e numerica – caratteristiche appropriate nel primo caso ma sempre più insostenibili poiché il concetto è stato esteso a sistemi di scala maggiore, maggiore variabilità e minore controllo umano.
  5. William Vogt (1902 – 1968) ecologo e ornitologo, con un forte interesse sia per la capacità di carico che per il controllo della popolazione. È stato autore del best-seller Road to Survival (1948), direttore nazionale della Planned Parenthood Federation of America e segretario della Conservation Foundation.
  6. Paul R. Ehrlich è un ambientalista, biologo ed entomologo.
  7. Thomas Robert Malthus (1766 – 1834) economista e demografo inglese. Nel 1798 pubblicò An essay of the principle of the population as it affects the future improvement of society (Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società), in cui sostenne che l’incremento demografico avrebbe spinto a coltivare terre sempre meno fertili, con conseguente penuria di generi di sussistenza per giungere all’arresto dello sviluppo economico, poiché la popolazione tenderebbe a crescere in progressione geometrica, quindi più velocemente della disponibilità di alimenti, che crescerebbero invece in progressione aritmetica (teoria questa che sarà poi ripresa da altri economisti per teorizzare l’esaurimento del carbone prima e del petrolio dopo). Le sue osservazioni partono dallo studio delle colonie inglesi del New England, dove la disponibilità “illimitata” di nuova terra fertile ha permesso uno sviluppo “naturale” della popolazione con una progressione quadratica mentre, dove ciò non era possibile, si verificavano periodiche carestie con conseguenti epidemie. Per Malthus c’è, naturale, questa forma di “controllo successivo”. Da rigido pastore anglicano ipotizza anche un “controllo preventivo” da parte dell’uomo, ma basato solo sulla “castità”. La teoria demografica di Malthus ispirò la corrente del malthusianesimo che sostiene il ricorso al controllo delle nascite per impedire l’impoverimento dell’umanità e, anche, la diminuzione della spesa per l’assistenza pubblica.
  8. Wolfgang Lutz, Bill Butz, Samir KC, Warren Sanderson, and Sergei Scherbov. 9 billion or 11 billion? The research behind new population projections. IIASA World Population Program. In “nexus THE RESEARCH BLOG OF IIASA”. Sep 23, 2014 | Demography.
  9. Fridolin Krausmann, Simone Gingrich, Helmut Haberl, Karl-Heinz Erb,  Annabella Musel, Thomas Kastner, Norbert Kohlheb, Maria Niedertscheider, Elmar Schwarzlmüller. Long-term trajectories of the human appropriation of net primary production: Lessons from six national case studies. In “Ecological Economics”, Vol. 77, pp. 129-138, May 2012.
  10. Malthus introduce il concetto di salario di sussistenza, cioè il livello medio del salario necessario per soddisfare le esigenze ritenute fondamentali. Secondo Malthus, fino al salario di sussistenza non ci si sposa, né si fanno figli. Se esiste un sussidio, come quello derivante dalle Poor Laws, aumenta il reddito disponibile delle famiglie, oltre un livello di mera sussistenza. Di conseguenza i poveri tenderanno a procreare, facendo sì che aumenti la forza lavoro e quindi l’offerta di lavoro, portando di conseguenza a un’ulteriore diminuzione dei salari. Al contrario, quando il livello di vita scenderà sotto lo standard di vita ritenuto accettabile, i poveri smetteranno di fare figli e il salario tenderà a salire da solo. Questa teoria della sostanziale stabilità dei salari è accettata dai classici, che la attribuiscono a meccanismi di mercato.

Lascia il primo commento