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10 Maggio, 2025

Critica ai modelli eroici-tragici della posterità

Se la posterità ama la fine tragica

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno VIII • Numero 29 • Marzo 2019

Hume l’umano visto da Julian Baggini

David Hume credeva che noi umani non fossimo niente altro che umani1. Ecco perché lui non è il filosofo amabile e generoso di cui si sente il bisogno, insisteva già nel 2018 il filosofo Julian Baggini, nel suo ultimo libro “How the World Think. A Global History of Philosophy” (2018), qualora la nostra civiltà avesse, effettivamente, come valore eccelso lenire e far prosperare l’esistenza umana, anziché sacrificarla a nome di un metafisico aldilà.

Come il racconto vuole, Socrate morì bevendo cicuta, condannato a morte dal popolo di Atene. Un’altra morte icastica è quella di Albert Camus incontrò la sua fine in un’auto che si schiantò contro un albero ad alta velocità. Un altro evento con un lato teatrale è la fine di Nietzsche collassò, mentalmente, negli anni finali della sua vita, in Piazza Carignano a Torino, vedendo un cavallo, adibito al traino di una carrozza, fustigato a sangue dal cocchiere. La posterità, come sostiene Baggini, ama la fine tragica e questa è, certamente, questa potrebbe essere una delle ragioni per cui il culto umanistico di David Hume, uno dei più grandi filosofi mai prodotti dall’Occidente, non è mai decollato, stando alle proprie considerazioni di Baggini2.

Seguendo i racconti dei cronisti dell’epoca, mentre giaceva sul letto di morte alla fine di una felice vita di 65 anni (1711 – 1776), coronata da successi e, per l’epoca, discretamente lunga, disse al suo medico: “sto morendo alla stessa velocità dei miei nemici, se ne avessi qualcuno, e vorrei morire, così facilmente e allegramente, come i miei migliori amici lo potrebbero desiderare”3. Tre giorni prima della sua morte, il 25 agosto 1776, probabilmente di cancro all’addome, il suo dottore poteva ancora riferire che “era abbastanza libero da ansia, d’impazienza o d’umore basso, e passava il suo tempo serenamente con l’aiuto di libri divertenti.”

Quando arrivò la fine, dott. Black riferì che Hume “continuò fino all’ultimo, del tutto amabile e libero da sentimenti di angoscia. Non si lasciò mai cadere in una piccola espressione d’impazienza e quando aveva occasione di parlare alla gente circa le sue condizioni, lo faceva sempre con affetto e tenerezza. Morì in una felice compostezza di mente, senza agitazione alcuna.”

Nel corso della sua vita, la reputazione di Hume era, in primo luogo, quella di uno storico. La sua carriera di filosofo, a quanto referito dai suoi biografi iniziò in modo alquanto inusuale. Il suo primo tentativo precoce di esporre il suo nuovo sistema filosofico completo, A Treatise of Human Nature. Introducing the Experimental Method of Reasoning into Moral Subjects (1739-40), pubblicato a 26 anni, “passò inavvertito dalla critica, senza raggiungere nessun commento tra gli zeloti.”

Nel corso del tempo, invece, la sua posizione è cresciuta fino al livello più alto. Infatti, nel 2009 The Philpapers Survey  chiese ad un campione di 3.226 filosofi accademici quale fosse il filosofo non vivente con il quale si identificavano maggiormente. Hume risultò primo, davanti ad Aristotele, Kant e Wittgenstein. Anche gli uomini di scienza, che di solito hanno poco tempo per la filosofia, hanno spesso fatto un’eccezione per lui. Persino il biologo Lewis Wolpert, si racconta, affermava che i filosofi erano “molto intelligenti ma non hanno nulla di utile da dire”, faceva un’eccezione per Hume, ammettendo che, a un certo punto, si fosse innamorato di lui. Nell’opinione di Baggini, non ci sono stati libri popolari di successo su di lui, come ce ne sono stati, invece, per suoi simili, quali Montaigne, Nietzsche, Socrate, Wittgenstein e gli Stoici. Le loro citazioni, non le sue, adornano tazze e strofinacci, il loro volti guardano dall’alto dei manifesti. Hume non è uscito mai dai salotti della preminenza accademica all’acclamazione del pubblico. Eppure, il grande scozzese rimane qualcosa come un filosofo dei filosofi.

Le ragioni per questo stato di cose, sarebbero, paradossalmente, le ragioni per le quali non dovrebbe esserlo. Il punto di forza di Hume, come persona e pensatore, non risiede nel brand che vende gli intellettuali al grande pubblico. In breve, non è una figura tragica né romantica; le sue idee non si distillano in una “filosofia della vita eroica volta al martirio” e il suo disgusto per il fantastico, di qualsiasi tipo, lo rende troppo ragionevole e moderato per ispirare zelotismo nei suoi ammiratori.

Come documenta Julian Baggini, Hume ebbe, almeno, due opportunità per diventare un eroe tragico ed evitare la fine allegra che, alla fine, incontrò. Quando aveva 19 anni, cedette a quella che era conosciuta come “la malattia dei dotti”, una malinconia che oggi chiameremmo depressione. Tuttavia, dopo circa nove mesi, si rese conto che questo non era il destino inevitabile del saggio, ma il risultato di dedicare troppo tempo agli studi. Egli si rese conto che per rimanere in buona salute e spirito, si rendeva necessario non solo studiare, ma esercitare il fisico e cercare la compagnia di amici. Non appena iniziò a fare questo riacquistò la sua giovialità, conservandola, praticamente, per il resto della sua vita.

Ciò gli avrebbe insegnato una lezione importante sulla natura della “vita giusta”. Come in seguito scrisse in An Inquiry Concerning Human Understanding4(pubblicato nel 1748), opera nella quale sostiene che “La mente richiede un po’ di rilassamento e non sempre può sostenere la sua inclinazione a preoccuparsi e all’operosità. La filosofia . importante, ma non è tutto ci. che conta, e anche se è una buona cosa, si può averne troppa. Pensiero astruso e ricerche profonde mi proibisco, altrimenti, mi ledo severamente con la malinconia pensierosa che essi introducono, con l’incessante incertezza in cui ti coinvolgono”. A parer suo la vita più adatta agli umani sarebbe una miscela, in cui, contano il gioco, il piacere e la diversione, nonché quelli che siano considerati i più alti obiettivi. “Sii un filosofo”, consigliava Hume, “ma in mezzo a tutta la tua filosofia, sii ancora un uomo.”

Nel 1770, Hume, nel racconto aneddotico Hume the Human, di Julian Baggini, si confrontò con un’altra opportunità di martirio, in circostanze alquanto pietose. Il Nor’ Loch di Edimburg, dove ora sorgono i Princes Street Gardens, venne prosciugato come parte dell’espansione della città. Un giorno, camminando attraverso questo Giardino, cadde nella palude che era ancor rimasta.

Egli gridò aiuto ma, sfortunatamente, le donne che al momento si trovavano nei pressi lo riconobbero e proprio poiché era ritenuto dalla collettività “un grande infedele” non si mostrarono inclini ad aiutarlo. Hume le fece notare, ragionevolmente, che tutti i cristiani dovevano aiutare chiunque, a prescindere dalle sue convinzioni, ma la loro comprensione della parabola del buon samaritano non era così chiara e misero come condizione per salvarlo che lui diventasse cristiano, lì per lì, recitando il Credo e il Pater Nostro.

Un Socrate avrebbe forse eloquente e umilmente rifiutato con uno straordinario discorso e sarebbe morto in nome della verità. Hume, invece, non permise alle convinzioni di fede degli altri di toglierli la vita, quindi, fece ciò che ogni persona ragionevole avrebbe fatto: ha esaudito la loro richiesta ma senza alcuna intenzione di mantenere la sua promessa.In questo stava seguendo l’esempio dell’unico altro filosofo di tutti i tempi che rivaleggia con Hume per grandezza: Aristotele.

Ecco un altro pensatore il cui prestigio tra i filosofi non potrebbe essere pi. alto, ma non . riuscito a catturare l’immaginazione del pubblico. Non a caso, lo stesso Aristotele si rifiutò di fare il martire. Come Socrate, fu condannato dal popolo a morte per empietà e come Socrate, ebbe l’opportunità di fuggire dalla città in sicurezza. E a differenza di Socrate, fuggire fu, esattamente, ciò che fece. Così, mentre tutti sanno come . morto Socrate, pochi sanno che Aristotele, come Hume, morì intorno ai 60 anni, probabilmente anche lui di cancro allo stomaco.

È un po’ perverso che l’attrattiva di una filosofia sembri essere direttamente correlata alla miserabile vita del suo autore. Tuttavia, questo non è l’unico motivo per cui ci sono pochi appassionati di lui fuori dall’Accademia. La sua filosofia non costituisce un sistema facilmente accettabile al puritanesimo collettivo né un insieme di regole che ci disimpegnino nel vivere. In effetti, egli è meglio conosciuto per tre tesi scettiche.

Lo scetticismo di Hume

Prima, per lui, la nostra convinzione dell’esistenza dei rapporti di causa e effetto, su cui poggia tutto il nostro ragionamento sulle questioni fattuali, non è giustificata né dall’osservazione né dalla deduzione logica.

Come ci segnala Baggini, per Hume, noi umani vediamo, sempre, una cosa dopo l’altra ma non osserviamo, mai, alcuna forza necessaria che faccia sì che una cosa abbia bisogno di un effetto. Anche se potessimo essere soddisfatti dal fatto che abbiamo stabilito che X causa Y, la logica non potrebbe stabilire alcun principio generale di causalità, poiché tutte le regolarità osservate in natura sono state osservate nel passato. Data questa condizione dell’attività cognitiva, Hume si chiede come si possa presumere che il principio di causa ed effetto si applichi al presente e al futuro. Secondo lui, logicamente, non si può, mai, arrivare a una verità sul futuro basata, interamente, su premesse che riguardano il passato perché ciò che è stato non è lo stesso di quello che sarà.

Hume non negava che causa ed effetto fossero reali. Infatti, non possiamo ragionare su nessuna questione di fatto empirico senza assumere la loro realtà, come spesso fa Hume stesso nei suoi scritti. Tuttavia, lui è stato chiaro nel considerare che tale fulcro del pensiero ragionevole non è esso stesso stabilito dalla ragione o dall’esperienza. Si tratta di qualcosa filosoficamente forte ma, difficilmente, la fonte di citazioni ispiratrici su Instagram, ci segnala, ironicamente, Baggini nella sua relazione di come pensiamo noi occidentali.

Hume è anche noto per le sue argomentazioni contro vari aspetti della religione, sebbene non sia mai apparso come un ateo a tutti gli effetti. Nella sua posizione più nota in materia, egli sosteneva che non sarebbe mai razionale accettare la pretesa di un miracolo, dal momento che le prove che si erano verificate sarebbero sempre state più deboli dell’evidenza che tali cose non accadano mai. Sarebbe sempre stato più probabile che la testimonianza di un miracolo fosse sbagliata o falsa di quella che il miracolo abbia effettivamente avuto luogo. Ma ancora, il suo scetticismo sulle affermazioni della religione tradizionale non equivale a una filosofia sostanziale e positiva.

La terza affermazione negativa di Hume ha il beneficio di uno slogan commovente, anche se piuttosto opaco: “La ragione è, e dovrebbe essere solo, la schiava della passione”. Ciò che egli intende dirci, secondo l’interpretazione di Baggini, è che la ragione da sola non ci dà alcuna motivazione ad agire e, certamente, nemmeno alcun principio su cui basare la nostra moralità. Per lui se siamo bravi è perché abbiamo un sentimento di base che ci fa reagire con simpatia alla sofferenza degli altri e con piacere al pensiero della loro prosperità. Nel suo pensiero, la persona che non vede perché dovrebbe essere “buona” non è irrazionale ma senza cuore.

Come illustrano queste tre tesi principali, la filosofia di Hume è essenzialmente scettica e lo scetticismo sembra togliere più di quanto offre. Tuttavia, inteso correttamente, sostiene Baggini nella sua “A Short History of Truth. Consolations for a Post-Truth World”, lo scetticismo di Hume può e dovrebbe essere la base per un approccio completo alla vita. Esso è costruito sui fondamenti scettici di una valutazione brutalmente onesta della cosiddetta natura umana, che potrebbe essere vista come l’essenza del suo progetto. Non è casuale, da questo punto di vista, che il suo primo tentativo di esporre la sua filosofia fosse chiamato “A Treatise of Human Nature”. L’umanità era il suo tema principale.

Hume – tra Buddismo e neuroscienze

Hume vedeva noi, umani, come, forse, veramente siamo, sé spogli di ogni pretesa metafisica o di significato. Dalla sua visione non siamo né anime mortali incatenate nella carne né le menti immateriali che Cartesio credeva di aver dimostrato. Noi umani siamo animali – notevolmente molto intelligenti – ma comunque animali. Hume, sostiene Baggini, non ha solo riportato gli esseri umani sulla Terra, ci ha, anche, derubato di qualunque essenza duratura o eterna. Litigando contro l’affermazione di Cartesio, che ci pretende consapevoli di noi stessi, ego puro e indiviso, egli ha sostenuto che ciò che noi chiamiamo il SÉ è solo un fascio di percezioni. Guarda dentro te stesso, diceva, e prova a trovare l’”io” che pensa, nel farlo, osserverai solo un pensiero, proverai solo una sensazione, un prurito, un pensiero che ti viene in mente e si confonde con altri.

Hume stava riecheggiando una visione che fu inizialmente articolata dai primi buddisti, la cui visione del “non – sé” [anattā]5 è notevolmente simile. Ha anche, anticipato i risultati delle neuroscienze contemporanee che hanno scoperto che non esiste un controllore centrale nel cervello, nessun luogo in cui risiede il senso di sé. Il cervello, piuttosto, esegue costantemente un numero qualsiasi di processi paralleli. Ciò che sembra essere centrale per la coscienza dipende dalla situazione.

Per quanto riguarda il nostro intelletto, si potrebbe, ironicamente e paradossalmente, asserire che Hume abbia dimostrato quanto eccezionale esso possa essere, fornendo prove di quanto sia imperfetto. Egli sosteneva che la ragione pura, del tipo celebrato da Cartesio, era in gran parte impotente. Le dimostrazioni della ragione sono limitate alle dimostrazioni riguardanti “la relazione delle idee”, i modi in cui i concetti sono solo logicamente correlati l’uno con l’altro. Quindi, si può provare che 2 + 2 = 4 ma questo non ci dice nulla di ciò che accade quando si mettono insieme quattro cose in natura, dove potrebbero obliterarsi, moltiplicarsi o fondersi in una sola cosa. Si può dimostrare che una donna Papa è una contraddizione logica, ma non esclude la possibilità che una donna possa guidare la Chiesa cattolica. Prove più che logiche ci dicono che la storia di Papa Giovanna è quasi, certamente, falsa6.

Come sostiene Baggini nella sua ultima opera “How the World Thinks. A Global History of Philosophy7, secondo Hume, la maggior parte del nostro ragionamento può essere considerato poco più di un’associazione di idee quasi istintiva. Imparare dall’esperienza sarebbe “una specie di analogia” nella quale ci aspettiamo che le cose simili abbiano effetti simili. Ecco perché egli non ebbe problemi ad attribuire la ragione anche agli animali. Evidentemente, loro imparano molte cose dall’esperienza e si potrebbe dire che deducono che gli stessi eventi seguiranno sempre gli stessi andamenti o cause, se si preferisce l’idea causale. Naturalmente, non si intende dire che questo “apprendimento” implichi “qualsiasi processo di argomentazione o ragionamento”. Ma poi, neanche la maggior parte dell’apprendimento di noi umani e nemmeno quello dei filosofi implica un processo di argomentazione o ragionamento. Siamo guidati, secondo lui, principalmente da “credenze e abitudini”

Per Hume, ci racconta Baggini, noi, umani, siamo organismi di carne e sangue, di intelletto e istinto, di ragione e di passione. La vita giusta sarebbe, quindi, quella che renda giustizia a ciascuna di queste caratteristiche. Egli non articolò mai, esplicitamente, in cosa consistesse una vita del genere, ma probabilmente fecce addirittura molto meglio: lo ha mostrato con l’esempio della sua vita. Studiava e scriveva, giocava a biliardo e cucinava un brodo di testa di pecora che lasciava gli ospiti a parlarne per giorni.

Tutti quelli che lo conoscevano, ad eccezione del narcisista e paranoico Jean-Jacques Rousseau, ne parlarono molto. Quando Hume trascorse tre anni a Parigi in età avanzata, era conosciuto come le bon David, la sua compagnia era cercata da tutti i salotti. Il barone d’Holbach lo descrisse come “un grande uomo, la cui amicizia so apprezzare come merita”. Adam Smith, scrivendo per trasmettere la notizia della morte di Hume al suo editore, William Strachan, disse: “L’ho sempre considerato, sia nella sua vita che dopo la sua morte, come uno che quasi si avvicina alla realizzazione dell’idea del saggio perfetto e dell’uomo virtuoso, come, forse, la natura della fragilità umana permette”.

 

Empatia: filosofia morale di Hume

Se Hume ha vissuto una vita così esemplare, allora perché non è più lodato in quanto tale? Una ragione, segnala Baggini sarebbe che la sua filosofia morale, e con essa la sua concezione del bene, non è quella che sarebbe solitamente attraente per il grande pubblico. Altre filosofie morali hanno mescolato slogan che esprimono principi facili da comprendere. In effetti, perfino lo stesso Kant avrebbe suggerito: “Agisci solo secondo quella massima, in base alla quale puoi, allo stesso tempo, si può far sì che diventi una legge universale”. Gli utilitaristi hanno invece la linea di Bentham: “Crea tutta la felicità che sei in grado di creare: rimuovi tutta la miseria che sei in grado di rimuovere”. “Ama il tuo prossimo come te stesso”, disse Gesù. Hume, ci suggerisce Baggini, non sosteneva affatto un semplice principio di moralità e non è nemmeno chiaro cosa significhi per lui essere morale.

Per Hume, la moralità sarebbe radicata in nient’altro che nella simpatia [sympathy]: una specie di sentimento per gli altri, vicino a ciò che ora chiamiamo empatia. I principi morali non possono essere ricavati da deduzioni logiche, né sono principi eterni, immortali che, in qualche modo, sarebbero presenti nell’Universo. Egli sosteneva, invece, che ci comportiamo bene con gli altri per nessun’altra ragione se non quella che vediamo in loro la capacità di soffrire o prosperare, e rispondiamo di conseguenza. Qualcuno che non prova tale simpatia è emotivamente, non razionalmente, carente.

Pochi sono stati soddisfatti di questo suo resoconto circa cose potrebbe essere considerato moralità. Molti hanno interpretato il principio dell’empatia [simpatia] come un principio secondo cui si dovrebbe essere gentili, se si ha voglia e se non, non c’è altro da dire. Tuttavia, studiosi meno prevenuti8 considerano che lui fosse, fondamentalmente, corretto e che lungi dal renderci pessimisti riguardo alla possibilità della bontà umana, dovrebbe renderci più ottimisti. Per Hume, se la moralità fosse radicata nella ragione pura, non potremmo avere alcuna speranza di capire e concordare su ciò che dovremmo fare, dato che nemmeno le migliori menti della storia sono state in grado di dimostrare quale ragione ci si richiede e perché? Ugualmente sosteneva che se la moralità fosse radicata in una sorta di realtà trascendente extra-umana, saremmo condannati ai disaccordi morali. Ma se la moralità è radicata in nient’altro che la capacità di riconoscere gli interessi di un altro, è qualcosa a cui tutti possiamo rispondere.

Egli era un grande sostenitore del prestare attenzione alle prove e possiamo pensare che l’esperienza supporti il suo modello di moralità meglio dei principi concorrenti. I migliori esseri umani non sono stati guidati da una rigida ideologia, né dalla filosofia morale nemmeno dalla logica. Sono sempre state persone che hanno messo la risposta ai bisogni umani al di sopra del credo o della dottrina. In effetti, i peggiori crimini sono stati commessi da persone convinte di un principio morale giustificante.

Hume e i modelli eroici tragici della civiltà

Possiamo, però, incitati, da Baggini, sospettare che il motivo principale per cui Hume non sia considerato un esempio di virtù sia perché non si à conformato ai modelli eroici della maggior parte delle civiltà. I “grandi uomini” (poiché raramente alle donne è stata garantita la grandezza) sono stati o potenti leader o santi sacrificati. Essere eccezionali, nelle nostre civiltà tragiche-eroiche, significa essere quasi divini come il Figlio del Dio, che morì sulla croce del cristianesimo.

Il tipo di eccezionalità di Hume è il contrario: è più pienamente umana della maggior parte, niente di più, niente di meno. Le virtù che esprime, non sono quelle estreme di audacia o coraggio, ma di amabilità, modestia, generosità di spirito e d’ospitalità. Queste “virtù”, né eroiche né tragiche, potrebbero sembrare cosa da poco ma se si prova ad attuarle nella vita quotidiana, perfino odierna, ci si rende conto di quanto sia difficile vivere le nostre vite esprimendo, coerentemente, tali modeste virtù.

Celebrare una tale vita di modestia e amabilità è sempre difficile perché dipende, innegabilmente, dai privilegi. Tanti combattono soltanto per la sussistenza, tanti altri vivono in zone di guerra e non c’è da meravigliarsi se preferiamo elogiare coloro i cui atti auto-sacrificali aiutano gli altri. Ma la vita giusta di Hume, come quella di Aristotele, indica tutto ciò che dovrebbe condurre all’altruismo con cui ridurre povertà, guerre e, anche, con cui lenire le malattie, in modo che le persone possano andare avanti e vivere vite se non fiorenti e produttive, meno gravate dalla sofferenza. In una cultura che dia più valore sociale alle virtù della modestia e della generosità di spirito forse non avremmo bisogno di eroi.

Lo scetticismo è fondamentale per questa sua idea di vita giusta. Non l’eccessivo scetticismo pirronista9 che sospende il giudizio su tutto ma uno scetticismo mitigato che corregge il nostro dogmatismo naturale. Secondo Baggini10, Hume stava anticipando le scoperte della psicologia contemporanea quando osservò: “La maggior parte dell’umanità è naturalmente adatta ad essere affermativa e dogmatica nelle sue opinioni e, mentre vede gli oggetti solo da una parte e non ha idea di alcun argomento controbilanciato, si getta precipitosamente nei principi a cui è incline, senza indulgenza alcuna per coloro che intrattengono sentimenti opposti”11.

Questa fondamentale moderazione è un’altra ragione per cui Hume non è mai diventato un filosofo popolare. È troppo maledettamente ragionevole! La ragionevolezza e l’equilibrio sono visti come noiosi segni di mancanza di scintilla o originalità. Lui era sempre sospettoso di coloro che egli chiamava entusiasti. Certo, questo aggettivo non aveva allora il significato inequivocabilmente positivo d’oggi. Deriva dal greco entheo, cioè avere un dio (theos) all’interno, per cui entusiasti, era un nome dato in passato, con una punta di spregio, ad alcune sette religiose (anabattisti, quaccheri, mormoni, ecc.), che pretendevano di avere ispirazioni dirette dallo Spirito  Santo. Per ciò, essere un entusiasta nel senso di Hume indica, dimenticare che uno è umano e  agire come se uno fosse un dio, con sufficiente ragione e conoscenza per essere completamente fiducioso su ciò che si crede.

Hume, secondo Baggini, sapeva che questo errore era tanto più probabile quando si crede di conoscere Dio e le sue intenzioni. Nel suo saggio “Of Superstition and Enthusiasm12 (1741) egli descrive come “la mente dell’uomo” è “soggetta ad un innalzamento e una presunzione inesplicabili”. In questo stato mentale, l’umanità si eleva sopra di sé, pensando di avere dentro di sé il divino. Ciò darebbe origine, secondo Hume, a una forma di falsa religione in cui nessuna bellezza terrena e nessun godimento umano possono essere all’altezza del sentimento religioso e in cui ogni cosa mortale e deteriorabile svanisce come indegna disattenzione. La migliore profilassi contro quest’alienazione della nostra condizione umana, secondo la filosofia morale di Hume, sarebbe abbracciare pienamente la nostra umanità e, con ciò, l’umiltà, accettando i nostri limiti. A lui non sfugge che anche gli entusiasmi secolari, che elevano la razionalità e la nobiltà umane, fanno spesso lo stesso errore, creando una sorta di religione dell’umanità senza Dio, altrettanto perniciosa.

Se mai ci fosse stato un momento nella storia recente per rivolgersi a Hume, ora lo è sicuramente. Gli entusiasti sono in aumento, sotto forma di populisti politici forti che affermano la volontà dei popoli come se tale volontà fosse assoluta e necessariamente infallibile. In tempi più stabili, avremmo, forse, potuto usare un Nietzsche per scuoterci dalla nostra compiacenza borghese o dai nostri sogni platonici di immortali forme perfette. Ma in questo momento storico tali eccessi filosofici sono indulgenze dannose. Oggi, il buon senso non-comune è più necessario che mai.

Abbiamo disperatamente bisogno del giusto tipo di scetticismo per rimpiazzare l’indifferenza globale che spinge le persone di rifiutare i cambiamenti necessari verso una nuova bio-politica per le popolazioni umane. Lo scetticismo di Hume, piuttosto che una ricetta per l’inazione o una scusa per indulgere nei pregiudizi, potrebbe essere ritenuto un antidoto alla nostra hybris, alla nostra insolenza. Il suo scetticismo mitigato si basa sul principio secondo cui dovremmo proporzionare le nostre credenze alle prove.

Il problema per i suoi supporter è il modo in cui si può essere sostenitori entusiasti di qualcuno così contrario all’entusiasmo. Se il caso per Hume deve essere fatto nei suoi termini, noi dovremmo essere modesti nelle nostre pretese filosofiche, sostenendo la simpatia umana tanto, se non di più, della razionalità umana. E dovremmo mai permettere alla nostra ricerca della conoscenza, di intralciare i piaceri attenuanti del cibo, delle bevande, della compagnia e del gioco. Hume ha modellato uno stile di vita giusta, ragionevole, amabile e interessato sia a lenire la sofferenza degli altri che a far prosperare la vita degli altri.

  1. Julian Baggini. How the World Thinks. A Global History of Philosophy. Granta, London, 2018
  2. Julian Baggini. A Short History of Truth. Consolations for a Post-Truth World. Quercus Editions, London, 2017
  3. Julian Baggini. Hume the humane. Aeon, 15 August 2018
  4. In italiano: Ricerca sull’intelletto umano.
  5. La dottrina dell’anātman  (sanscritoanattā) è propria del  Buddhismo, e afferma l’inesistenza dell’ātman, cioè di un  io  individuale permanente.
  6. David Hume. An Inquiry Concerning Human Understanding
  7. David Hume. How the World Thinks. A Global History of Philosophy. Granta, London, 2018
  8. Julian Baggini. Aeon, 2018
  9. Seguace di  Pirrone  e della sua filosofia; esponente del  pirronismo; per estensione, scettico
  10. David Hume. How the World Thinks. A Global History of Philosophy. Granta, London, 2018
  11. A Treatise of Human Nature. Introducing the Experimental Method of Reasoning into Moral Subjects.
  12. In italiano: Di superstizione ed entusiasmo

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