BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno VIII • Numero 32 • Dicembre 2019
I nostri legami con il mondo
L’esistenzialismo1 ha la reputazione di essere una posizione dinnanzi alla vita umana angosciata e cupa, soprattutto a causa della sua enfasi sul ponderare l’insensatezza dell’esistenza, ma due dei più noti esistenzialisti sapevano come divertirsi di fronte all’assurdità. Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre trascorsero molto tempo a festeggiare: parlare, bere, ballare, ridere, amare e ascoltare musica con gli amici, e questo era un aspetto della loro filosofia di vita. Non erano solo filosofi a cui piacevano le feste, le feste erano un’espressione della loro filosofia di vita, e per loro c’erano modi autentici o inautentici per farlo. I modi inautentici, stando alla filosofia esistenzialista, sarebbero i modi in cui è assente la coscienza della propria effettiva vocazione.
Per la de Beauvoir in particolare, la filosofia doveva essere vissuta in modo vivace e la festa era legata alla sua voglia di vivere pienamente e liberamente, di non astenersi dal provare tutto ciò che la vita aveva da offrire. Descrivendo la sua voglia di vivere scrisse che a volte faceva tutto un po’ troppo follemente ma che questo era il suo modo, aggiungendo che preferiva non fare affatto le cose piuttosto che farle solo timidamente2.
Sartre amava l’immaginazione giocosa che l’alcol gli facilitava. Al riguardo disse: “Mi piaceva avere idee confuse che mi interrogavano vagamente e poi si sgretolavano.” Sosteneva che la troppa serietà indurisse il mondo, fissandolo con regole, infeltrendolo, soffocando la libertà e la creatività. Per lui, nemmeno le cose mondane dovevano essere prese sul serio. Infatti, proclamava che prendere anche le feste troppo sul serio ne dissipasse la loro effervescenza, che la serietà le appiattisse in istituzioni, in vuote finzioni di ricchezza e materialismo sfoggiate gratuitamente, in patetiche suppliche di riconoscimento attraverso gli sguardi degli altri o in indulgenze edonistiche, in sordidi piaceri effimeri che servono solo a distrarre i partecipanti dalle loro vite stagnanti. Una festa seria trascura le virtù sottostanti di giocosità e generosità che la rendono veramente autentica. De Beauvoir provò a fumare delle canne ma, non importa quanto forte inalasse, rimaneva saldamente piantata a terra. Lei e Sartre si auto-medicavano anfetamine per rimediare i postumi di una sbornia, per la cardiomiopatia da stress e per i blocchi creativi nel loro mestiere di scrittori. Sartre utilizzò sostanze psichedeliche per scopi accademici: prese la mescalina per circostanziare le sue ricerche sulle allucinazioni. Ma, come hanno documentato Pigliucci, Cleary e Kaufman, l’alcol sarebbe stato sempre la loro droga preferita per le feste.
Una festa non è una festa senza altre, ovviamente, e, sebbene Sartre sia famoso per la sua battuta “L’enfer, c’est les autres” [L’inferno sono gli altri] nella sua opera teatrale del 1944 “Huis clos” [A porte chiuse], per lui era tutta un’altra storia: sia lui che de Beauvoir conoscevano sé stessi nei loro rapporti con gli altri. “Nelle canzoni, nelle risate, nei balli, nell’erotismo e nell’ubriachezza”, scriveva de Beauvoir in Pour une morale de l’ambiguïté3, “si cerca sia un’esaltazione del momento sia una complicità con gli altri”. Per lei, complicità e reciprocità erano il fondamento delle relazioni etiche perché gli altri forniscono il contesto della nostra vita. E poiché il nostro mondo è intriso di significati che gli altri ci forniscono, la nostra esistenza può essere rivelata solo in comunicazione con loro.
Le feste, infatti, possono coltivare le nostre connessioni con gli altri, dare un senso alle vite reciproche e aiutarci a svelarci un mondo condiviso. Possono, anche, confermare una vicendevole esistenza, fungendo da promemoria per gli amici che contano e per ricordarci che anche noi contiamo per i nostri amici. Inoltre, il calore e le risate che le autentiche feste sprigionano possono aiutare le persone ad affrontare il caos della vita. E questo può essere vero anche in tempi molto difficili. Infatti, la De Beauvoir scrivendo delle sue feste in tempo di guerra nella Parigi occupata ha raccontato che loro accumulavano i buoni pasto e, poi, si mangiava, ci si divertiva e si beveva sfrenatamente. Ballavano, cantavano, suonavano e improvvisavano. L’artista Dora Maar mimava le corride, Sartre scimmiottava il direttore di orchestra su uno sgabello e Albert Camus percuoteva i coperchi delle pentole come se partecipasse in una banda di paese. Simone De Beauvoir scrisse che: “Volevamo semplicemente strappare alcune pepite di pura gioia da questa confusione e inebriarci della loro luminosità, sfidando i disincanti che ci aspettavano.” Questi erano piccoli atti di ribellione di fronte a vere paure per il futuro.
L’esistenza è un processo in cui ci spendiamo
I critici di de Beauvoir e Sartre provano a screditarli con accuse di ispirare orge, di incoraggiare l’edonismo ed essere ciò che la filosofa Julia Kristeva nel 2016 ha definito “terroristi libertari” che hanno formato un “reparto di shock” per sedurre le loro vittime sessuali. Tuttavia, non incoraggiavano l’edonismo totale perché non attribuivano valore al piacere personale rispetto alla responsabilità. Per la de Beauvoir, non c’era nulla di filosoficamente sbagliato nel partecipare a orge, è lo stesso di qualsiasi altro aspetto della vita e ciò che è importante nella sua attuazione è come ci si avvicina alla situazione. Se una persona, scrisse, “porta tutto se stesso in ogni situazione, non può esistere un’occasione spregevole”. Ed è vero che de Beauvoir e Sartre avevano molti amanti, ma sembra che il sesso occasionale non facesse parte del loro repertorio. Pensavano che la promiscuità fosse un banale uso della libertà e, invece, desideravano intense relazioni amorose e di amicizia.
Nella loro posizione esistenzialista, rifiutare le norme sociali è stato un processo di destrutturazione necessario a non lasciarsi appiattire in una vuota finzione e perciò proponevano di rifiutarsi ad essere definiti principalmente da ciò che gli altri pensano che dovremmo essere, da come dovremmo agire e dalle scelte che dovremmo fare. Fare festa può comportare un simile atto di abbattimento di tali aspettative, oltre a spendere tempo, denaro, cibo, bevande e cellule cerebrali. Alcuni potrebbero definirlo uno spreco, ma per cosa ci stiamo risparmiando? Una buona vita non è sempre lunga e una lunga vita non è necessariamente felice o soddisfatta. Piuttosto, l’importante è abbracciare la vita appassionatamente. L’esistenza è un processo in cui ci spendiamo e, talvolta, richiede di lasciarci alle spalle il nostro io precedente per ricrearci di nuovo, spingendoci in avanti nel futuro, definendo il nostro essere in nuovi regni. E ciò, lo facciamo aprendoci e giocando con le possibilità4.
Tuttavia, fare festa come un esistenzialista richiede anche cautela. Mentre questo può essere un rimedio per un mondo pieno di disperazione e distrazioni, può anche essere un inganno usarlo come mezzo per sfuggire alla propria situazione. Scappare dalla vita o soccombere alla pressione dei pari ci riduce a quella che Simone de Beauvoir ha definito un’assurda “palpitazione”. Perché la festa sia autentica, deve essere scelta liberamente e attivamente, fatta intenzionalmente e in modo da riflettere i propri valori. Festeggiare eccessivamente può diventare estenuante e monotono quando sottrae la gioia di vivere e diventa una serie ripetitiva e insignificante di incontri, motivo per cui le feste degli esistenzialisti tendevano ad essere solo eventi occasionali. Camus avrebbe chiesto alla de Beauvoir se fosse possibile fare festa così intensamente come lei e Jean Paul Sartre facevano continuando a lavorare. Simone De Beauvoir avrebbe risposto di no, avvertendo che per evitare la stagnazione, lei pensava che l’esistenza “deve essere immediatamente impegnata in una nuova impresa, deve precipitare verso il futuro”.
L’autentica festa esistenzialista, quindi, richiede una sorta di padronanza di sé: mantenersi nella tensione tra libertà e responsabilità, giocosità e serietà e coltivare le nostre connessioni senza negare le nostre situazioni. Ci incoraggia a creare i nostri legami con il mondo, alle nostre condizioni, distaccandoci vigorosamente dalle catene interne, comprese le abitudini o le dipendenze. Tali feste ci incoraggiano anche a sfidare le catene esterne, come le restrizioni istituzionali e, quindi, l’insistenza testarda sul vivere la vita come si sceglie – e in modi che rafforzano i nostri legami reciproci – può essere un atto di rivolta. Un approccio esistenzialista alla festa riconosce che sebbene la vita possa essere minacciosa essa può e deve essere divertente, e stare con gli altri, nel modo giocoso della festa, può aiutarci a sopportare l’oscurità attraverso un senso condiviso di euforia, armonia e speranza.
Sia Simone de Beauvoir che Jean Paul Sartre trascorsero le loro ricche vite abbracciando nuove imprese, ma portarono con sé le loro bottiglie di whisky e vodka. Ciò portò loro gravi problemi di salute, ma non si pentirono mai della festa o del bere e, secondo la loro stessa filosofia, non c’era motivo per cui avrebbero dovuto farlo. Lo scelsero liberamente, lo fecero alle loro condizioni e presero la responsabilità delle conseguenze. Ecco cosa significa fare festa come un esistenzialista.
- L’esistenzialismo variegata corrente di pensiero che si è espressa in vari ambiti culturali e sociali umani, tra filosofia, letteratura, arti e costume, affermando, nell’accezione più comune del termine, il valore intrinseco dell’esistenza umana individuale e collettiva come nucleo o cardine di riflessione, in opposizione ad altre correnti e principi filosofici totalizzanti ed assoluti. Nato tra il XVIII e il XIX secolo, trovando ampio sviluppo nel XX secolo, esso insiste sul valore specifico dell’individuo e sul suo carattere precario e finito, sull’insensatezza, l’assurdo, il vuoto che caratterizzano la condizione dell’uomo moderno, oltre che sulla «solitudine di fronte alla morte» in un mondo diventato completamente estraneo oppure ostile. Esso nasce in opposizione all’idealismo, al positivismo e al razionalismo, assumendo in alcuni rappresentanti un’accentuazione religiosa, in altri un carattere umanistico e mondano, sia pessimista sia ottimista, collegandosi dunque in diversi aspetti all’irrazionalismo e influenzando numerose altre filosofie parallele e successive.
- Massimo Pigliucci, Skye C. Cleary and Daniel A. Kaufman How to Live a Good Life. Fourteen Philosophers on Choosing – and Living – a Philosophy of Life. Vintage/Penguin Random House US, 2019
- Per una morale dell’ambiguità, 1947
- Skye C Cleary. Existentialism and Romantic Love. Palgrave Macmillan, UK, 2015