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14 Ottobre, 2023

Il controllo delle popolazioni via Internet

L'obsolescenza della preoccupazione per il futuro dell'umanità

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XII • Numero 47 • Settembre 2023

 

Per quanto mi riguarda, io non temo gli abusi dovuti a malvagi interessi di potere: temo invece coloro che amano l’umanità, e che sognano un grandioso miglioramento della specie.

Hans Jonas. Dalla fede antica all’uomo tecnologico

Inquadratura filosofica a proposito della preoccupazione per il futuro dell’umanità!

Negli ultimi mesi è tornata in voga una peculiare preoccupazione per il futuro dell’umanità. In effetti, il palinsesto mediatico dell’establishment è ripetere, accuratamente, le dichiarazioni di cosiddetti esperti dell’Intelligenza Artificiale come Geoffrey Hilton. Non sorprenderebbe ad alcuni se una tale reiterazione risultasse perfino vincolata al desiderio della stessa audience di sentire minacciata la propria esistenza. D’altronde, viene considerato un dato di fatto che l’adrenalina crea assuefazione. Come sappiamo, le affermazioni di Geoffrey Hilton, nella veste di padre ravveduto, ci metterebbero in guardia sui pericoli di ulteriori sviluppi futuri della, così designata, Intelligenza Artificiale. Tale revival della questione, o della farsa, ha riportato alla ribalta titoli di più di una decade fa che annunciavano, come oggi, che alcuni scienziati dichiaravano che Internet avrebbe generato sottili forme di influenza che potevano capovolgere elezioni e manipolare tutto ciò che diciamo, pensiamo e facciamo.

La risonante espressione preoccupazione per il futuro dell’umanità genera, indubbiamente, grande consenso. Infatti, le nostre società ci predispongono ad accogliere emotivamente quest’ordine di esternazioni che esaltano un valore sostanziale attribuibile alla vita umana e che rivendicano una suggestiva, se non grottesca, simpatia nei confronti dei simili. Tuttavia, essendo questa un’espressione coniata nel contesto del discorso umanistico, si rende doveroso problematizzarla ed interrogarla, in quanto essa, seguendo il pensiero di Seneca, come ogni espressione retorica, servirebbe a noi umani da nascondiglio del nostro essere multiforme. In effetti, tale manifestazione di preoccupazione per il futuro dell’umanità risulta essere espressione e maschera della nostra condizione umana, vale a dire della nostra ambivalenza costitutiva, nel cuore della quale abitano, porta a porta, opposte possibilità.

Prima di rivisitare l’obsolescenza dell’ultimo allarme di pericolo, però, ritengo sia utile un’inquadratura della questione del futuro dell’umanità in una prospettiva filosofica. In effetti, considerando la questione da questo punto di vista, preoccuparsi per il futuro dell’umanità, a quanto pare, presuppone considerare l’umanità come un’unica entità che condivide la stessa origine e lo stesso destino. Sembra che presupponga, inoltre, un radicato e condiviso antropocentrismo umanista. Altrimenti, di quale futuro e di quale umanità stiamo parlando? Inserire la questione della preoccupazione per il futuro dell’umanità in un tale contesto facilita l’operazione di circoscrivere, filosoficamente, quest’argomentazione nella dimensione del futuro, sia intesa come responsabilità a garanzia della possibilità del futuro, sia come responsabilità di capire di aver perso il futuro.

Il punto che, a mio parere, non dovremmo ignorare è che la dimensione del futuro, sia che venga intesa come possibilità che come perdita, ha una connotazione esistenziale sostenuta da una precisa istanza morale. Considerare che il futuro dell’umanità sia possibilità comporta, come aveva sostenuto nel secolo scorzo Hans Jonas,1 un’etica della responsabilità che mira, precisamente, a consolidare la possibilità del futuro e ad alimentare la speranza nella persistenza di una condizione accettabile per noi umani. Considerare, invece, che non ci sia futuro possibile per l’umanità, come aveva già proposto quasi un secolo fa Günther Anders,2 comporta sostenere l’impossibilità del futuro in quanto negato dall’attività tecnologica in corso già alla fine degli anni ’50. La responsabilità, in questa visione, rappresenta il mezzo con cui si rende possibile sopportare l’impossibilità del futuro, persistendo nel presente. A tal proposito, Anders considerava il concetto di speranza in sé stesso pericoloso, in quanto incoraggerebbe l’inazione e l’immoralità.

Autoproclamarsi paladino che lotta contro una negazione del futuro dell’umanità risente, nel caso di Geoffrey Hilton, non solo di una tonalità falsa ma indubbiamente di una certa obsolescenza. In effetti, già nel 1956, Günther Anders pubblica, sinceramente e senza alcun conflitto d’interesse, Die Antiquiertheit des Menschen [L’uomo è antiquato],3 una sorta di antropologia filosofica sulla contingenza dell’umano e dell’eclissi del senso. Nella sua argomentazione Anders muove dalla diagnosi di ciò che lui denomina una vergogna prometeica, cioè dalla diagnosi della subalternità dell’uomo al mondo delle macchine da lui stesso creato, per affrontare il paradosso cui la bomba atomica aveva posto di fronte l’umanità, costringendola fra angoscia e soggezione. Questa vergogna prometeica sarebbe legata anche a un senso di dislivello, di non sincronicità, tra l’uomo e i suoi prodotti meccanici che, sempre più nuovi ed efficienti, lo oltrepassano, facendo sì che egli si senta antiquato.

A questi fenomeni si accompagnerebbe, stando a Anders,4 il capovolgimento del rapporto tra mezzo e fine. In tal senso, Anders sostenne negli anni ’50, che la tecnica non sarebbe più il mezzo tramite cui realizzare scopi umani ma, sempre più, diviene fine a sé stessa, scopo per la moltiplicazione della propria produzione, con la passiva complicità di un uomo oramai incapace di controllare le trasformazioni in corso. Alla base di questo stato delle cose si troverebbe una deficienza specifica della natura umana, da lui chiamata dislivello prometeico. Il termine indica uno scollamento e uno scompenso tra le facoltà dell’uomo, in particolare tra la sua eccezionale capacità di fare (di progettare e realizzare ordigni tecnici sempre più raffinati) e la capacità di capire fino in fondo quali ne siano gli effetti concreti o di provare sentimenti adeguati alle conseguenze che essi producono. Esso indica l’asincronizzazione, ogni giorno crescente, tra l’uomo e il mondo dei suoi prodotti.

Quindi, che Geoffrey Hilton annunci un imminente pericolo per l’umanità con i successivi sviluppi delle complesse architetture algoritmiche embedded in ogni piattaforma social di interazione e gestione delle popolazioni, da lui stesso disegnate, avrebbe poco di novità e sincerità quando è risaputo che le produzioni della tecnologia avrebbero già deciso delle sorte del futuro.

L’obsolescenza della preoccupazione per il futuro dell’umanità nel ‘900

Nel secolo scorso, anche celebrati scrittori hanno espresso preoccupazione per il futuro dell’umanità. In The Iron Heel (1908), lo scrittore Jack London immaginava un mondo in cui un pugno di ricchi titani corporativi, da lui chiamati oligarchi, teneva a bada le masse con una brutale combinazione di ricompense e punizioni. Gran parte dell’umanità veniva descritta come vivendo in schiavitù virtuale, mentre i fortunati venivano riscattati con salari dignitosi che permettevano loro di vivere comodamente ma senza alcun controllo reale sulle loro vite.

In Мы [Noi], pubblicato per prima volta nel 1924, lo scrittore Yevgeny Zamyatin immaginava un mondo in cui le persone erano tenute sotto controllo attraverso un monitoraggio pervasivo. Le pareti delle loro case erano fatte di vetro trasparente, quindi tutto ciò che facevano poteva essere osservato. Avevano il permesso di abbassare gli oscuranti un’ora al giorno per fare sesso, ma sia l’ora dell’appuntamento che l’amante dovevano essere registrati prima presso lo Stato.

In Brave New World (1932), Aldous Huxley ha immaginato una società quasi perfetta in cui l’infelicità e l’aggressività erano state progettate dall’umanità attraverso una combinazione di ingegneria genetica e condizionamento psicologico. E nel romanzo molto più oscuro 1984, pubblicato nel 1949, George Orwell, descrisse una società in cui il pensiero stesso era controllato. Nel mondo di Orwell, ai bambini veniva insegnato a usare una forma semplificata di inglese chiamata neolingua per assicurarsi che non potessero mai esprimere idee pericolose per la società.

Questi sono tutti racconti di fantasia, certo, e in ognuno i leader che detenevano il potere usavano vistose forme di controllo che almeno alcune persone resistevano attivamente e, occasionalmente, superavano. Ma nel bestseller giornalistico The Hidden Persuaders,5 pubblicato anch’esso nel lontano 1957, Vance Packard descrisse un tipo di influenza strano e piuttosto esotico che stava rapidamente emergendo negli Stati Uniti e che era, in un certo senso, più minaccioso dei tipi immaginari di controllo raffigurati nei romanzi accennati. Secondo Packard, i dirigenti e i politici delle aziende statunitensi stavano iniziando a utilizzare metodi sottili e, in molti casi, completamente impercettibili, per modificare il pensiero, le emozioni e il comportamento delle persone sulla base delle intuizioni della psichiatria e delle scienze sociali di allora.6

L’obsolescenza della preoccupazione per il futuro dell’umanità: gli anni ’50 e la svolta nei metodi di manipolazione delle popolazioni – i cosiddetti messaggi subliminali e la commercializzazione della politica

La maggior parte di noi ha sentito parlare di almeno uno di questi metodi, vale a dire la cosiddetta stimolazione subliminale o, ciò che Packard chiamava, effetti sottosoglia. Il metodo consisterebbe nella presentazione di brevi messaggi che ci indicherebbero cosa fare ma che verrebbero visualizzati così brevemente che non ci renderemmo conto di averli avvertiti. Nel 1958, spinta dalla preoccupazione di un’eterodiretta opinione pubblica per le attività di un teatro nel New Jersey che avrebbe nascosto messaggi in un film per aumentare le vendite di gelati, la National Association of Broadcasters (l’associazione che fissava gli standard per la televisione statunitense) avrebbe modificato il suo codice per proibire l’uso di messaggi subliminali nelle trasmissioni. Stando allo studioso Robert Epstein,7 nel 1974, la Federal Communications Commission avrebbe ritenuto che l’uso di tali messaggi negli USA fosse contrario all’interesse pubblico. Inoltre, secondo quanto riporta lo stesso Epstein,8 la legislazione per proibire la messaggistica subliminale sarebbe stata introdotta anche nel Congresso degli Stati Uniti, ma non sarebbe mai stata promulgata.

Epstein considera, inoltre, che la stimolazione subliminale sarebbe probabilmente ancora ampiamente utilizzata non solo negli Stati Uniti sebbene sia difficile da rilevare. Per di più, a parer suo, nessuno ne terrebbe traccia.9 Riguardo la sua esistenza ed utilizzo, stando a Epstein, non varrebbe la pena preoccuparsene perché la ricerca in materia suggerirebbe che essa avrebbe solo un piccolo impatto e che influenzerebbe, principalmente, le persone che sarebbero già motivate a seguire i suoi dettami, come a dire che le direttive subliminali a bere colpiscono le persone solo se fossero già assetate.

Packard, però, avrebbe individuato un problema molto più grande, vale a dire che le potenti società cercavano di utilizzare, e in molti casi già applicavano, un’ampia varietà di tecniche per controllare le persone a loro insaputa.10 Descrisse una sorta di raggiro in cui i marketer lavoravano a stretto contatto con gli “scienziati sociali” per determinare, tra altre cose, come convincere le persone a comprare cose di cui non avevano bisogno e come condizionare i bambini a essere buoni consumatori, inclinazioni che erano esplicitamente coltivate e addestrate in Brave New World di Huxley. Guidati dalle scienze sociali e dalla psicologia, i professionisti del marketing stavano rapidamente imparando a sfruttare le insicurezze, le fragilità, le paure inconsce, i sentimenti aggressivi e i desideri sessuali delle persone per alterare il loro pensiero, le loro emozioni e il loro comportamento senza alcuna consapevolezza di essere manipolati.11

Stando a Packard, all’inizio degli anni ’50 i politici avevano recepito il messaggio e stavano iniziando a commercializzare sé stessi utilizzando le stesse forze sottili adoperate per vendere sapone. Infatti, Packard ha preceduto il suo capitolo sulla politica “Politics and the Image Builders” con una citazione inquietante dell’economista Kenneth Boulding: “È concepibile un mondo di una dittatura invisibile, che utilizza ancora le forme del governo democratico“.12 Potremmo, ingenuamente, chiederci ancora se ciò potesse davvero accadere e, in tal caso, come funzionerebbe una tale dittatura travestita di democrazia.

Le forze descritte da Packard sarebbero, stando a Epstein,13 diventate più pervasive nel corso dei decenni, al punto che ci si potrebbe chiedere se, ad esempio, la musica rilassante che tutti sentiamo nei supermercati ci faccia camminare più lentamente e comprare più cibo, o invece soltanto ciò di cui abbiamo bisogno oppure meno. Seguendo il pensiero di Vance Packard, Epstein suggerisce che la maggior parte dei pensieri vacui e dei sentimenti intensi che i nostri adolescenti provano dalla mattina alla sera sarebbero attentamente orchestrati da professionisti del marketing altamente qualificati che lavorano nelle nostre industrie della moda e dell’intrattenimento.14 Ugualmente i politici lavorerebbero con una vasta gamma di consulenti che testano ogni aspetto di ciò che fanno i politici per influenzare gli elettori: abbigliamento, intonazioni, espressioni facciali, trucco, acconciature e discorsi sarebbero tutti ottimizzati, proprio come la confezione di un cereale per la colazione.15

Nella visione liberal di Epstein, tutte queste fonti di influenza starebbero tuttora operando in modo competitivo.16 Seguendo tale criterio alcuni persuasori vorrebbero che comprassimo o credessimo in una cosa, altri che acquistassimo o prestassimo fede in qualcos’altro. In questo senso, sarebbe la natura competitiva della società liberal di mercato che ci mantiene, a conti fatti, relativamente liberi.17 Tuttavia, considerando tutti i fatti accaduti nelle ultime decadi, Epstein non può non chiedersi cosa accadrebbe se cominciassero ad emergere nuove fonti di controllo che avessero poca o nessuna concorrenza. Non può non interrogarsi cosa succederebbe se venissero sviluppati nuovi mezzi di controllo che fossero molto più potenti – e molto più invisibili – di quelli esistiti in passato. Come risulta impossibile che non ci si domandi cosa potrebbe accadere se nuovi tipi di controllo permettessero a una manciata di persone di esercitare un’enorme influenza non solo sui cittadini degli Stati Uniti ma sulla maggior parte delle persone sulla Terra. A questi inevitabili interrogativi Epstein cercava di rispondere in modo conciso già nel 2016 nel suo saggio The new mind control.18

Sicuramente Epstein conosceva già delle risposte ai suoi quesiti. Siamo noi, i cosiddetti cittadini, ad essere i più restii a dare credito all’esistenza di una dimensione di intrecci corporativi che si declinano in una realtà ideologica economica politica e militare che ci controlla con i suoi media persuasivi e le sue istituzioni di rappresentanza. Infatti, la risposta sommaria di Epstein ai quesiti precedenti è questa: “Potrebbe sorprenderti sentire questo, ma queste cose sono già accadute”. Dal suo punto di vista, effettivamente, siamo ormai controllati da una manciata di persone che esercitano un’enorme influenza non solo sui cittadini degli Stati Uniti ma sulla maggior parte delle popolazioni sulla Terra.19

Ulteriori sviluppi nell’obsolescenza della preoccupazione per il futuro dell’umanità: Chi decide cosa nei motori di ricerca nel web

Conformemente a quanto considerano Robert Epstein e Ronald Robertson, un tale controllo delle popolazioni da una manciata di persone verrebbe esercitato, soprattutto, attraverso il search engine manipulation effect (in inglese SEME). Nello specifico tale controllo verrebbe esercitato mediante un effetto di influenza via il motore di ricerca in Internet, effetto di influenza che conferirebbe ad una corporazione proprietaria di un motore di ricerca persino il potere di determinare addirittura l’esito delle elezioni politiche.20 Perciò, in modo particolare nel pensiero di Epstein, per capire come funzionano le nuove forme di controllo mentale, bisognerebbe partire dal motore di ricerca, uno in particolare: il più grande e il migliore di tutti, ovvero Google, come sostiene lui nel suo saggio dello scorso 2022 Big Tech and Political Manipulation.21

Il motore di ricerca di Google è così diffuso e così popolare che il nome dell’azienda è ora un verbo comunemente usato nelle lingue di tutto il mondo. Google qualcosa significa cercare quel qualcosa col motore di ricerca di Google, e questo, in effetti, sarebbe il modo in cui la maggior parte degli utenti di Internet in tutto il mondo ottiene la maggior parte delle proprie informazioni su quasi tutto al giorno d’oggi, stando a quanto sostiene Epstein.22 I suoi studi,23 in effetti, confermerebbero l’opinione comune che reputa che Google sia diventata la principale porta d’accesso a praticamente tutta la cosiddetta conoscenza. A questo riguardo il motore di ricerca sarebbe così efficace che ci darebbe, esattamente, le informazioni che stiamo cercando, quasi istantaneamente e quasi sempre nella prima posizione dell’elenco che ci mostra dopo che abbiamo lanciato la nostra ricerca. In sostanza, l’elenco dei risultati di ricerca del motore Google costituirebbe la nostra finestra sul mondo.

In base alle considerazioni di studiosi della materia, come Epstein e Robertson, quell’elenco dei risultati di ricerca di Google appare talmente ordinato e convincente che circa il 50% dei nostri clic va ai primi due elementi e più del 90% dei nostri clic va ai 10 elementi elencati nella prima pagina dei risultati.24 Poche persone guardano altre pagine dei risultati, anche se spesso sono migliaia, il che significa che probabilmente conterrebbero buone informazioni. Il punto però sarebbe il fatto che sia Google a decidere, utilizzando i propri algoritmi, quale dei miliardi di pagine web includere nei nostri risultati di ricerca e decide anche come classificarle.25 Il modo in cui gli algoritmi siano predisposti per decidere queste cose sarebbe un segreto profondo e oscuro, uno dei segreti meglio custoditi al mondo.26

Secondo Epstein e Robertson,27 poiché sarebbe molto più probabile che le persone leggano e facciano clic su elementi con un punteggio alto, le aziende starebbero a spendere miliardi di euro ogni anno cercando di ingannare l’algoritmo di ricerca di Google, il programma di computazione che fa la selezione e la classifica, per aumentare il loro punteggio nella classifica. Salire di un livello potrebbe significare la differenza tra successo e fallimento per un’azienda ed entrare nelle prime posizioni potrebbe essere la chiave per grossi profitti.28

Già verso la fine del 2012, Epstein e Robertson avrebbero iniziato a chiedersi se i risultati della ricerca e classifica di Google potessero avere, effettivamente, un impatto maggiore di quello relativo alle scelte dei consumatori. Forse, ipotizzarono allora, un risultato di ricerca al top della classifica potrebbe avere un piccolo impatto sulle opinioni che le persone si formavano su molte questioni. All’inizio del 2013 avrebbero messo alla prova quest’idea conducendo un esperimento 29 in cui 102 persone dell’area di San Diego (California) sarebbero state assegnate a caso a uno di tre gruppi. In un gruppo, le persone avrebbero visto risultati di ricerca che favorivano un candidato politico, ovvero risultati che rimandavano a pagine Web che facevano apparire questo candidato migliore del suo avversario. In un secondo gruppo, le persone avrebbero visto le classifiche di ricerca che avrebbero favorito il candidato avversario, e nel terzo gruppo, cioè nel cosiddetto gruppo di controllo, le persone avrebbero visto un mix di classifiche che non avrebbero favorito nessuno dei due candidati. In ogni gruppo sarebbero stati utilizzati comunque gli stessi risultati di ricerca e le stesse pagine web; l’unica cosa che avrebbe differito per i tre gruppi sarebbe stato l’ordine dei risultati della ricerca.30

Stando a Epstein e Robertson, per rendere realistico il loro esperimento, avrebbero utilizzato risultati di ricerca reali collegati a pagine Web reali e avrebbero addirittura utilizzato una vera elezione, cioè le elezioni del 2010 per il primo ministro australiano. Avrebbero usato un’elezione straniera per assicurarci che i partecipanti fossero liberi da vincoli. La loro mancanza di familiarità con i candidati di un’elezione che non li coinvolgeva personalmente avrebbe reso più plausibile una loro indipendenza nel giudizio. Attraverso la pubblicità avrebbero perfino reclutato un gruppo etnicamente eterogeneo in un’ampia fascia di età al fine di accostare le scelte alle principali caratteristiche demografiche della popolazione votante statunitense.

Seguendo l’enunciazione dello studio,31 a tutti i partecipanti sarebbero state prima fornite brevi descrizioni dei candidati e poi sarebbe stato chiesto loro di valutarli in vari modi, nonché di indicare per quale candidato avrebbero votato. Inizialmente i partecipanti non avrebbero favorito nessuno dei candidati su nessuna delle cinque misure che gli sarebbero state sottoposte e il voto sarebbe stato equamente diviso in tutti e tre i gruppi. Successivamente ai partecipanti sarebbero stati concessi fino a 15 minuti per condurre una ricerca online utilizzando Kadoodle, un finto motore di ricerca che avrebbe dato ai partecipanti accesso a cinque pagine di risultati di ricerca collegati a pagine web. Le persone potevano spostarsi liberamente tra i risultati di ricerca e le pagine Web, proprio come facciamo noi quando utilizziamo Google. Quando i partecipanti avrebbero completato la loro ricerca, sarebbe stato chiesto loro di valutare nuovamente i candidati e di decidere per chi avrebbero votato.32

Epstein e Robertson avrebbero previsto che opinioni e preferenze di voto delle persone nei due gruppi predisposti per subire gli effetti dei pregiudizi (bias groups), vale a dire i gruppi in cui le persone avrebbero visto classifiche a favore di un candidato, si sarebbero spostate verso quel candidato in una percentuale del 2 o 3 percento. Quello che avrebbero però effettivamente trovato sarebbe stato sorprendente. La percentuale di persone a favore del candidato di primo livello del motore di ricerca sarebbe aumentata del 48,4% e tutte e cinque le misure da testare con l’esperimento si sarebbero spostate verso quel candidato. Inoltre, il 75% delle persone nei gruppi predisposti per subire gli effetti dei pregiudizi (bias groups), sembrava essere completamente inconsapevole di visualizzare classifiche di ricerca distorte. Stando alla descrizione dello studio, nel gruppo di controllo le opinioni non sarebbero cambiate in modo significativo.33

Questa sembrerebbe essere davvero una grande scoperta. Il cambiamento che avrebbero prodotto i risultati della ricerca con il cosiddetto motore Kadoodle e che Epstein e Robertson chiamarono effetto di manipolazione del motore di ricerca (Search Engine Manipulation Effect o SEME) appariva come uno dei più grandi esempi dell’influenza del motore di ricerca sul comportamento individuato. Tuttavia, questo risultato non poteva generare grandi generalizzazioni perché, per prima, lo studio aveva testato solo un piccolo numero di persone e, inoltre, provenivano tutte dall’area di San Diego. Nel corso dell’anno 2013, Epstein e Robertson avrebbero replicato le loro scoperte altre tre volte e la terza volta sarebbe stata con un campione di oltre 2.000 persone provenienti da tutti i 50 stati degli Stati Uniti. In quell’esperimento, lo spostamento delle preferenze di voto sarebbe stato del 37,1% e anche superiore in alcuni gruppi demografici, fino all’80%.

In questa serie di esperimenti Epstein e Robertson avrebbero anche appreso che riducendo leggermente il bias, cioè le informazioni distorte o manipolate, sulla prima pagina dei risultati della ricerca, in particolare, includendo un elemento di ricerca che avrebbe favorito l’altro candidato nella terza o quarta posizione dei risultati web, potevano mascherare la loro manipolazione in modo che poche o addirittura nessuna persona fosse consapevole di vedere classifiche distorte. In breve, con la manipolazione dei risultati del motore di ricerca si potevano ancora produrre cambiamenti radicali nelle preferenze di voto, ma si poteva perfino farlo in modo invisibile.34

Una tale generalizzazione rimaneva, in ogni caso, poco fondata. In effetti, sebbene i risultati del lavoro di Epstein e Robertson fossero significativi e coerenti, il loro esperimento avrebbe coinvolto un’elezione straniera come quella del 2010 in Australia. A Epstein e Robertson rimaneva la domanda se le preferenze di voto avrebbero potuto essere spostate con veri elettori nel mezzo di una vera campagna. Al riguardo, Epstein e Robertson si ritenevano scettici. Nelle elezioni reali, le persone sono effettivamente bombardate da molteplici fonti di informazione e sanno anche molto sui candidati. Sembrava improbabile che una singola esperienza di classifica dei risultati con un motore di ricerca avrebbe avuto un grande impatto sulle loro preferenze di voto.35

Per continuare a testare la loro ipotesi, all’inizio del 2014 Epstein e Robertson avrebbero condotto delle ricerche in India poco prima dell’inizio delle votazioni per la Lok Sabha, l’assemblea parlamentare eletta con il maggior numero di votanti al mondo. I tre candidati principali a primo ministri erano Rahul Gandhi, Arvind Kejriwal e Narendra Modi. Facendo uso di pool di argomenti online e pubblicità sia online che stampate, i ricercatori avrebbero reclutato 2.150 persone da 27 dei 35 stati e territori dell’India per prendere parte all’esperimento. Per partecipare dovevano essere elettori registrati che non avessero ancora votato e che fossero ancora indecisi su come votare.36

I partecipanti sarebbero stati assegnati in modo casuale a tre gruppi di motori di ricerca, favorendo, rispettivamente, Gandhi, Kejriwal o Modi. Come ci si potrebbe aspettare, i livelli di familiarità con i candidati erano alti, tra 7,7 e 8,5 su una scala di 10. Epstein e Robertson avrebbero ancora previsto che la loro manipolazione dell’opinione dei partecipanti avrebbe prodotto un effetto molto piccolo. Questo però non sarebbe quello che avrebbero trovato. In media, la manipolazione tramite il motore di ricerca sarebbe stata in grado di spostare la percentuale di persone a favore di un determinato candidato di oltre il 20% in generale e di oltre il 60% in alcuni gruppi demografici. Ancora più inquietante, il 99,5% dei partecipanti non avrebbe mostrato alcuna consapevolezza di vedere classifiche di ricerca distorte, in altre parole, di essere manipolato.37

Foto di un workshop tenutosi all’Esalen Istitute a Big Sur, California, il 12 settembre 2012, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’Istituto. Lo scatto è di Michael Macor per il San Francisco Chronicle. La foto è stata utilizzata come cover del saggio su salute mentale e pubblica di Jess Cotton della Cambridge University, Analysis of the people pubblicato su AEON appena l’8 agosto 2023 e nel quale la studiosa concede che sebbene la terapia di gruppo prometteva di essere democratica e radicale tale narrativa non è mai riuscita a prendere piede.

Ulteriori sviluppi nell’obsolescenza della preoccupazione per il futuro dell’umanità: l’invisibilità e la legittimità della manipolazione del motore di ricerca

La quasi invisibilità del Search Engine Manipulation Effect, cioè dell’effetto di manipolazione del motore di ricerca costituirebbe un elemento davvero preoccupante. Tale invisibilità significa che quando noi guardiamo classifiche di ricerche distorte, queste informazioni ci sembrano senz’altro corrette. Quindi, se in questo momento cercassimo su Google informazioni relativi ai politici mondiali i risultati di ricerca che vedremmo probabilmente ci sembrerebbero abbastanza casuali, anche se capita che fatalmente contengano dei bias o informazioni distorte. Stando a Epstein e Robertson, perfino gli esperti avrebbero difficoltà a rilevare tali informazioni manipolate nelle classifiche di ricerca, addirittura quando sanno che sono informazioni di parte preparate da uno staff.38 Gli esperimenti randomizzati e controllati di questi ricercatori suggerirebbero, ripetutamente, che i contenuti che appaiono nel top della classifica delle pagine Web che velatamente favoriscono, ad esempio, un candidato politico, avrebbero un impatto significativo sulle opinioni degli elettori indecisi, per il semplice motivo che le persone tenderebbero a fare clic solo sui contenuti apparsi nel top della classifica generata dal motore di ricerca e, inevitabilmente, dello staff che ci lavora. Questo sarebbe davvero grave se si crede, letteralmente, alla trasparenza della democrazia e della mano del mercato. Come gli stimoli subliminali, l’effetto di manipolazione del motore di ricerca costituirebbe una forza condizionante che praticamente nessuno riesce a vedere.

Epstein e Robertson hanno pubblicato un rapporto dettagliato dei loro primi cinque studi su l’effetto di manipolazione del motore di ricerca nei prestigiosi Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) nell’agosto 2015.39 Avevano effettivamente individuato qualcosa di rilevante, soprattutto dato il predominio di Google sulla ricerca. In ogni modo, già prima del 2012 Google avrebbe avuto quasi il monopolio delle ricerche su Internet negli Stati Uniti, con l’83% degli americani che specificano Google come il motore di ricerca che usano più spesso, stando agli studi del Pew Research Center.40 Di conseguenza, è plausibile postulare che se, ad esempio, Google favorisce un candidato in un’elezione negli USA, il suo impatto sugli elettori indecisi potrebbe facilmente decidere l’esito di tali elezioni.

Volendo a tutti costi difendere l’ideologia della democrazia fondata sul libero mercato si potrebbe argomentare che le influenze durante una campagna elettorale sarebbero bilanciate tra loro in quanto sarebbero fonti di influenza concorrenti, come ad esempio un’ampia varietà di giornali, programmi radiofonici e reti televisive. Google, però, nell’opinione di James Grimmelmann,41 a tutti gli effetti, non avrebbe concorrenza e le persone si fiderebbero dei suoi risultati di ricerca implicitamente, supponendo che l’intelligente algoritmo di ricerca dell’azienda sia del tutto obiettivo e imparziale. Questo alto livello di fiducia, combinato con la mancanza di concorrenza, metterebbe Google in una posizione unica per influenzare le elezioni. Ancora più inquietante, il business del ranking di ricerca risulterebbe del tutto non regolamentato, quindi Google potrebbe favorire qualsiasi candidato gli piaccia senza violare alcuna legge. Come sostiene James Grimmelmann, alcuni tribunali42 avrebbero persino stabilito che il diritto di Google a classificare i risultati di ricerca a suo piacimento sia protetto come forma di libertà di parola.

Questa costatazione porta alla domanda se Google favorisca mai candidati particolari. In effetti, sarebbe difficile trovare un criterio di valutazione perché, ad esempio, nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2012, Google e i suoi massimi dirigenti avrebbero donato soltanto più di $ 800.000 al presidente Barack Obama e solo $ 37.000 al suo avversario, Mitt Romney. Nel 2015 però un team di ricercatori dell’Università del Maryland e altrove avrebbe dimostrato43 che i risultati di ricerca di Google favorivano, regolarmente, i candidati democratici. Per chiarire ulteriormente se le classifiche di ricerca di Google siano davvero di parte, Rolfe Winkler e Brody Mullins sostengono che un rapporto interno44 pubblicato dalla Federal Trade Commission degli Stati Uniti nel 2012 avrebbe concluso che le classifiche di ricerca di Google antepongono regolarmente gli interessi finanziari di Google a quelli dei concorrenti e che le azioni antitrust attualmente in corso contro Google, sia nell’Unione europea che in India, si basano su simili riscontri, come sostengono anche Brian Womack, Aoife White e Cornelius Rahn..45

Già nel 2015 gli studiosi di riferimento46 di quest’argomentazione stimavano che nella maggior parte dei paesi, il 90% delle ricerche online veniva condotto utilizzando Google. Stando a questi ricercatori, questo fatto conferirebbe a Google ancora più potere di capovolgere elezioni non solo rispetto agli Stati Uniti ma, con la pervasività di Internet in rapido aumento in tutto il mondo, questo potere potrebbe effettivamente rovesciare risultati elettorali in tutto il mondo. Nel loro articolo su PNAS,47 Robertson e Epstein avrebbero calcolato che Google al 2015 aveva il potere di ribaltare verso l’alto il 25% delle elezioni nazionali nel mondo senza che nessuno sapesse se ciò potesse accadere. In effetti, loro stimano che, con o senza una pianificazione deliberata da parte dei dirigenti aziendali, le classifiche di ricerca di Google avrebbero avuto già un impatto sulle elezioni che sarebbe crescente ogni anno. E poiché le classifiche di ricerca sono effimere, non lasciano tracce cartacee, ciò conferirebbe all’azienda completa incensurabilità. Un potere su questa scala – e con questo livello di invisibilità – non avrebbe precedenti nella storia umana. Il problema sarebbe ancora più complesso perché l’effetto di manipolazione del motore di ricerca sarebbe solo la punta di un enorme iceberg.

Certamente le conclusioni delle ricerche di Epstein e Robertson che sostengono che vi sia un controllo invisibile delle popolazioni attraverso la classifica dei contenuti internet effettuata dal motore di ricerca Google porta loro stessi a domandarsi se anche i social media costituirebbero una minaccia per la democrazia. Stando al loro pensiero liberal pro establishment, le nuove tecnologie della comunicazione non rappresenterebbero alcuna minaccia qualora fossero utilizzate in un contesto competitivo, vale a dire nel contesto del mercato che avrebbe la virtù di non manipolare le popolazioni.48 Dunque, assumendo che possano esistere dei criteri per giudicare l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione come proprio o improprio, ci si potrebbe chiedere cosa succederebbe se tali tecnologie venissero utilizzate impropriamente dalle aziende che le possiedono.

Al fine di trovare una risposta alla questione, Epstein fa riferimento ad uno studio di Robert M. Bond49 e altri pubblicato su Nature già nel lontano 2012 che descriveva un esperimento, eticamente discutibile, in cui, il giorno delle elezioni del 2010 negli USA, Facebook inviava promemoria “uscite e votate” a più di 60 milioni dei suoi utenti. I solleciti avrebbero fatto votare circa 340.000 persone che altrimenti non avrebbero votato. Scrivendo su New Republic nel 2014, Jonathan Zittrain,50 sottolineava che, data l’enorme quantità di informazioni raccolte sui suoi utenti, Facebook poteva facilmente inviare tali messaggi solo a persone che supportavano un particolare partito o candidato e ciò poteva, agevolmente, ribaltare i risultati di un’elezione ravvicinata, senza che nessuno sapesse che ciò fosse accaduto. E poiché le pubblicità, come le classifiche di ricerca, sono effimere, manipolare un’elezione in questo modo non lascerebbe alcuna traccia cartacea.

In relazione a questa prerogativa di Facebook, Epstein si chiedeva,51 retoricamente, se esistessero leggi che vietassero a Facebook di inviare annunci in modo selettivo a determinati utenti. La risposta scontata, stando a lui,52 scartava tale possibilità, aggiungendo che la pubblicità mirata costituisce il modo in cui Facebook fa soldi. Certamente, stando così le cose, diventa quasi ingenuo richiedersi se Facebook possa ormai manipolare, costantemente, le elezioni in questo modo. Stando a Epstein sarebbe sciocco che Facebook non lo facesse.53 Alcuni candidati sono migliori per un’azienda rispetto ad altri e i dirigenti di Facebook hanno una responsabilità fiduciaria nei confronti degli azionisti dell’azienda per promuovere gli interessi della stessa.

In ogni modo, nell’opinione di Epstein, lo studio di Bond sarebbe stato ampiamente ignorato, ma un altro esperimento di Facebook, pubblicato nel 2014 su PNAS,54 avrebbe suscitato proteste in tutto il mondo. In questo studio, per un periodo di una settimana, a 689.000 utenti di Facebook sarebbero stati inviati feed RSS (aggiornamenti di notizie) che contenevano per certi personaggi della politica un eccesso di termini positivi, oppure un eccesso di termini negativi. Al terzo gruppo di controllo sarebbero stati inviati feed senza alcun giudizio di valore. Quelli del primo gruppo avrebbero successivamente utilizzato termini leggermente più positivi nelle loro comunicazioni, mentre quelli del secondo gruppo avrebbero utilizzato termini leggermente più negativi nelle loro comunicazioni. Questo esperimento dimostrerebbe che gli “stati emotivi” delle persone potrebbero essere deliberatamente manipolati su vasta scala da una corporation proprietaria di social media, individuazione di un fenomeno che molte persone avrebbero trovato inquietante. Dopo questo studio molte persone sarebbero state sconvolte dal fatto che un esperimento sulle emozioni su larga scala fosse stato condotto senza il consenso esplicito di nessuno dei partecipanti.55

I profili dei consumatori che vengono tracciati da parte di Facebook sono indubbiamente enormi, ma impallidirebbero rispetto a quelli gestiti da Google, che raccoglie informazioni sulle persone 24 ore su 24, 7 giorni su 7, utilizzando più di 60 diverse piattaforme di osservazione,56 il suo motore di ricerca, ovviamente, ma anche Google Wallet, Google Maps, Google Adwords, Google Analytics, Chrome, Google Documenti, Android, YouTube e così via. Gli utenti di gmail sarebbero, stando ad Epstein, generalmente ignari del fatto che Google archivia e analizza ogni email che scrivono, anche le bozze che essi non invieranno mai, così come tutte le email in arrivo che ricevono da utenti gmail e non gmail.57 In effetti, secondo l’informativa sulla privacy di Google58 – alla quale si acconsente ogni volta che si utilizza un prodotto Google, anche quando non si è stati informati che si sta utilizzando un prodotto Google – Google può condividere le informazioni che raccoglie sull’utente con quasi chiunque, comprese le agenzie governative. Mai con l’utente. La privacy di Google sarebbe qualcosa che non verrebbe mai messa in discussione; quella dell’utente invece sarebbe inesistente. Stando così le cose, nell’opinione di Epstein, uno potrebbe chiedersi se Google e “coloro con cui lavoriamo” (linguaggio tratto dall’informativa sulla privacy di Google) potrebbero utilizzare le informazioni che stanno accumulando sugli utenti per scopi celati.

In breve, ciò che Epstein suggerisce sarebbe che se Google decidesse di condizionare i risultati di un’elezione, dovrebbe soltanto identificare solo gli elettori indecisi. Potrebbe, ad esempio, inviare classifiche personalizzate che favoriscono un candidato solo a quelle persone indecise. Effettivamente, se Google decidesse di manipolare un’elezione, potrebbe prima attingere al suo enorme database di informazioni personali per identificare solo gli elettori indecisi. Poi potrebbe, giorno dopo giorno, inviare graduatorie personalizzate a favore di un candidato solo a quelle persone. Un vantaggio di questo approccio sarebbe che renderebbe la manipolazione di Google estremamente difficile da rilevare per eventuali osservatori e/o investigatori.

Fotografia del trittico Il Giardino delle delizie di Hieronymus Bosh, Museo del Prado, Madrid, utilizzata come cover del saggio Earthly delights, della studiosa di arte e filosofia Leanne Ogasawara, apparso su AEON il 18 luglio 2023, nel quale l’Ogasawara dichiara che notando tanti pappagalli, pavoni, gufi ed altri uccelli nei dipinti degli antichi maestri della pittura ha imparato a vedere veramente la complessità del mondo e non le sue semplificazioni.

L’obsolescenza della preoccupazione ipocrita per il futuro dell’umanità

Forme estreme di monitoraggio delle popolazioni sono elementi che hanno caratterizzato molte società, oggi, però, la tecnologia sta rendendo sia il controllo strumentale che il consolidamento dei dati di sorveglianza più facili che mai. Prima dell’arrivo del controverso 2020, la Cina avrebbe già messo in atto il più ambizioso sistema di monitoraggio del governo mai creato: un unico database chiamato Sistema di credito sociale, in cui sarebbero registrati rating e record di più di 1,3 miliardi di cittadini per un facile accesso da parte di funzionari e burocrati.59 A colpo d’occhio, potrebbero sapere se qualcuno abbia plagiato i compiti scolastici, sia stato in ritardo nel pagare le bollette, abbia urinato in pubblico o avesse bloggato in modo inappropriato online.60

Come avrebbero chiarito le rivelazioni di Edward Snowden, ci saremmo mossi così rapidamente verso un mondo in cui sia i governi che aziende e corporation, a volte lavorando insieme, raccoglierebbero enormi quantità di dati su ognuno di noi, ogni giorno, con poche o nessuna legge in vigore che limiti il modo in cui questi dati possano essere utilizzati. Quando si combinano raccolta dati con il desiderio di manipolare, le possibilità sarebbero infinite, ma forse una possibilità paurosa sarebbe quella espressa nell’affermazione di Kenneth Ewart Boulding61 già all’inizio degli anni ’90 secondo cui una “dittatura invisibile” sia possibile “usando le forme del governo democratico”.

Da quando Robertson ed Epstein iniziarono a presentare il loro rapporto iniziale sull’effetto di manipolazione del motore di ricerca pubblicato attraverso PNAS all’inizio del 2015,62 avevano già completato una sofisticata serie di esperimenti che avrebbero notevolmente migliorato la comprensione di questo fenomeno nel panorama giornalistico e accademico degli USA. Da allora si dispone di un’idea articolata del motivo per cui the search engine manipulation effect o effetto di manipolazione del motore di ricerca, sia così potente.

Con le osservazioni di questi studi certe cerchie socio-culturali avrebbero appreso qualcosa di molto inquietante, vale a dire che i motori di ricerca starebbero influenzando molte più dimensioni nella vita degli utenti, ben oltre il consumo e la politica. La documentazione in materia suggerirebbe che praticamente su tutte le questioni in cui le persone sarebbero inizialmente indecise, le classifiche di ricerca avrebbero un impatto su quasi tutte le decisioni che le persone prendono. Tali classifiche starebbero impattando sulle opinioni, sulle convinzioni, sugli atteggiamenti e sui comportamenti degli utenti di Internet in tutto il mondo, del tutto all’insaputa delle persone che ciò sta accadendo. Ciò starebbe avvenendo con o senza l’intervento deliberato dei funzionari della corporation Google. Inoltre, anche i cosiddetti processi di ricerca “organica” genererebbero regolarmente risultati di ricerca che favorirebbero un punto di vista e, che a sua volta, avrebbe il potenziale per ribaltare le opinioni di milioni di persone che sarebbero indecise su qualunque questione messa nella scaletta dei temi proposti alla cosiddetta opinione pubblica. In uno degli esperimenti di Epstein e Robertson, i risultati di ricerca distorti avrebbero spostato le opinioni delle persone sulla questione del fracking del 33,9%.63

Forse ancora più inquietante sarebbe che la manciata di persone che mostra di avere una consapevolezza di vedere classifiche di ricerca distorte, in ogni modo, si sposta ugualmente nella direzione prevista o voluta dal motore. Semplicemente sapere che un elenco sia volutamente e/o tecnicamente parziale non ci protegge necessariamente dal potere dell’effetto di manipolazione del motore di ricerca.

Sembra inutile che uno cerchi di tenere in mente cosa stia facendo l’algoritmo di ricerca quando ci rivolgiamo ad esso. Effettivamente, cosa fa il motore di ricerca in risposta alla mia domanda: seleziona una manciata di pagine web tra i miliardi disponibili e ordina quelle pagine web utilizzando criteri di classifica segreti.64 Pochi secondi dopo, la decisione che prendo o l’opinione che mi formo – sul miglior dentifricio da usare, se il gas liquido dagli USA sia più conveniente per l’economia italiana, dove dovrei andare per la mia prossima vacanza, chi sarebbe il miglior presidente dell’Unione Europea o se il riscaldamento globale sia reale – sarebbe determinata da quel breve elenco che mi viene mostrato, anche se non abbia alcuna idea di come sia stato generato l’elenco. La tecnologia avrebbe reso possibili manipolazioni, non rilevabili e non rintracciabili, di intere popolazioni che esulerebbero dall’ambito delle normative e delle leggi esistenti, sostiene da anni, come tanti altri, Epstein.65

Nel frattempo, dietro le quinte, si sarebbe verificato un consolidamento dei motori di ricerca, in modo che più persone utilizzino il motore di ricerca dominante anche quando pensano di non farlo. Poiché Google sarebbe considerato il miglior motore di ricerca e poiché la scansione di Internet in rapida espansione sarebbe diventata proibitivamente costosa, sempre più motori di ricerca attingono le proprie informazioni dal leader anziché generarle da soli. Un accordo al riguardo sarebbe quello rivelato in un documento della Securities and Exchange Commission nell’ottobre 2015, tra Google e Yahoo! Inc.66

Viviamo in un mondo in cui una manciata di corporation high-tech, a volte lavorando fianco a fianco con i governi, non solo monitorano gran parte della nostra attività ma controllano invisibilmente sempre di più ciò che pensiamo, sentiamo, diciamo e facciamo. La tecnologia che oggi ci circonda non sarebbe solo un giocattolo innocuo; avrebbe già reso possibili manipolazioni non rilevabili e non rintracciabili di intere popolazioni – manipolazioni che non avrebbero precedenti nella storia umana e che attualmente sono ben oltre la portata delle normative e delle leggi esistenti. I nuovi persuasori nascosti sono da molti anni più grandi, più audaci e più cattivi di qualsiasi cosa Vance Packard abbia mai immaginato. Se abbiamo scelto di ignorarlo, lo abbiamo fatto a nostro rischio e pericolo, per cui risulta obsoleto e ipocrita raccontare che viene il lupo. Forse sappiamo bene che oggi siamo abitanti delle sue viscere.67

Non si tratta, come ho sostenuto in quest’argomentazione, di riconquistare un futuro irrimediabilmente perduto, ma di acquisire un mezzo di resistenza, la forza di sopportare l’impossibilità del futuro con una dignitosa persistenza nell’adesso. Questa totale assenza di speranza avrebbe, a mio parere, una precisa funzione morale: confidare nella “speranza” rischia di conciliare l’inazione, una passiva e colpevole attesa.

______________Note _________________

1 Hans Jonas. Das Prinzip Verantwortung: Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation. Frankfurt/M., 1979 / Hans Jonas. Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, curato da P. P. Portinaro, Biblioteca Einaudi 2002

2 Günther Anders. Die Antiquiertheit des Menschen. Vol I: Über die Seele im Zeitalter der zweiten industriellen Revolution, 1956 / Vol. II: Über die Zerstörung des Lebens im Zeitalter der dritten industriellen Revolution, 1980 / Günther Anders. L’uomo è antiquato I. Considerazioni sull’anima nell’era della seconda rivoluzione industriale, Il Saggiatore, Milano 1963

3 Ibidem

4 Ibidem

5 Vance Packard. The hidden persuaders. Longmans, New Zealand, 1958 / trad. Di Carlo Fruttero, I persuasori occulti, Einaudi, Torino, 1958

6 Perché parlare di un libro di sociologia del 1957? Potrebbe sembrare un tantino datato. In realtà ‘I persuasori occulti‘ di Vance Packard si riferisce ad un qualcosa che forse è stata la vera rivoluzione economico-sociale del XX secolo, i cui effetti continuano adesso, a loro volta amplificati a dismisura dall’avvento delle nuove tecnologie soprattutto nel campo delle comunicazioni di massa. Il libro non è un saggio sociologico nel vero senso della parola e assomiglia di più a quella che oggi definiamo inchiesta giornalistica. Basato su un lungo e attento studio di documenti e interviste, illumina su come il capitalismo americano (e quindi di conseguenza tutta l’economia mondiale), verso la fine degli anni cinquanta, decide di risolvere un problema non da poco: creare mercati sufficienti per una produzione sempre più aggressiva in termini quantitativi. Economicamente parlando: evitare le crisi di sottoconsumo. Questo perché, per il capitalista, la superproduzione è un fatto ineluttabile. La macchina produttiva è tesa, non fosse altro per lo sviluppo tecnologico, a crescere continuamente. Ora non è il caso di soffermarsi sulla notevole discussione tra crisi di sottoconsumo o quelle di sovrapproduzione, soprattutto legate al pensiero marxiano. Sembra più logico riferirsi alla legge di Say che considera l’offerta in grado di generare sempre la sua domanda. Leggendo il libro si capisce che i primi a non credere alla legge di Say sono proprio i capitalisti. Il problema è esattamente il contrario: se non s’interviene, l’offerta dei beni di consumo supera inevitabilmente la possibilità del consumatore di assorbire quest’offerta. Ma come è possibile intervenire? Gli economisti pensano da economisti e quindi considerano varie soluzioni sempre all’interno dei meccanismi economici, basti pensare a Keynes ed al suo ricorso agli investimenti. Molto più prosaicamente i capitalisti vanno al sodo: la soluzione si trova semplicemente alimentando la domanda dei beni di consumo in continuazione, senza tenere conto di cosa ne pensi il consumatore e se sia disposto o meno ad acquistare un bene. Rendere, in sostanza, il consumatore un personaggio che non sceglie secondo criteri razionali ma in balia di desideri da tradurre subito in oggetti da acquistare ad ogni costo. Tutto questo si condensa in una parola: consumismo. Il libro di Packard è proprio questo: l’analisi puntuale della genesi del consumismo come parametro fondante il capitalismo negli USA intorno alla prima metà degli anni cinquanta. Cioè quando, come dice l’autore, la produzione passò in secondo piano e tutte le attenzioni furono concentrate sulle vendite. L’idea vincente del capitalismo è stata quella di non ricorrere a strumenti economici per risolvere il problema ma di applicare, adeguandoli al meccanismo delle vendite, concetti e pratiche prese a prestito dalla sociologia e dalla psicologia. In sostanza, sfruttando ampiamente le ricerche motivazionali (in italiano chiamate anche ricerche qualitative di mercato) per vendere un prodotto. Da notare che la pubblicità è solo un caso particolare seppure importante di questo insieme più ampio. Da questo momento in poi il consumo sarà soggetto a scelte che non appartengono più autonomamente all’individuo ma a tecniche che, facendo leva su desideri spesso inconsci, suscitano un atto compulsivo all’acquisto. Magari basato solo sul colore o la forma di una confezione o su altri particolari che restano nascosti al consumatore ma sono ben conosciuti dal venditore. Il risultato di questo processo è alquanto inaspettato: consumo e persona diventano la stessa cosa nel momento in cui i prodotti acquistati sono la proiezione oggettiva della personalità dell’acquirente. L’acquisto di un prodotto è solo in misura modesta una coercizione indotta dal mercato, mentre in larga parte è una sorta di realizzazione materiale di un qualcosa che è già presente in noi a monte nella nostra personalità. In questa stretta simbiosi tra oggetto e pulsione sta la forza del consumismo ed è per questo che è difficile contrastarlo. Fonte : https://www.paolodistefano.name/joomla/libri-e-letture/vance-packard-e-i-persuasori-occulti.html

7 Robert Epstein. The new mind control. AEON, 18, February, 2016

8 Ibidem

9 Ibidem

10 Vance Packard. op. cit. 1958

11 Ibidem

12 Ibidem [Kenneth Boulding. A world of unseen dictatorship is conceivable, still using the forms of democratic government.]

13 Robert Epstein. op. cit., 18, February, 2016

14 Ibidem

15 Ibidem

16 Ibidem

17 Ibidem

18 Ibidem

19 Ibidem

20 Robert Epstein and Ronald E. Robertson. The search engine manipulation effect (SEME) and its possible impact on the outcomes of elections. Proceedings of the National Academy of Sciences. 112 (33): E4512-E4521, August 18, 2015

21 Robert Epstein. Big Tech and Political Manipulation. Retrieved, January 14, 2022

22 Ibidem

23 Ibidem

24 Robert Epstein and Ronald Robertson, op. cit. 2015

25 Ibidem

26 Ibidem

27 Ibidem

28 Ibidem

29 https://aibrt.org/

30 Robert Epstein. op. cit., 18, February, 2016

31 Ibidem

32 Ibidem

33 Ibidem

34 Ibidem

35 Ibidem

36 Ibidem

37 Robert Epstein and Ronald Robertson, op. cit. 2015

38 Ibidem

39 Robert Epstein and Ronald E. Robertson, op. cit. 2015

40 Kristen Purcell, Joanna Brenner and Lee Rainie. Search Engine Use 2012. Pew Research Center, March 9, 2012

41 James Grimmelmann. The Google Dilemma. University of Maryland, Francis King Carey School of Law, Volume 53/2008/09

42 Ibidem

43 Daniel Trielli, Sean Mussenden and Nicholas Diakopoulos. Why Google search results favours democrats. Slate, Dec. 7, 2015/ https://slate.com/technology/2015/12/why-google-search-results-favor-democrats.html

44 Rolfe Winkler and Brody Mullins. How Google skewed search results. The Wall Street Journal. March 19, 2015 / Rolfe Winkler, Brody Mullins and Brent Kendall. Inside the U.S. antitrust probe of Google. The Wall Street Journal. March 19, 2015

45 Brian Womack, Aoife White and Cornelius Rahn. Google faces fines, search constraints as EU decision approaches. Bloomberg, 14 Aprile 2015

46 Robert Epstein and Ronald E. Robertson. op. cit., August 18, 2015

47 Ibidem

48 Robert Epstein. The new mind control. AEON, 18, February, 2016

49 Bond, R., Fariss, C., Jones, J. et al. A 61-million-person experiment in social influence and political mobilization. Nature 489, 295–298 (2012)

50 Jonathan Zittrain. Facebook could decide an election without anyone ever finding out. The New Republic, June 2, 2014

51 Robert Epstein. op. cit. 18, February, 2016

52 Ibidem

53 Ibidem

54 Kramer, Adam D. I., Guillory, Jamie E., Hancock, Jeffrey T. Experimental evidence of massive-scale emotional contagion through social networks.

Proceedings of the National Academy of Sciences, Volume 111, Issue 24, 2014, pp.8788-8790 / I ricercatori coinvolti dimostrerebbero, attraverso un massiccio esperimento (N = 689.003) su Facebook, che gli stati emotivi possono essere trasferiti ad altri tramite contagio emotivo, portando le persone a provare le stesse emozioni senza che ne siano consapevoli. Questo lavoro fornirebbe prove sperimentali che il contagio emotivo avviene senza interazione diretta tra le persone (ad esempio, l’esposizione a un amico che esprime un’emozione è sufficiente) e in completa assenza di segnali non verbali.

55 Robert Epstein. op. cit. 18, February, 2016

56 Robert Epstein. Google Gotcha. https://www.usnews.com/opinion/articles/2013/05/10/15-ways-google-monitors-you

57 Ibidem

58 https://policies.google.com/privacy

59 Robert Epstein. Big Tech and Political Manipulation. Retrieved, January 14, 2022

60 Ibidem

61 Kenneth Ewart Boulding. The World as a Total System. Sage, 1985

62 Robert Epstein and Ronald E. Robertson. op. cit. August 18, 2015

63 Ibidem

64 https://developers.google.com/search/docs/fundamentals/how-search-works?hl=it

65 Robert Epstein. op. cit. 18, February, 2016

66  https://www.sec.gov/Archives/edgar/data/1011006/000119312515348230/d48361d8k.htm

67 Jeremy Lent. The Patterning Instinct: A Cultural History of Humanity’s Search for Meaning. Prometheus Books, 2017