Il pensiero come sfruttamento delle normali operazioni dei corpi

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5 Ottobre, 2024
Tempo di lettura: 19 minuti

BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIII • Numero 51 • Settembre 2024

Le nostre descrizioni spaziali della vita sociale sarebbero più che semplici metafore

Alcuni amici sono vicini, altri sono distanti. Il centro di Milano è un collage. In superficie, il linguaggio che usiamo per descrivere paesaggi ed edifici sembrerebbe aver poco in comune con il modo in cui pensiamo ai nostri mondi sociali. Una catena montuosa ha poco in comune con una famiglia. Il paesaggio urbano di una città non ha, realmente, nulla a che vedere con un collage, o almeno così sembra. Ma se questa mancanza di relazioni fosse vera, allora perché usiamo metafore spaziali e architettoniche per descrivere così tante delle nostre relazioni umane e sociali?

I buoni amici fidati sono descritti come vicini, indipendentemente dalla loro vicinanza fisica, e una persona cara dall’altra parte del mondo può sentirsi più vicina a Mario Rossi di qualcuno con cui Mario effettivamente vive. Potremmo avere una cerchia ristretta di amici o sentirci esclusi dalle cerchie degli altri. Un collega di professione con uno status più elevato può sembrare sopra di me e quelli con uno status più basso possono essere sotto. C’è persino qualcosa di architettonico nel modo in cui parliamo di fissare confini o mettere fuori qualcuno.

In effetti, senza pensarci troppo, utilizziamo un intero repertorio di metafore spaziali e architettoniche per spiegare i nostri mondi sociali, e non solo per le nostre relazioni personali. Queste metafore, espone David Borkenhagen nel suo saggio The geometry of other people, sono fondamentali anche per il pensiero culturale a livello sociale. Sotto quest’aspetto, noi, culturalmente, descriviamo alcuni gruppi di persone come emarginati (messi da parte) o oppressi (spinti verso il basso) e si dice che la società stessa abbia una struttura, come se fosse assemblata come un grattacielo.

Al riguardo, come ricercatore in psicologia e neuroscienze, Borkenhagen si chiede, perché le relazioni sociali formino geometrie distinte nelle nostre menti? Negli ultimi decenni, stando a Borkenhagen la ricerca ha individuato, come conferma Nick Kabrél nel suo saggio Boost your self-understanding with a navigational approach che queste metafore non sono, semplicemente, usi idiosincratici del linguaggio. Invece, suggeriscono qualcosa di fondamentalmente spaziale su come viviamo le nostre vite sociali. Questo porta Borkenhagen ad un questionamento e ad una possibilità radicali. La sua congettura sarebbe che se noi umani diamo un senso alle nostre amicizie, conoscenze, colleghi, famiglie e società attraverso rappresentazione di relazioni spaziali, allora, di conseguenza, i concetti architettonici e la progettazione intenzionale dello spazio potrebbero diventare strumenti per creare nuove metafore per il pensiero sociale e politico.

Queste congetture sono certamente strumentali al bio-potere,1 sempre alla ricerca di nuove conoscenze su come disegnare sia la sua bio-politica2 che la sua psico-politica.3 In effetti, queste supposizioni sulla creazione di nuove metafore per il pensiero sociale e politico attraverso la progettazione intenzionale dello spazio relazionale risultano lontane dagli indirizzi del cognitivismo della seconda metà del 20° secolo, nei quali si privilegia lo studio dei processi cognitivi mediante modelli computazionali, e ancora più distanti dalle filosofie della mente fondate sull’ipotesi del linguaggio del pensiero. Concretamente, invece, queste ipotesi sulle metafore sono più vicine ad alcune ricerche delle neuroscienze e della neuro-fenomenologia, che ipotizzano la natura corporea o incarnata del nostro agire cognitivo umano.

Ugualmente, si potrebbe suggerire che queste idee circa le nostre metafore spaziali e architettoniche siano vicine all’orientamento teorico dello studio della embedded cognition o cognizione incorporata, in cui l’attenzione è rivolta non soltanto al corpo ma anche all’ambiente circostante nel determinare i comportamenti e i processi cognitivi così come anche agli aspetti sociali e culturali della cognizione. In pratica, il nuovo cognitivismo integra la tesi che ogni cognizione sia incarnata e che anche le cognizioni superiori, che comportano maggior grado di astrazione, siano l’elaborazione di esperienze corporee.

Negli ultimi 40 anni, psicologi e linguisti hanno cercato di specificare se queste metafore spaziali non fossero, in effetti, più che metaforiche, cioè più che sostituzione di un termine proprio con uno figurato. Negli anni ’80, il filosofo George Lakoff e il linguista cognitivo Mark Johnson4 hanno cercato di documentare, mediante verifiche, che le metafore che fanno riferimento ad esperienze corporee nello spazio strutturano il modo in cui pensiamo e parliamo di idee sociali astratte. E questo è il caso di espressioni come “Quando l’amore chiama, seguilo!”, “La verità è qualcosa che vediamo chiaramente” e così via.

Le nostre esperienze spaziali e le nostre rappresentazioni del mondo sociale utilizzerebbero un substrato neurale condiviso

Ma, sarebbe stato solo dopo il 2000 che Lakoff e il neuroscienziato Vittorio Gallese avrebbero iniziato a riscontrare con più audacia che gli stati corporei e spaziali a cui si fa riferimento in metafore, come seguire l’amore, implicano simulazioni delle stesse reti di sensazioni e percezioni impegnate quando quegli stati, in questo caso, l’inseguimento, vengono sperimentati per la prima volta. Ciò significa che, quando descriviamo il nostro amico estroverso come uno che illumina la stanza, la stessa parte del cervello che traccia i livelli di luminanza nel nostro ambiente (la corteccia visiva) si riattiva durante la comprensione della metafora per simulare un’immagine di una stanza che si illumina, aiutandoci a comprendere un commento, altrimenti astratto, sulla personalità brillante di qualcuno. Immaginare e fare, hanno suggerito Gallese e Lakoff, utilizzano un substrato neurale condiviso. In altre parole, secondo loro, il pensiero è uno sfruttamento delle normali operazioni dei nostri corpi.

Sviluppando questa tesi di Gallese e Lakoff, si può supporre che le esperienze incarnate con oggetti nello spazio fisico forniscano utili strutture concettuali che mappiamo e proiettiamo sulle nostre relazioni. Le metafore spaziali sono il risultato di questo processo. Sotto quest’aspetto si può anche considerare che tutti abbiamo esperienze di prima mano di interazione con oggetti nello spazio. È facile realizzare che tutti abbiamo l’esperienza di aver allungato una mano per afferrare qualcosa su un tavolo di fronte a noi oppure di esserci mossi per catturare qualcosa che volava nell’aria e non siamo riusciti ad afferrarla perché era al di fuori della nostra portata. Nella teoria di Gallese e Lakoff, il nostro cervello, utilizzando questo tipo di esperienze incarnate di prossimità come punti di riferimento, simula le posizioni delle persone come vicine o lontane in uno spazio sociale immaginario. Ma, possiamo chiederci con Borkenhagen, quanto è profonda la relazione tra le nostre esperienze spaziali e i mondi sociali? Possiamo, altresì, chiederci se esiste davvero un substrato neurale che collega le nostre esperienze di montagne e famiglie o città e colleghi, come si desume dalle interpretazioni di Gallese e Lakoff?

Al riguardo, e utilizzando la prospettiva del loro nuovo cognitivismo, si può considerare che se descriviamo qualcuno come distante, pensiamo a lui in quel termine spaziale, anche se è accanto a noi. Sotto quest’aspetto, va indicato, che all’inizio di questo millennio, i ricercatori allineati al nuovo cognitivismo iniziarono a tracciare le geometrie psicologiche dello spazio sociale utilizzando esperimenti attentamente controllati, come individua Borkenhagen. Questi esperimenti si posero il quesito di verificare se le distanze che applichiamo ad altre persone nei nostri mondi sociali immaginari, pensando a un amico come vicino o a un conoscente come distante, si manifano, effettivamente, nel nostro comportamento verso quelle persone.

In uno studio del 2011 di Justin Matthews e Teenie Matlock  ai partecipanti fu chiesto di disegnare il percorso che avrebbero seguito per consegnare un pacco lungo un corridoio a forma di S che passava davanti a tre figure, descritte come gruppo di amici per uno dei due gruppi e come gruppo di estranei per l’altro. I partecipanti al gruppo che dovevano passare davanti alle figure descritte come un gruppo di amici tracciarono delle linee lungo il percorso che risultavano significativamente più vicine alle figure rispetto alle linee tracciate dai partecipanti al gruppo che passava lungo il gruppo di estranei. I ricercatori hanno dedotto che l’effetto era dovuto ad associazioni implicite tra prossimità spaziale e amicizia. La distanza fu associata agli estranei, la vicinanza, invece, agli amici.

Un altro studio, condotto dai ricercatori Dennis Kerkman, David Stea, Karen Norris e Jennifer Rice, indirizzato a verificare se i pregiudizi sociali fossero vincolati alla conoscenza della geografia,5 individuò che gli americani che avevano opinioni negative sul Messico avevano sovrastimato la distanza tra città americane e messicane rispetto agli americani che avevano opinioni più positive sul Messico. Gli autori di questo studio dedussero che le stime della distanza nel mondo fisico erano influenzate dal modo in cui i partecipanti posizionavano il Messico in uno spazio sociale immaginario.

Questi studi sperimentali documentano la tesi che postula che le metafore spaziali che utilizziamo per descrivere le relazioni sociali non sarebbero, come segnalato in precedenza, solo usi idiosincratici del linguaggio, ma riflessi di come tali relazioni sociali siano strutturate nelle nostre menti. Quando descriviamo qualcuno come distante o fuori dal mondo, in realtà pensiamo tale persona in quei termini spaziali, anche se si trova in piedi accanto a noi. Questo significa che per orientarci nel mondo, ci affidiamo a rappresentazioni mentali di dove si trovano le cose e di come interagire con esse. Questo è simile al modo in cui le informazioni sociali sono rappresentate concettualmente. In effetti, sapere dove si trovano le persone, in termini di affiliazione e potere, è fondamentale per il funzionamento sociale e ci aiuta ad orientarci nelle nostre interazioni quotidiane. Per i neuroscienziati cognitivi, come Gallese e Lakoff, entrambe le operazioni condividono una fenomenologia simile perché soggettivamente sperimentiamo entrambi i compiti di mappatura in modi simili. Ecco perché, stando a questo filone della ricerca in materia, mappare il contenuto sociale in uno spazio mentale sembra intuitivo quanto la mappatura coinvolta nel lavoro geografico o architettonico.

Tuttavia, non sarebbe solo che utilizziamo esperienze spaziali per dare un senso alle relazioni sociali. Questi effetti funzionano ugualmente nella direzione opposta. Per i ricercatori della neuro-fenomenologia che considerano la cognizione incorporata6 e la cognizione situata7 dell’agire umano, sembra che elaboriamo i contenuti sociali in modo diverso in base a dove si trovano collocati spazialmente. In uno studio sulle posizioni verticali come simboli percettivi di potere, condotto dal professore di psicologia sociale dell’Università di Oslo, Thomas Schubert,  ai partecipanti sono state mostrate su uno schermo coppie di sostantivi riguardanti il potere, come padrone e servo, in localizzazione spaziale verticale, in termini di alto e basso. Attraverso diversi esercizi, le posizioni verticali di questi sostantivi sono state modificate, in modo che ciascuno avesse la possibilità di apparire sopra e sotto l’altro. Lo studio ha individuato, secondo Schubert, che i partecipanti hanno riconosciuto i termini di alto potere, come padrone, più rapidamente dei termini di basso potere, come servo, quando apparivano sopra, nell’ordinamento verticale dei sostantivi, ma non quando apparivano sotto.

Un altro studio di psicologia sperimentale condotto da Yoav Bar-Anan, Nira Liberman, Yaacov Trope e Daniel Algom, in particolare, un esperimento sull’elaborazione automatica della distanza psicologica, ha posizionato le parole amico e nemico in posizioni diverse, vicine e lontane, su una grafica 3D e ha individuato che la parola amico è stata riconosciuta più velocemente della parola nemico quando era posizionata più vicino, mentre la parola nemico è stata riconosciuta più velocemente quando era posizionata lontano. In entrambi gli studi, i ricercatori hanno ragionato sul fatto che il riconoscimento di alcune parole socialmente cariche migliorava quando si trovavano in posizioni congruenti con le rappresentazioni spaziali dei partecipanti di quei concetti sociali. Ciò permise ai partecipanti di elaborare le parole più rapidamente.

Sulla base di questa verifica di una forte relazione tra cognizione spaziale e sociale, si può supporre che la previsione di Gallese e Lakoff, riguardo l’esistenza di una base corticale comune per la cognizione spaziale e sociale, sia corretta, vale a dire ci sarebbero davvero substrati neurali condivisi per entrambi i tipi di pensiero. La ricerca dei neuroscienziati cognitivi sembra supportare questa previsione. In effetti, in uno studio del 2014, in cui si cercava di verificare se esistesse una metrica corticale comune per la distanza spaziale, temporale e sociale, i ricercatori Carolyn Parkinson, Shari Liu e Thalia Wheatley hanno monitorato l’attività cerebrale dei partecipanti a cui sono state mostrate immagini di oggetti in diverse posizioni su un tavolo. Ai partecipanti è stato chiesto di giudicare se un oggetto fosse più vicino o più lontano da un altro oggetto raffigurato in ciascuna immagine. I ricercatori hanno registrato l’attività cerebrale durante questi giudizi e hanno utilizzato un algoritmo di apprendimento automatico per decodificare e classificare i dati associati sia ai giudizi di distanza ravvicinata che a quelli di distanza lontana. Alla fine, l’algoritmo è riuscito ad individuare, in modo affidabile, se il partecipante stava esprimendo un giudizio su una distanza ravvicinata o su una distanza lontana, semplicemente analizzando l’attività cerebrale.

Successivamente, ai partecipanti è stato chiesto di fornire fotografie di otto persone nelle loro cerchie sociali: quattro persone con cui avevano una forte relazione e quattro persone che conoscevano ma con cui non erano intimi. I ricercatori hanno misurato l’attività cerebrale dei partecipanti chiedendo se la persona mostrata in ogni fotografia fosse un amico o un conoscente. I ricercatori hanno definito questo compito come compito di giudizio sulla distanza sociale.

Invece di cercare una sovrapposizione nell’attività cerebrale tra i due compiti, i ricercatori, che cercavano di verificare se esistesse effettivamente una metrica corticale comune per la distanza spaziale, temporale e sociale, hanno utilizzato l’algoritmo predisposto per decodificare i dati dal compito di giudizio sulla distanza sociale. L’algoritmo è stato in grado, con un’accuratezza superiore alla media, di prevedere le risposte dei partecipanti al compito del giudizio sulla distanza sociale. In altre parole, stando ai ricercatori, l’attività cerebrale, in una parte del cervello associata ai giudizi sulla distanza spaziale vicino e lontano, in questo caso il lobulo parietale inferiore, potrebbe essere utilizzata come modello per prevedere i giudizi sulla distanza sociale.

Questa ricerca sperimentale di Carolyn Parkinson, Shari Liu e Thalia Wheatley costituisce un’evidenza sull’ipotesi che propone che esista una base corticale comune per la cognizione spaziale e la cognizione sociale. In termini pratici, quest’ipotesi intende dire che quell’amico che ti è vicino, anche se vive dall’altra parte del mondo, viene mappato dalla stessa parte del cervello che determina che sei vicino allo schermo che stai usando per leggere quest’articolo.

La cognizione sociale come exaptation della cognizione spaziale

Quindi, quali potrebbero essere le spiegazioni di questa base corticale comune per la cognizione spaziale e la cognizione sociale? Le stesse Carolyn Parkinson e Thalia Wheatley, sostengono che la cognizione sociale sia una exaptation8 della cognizione spaziale, o piuttosto in un uso secondario per un adattamento originale. In effetti, con il neologismo pre-adaptation Darwin introdusse la possibilità che in natura il rapporto fra organi e funzioni fosse potenzialmente ridondante, in modo da permettere che un tratto sviluppatosi per una certa ragione adattativa potesse essere cooptato o convertito per una funzione anche del tutto indipendente dalla precedente. Questa cooptazione funzionale fu rinominata da S.J.Gould e E.S.Vrba exaptation, per indicare come gli organismi spesso riadattino, in modo opportunista, strutture già a disposizione per funzioni inedite.

Nel caso della cognizione sociale, alcuni neuroscienziati, come riporta David Borkenhagen nel suo saggio The geometry of other people, hanno sostenuto che i sistemi neurali per la cognizione spaziale siano stati riciclati per formare la base della cognizione sociale. Ciò avrebbe permesso di organizzare le informazioni sociali in modo ordinato e dimensionale, dove gli individui possono essere rappresentati come coordinate in uno spazio topografico da cui possono essere generate inferenze, in modo simile a come vengono rappresentate le informazioni spaziali. Perciò, stando a Borkenhagen, l’exaptation costituisce una spiegazione più parsimoniosa per lo sviluppo di due funzioni cerebrali distinte ma altamente correlate, rispetto a una spiegazione evolutiva che suggerisce lo sviluppo indipendente di due aree cerebrali completamente modulari. Se la cognizione sociale e spaziale è veramente cablata insieme nel cervello, come suggerisce l’euristica presa in considerazione in quest’argomentazione, ciò spiegherebbe la nostra capacità di dedurre, immediatamente, lo status sociale di qualcuno, percependo la sua posizione spaziale in contesti sociali. È un’argomentazione provocatoria, ma che richiede più ricerca per essere convalidata.

È importante notare che quest’argomentazione non sostiene che la cognizione sociale possa essere ridotta alla cognizione spaziale. Infatti, altre ricerche di psicologia sociale hanno individuato che le nostre rappresentazioni mentali delle altre persone sono multimodali. La nostra cognizione sociale include associazioni emotive, conoscenza dichiarativa e memorie episodiche, tra gli altri contenuti. Ma, come minimo, quest’argomentazione offre una spiegazione plausibile di come abbiamo acquisito per la prima volta, e di come sperimentiamo ancora, uno degli aspetti più fondamentali della cognizione umana: i nostri pensieri sulle altre persone. Le implicazioni più ampie di quest’idea hanno portato alcuni studiosi della relazione tra architettura e società a considerare più a fondo come gli spazi che progettiamo riflettono le nostre associazioni spaziali implicite con diversi gruppi di persone, tra cui amici, famiglia, comunità e società.

L’influenza della disposizione spaziale sul modo di pensare la politica

Queste ricerche, circa i collegamenti tra cognizione spaziale e cognizione sociale, hanno fornito evidenza sull’ipotesi che il mondo spaziale può alterare, profondamente, la nostra cognizione sociale, per cui l’architettura e altre forme di progettazione spaziale potrebbero oggi fungere da strumenti concettuali per costruire nuove forme di pensiero sociale.

In effetti, un caso storico, circa l’influenza della disposizione spaziale sul modo di pensare la politica, ce lo fornisce la Rivoluzione Francese. Nel 1789, i tre ceti della società francese (clero, nobiltà e plebe) si riunirono a Versailles9 per discutere l’imposizione di nuove tasse e per intraprendere riforme nel paese. Questo momento segnò la svolta verso la repubblica come sistema dominante di governo politico in Francia, così come in gran parte del resto d’Europa poco dopo. Non sarebbero state solo le idee dibattute in quest’evento a rivelarsi storiche, ma anche la disposizione di quelle idee nello spazio. Erano presenti membri del partito giacobino, cioè gli anti-monarchici che facevano campagna per abolire la monarchia e attuare politiche liberali. Capitò che sedettero alla sinistra del re, mentre i membri dei realisti, il partito che voleva conservare la monarchia e il suo potere, sedettero alla destra del re. Questa disposizione dei posti rimase e, invece di fare riferimento ai nomi di entrambi i partiti, una metafora spaziale, sinistra e destra, venne usata per distinguere i due gruppi. I giacobini, il gruppo che sosteneva le politiche liberali, erano a sinistra, i realisti, coloro che sostenevano politiche conservatrici della monarchia, sulla destra.

Questa spazializzazione dei gruppi politici perdura ancora oggi, anche se la disposizione dei posti a sedere in cui è stata fondata è ormai per lo più dimenticata e certamente abbandonata: i partiti politici non si siedono più da una parte o dall’altra di un monarca. La storia delle origini dello spettro politico sinistra-destra avvalora il ruolo che l’organizzazione di diversi gruppi sociali nello spazio può avere sul modo in cui tali gruppi vengono rappresentati mentalmente. L’effetto di questa rappresentazione mentale sul pensiero politico successivo sembra sussistere ancora. Oggi, più di due secoli dopo, non esiste partito politico, singolo politico o persino idea politica che non sia posizionato da qualche parte lungo lo spettro politico sinistra-destra. Il fatto che la relazione spaziale su cui si basa questo spettro fosse inizialmente arbitraria lo rende ancora più notevole.

Se una configurazione spaziale arbitraria delle persone nello spazio può avere un impatto così profondo sulla struttura del pensiero politico, possiamo assumere che anche il bio-potere10 e la bio-politica11 facciano uso di un controllo deliberato di questi effetti. L’architettura offre una moltitudine di possibili configurazioni spaziali e di rappresentazione del potere. Gli spazi che gli architetti progettano per persone con ruoli sociali diversi possono essere alti, ampi, aperti, ristretti, con o senza vista: ognuno costituisce una proposta per il pensiero sociale. Ecco perché mettiamo sul podio più alto coloro che vincono le competizioni sportive, perché i dirigenti delle organizzazioni spesso occupano gli uffici più grandi ai piani più alti degli edifici oppure perché i capifamiglia tradizionalmente dormivano nella camera da letto padronale e mangiavano a capotavola. In tutti questi casi, il potere è costituito dall’essere in alto, al centro, dall’avere più spazio o una vista migliore.

L’architettura come strumento per comunicare narrazioni specifiche sulle relazioni sociali e sulla distribuzione del potere

L’architettura è stata spesso utilizzata come strumento per comunicare narrazioni specifiche sulle relazioni sociali e sulla distribuzione del potere. Strutture monumentali come le Piramidi di Giza, la Città Proibita di Pechino, il Partenone di Atene o l’Arco di Trionfo di Parigi manipolano altezza, distanza, massa, volume e confini per reificare idee altrimenti astratte sul potere. Prendiamo, ad esempio, la Basilica di San Pietro in Vaticano. Costruita durante il XVI e il XVII secolo, si è staccata dagli standard architettonici tradizionali per le chiese cattoliche donando una notevole quantità di spazio al pubblico sotto forma di Piazza San Pietro, che può ospitare centinaia di migliaia di fedeli contemporaneamente. Invece di una piazza, Piazza San Pietro è stata progettata come un ovale circondato da un colonnato all’aperto profondo quattro file. Nelle parole del suo architetto Gian Lorenzo Bernini, la piazza abbraccia i visitatori nelle braccia materne della Chiesa. Doveva farlo. Dopotutto, la Basilica di San Pietro fu costruita durante la Riforma protestante, un periodo in cui l’autorità della Chiesa cattolica a Roma, che sembrava così lontana dalle preoccupazioni del pubblico, fu messa in discussione dai riformatori protestanti dell’Europa settentrionale. In risposta, la Chiesa cattolica romana intraprese la sua Controriforma, che comportò lo scioglimento delle sue pratiche nepotistiche e il ritorno della sua attenzione verso il popolo, anche attraverso l’architettura del Vaticano. La progettazione spaziale di Piazza San Pietro permise alla Chiesa cattolica di segnalare una nuova era di apertura sociale.

Ma non è necessario essere architetti per alterare il pensiero sociale collettivo. Infatti, utilizzando il paradigma della cognizione incarnata nel corpo possiamo assumere che anche le metafore architettoniche o spaziali possono produrre un effetto. Al riguardo, possiamo osservare che i sostenitori di ciò che si ritiene progresso sociale, che combattano contro la disuguaglianza, l’oppressione o l’erosione dei diritti, spesso basano le loro esperienze sociali su metafore spaziali mentre difendono coloro che sono emarginati, oppressi o soggiogati. Per questo motivo, i movimenti per la giustizia sociale spesso presentano metafore di occupazione e azione nello spazio.

Nel 1929, un anno dopo che le donne conquistassero il diritto di voto in Gran Bretagna, Virginia Woolf usò una metafora architettonica, A Room of One’s Own [Una stanza tutta per sé], come titolo del suo saggio femminista in cui sosteneva l’azione intellettuale delle donne. La stanza in questione può essere interpretata sia letteralmente che metaforicamente. In termini letterali, Woolf scrive che una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé se vuole scrivere narrativa. Spazi privati ​​per scrivere o studiare sarebbero stati un lusso per molte donne all’inizio del XX secolo. Ma il pieno significato del titolo è meglio compreso come una metafora che esprime il diritto delle donne a perseguire attività intellettuali ininterrotte e autonome, un’idea che Woolf esplora in tutto il suo saggio.

Oggi, le femministe usano la metafora architettonica del soffitto di vetro [glass ceiling]12 per esprimere le barriere spesso invisibili agli uomini (da qui vetro) che le donne sperimentano mentre salgono la scala aziendale. Allo stesso modo, i membri della comunità LGBTQ+ sono incoraggiati a uscire allo scoperto per diventare socialmente visibili. Più di recente, alle proteste di George Floyd del 2020, il grido di chiamata e risposta Le strade di chi? Le nostre strade! [Whose streets? Our streets!] è stato utilizzato per comunicare il diritto insoddisfatto delle minoranze razziali a sentirsi al sicuro negli spazi pubblici.

Come il titolo di Woolf, queste espressioni possono essere interpretate letteralmente, ma il loro pieno effetto è meglio compreso metaforicamente. Come metafore spaziali, aiutano a descrivere come i gruppi minoritari sperimentano e cercano di superare le barriere sociali. Senza queste metafore, può essere molto difficile esprimere, ad esempio, i sentimenti di isolamento sociale e costrizione che i membri della comunità LGBTQ+ sperimentano nascondendo la loro identità di genere o orientamento sessuale. Attraverso la metafora spaziale, i non membri del gruppo possono comprendere i sentimenti di isolamento sociale e costrizione di una vita vissuta nell’armadio [in the closet].

Anche lo spettro politico sinistra-destra, può essere ricostruito utilizzando nuove metafore spaziali. Metafore spaziali come partigiano, polarizzato o estremista sono spesso utilizzate per descrivere individui che hanno opinioni politiche più forti. Queste metafore spaziali generano significato facendo riferimento a posizioni lungo una linea orizzontale con poli che si estendono in direzioni opposte. Ma cosa succederebbe se, anziché una linea retta, posizionassimo le opinioni politiche utilizzando il modello che rappresenta lo spettro politico come un ferro di cavallo?

Attribuita al filosofo francese Jean-Pierre Faye, la teoria del ferro di cavallo13è stata dibattuta dai teorici politici sin dal patto Molotov-Ribbentrop,14 un trattato di non aggressione firmato nel 1939 tra il governo nazista di Hitler e il partito comunista di Stalin. Da allora, la teoria è stata utilizzata per spiegare, tra le altre cose, il fatto che un 12% delle persone che avrebbero votato per Bernie Sanders alle primarie democratiche del 2016 avrebbero votato per Donald Trump alle elezioni presidenziali, probabilmente costando l’elezione alla candidata di sinistra, Hillary Clinton.

Un altro esempio sarebbe che politici ed esperti sia di estrema sinistra che di estrema destra abbiano sostenuto posizioni anti-interventiste riguardo alla guerra in Ucraina. Ma questo non vuol dire che non ci siano enormi differenze ideologiche tra le posizioni politiche di estrema sinistra e di estrema destra. Come il semplice binario dello spettro sinistra-destra, i teorici politici hanno sostenuto che anche la teoria del ferro di cavallo semplifica eccessivamente il panorama ideologico. Ciò che sarebbe chiaro, tuttavia, è che le nuove metafore spaziali offrirebbero forme alternative a quelle che altrimenti sono forme di pensiero politico restrittivamente lineari.

Le possibilità di ripensare le forme del pensiero sociale possono sembrare vaste, ma le metafore spaziali non sempre liberano. Come nel caso di una rigida concettualizzazione dello spettro sinistra-destra, a volte pone dei vincoli al pensiero sociale. I titoli dati alle figure autorevoli nelle nostre istituzioni sociali e politiche, come “Preside”, “Vostra Altezza” o “Corte Suprema”, spesso fanno riferimento a condizioni spaziali di altezza e massa. Anche il titolo Presidente potrebbe essere scomposto in una metafora spaziale: dal latino praesĭdens -entis, vale a dire chi presiede seduto davanti.

Per questo motivo, è importante prestare attenzione alle metafore spaziali e architettoniche che potrebbero limitare le nostre relazioni interpersonali e il discorso politico. Queste metafore possono indicare crescenti divisioni mentali tra gruppi sociali. Si consideri la campagna presidenziale di Trump del 2016 e la sua retorica sulla costruzione di un muro lungo il confine meridionale degli Stati Uniti. Mentre alcune nuove recinzioni di confine sono state costruite durante la presidenza di Trump, la proposta dell’ex presidente di costruire un muro impenetrabile è meglio intesa come una metafora che ha segnalato un più ampio spostamento verso una posizione isolazionista nella politica estera e nell’immigrazione.

Allo stesso modo, per molte persone, la Grande Muraglia cinese segna una netta distinzione tra la nazione cinese a sud e i barbari predoni a nord. Questa idea perdura, anche se questo muro letterale è sempre stato, di fatto, una raccolta di molti muri minori, una realtà fisica porosa che smentisce la monumentalità della metafora. In Germania, come documentano Claus-Christian Carbon e Helmut Leder, i cittadini continuano a sovrastimare le distanze tra le città che si trovavano dall’altra parte di quella che era la cortina di ferro, rispetto alle città che si trovavano dalla stessa parte prima della riunificazione. Inoltre, queste sovrastime sono maggiori per i cittadini con atteggiamenti più negativi nei confronti della riunificazione, rispetto a quelli dei cittadini che avevano opinioni positive. Le barriere metaforiche rimangono in piedi molto tempo dopo che i loro referenti fisici sono stati demoliti.

Per millenni, gli architetti hanno progettato edifici con forme spaziali che superavano di gran lunga le esigenze funzionali dei loro occupanti. Infatti, hanno spesso cercato di creare strutture che sono state comprese come metafore del potere sociale. Allo stesso modo, scrittori, attivisti e politici si sono affidati a metafore spaziali e architettoniche per comunicare le loro esperienze e i loro desideri sociali. Recenti ricerche sulle neuroscienze cognitive mostrano che esiste una base neurobiologica per entrambi gli effetti.

Questo meccanismo fornisce intuizioni e informazioni sulla fenomenologia e la soggettività dell’esperienza sociale, ma dovrebbe anche portarci a considerare, attentamente, cosa i nostri movimenti e le nostre posizioni nello spazio dicono della nostra social agency15 e del nostro status sociale. Allo stesso modo, potrebbe portare a una comprensione di come l’architettura costruita per le persone nelle città rifletta le distanze spaziali implicitamente attribuite loro.

L’intuizione non è tutto. Ci sono anche possibilità radicali nel pensiero socio-spaziale. Attraverso questo meccanismo possiamo diventare architetti delle nostre esperienze collettive, costruendo nuove metafore per la vita sociale e plasmando le geometrie di altre persone nelle nostre menti.

______________Note _________________

1 La nozione di biopotere consente di esaminare le tecniche specifiche di cui si serve il potere quando agisce sul corpo umano lungo l’arco della vita, dalla nascita alla morte, operando per definire la normalità degli individui attraverso mezzi sempre più razionalizzati.

2 Oggi la politica deve farsi carico di un quesito: che cos’è la vita? La politica, allora, è biopolitica. La natura dell’uomo, infatti, è il suo oggetto, ovvero il dato biologico determina la politica del nostro tempo. Il potere moderno si delinea, al di là delle forme di governo con cui si rappresenta, come bio-potere, determinando il controllo della vita a livello biologico.

3 Nell’epoca dell’economia finanziaria e immateriale, la biopolitica che usa le statistiche demografiche, non ha alcun accesso a ciò che è psichico. Il capitalismo post-industriale, il capitalismo delle piattaforme, dei giganti del Web, farebbe leva più sulle emozioni che sulla forza fisica; spingerebbe più sui gusti e le preferenze degli utenti che sulla produttività di questi. Perciò, alla biopolitica si sostituisce il termine di psicopolitica, in quanto agirebbe direttamente sulla psicologia e sulla mente delle persone.

4 George Lakoff & Mark Johnson. Metaphors We Live By. The University of Chicago Press, 1991

5 La geografia, come è intesa dalla gente comune, è, in effetti, esperienziale. È, “un dominio complesso che si apprende nel corso della vita da una varietà di fonti ed esperienze eclettiche, quindi il ragionamento sulle entità geografiche può essere potenzialmente influenzato da fattori percettivi, cognitivi e affettivi. Prossimità e posizione sono quindi assegnate secondo una logica di ragionamento plausibile di designazione delle caratteristiche spaziali sulla base di attributi non spaziali, che spesso porta a giudizi e pregiudizi cartografici. Kerkman, Stea, Norris & Rice, op. cit. 2004

6 L’attenzione rivolta non soltanto al corpo ma anche all’ambiente circostante nel determinare i comportamenti e i processi cognitivi è centrale nello studio della cognizione incorporata (embedded cognition).

7 Una maggior attenzione agli aspetti sociali e culturali della cognizione, a integrazione di quelli ambientali, caratterizza gli studi sulla cognizione situata (situated cognition).

8 Il concetto di exaptation o bricolage dell’evoluzione è stato introdotto dai paleontologi Stephen J. Gould ed Elizabeth S. Vrba nel 1982, ma ha una lunga storia che risale alla risposta data da Darwin nel 1872 alle obiezioni dello zoologo George Mivart circa la presunta incapacità della selezione naturale di render conto degli stadi incipienti di strutture naturali particolarmente complesse. Con il neologismo pre-adaptation Darwin introdusse la possibilità che in natura il rapporto fra organi e funzioni fosse potenzialmente ridondante, in modo da permettere che un tratto sviluppatosi per una certa ragione adattativa potesse essere cooptato o convertito per una funzione anche del tutto indipendente dalla precedente. Questa cooptazione funzionale fu rinominata da Gould e Vrba exaptation, per indicare come gli organismi spesso riadattino in modo opportunista strutture già a disposizione per funzioni inedite. Il concetto di exaptation sarebbe, quindi, un caso di studio evoluzionistico particolarmente interessante, perché evoca il rapporto fra strutture e funzioni, fra ottimizzazione e imperfezione in natura, mettendo in discussione la visione adattazionista a lungo prevalente nel Novecento.

9 Durante la Rivoluzione francese, gli appartenenti a un’associazione politica, club dei giacobini, così detta perché aveva sede nell’ex convento parigino dei domenicani i Jacobins. Sorto nel maggio 1789 come Club breton, divenuto poi Société des amis de la constitution, il club dei giacobini, prevalentemente monarchico-costituzionale fino alla metà del 1790, si orientò rapidamente verso concezioni di repubblicanesimo intransigente verso la monarchia.

10 La nozione di biopotere consente di esaminare le tecniche specifiche di cui si serve il potere quando agisce sul corpo umano lungo l’arco della vita, dalla nascita alla morte, operando per definire la normalità degli individui attraverso mezzi sempre più razionalizzati.

11 Nozione che fa riferimento a come la logica scientifica dell’establishment può intervenire nell’evoluzione degli esseri umani.

12 Il soffitto di cristallo, o soffitto di vetro, o anche tetto di vetro (dall’espressione inglese glass ceiling), è una metafora che si usa per indicare una situazione in cui l’avanzamento di carriera di una persona in una organizzazione lavorativa o sociale, o il raggiungimento della parità di diritti, viene impedito per discriminazioni e barriere di prevalente origine razziale o sessuale, che si frappongono come ostacoli di natura sociale, culturale, psicologica apparentemente invisibili anche se insormontabili. Nel tempo il termine si è usato anche per indicare ostacoli all’avanzamento imposti a categorie sociali come disabili, anziani e minoranze razziali o sessuali.

13 In politologia, la teoria del ferro di cavallo è quella per cui l’estrema destra e l’estrema sinistra, anziché costituire gli estremi opposti d’un continuo politico lineare, si assomiglierebbero e sarebbero vicine come le due estremità d’un ferro di cavallo.

14 Il trattato di non aggressione fra il Reich tedesco e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, comunemente chiamato patto Molotov-Ribbentrop o patto Hitler-Stalin, fu un patto di non aggressione di durata decennale stipulato a Mosca il 23 agosto 1939 fra la Germania nazista e l’Unione Sovietica e firmato rispettivamente dal ministro degli Esteri sovietico Vjačeslav Molotov e dal ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop.

15 Con il termine agency in sociologia si intende la capacità di agire sulla realtà (sociale) cambiandola o orientandola. La capacità umana di far accadere gli eventi e di intervenire sulla realtà è definita come agenticità.

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