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13 Luglio, 2024

La biologia letta secondo la logica sociale della dominanza gerarchica

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIII • Numero 50 • Giugno 2024

 

Il fascino delle proiezioni della gerarchizzazione sociale sulla natura

Dalle ultime decadi del secolo scorso, ricercatori in campo educativo ed esperti della materia, hanno iniziato ad analizzare i libri di testo di biologia, evidenziando che il loro linguaggio e le loro rappresentazioni sono semplicemente delle metafore da una specifica lente concettuale: l’interpretazione della natura in termini del potere sociale umano . Stando a loro, però, non esiste ancora una ricerca sufficiente per spiegare queste metafore e comprenderne le implicazioni ideologiche per la cosiddetta conoscenza scientifica. In ogni modo, basterebbe eseguire un’analisi critica del discorso dei libri di testo introduttivi alla biologia e delle illustrazioni scientifiche popolari per avvertire le ideologie nascoste in concetti scientifici apparentemente innocenti.

In effetti, studiando il caso del funzionamento cellulare e quello della storia evolutiva, si evince come le gerarchie di dominanza pervadano le descrizioni dei concetti a vari livelli di interpretazione e organizzazione concettuale della natura. Al riguardo, la gerarchia di dominanza classifica i componenti dei sistemi naturali da superiori a inferiori. A livello cellulare, la metafora concettuale della cellula come fabbrica proietta le disuguaglianze sociali sulla cellula con il nucleo come centro di controllo e il citoplasma come luogo del lavoro manuale che esegue le istruzioni ricevute.

A livello ecologico ed evolutivo, la rappresentazione della piramide ecologica organizza il mondo vivente in una visione che rimanda ad una gerarchia feudale. La metafora concettuale della scala della vita, scartata, esplicitamente, ma che si manifesta ancora in molti modi, in effetti, pone i mammiferi e poi noi, esseri umani, in cima alla scala evolutiva.

Nonostante i filoni della ricerca empirica in biologia, che hanno contrastato le proiezioni gerarchiche a livello cellulare ed evolutivo, le rappresentazioni dei libri di testo hanno continuato a proiettare le gerarchie sociali sulla natura. In ogni modo, chiunque sia interessato alla retorica della scienza e al discorso critico dei libri di testo di biologia si ritrova a scoprire i valori nascosti, incorporati nella cosiddetta conoscenza scientifica.

In breve, è plausibile asserire che l’euristica in materia consenta agli studiosi di sostenere che le narrazioni scientifiche proiettano le gerarchie sociali sulla natura. Questo, però, come asseriscono loro, farebbe un torto alla descrizione della vita cellulare.

 

 

I libri di testo di biologia e la metafora della cellula come una fabbrica

Se ci si pensa, risulta sorprendente che qualcosa di così piccolo come una cellula vivente sia capace di comportamenti così complessi! Questa, senza dubbio, costituisce un’asserzione comune del nostro pensiero convenzionale. Come sarebbe triviale l’esortazione di considerare l’ameba, un organismo unicellulare, come esempio di quest’evento sorprendente. Dalla nostra umana prospettiva funzionale antropomorfica, l’ameba può percepire il suo ambiente, muoversi, procurarsi il cibo, mantenere la sua struttura e moltiplicarsi. Da questa gradazione, che interpreta, inoltre, l’ameba come assimilabile all’idea che noi, umani, abbiamo, oggi, di noi stessi, siamo abituati a porci, ugualmente, la domanda ordinaria di come faccia una cellula a sapere come svolgere tutti i suoi compiti.

I libri di biologia, che sono magistrali nell’instradarci al pensiero prestabilito, ci diranno, come ci segnala il ricercatore Charudatta Navare, che ogni cellula eucariota, che costituisce una gamma di organismi dall’uomo all’ameba, contiene un centro di controllo all’interno di una struttura chiamata nucleo. I geni presenti in un tale nucleo conterrebbero le informazioni necessarie al funzionamento della cellula. E il nucleo, a sua volta, ci viene spiegato, come sottolinea Navare, risiederebbe nel fluido gelatinoso chiamato citoplasma. Seguendo la descrizione della cellula come fattoria o fabbrica, il citoplasma contiene gli organelli cellulari, cioè i piccoli organi della cellula. Questi organelli, ci racconta la descrizione dell’establishment, svolgono compiti specifici sulla base delle istruzioni fornite dai geni.

In breve, i libri di testo, come documenta la ricerca, dipingono l’immagine di una catena di montaggio cellulare in cui i geni impartiscono istruzioni per la produzione di proteine che svolgono il lavoro del corpo giorno dopo giorno. Questa descrizione della cellula, da manuale, rende la cellula una sorta di istituzione sociale. L’immagine del citoplasma e dei suoi organelli, che svolge il lavoro di produzione, imballaggio e spedizione delle molecole secondo le istruzioni dei geni, evoca, curiosamente, come puntualizza Navare, la gerarchia sociale dei dirigenti che ordinano il lavoro manuale delle masse lavoratrici. L’unico problema al riguardo è che la cellula non è una fabbrica e non ha un centro di controllo. Come osserva al riguardo la studiosa femminista Emily Martin, l’ipotesi del controllo centralizzato distorce la nostra comprensione della cellula.1

Numerose ricerche in biologia suggeriscono che il controllo e l’informazione non sono limitati al nucleo superiore della cellula ma sono presenti in tutta la cellula. Gli organelli cellulari non solo non formerebbero una catena di montaggio lineare ma interagirebbero tra loro in modi complessi. Le nuove ricerche e l’euristica che ne deriva permettono di smentire che la cellula sia ossessionata dal lavoro economicamente significativo di produzione, come la metafora della fabbrica ci indurrebbe a credere. Invece, si può ormai sostenere che gran parte del lavoro svolto dalla cellula consiste nel mantenersi e nel prendersi cura di altre cellule, come propone il ricercatore Charudatta Navare.

 

L’ideologia delle gerarchie sociali proiettata sull’idea della cellula come necessità naturale

Perché, allora, se l’euristica in materia sostiene questa visione della cellula intenta a mantenersi e a prendersi cura di altre cellule, i libri di testo standard di biologia continuano a rappresentare la cellula come una gerarchia? – si chiedono gli studiosi della semantica sociale utilizzata nella descrizione dei processi fisici e chimici dei fenomeni che caratterizzano i sistemi viventi. Si domandano, ugualmente, perché nei libri di testo di biologia si invochi un’autorità centralizzata per spiegare come funziona ogni cellula e perché le immagini relative alla biologia siano così caricate di metafore industriali.

Stando a studiosi come Navare, questa visione della cellula, vincolata ai nostri modelli industriali, ci sembra ovvia e naturale perché è in sintonia con le nostre società stratificate e le loro istituzioni centralizzate. Il problema, però, nel ricorrere a questo tipo di metafora, come sostituto della cosiddetta scienza, è che le ipotesi che ne derivano su come funziona una cellula ci impedirebbero di capire come essa funzioni effettivamente. Riguardo queste distorsioni gli studiosi segnalano che quando nell’esercizio della ricerca scientifica si proiettano le gerarchie sociali sulla cellula, quest’attribuzione rafforza, altresì, l’ideologia che postula che le gerarchie sociali siano naturali.

Certamente, come segnala Navare, la proiezione delle gerarchie sociali sulla natura spesso non è intenzionale. Nel caso della cellula, c’è una lunga storia su come tale proiezione sia emersa. Una parte della storia è che quando i biologi iniziarono a studiare i cambiamenti chimici che avvengono nella cellula, trovarono molto utile, nei loro processi cognitivi, la metafora di una fabbrica. Il biologo del XIX secolo Rudolf Virchow, ad esempio, scrisse che “l’amido si trasforma in zucchero nelle piante e negli animali proprio come avviene in una fabbrica”. Mentre i ricercatori studiavano gli organelli, dalla produzione di proteine nel reticolo endoplasmatico alla produzione di energia nei mitocondri, la metafora di una fabbrica guidava, ideologicamente, il modo in cui gli studiosi parlavano di questi organelli.

Gerarchia di dominanza come valore nascosto in biologia

Stando all’analisi critica di Charudatta Navare circa il dominio gerarchico come valore celato nella retorica della biologia, un’altra parte della storia coinvolge un diverso campo della biologia, in cui gli studiosi cercano di capire come minuscole cellule diano origine a organismi multicellulari come noi umani. Seguendo l’ideologia del tempo, era idea comune immaginare che lo sperma contenesse un omuncolo, una versione minuscola del corpo, già completamente formato. Altri consideravano che la madre biologica fornisse tutto il contributo materiale all’embrione, mentre il padre prestava solo la forza generativa per spingere l’ovulo verso lo sviluppo. Solo quando gli studiosi poterono studiare il processo di fecondazione al microscopio ebbero la possibilità di osservare che ciascun genitore contribuisce con una cellula alla generazione successiva. Ma ancora la nostra cognizione antropomorfizzante possedeva incognite da delucidare. Le cellule non risultavano uguali. L’ovulo risultava enorme rispetto allo sperma, negli esseri umani, quasi 10 milioni di volte più grande in volume, come sintetizza Navare la visione dell’epoca.

In ogni modo, sembrava che l’annoso evento inspiegabile fosse risolto e che il contributo paterno alla progenie fosse molto inferiore a quello materno. A meno che, secondo natura, ciò che contava davvero fosse un minuscolo componente presente sia nello sperma che nell’ovulo. Questa ipotesi derivava da osservazioni microscopiche effettuate alla fine del XIX secolo che rivelavano che quando lo sperma e l’ovulo si fondevano durante la fecondazione, anche i loro nuclei si fondevano, ed ancora più importante, il nucleo dello sperma e dell’ovulo avevano dimensioni simili. Storici della scienza, come Hans-Jörg Rheinberger e Staffan Müller-Wille hanno descritto in A Cultural History of Heredity2 quei primi ricercatori che iniziarono a pensare al nucleo quando l’ovulo e lo sperma si univano comportandosi come fonte di informazioni ereditarie. La ricerca biologica nel XX secolo, di conseguenza, si concentrò molto di più sul nucleo, come puntualizza la fisica e studiosa femminista Evelyn Fox Keller,3 dando scarsa attenzione ai contributi provenienti dal resto dell’ovulo. Di conseguenza, nel discorso scientifico accademico prevale ancora l’esaltazione del nucleo e del suo contenuto, dei geni come informazione e, in linea con ciò, ancora oggi, domina la metafora della cellula come fabbrica.

La scienza viene descritta dall’establishment come un’attività oggettiva e priva di valori, ma i filosofi della scienza continuano a sottolineare che i valori guidano le domande che gli studiosi si pongono, le ipotesi che fanno e il modo in cui interpretano i loro risultati. Il campo degli studi scientifici femministi, in particolare, ha messo in discussione il ruolo esclusivo del nucleo per quanto riguarda l’ereditarietà.

Secondo questo campo di studi, il nucleo, ovviamente, apporta qualche contributo ereditario e ciò sarebbe già compreso in grande dettaglio. Ma il nucleo è solo un piccolo sottoinsieme del materiale ereditario genico. Al riguardo, questi studiosi avvertono che se non si cerca nemmeno l’informazione ereditaria nella cellula ovulo, se non viene mai descritta quell’informazione come ereditaria, si continuerà a propagare l’idea che l’eredità biologica sia limitata al solo nucleo.

 

Sfide all’idea della dominanza gerarchica del nucleo

Parallelamente alle studiose femministe, nel corso degli anni sono aumentate le sfide al vecchio modo di pensare. Ora si sa che molti altri tipi di informazioni ereditarie sono sparse in tutta la cellula. I biologi dello sviluppo, che studiano come si evolve un embrione da una singola cellula, hanno documentato che la disposizione spaziale di varie molecole nel citoplasma della cellula ovulo aiuta a determinare dove saranno la testa e la coda dell’organismo in crescita, come il lato anteriore si svilupperà diversamente dal lato posteriore, e così via. Dunque, il citoplasma dell’ovulo non si limita a nutrire il nucleo ma contiene informazioni codificate tramandate da generazioni precedenti.

Nella ricerca attuale, filosofi della biologia, come Marcello Barbieri dell’Università degli Studi di Ferrara, stanno cercando di reinterpretare cosa significhi il concetto di informazione nel contesto della cellula.4 Dai suoi studi della semantica in biologia, Barbieri ci segnala che il codice genetico sia l’unico codice di cui ci sembra sentire parlare, ma si chiede se sia, davvero, giusto, oppure se si tratti di un pregiudizio che emerge dalle società gerarchiche di cui gli studiosi fanno parte.

Nel suo libro I codici organici. La nascita della biologia semantica,5 Barbieri descrive i presupposti che hanno preceduto la teoria del codice genetico nel nucleo come culmine di tutto. L’idea dell’informazione codificata nei geni, che dirigerebbero la costruzione delle proteine, è nata per prima. Ed è stato solo in seguito a questa previsione che il DNA fu documentato sperimentalmente e concettualizzato come codice genetico.

Barbieri definisce questa teoria una profezia che si autoavvera. Stando a lui, poiché gli studiosi non avevano mai formulato ipotesi simili sui codici nel citoplasma della cellula, non erano orientati a cercarli. Barbieri ci segnala che ci viene detto che i geni contengono i blueprint [programmi] per produrre proteine. Tuttavia, secondo l’euristica in materia, i geni non conterrebbero tutte le informazioni necessarie per produrre le proteine. L’euristica di Barbieri ci specifica che tali informazioni comprendono solo una catena proteica unidimensionale. Da questa prospettiva perfino la struttura tridimensionale che assumono le proteine, vitali per la loro funzione, sarebbe determinata dall’ambiente cellulare. Inoltre, il modo in cui si comportano le proteine varia, addirittura, a seconda della loro posizione nel citoplasma. Dalla ricerca di Barbieri si può postulare che le informazioni genetiche, da sole, non siano affatto sufficienti affinché la cellula possa funzionare.

Ulteriori approfondimenti sulle informazioni nel citoplasma provengono da biologi che studiano come gli organelli cellulari interagiscano tra loro, come segnala Navare. Quest’ambito di ricerca ha documentato che la cosiddetta catena di montaggio lineare, costruita dai libri di testo, non cattura neanche lontanamente le numerose funzioni degli organelli nel citoplasma o i molti modi diversi in cui interagiscono tra loro e si influenzano a vicenda. L’interazione sfumata tra gli organelli cellulari, sostiene Navare, rappresenta, infatti, una sfida diretta alla nozione di ordine coercitiva e top-down suggerita da una fabbrica centralizzata. I cosiddetti reparti della fabbrica sembrano, secondo l’euristica recente, comunicare tra loro e passarsi informazioni a vicenda senza tenere informata la sede centrale.

Quest’euristica che suggerisce un’interpretazione diversa riguardo le informazioni raccolte nel citoplasma porta gli studiosi critici della semantica nel discorso della biologia a chiedersi perché i libri di testo moderni, che dovrebbero divulgare la conoscenza raggiunta nelle istituzioni dell’establishment, continuino a rappresentare la cellula come una struttura gerarchica.6 Tale domanda critica non solo riguarda i libri di testo ma il giornalismo scientifico stesso che continua a fare riferimento ai codici e ai programmi dei geni nel nucleo quando si discute di come si sviluppa e si evolve la vita.

Per Navare,7 la presa della visione centralizzata della cellula deriva dal modo in cui essa entra in risonanza con l’ordine sociale dominante. Il nucleo, che fornisce istruzioni, e il citoplasma, che esegue il lavoro di nutrimento, ci sembrano un’immagine naturale e, persino, ovvia in una società gerarchica. Un nucleo centrale che ordini al suo citoplasma di svolgere, effettivamente, dei compiti, ci appare come un’interpretazione adatta nel contesto di una società stratificata in classi. E, tuttavia, anche nel secolo scorso, alcuni studiosi provenienti da situazioni sociali diverse ebbero allora una visione diversa della cellula.

Si pensi a come vedeva la cellula il biologo afroamericano Ernest Everett Just. Il suo principale contributo è stato il riconoscimento del ruolo fondamentale della superficie cellulare nello sviluppo degli organismi. Con il suo lavoro, nell’ambito della biologia marina, citologia e partenogenesi, ha documentato l’importanza dello studio delle cellule intere nel loro ambiente naturale, l’acqua di mare, anziché quello delle singole parti cellulari isolate in laboratorio. Nel suo libro The Biology of the Cell Surface, pubblicato da P. Blakiston’s Son nel 1939, Just sosteneva che il citoplasma era capace di autoregolazione e auto-differenziazione e lamentava la visione prominente dello sviluppo che relegava il citoplasma a un mero guscio nutritivo.

Il biologo dello sviluppo Scott Gilbert ha analizzato, nel suo studio Cellular Politics,8 l’interpretazione di Ernest Everett Just nel contesto della sua posizione sociale di un nero all’inizio del ‘900 nell’establishment accademico bianco degli USA. La visione standard dello sviluppo sosteneva che le istruzioni per lo sviluppo si trovassero nei geni centrali. La visione di Just era che il citoplasma contenesse un potenziale di sviluppo e che la funzione del nucleo sarebbe quella di aggiungere o rimuovere ostacoli dal suo percorso.

Come osserva Navare, il concetto di citoplasma di Just è che esso sia in grado di funzionare senza istruzioni esplicite da parte del nucleo. Si governa e sviluppa appena il nucleo rimuove gli ostacoli sul suo potenziale. Stando a Scott Gilbert, storicamente, la maggior parte dei ricercatori erano uomini, di classe superiore e appartenenti alle caste e alle razze dominanti. La sua interpretazione è che sia stato possibile che la posizione sociale di questi studiosi li abbia aiutati a relazionarsi con la nozione di un nucleo che continua a impartire istruzioni dando per scontate le conoscenze e le competenze richieste per svolgere effettivamente il lavoro. David Baltimore, Nobel per la medicina nel 1975, descriveva i geni nel nucleo come la suite esecutiva e il citoplasma come la fabbrica. L’immagine rimanda all’ideologia che ci descrive i dirigenti come preziosi e meritevoli di una maggiore remunerazione, mentre si ritiene che le masse lavoratrici in fabbrica si limitino a eseguire le istruzioni, sottovalutando la loro ricchezza di conoscenze e abilità, esplicite e tacite.

 

L’assenza di metafore alternative per descrivere la cellula

Si può condividere, come propone Charudatta Navare che la cellula come fabbrica sia solo una metafora. Si può ugualmente considerare, come suggerisce al riguardo Arvid Ăgren,9 che le metafore scientifiche dovrebbero essere giudicate in base alla loro utilità. Oppure, come radicalmente propone David Dobbs, che nessuna metafora sia perfetta. La metafora della cellula come fabbrica è stata, senza dubbio, utile nel guidare la traiettoria euristica della biologia cellulare. Ciò che si intende sottolineare con questi accenni è la mancanza di altre metafore. Proprio perché nessuna metafora sarebbe perfetta, si possono impiegare più metafore, ciascuna delle quali contribuisca a spiegare determinati aspetti della cellula. Sfortunatamente, la metafora centralizzata e gerarchica, così pervasiva nei libri di testo, è, spesso, l’unica utilizzata per descrivere il funzionamento interno della cellula

Riguardo questa carenza, Charudatta Navare ha suggerito una metafora alternativa per il nucleo cellulare, proponendo, provvisoriamente, di immaginarlo come un quaderno collaborativo. In questa sua interpretazione, la cellula conserverebbe questo taccuino e tutti i componenti della cellula lo userebbero per tenere traccia delle loro attività e aiutare a mantenere la cellula. La cellula scriverebbe nel quaderno, scribacchierebbe nei margini e rimanderebbe ai propri appunti. Gli organelli cellulari avvertirebbero i reciproci bisogni e si prenderebbero cura l’uno dell’altro. Mentre la metafora della fabbrica attribuisce controllo e informazione al nucleo, il nucleo come quaderno collaborativo mostrerebbe l’azione d’insieme da parte della cellula. Mentre la metafora della fabbrica fa sembrare la cellula ossessionata dalla produzione, metafore alternative potrebbero evidenziare l’aiuto reciproco tra i componenti cellulari e il lavoro di mantenimento della cellula.

Nella sua analisi della semantica convenzionale utilizzata dall’establishment nella biologia, Charudatta Navare ancor si chiede perché si riscontri un’assenza di tali metafore alternative nel discorso accademico o cosiddetto scientifico. Nella sua ironica argomentazione si chiede perché dovremmo ritenere eccessivo antropomorfismo parlare di organelli che si prendono cura l’uno dell’altro ma non ritenere antropomorfico parlare di geni che istruiscono i loro subalterni. Ciò lo porta perfino a chiedersi se questo antropomorfismo selettivo non porti effettivamente a rafforzare l’ideologia del controllo centralizzato attraverso le metafore accademiche accettate. Se lo stato delle cose, nell’euristica della biologia cellulare, stanno proprio così, non si riuscirà, sostiene Navare, a capire come funziona la cellula finché non si sia verificata l’ipotesi delle metafore alternative, come quella del quaderno condiviso. Se si intende voler comprendere la struttura indisciplinata che effettivamente sarebbe la cellula, si dovrebbe cambiare le lente attraverso le quali stiamo interpretando il mondo.

Al di là del funzionamento della cellula, questa discussione sulla semantica della gerarchia nella descrizione del nucleo della cellula ha implicazioni più ampie per la cosiddetta attività scientifica della biologia. La cellula non è l’unico sistema naturale descritto utilizzando metafore centralizzate. Parliamo di società di insetti che hanno regine, come ci segnala Deborah Gordon,10 e di ciò che viene, letteralmente, chiamata struttura di caste nel mondo delle formiche. Dalla prospettiva gerarchica avremmo primati alfa che guidano il gruppo e mantengono gli harem, come segnala lo studioso David P. Barash.11 In effetti, l’establishment scientifico descrive il gorilla maschio adulto (silverback) come protettivo, onnipotente, spaventoso e terribile, quasi modellato ad immagine e somiglianza del dio monoteista.

 

La cosiddetta verità della natura, persuasa dai nostri valori, rafforza gli stessi valori nel mondo sociale

Di conseguenza, il motivo per cui troveremmo il funzionamento centralizzato ovunque non sarebbe necessariamente perché davvero sia ovunque. Sembra che sia ovunque a causa della cognizione ideologica attraverso la quale interpretiamo il mondo. Quando le cosiddette narrazioni scientifiche, utilizzando tutta l’autorevolezza della scienza, proiettano la gerarchia sociale sulla natura, possono rafforzare la stessa presunta gerarchia nel naturale. Il modello centralizzato, dalle cellule ai gruppi sociali animali, suggerisce che tutto in natura sia centralizzato e che la centralizzazione funzioni. La cosiddetta verità sulla natura sarebbe influenzata dai nostri valori, e questa verità potrebbe, quindi, svolgere un ruolo nel raddoppiare e rafforzare gli stessi valori sociali nel mondo.

Ma perché, uno si potrebbe chiedere, quest’argomentazione è importante? Dopotutto, indipendentemente da come sia la natura, ciò che viene considerato morale nella società umana dovrebbe essere distinto dal resto del mondo animale. In effetti, la violenza è presente in natura, ma ciò non la rende giusta nel mondo dei valori sociali umani.

La storica della scienza Lorraine Daston in Against Nature (2019)12 ha documentato che le argomentazioni su ciò che sarebbe naturale hanno sempre avuto un peso morale. Ciò che è naturale può non determinare ciò che è considerato morale, ma può influenzarlo. Un altro aspetto importante, ovviamente, è la preoccupazione per una rappresentazione accurata della natura. Se la proiezione delle disuguaglianze sociali sulla cellula distorce la nostra comprensione della cellula, dovremmo cercare di essere consapevoli di questa proiezione, perché comprendere la cellula è vitale per l’euristica nelle scienze della vita e per la salute umana.

 

 

La conoscenza come costruzione sociale

Riguardo alla pertinenza di questa breve disamina, circa il concetto della cellula in biologia, nel contesto di BIO Educational Papers, è proprio quella di aggiungere un altro esempio di come la conoscenza, compresa la medicina, sia una costruzione sociale. Infatti, il modo in cui la scienza dell’establishment concettualizza la cellula ci dà un’idea di come noi, cittadini del sistema, pensiamo alla cosiddetta oggettività scientifica. Spesso la retorica in materia propone che quando i valori umani interferiscono con la scienza, la cosiddetta ricerca della verità e dell’accuratezza sia messa a rischio. Il suggerimento di questa precettistica sarebbe che gli scienziati dovrebbero lasciare i loro valori e le loro convinzioni fuori dai loro laboratori. Tuttavia, tutta l’euristica della epistemologia della scienza suggerisce l’impossibilità di una tale dichiarazione. Non è possibile essere liberi da valori. Per fare buona scienza, però, negare la loro influenza mina la qualità del lavoro scientifico. Invece di negarli, riflettere su valori e pregiudizi aiuterebbe i ricercatori capire i contenuti ideologici attivi nei processi cognitivi e di elaborazione concettuale. L’autoriflessione, ad esempio, potrebbe aiutare i ricercatori ad identificare, in che modo, i loro valori modellano la loro ricerca e a pensare a progetti sperimentali che potrebbero esplicitare come le loro visioni del mondo configurano le loro ipotesi, prima di compromettere i risultati.

La scienza è senza dubbio un’impresa umana. La filosofa femminista Donna Haraway descrive la scienza come una conversazione tra prospettive parziali che ogni individuo ottiene dal punto di vista vantaggioso della propria posizione. Come dimostra il caso di Ernest Everett Just, persone con esperienze di vita diverse, potrebbero avere prospettive diverse e porre domande diverse. Certo, i collegamenti tra il background degli studiosi e il loro lavoro non sono sempre così diretti. Tuttavia la posizione sociale dei ricercatori può agire come uno dei fattori che influenzano il loro lavoro. Spesso si pensa, ingannevolmente, come segnala Navare, che la scienza si autocorregga. Pensiamo, ingenuamente, che la scienza cambi il suo punto di vista quando vengono alla luce nuove informazioni. Ma queste nuove informazioni non emergono dal vuoto né emergono solo dalle nuove tecniche. Questa parzialità viene generata anche quando persone con prospettive diverse guardano gli stessi dati attraverso lenti diverse. Sebbene la diversità e la rappresentanza siano importanti di per sé dal punto di vista dell’equità, le diverse prospettive vanno a vantaggio soprattutto della scienza, sostengono gli esperti in materia. L’oggettività, sostiene Navare, non è un peso individuale ma collettivo.

Dalla sua prospettiva, se non riusciamo a concepire la cellula, unità base di organismi come il nostro, senza gerarchie coercitive, non potremo mai apprezzare, appieno, la complessità della natura. Se non riusciamo a immaginare una società senza un’autorità centralizzata, puntualizza Navare, troveremo difficile comprendere o dare potere agli oppressi. Se non riflettiamo sui nostri presupposti, ci suggerisce Navare, la nostra scienza sarà carica di così tante mine che potrebbe non riuscire mai a svelare la complessità della vita. Come sostiene Navare in Dominance Hierarchy as a Hiden Value in Biology, le narrazioni scientifiche proiettano, immancabilmente, le gerarchie sociali sulla natura. Ecco perché abbiamo bisogno di metafore migliori per descrivere la vita cellulare.

______________Note _________________

1 Emily Martin. Medical Metaphors of Women’s Bodies: Menstruation and Menopause. International Journal of Health Services. Vol. 18, No. 2, pp237-254, 1988

2 Staffan Müller-Wille and Hans-Jörg Rheinberger. A Cultural History of Heredity. Chicago University Press, 2012

3 Evelyn Fox Keller. Developmental Biology as a Feminist Cause? Osiris, Vol. 12, Number 1, 1997

4 Marcello Barbieri. The Organic Codes. An Introduction to Semantic Biology. Cambridge University Press. 2009

5 Marcello Barbieri. I codici organici. La nascita della biologia semantica. Pesquod, 2000

6 Charudatta Navare. Instructions, commands, and coercive control: a critical discourse analysis of the textbook representation of the living cell. Cultural Studies of Science Education 18, 755–789, 2023

7 Navare, C. Instructions, commands, and coercive control: a critical discourse analysis of the textbook representation of the living cell. Cultural Studies of Science Education 18, 755–789 (2023).

8 Gilbert, Scott F. Cellular Politics: Ernest Everett Just, Richard Β. Goldschmidt, and the Attempt to Reconcile Embryology and Genetics”. The American Development of Biology, edited by Ronald Rainger, Keith R. Benson and Jane Maienschein, Philadelphia: University of Pennsylvania Press, pp. 311-346. 1988

9 J Arvid Ăgren. The Gene’s-Eye View of Evolution. Oxford University Press, 2021

10 Deborah M Gordon. Ant Encounters: Interaction Networks and Colony Behaviour. Princeton University Press. 2010. Gordon puntualizza che La colonia di formiche è spesso servita come metafora dell’ordine e della gerarchia umana ma che la vera società delle formiche sarebbe radicale nella sua essenza e che la cosiddetta “regina” non governa niente.

11 David P. Barash. Through a Glass Brightly: Using Science to See Our Species as We Really Are. Oxford University Press, 2018.

12 Lorraine Daston. Against Nature. The MIT Press, 2019