Philip Ball: lo stato dell’arte della narrativa della biologia molecolare

Non siamo macchine! Un quadro fresco di come non funzionerebbe la vita

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28 Settembre, 2024
Tempo di lettura: 20 minuti

BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIII • Numero 51 • Settembre 2024

 

Il punto della situazione …

BIO Educational Papers, in quanto progetto editoriale, parte dall’ipotesi che le scienze siano discorsi che si inseriscono nella continua costruzione della realtà sociale, eseguita e custodita dall’establishment, termine che descrive il potere costituito con le sue tradizioni, il suo pensiero dominante in campo politico, artistico, scientifico ed accademico. Questa teoria consente ai curatori di BIO di svolgere un’attività di decostruzione delle idee, delle nozioni, dei concetti, dei modelli e delle metafore che costruiscono tali discorsi o narrative.

Per sensibilità, il progetto editoriale declinato sotto in nome di Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità, è portato alle discussioni che riguardano il retroscena delle concettualizzazioni del fenomeno che comprendiamo come la vita. Di conseguenza, la biologia, in quanto l’insieme di scienze riguardanti gli organismi viventi, costituisce uno dei discorsi che, naturalmente, si presta alle decostruzioni di BIO.

Al riguardo cito l’argomentazione apparsa in BIO 45 di marzo del 2023 sotto il titolo: La visione della cellula come un’entità dinamica e il suo corollario che suggerirebbe che noi umani e gli organismi complessi saremmo solo uno dei tanti possibili risultati. Considero quest’articolo come rappresentativo nel percorso di decostruire la narrativa della biologia riportando la ricerca che suggerisce che quanto più gli studiosi comprendono come le cellule producono tratti e forma, tanto più inadeguata diventa l’idea di un modello genetico.

Tale articolo è debitore allo studioso e divulgatore scientifico Philip Ball al quale ho scelto ancora come guida e credito di questa discussione sul punto della situazione riguardo la narrativa della biologia. In effetti, in questo lavoro mi prendo cura di divulgare il pensiero di Ball relativo al suo saggio We are not machines  nel quale Ball espone ciò che lui considera lo stato dell’arte della narrativa in biologia dopo aver trascorso l’estate del 2019 come visitatore nel Dipartimento di Biologia dei Sistemi alla Harvard Medical School, dove gli esperti gli avrebbero aperto gli occhi sui preconcetti sistematici della narrazione convenzionale. Lì Ball sarebbe venuto a conoscenza della misura considerevole in cui alcune importanti molecole biologiche non sceglierebbero necessariamente i loro partner di legame con una selettività squisita e stretta ma che, al contrario, sarebbero altamente promiscue e formerebbero solo partnership molto transitorie e deboli. Lì, proprio alla Harvard Medical School, sarebbe venuto a conoscenza di come le cellule di un dato tipo non producano tutte serie identiche di biomolecole e così via.

 

Il cosiddetto balzo in avanti del Progetto Genoma Umano nella nostra comprensione delle ipotizzate “basi della vita”

Si potrebbe essere perdonati se si pensasse che l’inizio del millennio sia stata un’età dell’oro per le scienze della vita. Dopo i giorni felici degli anni ’50 e ’60, quando fu modellata e accettata la pensata1 struttura del DNA, vale a dire di ciò che sarebbe ritenuta essere la vera natura dei geni e di ciò che sarebbe l’immaginato codice genetico stesso, il Progetto Genoma Umano, lanciato nel 1990 e culminato con un annuncio preliminare dell’intera sequenza del genoma nel 2000, sembrava, ed è stato presentato come, un balzo in avanti altrettanto straordinario nella nostra comprensione delle possibili basi della vita stessa.

Secondo quanto riferito da Ball, ancora al momento dell’avviamento del Progetto Genoma Umano (PGU), la narrativa istituzionale proponeva che la sequenza del genoma2 rivelasse l’ordine esatto in cui i cosiddetti mattoni chimici o basi azotate puriniche e pirimidiniche (di cui, per noi umani, esisterebbero3 quattro tipi distinti: la guanina, rappresentata dalla lettera G, l’adenina dalla lettera A, la timina dalla T e la citosina dalla C) che comporrebbero il nostro DNA fossero disposti lungo i filamenti a doppia elica del modello della molecola.

La narrativa convenzionale della biologia molecolare poi certifica che i nostri genomi avrebbero circa 3 miliardi di queste lettere ciascuno. Anche se la nozione sembra molto precisa, leggerle tutte è una sfida enorme, eppure il Progetto Genoma Umano avrebbe, effettivamente, trasformato il sequenziamento del genoma nel giro di un paio di decenni da una procedura molto lenta e costosa in qualcosa che si può ottenere tramite ordine postale al prezzo di un pasto per due. Da quando quella prima sequenza è stata svelata nel 2000, centinaia di migliaia di genomi umani sarebbero stati decodificati, dando un’indicazione della variazione da persona a persona nella sequenza.

Queste informazioni, puntualizza Ball, avrebbero fornito una risorsa vitale per la biomedicina, consentendo alla ricerca, in particolare, di identificare quali parti del genoma fossero correlate a quali malattie e individualità. Tuttavia, spiega Ball, come per gli sbarchi sulla Luna dell’Apollo, con cui il PGH è stato regolarmente confrontato nei media, tutto quell’investimento nella tecnologia di sequenziamento genico e i decenni successivi al trionfo iniziale sarebbero sembrati una specie di anticlimax. Nonostante il suo possibile valore pratico, Ball sostiene che il sequenziamento in sé offra pochi progressi nella comprensione del funzionamento del genoma, o della vita stessa. Come scrisse il Nobel, biologo molecolare, Sydney Brenner nel 2010,4 il paragone con il programma Apollo risulta essere “letteralmente corretto”:

perché mandare un uomo sulla luna è facile; riportarlo
indietro è difficile e costoso. Oggi la sequenza del genoma
umano è, per così dire, bloccata su una luna metaforica ed
è nostro compito riportarla sulla Terra e darle la vita che merita.

Questo compito, riferisce Ball, non sarebbe andato come previsto. Gli abbondanti database del genoma non avrebbero ancora prodotto il flusso di nuovi trattamenti e farmaci che alcuni avevano previsto dalla medicina basata sui geni, né avrebbero mantenuto la promessa di terapie sintonizzate sui nostri genomi individuali. Lo sviluppo dei farmaci, nel suo complesso, spiega Ball sarebbe stagnante o addirittura rallentato negli ultimi decenni, diventando sempre più costoso. Per di più, la maggior parte dei farmaci verrebbe ancora sviluppata tramite trial and error alla vecchia maniera, non sfruttando i dati genetici. I risultati, espone Ball, sarebbero stati particolarmente deludenti per la comprensione e il trattamento del cancro, a lungo ritenuto derivare da cambiamenti (mutazioni) nelle sequenze del nostro DNA che si sarebbero ereditati o accumulati attraverso l’età e l’usura ambientale. Nonostante l’eccesso di dati genetici, stando alle valutazioni di Ball circa il punto della situazione, la biologia sembra essersi stabilizzata di nuovo in una lunga e lenta fatica.

 

I progressi nel sequenziamento del genoma avrebbero finito per minare la visione della vita su cui si basava il PGH stesso

Questo giudizio di Ball, a detta sua, però, non fa giustizia all’euristica che emerge sulla visione distorta della vita su cui si basava il PGH, mettendo in evidenza che l’idea di “riparare la vita” rimane difficile. In termini di comprensione, il corso della biologia cellulare e molecolare negli ultimi decenni non dovrebbe essere considerato soltanto una storia di promesse non mantenute. In base alle valutazioni in mano a Ball, al contrario, ci troveremmo in uno dei periodi più entusiasmanti da quando James Watson e Francis Crick ebbero riscontrato in laboratorio conferma dell’idea della struttura a doppia elica del DNA nel 1953. I progressi trasformativi dei decenni post-genomici stannro rivelando, spiega Ball, niente meno che una nuova biologia, vale a dire un quadro straordinario e fresco di come funzionerebbe la vita.5 Ironicamente, sottolinea Ball, questi progressi hanno finito per minare la visione distorta della vita su cui si basava il PGH stesso, in cui la sequenza del genoma del DNA sarebbe (nelle parole che Watson avrebbe messo in bocca a Crick) il “segreto della vita”.

Se il punto della situazione porta alla conclusione che i progressi nella sequenza del genoma abbiano svelato che la visione sulla vita su cui si basava il PGH stesso sia una visione distorta, bisognerebbe chiedersi perché non se ne sia sentito parlare. Perché, come si interroga Ball, l’euristica che emerge individuando che ci sia una visione distorta della nozione della vita, non sia stata annunciata e fatta conoscere con la stessa intensità con cui fu lanciato il PGH? A detta di Ball, parte del motivo è che la scienza è, intrinsecamente e necessariamente, conservatrice, vale a dire lenta e riluttante a cambiare le sue narrazioni e metafore. Per di più, siamo tutti, ricercatori e società, abituati a quelle vecchie.6 Il discorso su un modello genetico (blueprint), sui geni egoisti, sui manuali di istruzioni e sui codici digitali avrebbero fornito, tutto sommato, una narrazione che potevamo comprendere. Tuttavia, sotto questo aspetto, suggerisce Ball, non c’è giustificazione a questa reticenza verso nuove idee e la biologia dovrebbe ancora trovare nuove storie avvincenti per sostituire quelle obsolete. Anche se ora sappiamo che questa narrativa sia, nella migliore delle ipotesi, un’immagine parziale, e nella peggiore, fuorviante, è probabile che rimarrà in vigore finché non accadrà qualcosa che obblighi a un cambio di paradigma.

Alla luce di ciò che emerge del punto della situazione sul PGH, Ball sostiene che la necessità di una nuova narrazione non riguarda solo la comunicazione della scienza ma impatta il modo in cui la scienza stessa viene fatta. Al riguardo, Ball riferisce, in particolare, che nel 2013, il biologo del cancro Michael Yaffe7 ha lamentato la scarsità di progressi clinici derivanti dalla ricerca sui geni collegati al cancro. Yaffe ha spiegato che quei geni erano stati cercati non perché la comunità scientifica sapesse che erano la chiave per sviluppare nuovi trattamenti ma, semplicemente, perché disponeva di tecnologia per tale tipo di ricerca. La sua descrizione della situazione è stata piuttosto incisiva: “Come drogati di dati, continuiamo a cercare il sequenziamento del genoma quando le informazioni davvero utili dal punto di vista clinico potrebbero trovarsi altrove“. Alla luce di dichiarazioni del genere, possiamo, legittimamente, e dovremmo, eticamente, chiederci cosa, in effetti, sappiamo ora su come funzioni la vita che possa condurre ad un’arte della ricerca più fruttuosa?

Purtroppo, la narrazione convenzionale in biologia, a detta di Ball, è simile a quanto segue. Il nostro DNA contiene molti geni, che sono segmenti di quella molecola per cui la sequenza codifica una sequenza corrispondente di blocchi di costruzione di proteine, che sono catene di amminoacidi. Il codice genetico specifica la traduzione tra sequenza di DNA e sequenza proteica. I geni vengono letti venendo prima trascritti in molecole chiamate RNA, con una composizione chimica molto simile al DNA, e, poi, queste molecole di RNA vengono a loro volta tradotte in proteine. La maggior parte di quelle proteine sono enzimi, che facilitano le reazioni biochimiche. In questo modo, le proteine sono i “cavalli da tiro” molecolari che, in un processo complicato, ancora non completamente compreso, metterebbero insieme nuove cellule e consentirebbero agli embrioni di crescere e svilupparsi in progenie. Quindi, il genoma umano conterrebbe le informazioni necessarie per creare un essere umano.

La narrazione convenzionale in biologia cellulare e molecolare aggiunge, nel riassunto di Ball, che se un gene acquisisce una mutazione nella sua sequenza, un cambiamento in una o più delle sue lettere chimiche, codifica una proteina leggermente alterata. Noi tutti avremmo queste variazioni nel nostro genoma e la maggior parte non altera significativamente la capacità della proteina di svolgere il suo lavoro. Ma a volte una mutazione può tradursi in una proteina malfunzionante e ciò potrebbe causare veri problemi, come accade, in particolare, con alcune mutazioni del gene chiamato CFTR associato alla fibrosi cistica. Conformemente a questo paradigma, per comprendere le condizioni di salute con un aspetto ereditario dovuto a mutazioni genetiche, quindi, dobbiamo iniziare identificando il gene rilevante o i geni rilevanti.

 

Elisioni, omissioni e semplificazioni nella narrativa della biologia cellulare molecolare sostenuta dall’establishment

La descrizione precedente, riassunta da Ball, per la maggior parte, a detta sua, non sarebbe sbagliata. Sarebbe, in effetti, più che sufficiente per dare agli studenti un’idea, alquanto obsoleta, di come funziona la biologia genetica. Ma le sue elisioni, omissioni e semplificazioni, chiarisce Ball, possono creare seri equivoci su cosa siano e cosa facciano i geni. Sotto questo aspetto, Ball evidenzia, in particolare, che la maggior parte delle regioni del genoma umano che sono state pensate come collegate alle malattie non sono affatto parti di geni. Sono, invece, presenti nelle cosiddette sequenze non codificanti. A questo riguardo, riferisce Ball, dal punto di vista di ciò che si evince dallo stato dell’arte del PGH, solo circa l’1-2 percento dell’intero genoma umano è in realtà costituito da geni che codificano proteine.

Per molto tempo si è pensato che il resto delle regioni del genoma fosse per lo più spazzatura, cioè sequenze senza senso accumulate nel corso dell’evoluzione. Ma, stando a Ball, ora si sa che almeno una parte di quel genoma non codificante è coinvolta nella regolazione dei geni: alterando, attivando o sopprimendo la loro trascrizione in RNA e la traduzione in proteine. Molte regioni collegate alle malattie, espone Ball, si troverebbero, invece, in queste sequenze regolatrici, dove le mutazioni non cambierebbero le proteine stesse, ma piuttosto la velocità o la possibilità che vengano prodotte. Quindi, precisa Ball, per capire come funziona davvero la vita a livello genomico, dovremmo capire ancora meglio la regolazione genica. Questo, come lui sintetizza, non è solo incredibilmente complicato, ma non è affatto ciò che abbiamo imparato ad aspettarci dalla biologia molecolare convenzionale degli ultimi 50 anni.

Le elisioni, le omissioni e le semplificazioni nella narrativa della biologia cellulare e molecolare sostenuta dall’establishment, non si fermano qui. Seguendo il vaglio di Ball sul punto della situazione si scopre, inoltre, che non tutti i geni codificano proteine. Sotto tale aspetto, Ball considera che questo potrebbe essere uno dei segreti meglio custoditi della genetica, essendo stato individuato solo durante l’ultimo decennio, che la maggior parte dei geni non codificano proteine. Facendo un po’ di storia, Ball ci ricorda che all’inizio del PGH molti esperti stimavano che il numero di geni umani fosse di circa 100.000. Si sarebbe ben presto specificato che, in realtà, ne abbiamo solo 20.000 circa, che risulta poco più della metà di quelli della banana. Nel frattempo, i ricercatori iniziarono a segnalare geni che non si traducono mai in proteine. Sono solo trascritti in RNA, il che fa sembrare che abbiamo una funzione intrinseca piuttosto che agire, semplicemente, come messaggero per la produzione di proteine.

All’inizio del PGH, racconta Ball, questi geni ncRNA non codificanti proteine sembravano una mera curiosità. Ma il loro numero, nella documentazione della ricerca in materia, crebbe rapidamente e ora supera di poco il numero di geni codificanti. Sotto questo aspetto, Ball riferisce che alcuni ricercatori prevedono che alla fine i geni ncRNA supereranno di gran lunga i geni codificanti proteine. Stando alla documentazione al vaglio di Ball, gli ncRNA stessi possono variare enormemente in lunghezza, da molte centinaia di “lettere” a solo 20 o giù di lì. Non si sa ancora cosa facciano molti di loro, ma in generale si pensa che svolgano ruoli importanti nella regolazione genica. Al riguardo, i biologi molecolari Kevin Morris e John Mattick hanno scritto:

Sembra che potremmo aver fondamentalmente frainteso
la natura della programmazione genetica negli organismi
complessi a causa del presupposto che la maggior parte
delle informazioni genetiche sia portata a termine da proteine.
Questo … si sta rivelando non essere il caso negli organismi
più complessi, i cui genomi sembrano essere progressivamente
dominati da RNA regolatori.

Come enuncia, concisamente, Mattick, è l’RNA e non il DNA a essere il motore computazionale della cellula!

Dato il quadro di elisioni, omissioni, semplificazioni e smentite di tante presupposte nozioni, particolarmente sul genoma e sulla vita, che emerge, quando un non portatore di interessi nel progetto, come Ball, fa il punto della situazione relativa al PGH, risulta sorprendente che, almeno nell’immagine pubblica della biologia, possa sembrare che non sia cambiato molto nella narrazione della genetica dagli anni ’60.

Una delle smentite a questa narrazione ortodossa riguarda la regolazione genetica stessa. Come spiega Ball, la supposizione che ha dominato tra gli studiosi, sin dal lavoro premiato con il Nobel dai biologi François Jacob e Jacques Monod negli anni ’60, era che i geni fossero regolati. Allora si pensava che ogni gene avesse un interruttore che poteva essere acceso o spento da qualche altra molecola, come le proteine ​​chiamate fattori di trascrizione. Facendo il punto con l’euristica oggi disponibile, espone Ball, questo sembra essere tipicamente il caso di organismi unicellulari come i batteri, in cui una proteina regolatrice può riconoscere e attaccarsi alla sequenza di DNA proprio accanto a un gene, nelle sue cosiddette regioni regolatrici. In questo modo, la trascrizione viene, effettivamente, controllata con una logica digitale ordinata, per cui un gene può, tramite il suo prodotto proteico, sostituirne un altro.

Ma, da quanto emerge oggi, secondo Ball, questa non è la norma per la regolazione genetica umana. Per noi, umani, sostiene Ball, dalla stessa ricerca del PGH si evince che ci sono strati su strati di processi regolatori e gli studiosi hanno ancora poca idea di come tutto ciò si sommi. Alla luce della ricerca sulla regolazione genica si desume, ugualmente, che lo stesso fattore di trascrizione può agire su diversi geni e può avere effetti diversi sullo stesso gene in diversi tipi di cellule per cui il risultato dipende da alcune informazioni contestuali di livello superiore. Un altro aspetto che è emerso è che i geni sono altresì regolati dal modo in cui il materiale fisico dei cromosomi, chiamato cromatina, un composto di DNA con proteine ​​attaccate chiamate istoni, verrebbe impacchettato, il che costituisce una questione poco compresa. Per rendere comprensibile la questione, Ball ci suggerisce di immaginare ciò che accadrebbe come se alcune parti del genoma venissero archiviate dove non possono essere lette. Inoltre, segnala Ball, l’impacchettamento della cromatina è influenzato da gruppi chimici che si attaccano alle proteine ​​istoniche, forse in risposta a segnali chimici come gli ormoni. Al riguardo, aggiunge Ball, gli studiosi della regolazione genetica non comprendono il linguaggio di queste modifiche istoniche, perché, particolarmente, a volte esse sopprimono i geni e a volte li attivano. Queste modifiche nel processo di impacchettamento del materiale fisico dei cromosomi, ancora non comprese, sarebbero però importanti. In effetti, le mutazioni dei geni che producono enzimi che modificano gli istoni, in particolare, sono state implicate in alcune malattie.

Per di più, per smentire la narrativa della genetica dagli anni ’60 su cui si è bassato il PGH, emerge che i nostri geni tendono a essere regolati non da singole molecole, ma da intere bande di esse. Sotto questo aspetto Ball spiega che la congettura degli esperti sarebbe che i fattori di trascrizione agirebbero insieme ad altre molecole, in particolare con quel ncRNA regolatore e, anche, con segmenti regolatori del DNA chiamati potenziatori, con isolanti e così via, in vasti gruppi che si riunirebbero in collettivi sciolti, che alcuni chiamano condensati. Conformemente a quanto riferisce Ball, nessuno sa come funziona tutto questo, nonostante che la nostra salute e la nostra vita stessa dipendano dal suo andamento.

 

Sembra che il fenomeno della vita non possa essere compreso con nozioni meccanicistiche: più l’organismo è complesso più vaghi sembrano essere i suoi “meccanismi” molecolari

Dopo questa carrellata di elisioni, omissioni, semplificazioni e smentite, la tentazione è quella di alzare le mani e concludere che, almeno per noi umani, il funzionamento di ciò che intendiamo come vita supera ogni nostra umana comprensione. In effetti, Ball riferisce che sotto questo aspetto, alcuni biologi avrebbero lasciato intendere la stessa cosa, suggerendo che potremmo non comprendere mai veramente la vita in termini meccanicistici, ma dovremmo, semplicemente, affidarci al data mining con l’intelligenza artificiale black-box per fare previsioni su cosa porterà a cosa.

Ball, però, contesta questa posizione, sostenendo che, al contrario, non dovrebbe essere difficile capire perché più l’organismo è complesso, più i suoi meccanismi molecolari devono essere vaghi. Al riguardo lui pensa che una macchina enorme che funziona solo se tutti i suoi innumerevoli componenti si incastrano in modi coordinati con precisione sarebbe troppo fragile, soprattutto se quelle parti, come le molecole, si muovono costantemente in modo casuale in un ambiente caldo e umido. Allo stesso modo, suppone Ball, se ciò che intendiamo per la vita si basasse sulla lettura accurata di innumerevoli istruzioni genomiche, esattamente nell’ordine giusto, sarebbe troppo vulnerabile agli errori. Queste, stando a lui, sono le ragioni per cui si può sostenere che non siamo macchine. A parer suo, una soluzione molto migliore e più solida è trovare principi che funzionino su molti livelli gerarchici, con andamenti ad un livello gerarchico che non siano troppo sensibili ai dettagli dei livelli sottostanti. In questo senso, la regolazione genica tramite condensati alquanto vagamente definiti anziché tramite interruttori molecolari specifici, in particolare, significa che la regolazione genica può, in qualsiasi modo, funzionare senza che ogni molecola debba essere presente e corretta.

Nella sua interpretazione non-meccanicistica circa come funzionerebbe la vita, Ball sostiene che l’evoluzione, attenendoci a termini antropomorfici, ha, in un certo senso, “progettato” le nostre molecole per funzionare in questo modo poco chiaro. Facendo riferimento allo stato dell’arte sulla questione di come funzioni la vita, da quanto emerge da una revisione accurata dei risultati del PGH, Ball suggerisce che, in contrasto con il principio chiave-serratura, in base al quale si è a lungo pensato che gli enzimi proteici riconoscessero e trasformassero le loro molecole bersaglio, alcune delle proteine ​​più importanti nelle nostre cellule, tra cui molti fattori di trascrizione, avrebbero forme che sarebbero solo vagamente definite, consentendo loro di attaccarsi ad altre senza essere troppo esigenti al riguardo. Inoltre, ipotizza Ball, quei piccoli RNA regolatori sarebbero, generalmente, troppo piccoli per trasportare informazioni sufficienti affinché le loro unioni siano molto selettive. Anche loro lavorerebbero collettivamente, arrivando a una decisione, per così dire, tramite comitato.

 

Un’euristica aggiornata circa la regolazione genica porterebbe ad una visione non-meccanicistica

Grazie alla sua ricerca, circa il punto della situazione dei risultati del PGH, iniziata nel 2019 nel Dipartimento di Biologia dei Sistemi alla Harvard Medical, Ball è venuto a conoscenza che, in misura considerevole, alcune importanti molecole biologiche non scelgono necessariamente i loro partner di legame con una selettività univoca e meccanica, ma che, al contrario, sono altamente promiscue e formano solo partnership molto transitorie e deboli. Inoltre, sarebbe venuto a conoscenza di come le cellule di un dato tipo non producano tutte serie identiche di biomolecole e di come si potrebbero quantificare la varietà.

Se questo punto della situazione risulta attendibile, bisogna ammettere che le cellule possano comportarsi in modalità alquanto vagamente definite nella costruzione di tessuti e organi, differendo sostanzialmente nel mix preciso di molecole che contengono. Se questa è la situazione che emerge, allora, si può ipotizzare con Ball che lassità e permissività, riguardino tutta la scala, dalle molecole alle reti, alle cellule, ai tessuti e ai corpi, in un modo che lui denomina diffusione causale. Ammettere che le cose stiano così, riguardo la regolazione genica, significa che le effettive cause dei risultati a livello di tratti e di salute non provengono tutte dal basso verso l’alto, cioè dai geni, ma emergono a tutti i livelli nella gerarchia delle scale. Sotto questo aspetto Ball propone di considerare che ciò che intendiamo come vita funziona con questa lassità e permissività anziché mediante andamenti univoci e meccanicistici.

 

La peculiare silenziosità della biologia riguardo ai progressi concettuali degli ultimi decenni

Dato il rilievo attribuito alla conoscenza del genoma per la salute umana, perché, dobbiamo naturalmente chiederci, questi controversi sviluppi all’interno della biologia molecolare sono stati così poco discussi al di là di una piccola cerchia di specialisti? Nell’opinione di Ball, ciò può avere qualcosa a che fare con le abitudini del settore. Nella sua esperienza, avendo interagito a lungo con scienziati di ogni convinzione, lui riferisce di aver notato un contrasto tra il modo in cui fisici e biologi ricevono e comunicano nuove idee. A detta sua, i fisici sono spesso ansiosi di proclamare, al volo, appena c’è una confutazione oppure una scoperta, che ciò cambierebbe tutto. I biologi, d’altro canto, racconta Ball, pur non essendo dei fannulloni nel promuovere la copertura mediatica del proprio lavoro, sembrano piuttosto avversi ai grandi cambiamenti nella loro narrativa.

Ball ha incontrato questa tendenza un decennio fa, quando diventò evidente, per la prima volta, grazie a un progetto internazionale chiamato ENCODE, che gran parte della porzione non codificante del genoma umano, fino all’80 percento in alcune cellule, in un momento o nell’altro, viene trascritta in RNA nonostante non abbia alcuna funzione nota. Sotto questo aspetto, Ball suggerisce che la domanda pertinente da farci è perché una cellula dovrebbe preoccuparsi di fare quello sforzo, a un certo costo in termini di energia e risorse, se queste sequenze di DNA fossero tutte solo spazzatura?

La risposta, spiega Ball, si rivela complicata. Nella sua interpretazione lui congettura che parte di quel DNA potrebbe effettivamente essere solo roba senza senso che verrebbe trascritta, semplicemente, perché sarebbe più facile per la cellula continuare a produrre RNA che avere molti controlli precisi su dove fermarsi. Ma una buona parte di RNA non codificante avrebbe, evidentemente, una funzione biochimica. Queste perplessità evincono, a detta di Ball, quanto ancora non capiamo della genomica.

Anche se il lavoro di ENCODE ha suscitato reazioni di critica in alcuni biologi che lo hanno giudicato un’eresia evolutiva, altri, a quanto riferisce Ball, meno avversi, hanno detto che, anche se la biologia fosse, effettivamente, più complicata di quanto pensiamo, dirlo al pubblico non farebbe altro che sconvolgere lo status quo.

Nell’interpretazione di Ball c’è, però, più di un’abitudine disciplinare nella peculiare silenziosità della biologia riguardo ai progressi concettuali degli ultimi decenni. Per prima cosa, bisogna prendere in considerazione che ora c’è molto investito – intellettualmente, in termini di reputazione e finanziariamente, nella narrazione obsoleta del Progetto Genoma Umano, con la sua insistenza sul genoma come manuale di istruzioni per creare (e, indirettamente, per assemblare) le nostre parti molecolari. Per spiegare perché non abbia ancora fornito le cure promesse, si insiste a dire che la mappatura della regolazione genica si è rivelata piuttosto più complicata. Per Ball, invece, bisogna che riconoscano che stavamo lavorando con l’immagine sbagliata, in primo luogo. Quindi, visto l’investimento, l’entusiasmo intorno ai geni e all’HGP non si dissolverà da un giorno all’altro.

Tuttavia, qualsiasi imbarazzo sotto quest’aspetto era evitabile. Al riguardo Ball ci spiega che nella misura in cui la nuova biologia comporta un declassamento del significato dei geni, che ora sembrano più risorse ereditarie che le cellule utilizzano anziché il “segreto della vita” di Watson, questo arretramento è stato causato, in primo luogo, dal peso, piuttosto assurdo, della responsabilità posta sui geni. Stando a lui, avrebbe dovuto essere sempre chiaro che i geni non mettono insieme, in qualche modo, cellule e organismi, ma che, piuttosto, le differenze tra le varianti geniche spiegano parte della variabilità nel modo in cui gli organismi si sviluppano.

Negli ultimi anni, ci racconta Ball, è diventato anche molto più difficile per gli scienziati ammettere lacune nella conoscenza e nella comprensione, lacune che sarebbero sfruttate da tutti, dai creazionisti ai negazionisti di ogni genere, come prova del fatto che non dovremmo credere a una parola di ciò che l’establishment e il suo scientismo sostengono. Ciò si renderebbe particolarmente difficile nelle cosiddette scienze della vita. In effetti, in questo campo ci sono poste in gioco più alte legate, ad esempio, ad un medicinale iniettato nel nostro corpo piuttosto che a una revisione di una teoria cosmologica.

Ma, sicuramente, nell’interpretazione di Ball, un altro motivo per cui la trasformazione in biologia è quasi invisibile nei media scientifici dipende dal fatto che ora abbiamo una storia molto più difficile da raccontare. L’idea che “i geni creino le proteine ​​e le proteine ​​creino noi” è facile da afferrare. Il quadro reale, però, spiega Ball, rimane molto più difficile da catturare. Sotto quest’aspetto, lui considera che sentiamo così poco parlare di questa nuova biologia, in parte, perché molti giornalisti, o i loro editori, danno un’occhiata alle ultime ricerche su, ad esempio, la regolazione genica del rimodellamento della cromatina o la segnalazione cellulare ed evitano l’argomento.

Infine, Ball considera che l’inerzia narrativa riflette una tendenza generale nella scienza per cui gli scienziati si sposerebbero ancora di più con le loro metafore che con le loro teorie. A parer suo, molti biologi sembrano aver dimenticato da dove provenga la vecchia metafora del modello genetico, in primo luogo. Sotto questo aspetto, la storica e filosofa della scienza di Harvard, Evelyn Fox Keller,8 aveva sottolineato che sulla questione della regolazione genetica non ci sarebbe mai stata una nozione imposta dalle prove sperimentali, ma che le nozioni utilizzate sarebbero soltanto soluzioni tamponi per la nostra mancanza di conoscenza su come le informazioni nel genoma, cioè il genotipo, fossero correlate ai tratti visibili dell’organismo, vale a dire il fenotipo.

Riguardo la considerazione che le nozioni nella scienza non siano imposte dalle prove sperimentali, David Barash spiega che il ruolo della metafora e della narrazione, in contrapposizione a nuove teorie o esperimenti, è troppo poco riconosciuto nelle discussioni circa i cambiamenti di paradigma, pensiero introdotto dallo storico della scienza Thomas Kuhn, riguardo i presunti e contestati momenti di cambiamento epocale nella scienza. Barash mette in evidenza che tutti gli scienziati sono a conoscenza di come procedere per esaminare una teoria, vale a dire la si usa per formulare un’ipotesi verificabile e poi si procede con l’esperimento. Se la teoria fallisse il test, sarebbe solo il metodo scientifico all’opera. Ma le metafore, come vivamente puntualizza Santos Genta, non sono affatto il tipo di cose che si testano: non ci sono strumenti critici progettati per sfidarle! Esse vengono considerate solo come espressioni di come stanno le cose, costituiscono una componente invisibile del paradigma prevalente.

In quanto componenti invisibili di un paradigma, le metafore sono difficili da rimuovere quando la loro utilità è venuta meno. Come sostiene Santos Genta, gli scienziati trovano, invece, modi ingegnosi per tenersele strette. Di conseguenza, i geni possono, in un’ontologia tutta umana, ancora essere “egoisti” e gli organismi possono ancora essere “macchine”, i cervelli “computer”, i genomi “progetti”, finché diamo a quelle parole metaforiche interpretazioni diverse da quelle quotidiane, negando così, ovviamente, il loro valore come metafore. Keller aveva scritto eloquentemente su questo problema:

Questo stile o abitudine di scivolamento cronico da un
insieme di significati all’altro ha prevalso per oltre 50 anni;
è diventato così profondamente radicato da essere stato
effettivamente invisibile alla maggior parte dei lettori della
letteratura biologica. Questa caratteristica che suggerisco,
la qualifica come un discorso foucaultiano, con cui intendo
un discorso che opera secondo regole di esclusione storicamente
specifiche, un discorso che è costituito da ciò che può essere
detto e pensato, da ciò che rimane non detto e non pensato,
e da chi può parlare, quando e con quale autorità.
Le migliori metafore per riflettere su come funziona la vita
non provengono dalle nostre tecnologie, ma dalla vita stessa.

Questa notazione della filosofa della scienza, Evelyn Fox Keller, consente a Ball di asserire che sotto la copertura di strumenti neutrali per la comunicazione, le metafore introducono di nascosto merci ideologiche. Ball, tuttavia, sottolinea, riguardo la narrativa della biologia, che lui non suggerisce che chiunque sostenga o rifiuti l’idea di “geni egoisti” sarebbe così disonesto da negare che le argomentazioni non riguardino solo la biologia evolutiva, ma anche le connotazioni più ampie della metafora. Nella sua interpretazione della questione, Ball pensa che i biologi che sostengono l’affermazione che gli organismi siano “macchine” non lo farebbero tanto per l’appropriatezza dell’analogia, ma perché ciò significherebbe fedeltà a una visione materialista della materia, come se non si potesse rifiutare l’idea che siamo “macchine fatte di geni” senza capitolare a una visione mistica e non fisica della vita.

Ragionevolmente, suggerisce Ball,  non ci si può aspettare che i ricercatori rinuncino alle loro metafore, a meno che non ne abbiano altre con cui sostituirle. Al riguardo Keller nel 2020 scrisse che:

Se, come sostengo, il recente lavoro sulla genomica
ha finalmente sconvolto le narrazioni della genetica
dello sviluppo che hanno prevalso per oltre un secolo,
i genetisti avranno ora bisogno di una nuova narrazione
che li aiuti a orientarsi tra i cespugli che li attendono.

Quindi, si interroga Ball, come dovremmo parlare di biologia ora? Per dare una risposta al suo interrogativo lui evidenzia che la stessa Keller suggerì, in via provvisoria, che si potrebbe adottare il suggerimento della biologa premio Nobel Barbara McClintock di immaginare che il genoma sia un sistema ricettivo e reattivo anziché una banca dati passiva. In effetti, McClintock lo chiamava un “organo altamente sensibile della cellula.”

 

Immaginare che il genoma sia un sistema ricettivo e reattivo anziché una banca dati passiva

Nell’interpretazione di Ball il suggerimento di Barbara McClintock indica una considerazione più ampia. A detta di Ball, questo suggerimento mostra, in particolare, che le migliori narrazioni e metafore per pensare a come funziona ciò che intendiamo come la vita non provengono dalle nostre tecnologie, quali macchine e computer, ma dalla vita stessa. Dall’euristica che si ricava dalle elisioni, omissioni, semplificazioni e smentite, facendo il punto della situazione dell’effettiva conoscenza che avrebbe apportato alla biologia molecolare e cellulare il Progetto Genoma Umano, puntualizza Ball, alcuni biologi ora sostengono che dovremmo pensare a tutti i sistemi viventi, dalle singole cellule in su, non come aggeggi meccanici ma come agenti cognitivi, capaci di setacciare e integrare le informazioni sullo sfondo dei propri stati interni per raggiungere un obiettivo autodeterminato.

La nuova visione post-genomica che emerge da questo resoconto di Ball, che rievoca molto l’autopoiesi di Humberto Maturana e Francisco Varela, suggerisce che le nostre biomolecole sembrano prendere decisioni non alla maniera di interruttori on/off ma in comitati vagamente definiti che obbediscono ad una logica combinatoria, paragonabile al modo in cui diverse combinazioni di poche cellule fotosensibili o molecole recettrici olfattive possano generare innumerevoli sensazioni di colore o odore. Arrivare a quest’interpretazione dell’andamento di ciò che intendiamo per vita, caratterizzato da lassità e permissività anziché da andamenti univoci e meccanicistici, risulta molto impegnativo per la descrizione cosiddetta scientifica perché ciò che è straordinario della materia vivente non sono le sue molecole, ma la sua vivacità, la sua capacità di agire.

1 Immaginata come una lunga catena all’interno di ogni cellula che contiene i cromosomi con tutte le informazioni genetiche.

2 In altri termini una sequenza di DNA, che nella biologia molecolare sarebbe una successione di lettere che rappresentano la struttura primaria di una molecola di DNA, con la capacità di veicolare informazione. Le lettere utilizzate sono A, C, G e T e rappresentano le quattro basi nucleotidi adenina, citosina, guanina e timina.

3 Uno studio pubblicato su Science il 22 febbraio scorso, condotto da un gruppo di ricercatori guidati da Steven Benner (Foundation for Applied Molecular Evolution, Alachua, Florida), è riuscito a produrre in laboratorio una molecola simile al Dna che però raddoppia l’alfabeto della vita: un linguaggio molecolare di 8 lettere che secondo i ricercatori è in grado di immagazzinare e trascrivere informazione e che potrebbe risultare compatibile con la vita.

4 Brenner S. Sequences and consequences. Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci. 365 (1537): 207, Jan 12, 2010.

5 Philip Ball. How Life Works. A User’s Guide to the New Biology. The University of Chicago Press. 2023

6 Philip Ball. Beautiful Experiments. An Illustrated History of Experimental Science. The University of Chicago Press. 2023

7 Yaffe MB. The scientific drunk and the lamppost: massive sequencing efforts in cancer discovery and treatment. Sci Signal.;6(269):pe13. Apr 2, 2013

8 Evelyn Fox Keller. Making Sense of Life. Explaining Biological Development with Models, Metaphors, and Machines. Harvard University Press, 2002

Fonte immagini: operaenkglteater 

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