BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XII • Numero 47 • Settembre 2023
Guardare all’evoluzione degli uccelli per capire meglio l’evoluzione della riproduzione umana!
Sin dall’inizio della sua attività editoriale-divulgativa, BIO è costantemente alla ricerca di argomentazioni che reinterpretino le nostre consolidate nozioni con le quali intendiamo e viviamo quanto chiamiamo vita. Ciò ci ha sempre portato ad esplorare la visione creazionista, dalla quale deriva la nostra visione del mondo, con la narrativa, per così dire, scientifica, ovverosia con quelle teorie che cercano di interpretare la fenomenologia della vita e delle sue origini utilizzando documentazione e paradigmi elaborati negli ambiti della biologia evolutiva, della geologia, della fisica nucleare e della paleontologia per citarne alcuni. Quindi, esposizioni circa riproduzione ed evoluzione umana pervadono i dodici anni inoltrati di questo trimestrale. Oggi, ce ne occupiamo ancora con lo sguardo, spassoso, di un giovane biologo evoluzionista, Antone Martinho-Truswell,1 che confronta la nostra riproduzione umana con quella di altri mammiferi e, addirittura, con quella degli uccelli. La sua conclusione sarebbe che, per capire la nostra riproduzione umana, con i nostri neonati e bambini indifesi, con i nostri grandi cervelli al momento della nascita e con dei papà così stranamente coinvolti nella loro crescita, sarebbe utile guardare all’evoluzione degli uccelli anziché a quella dei mammiferi.2
Certamente, anche la visione, decisamente provocatoria, di Martinho-Truswell va contestualizzata entro i limiti e la validità della conoscenza umana, intesa essenzialmente come relazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto e per ciò intesa come una costruzione sociale, ancorché si possa considerare, come nel caso della biologia evoluzionista, conoscenza a carattere scientifico. In effetti, sia il cosiddetto soggetto che il cosiddetto oggetto appartengono alla più totalizzante costruzione sociale, vale a dire al linguaggio e al suo intrinseco pensiero che, a loro volta, costituiscono strumenti e strategie di controllo delle popolazioni umane, altrimenti spinte soltanto da un corredo genetico di specie animale.
Gravidanza e parto avrebbero spinto noi umani a essere davvero molto poco mammiferi
Che noi, umani, non saremmo qui se non per la gravidanza e il parto è, anziché un assioma, un’esperienza e, a questo punto della coscienza storica che abbiamo circa noi stessi, una consapevolezza. L’asserzione è vera per ognuno di noi e, particolarmente, vera per tutti noi, collettivamente come specie. Si potrebbe asserire, senza controversie, che queste sfide, scomode, prolungate e, addirittura, considerate culturalmente meravigliose, non solo ci guidano nel mondo, ma modellano altresì il nostro comportamento, la struttura sociale e l’andamento della nostra stessa evoluzione. Nel tentativo di accrescere la nostra consapevolezza di specie, la parte sorprendente sarebbe che, mentre gravidanza e parto costituiscono tratti fondamentali e determinanti dei mammiferi, stando all’interpretazione di evoluzione convergente di questi eventi proposta da Martinho-Truswell, gravidanza e parto avrebbero spinto noi umani a essere davvero molto poco mammiferi. Ma perché la sua interpretazione abbia senso bisogna rivisitare le nostre convinzioni in materia.
La nozione popolare spesso vuole che la selezione naturale funzioni cogliendo tratti e processi fondamentali e ottimizzandoli con ogni nuovo battito delle generazioni e delle specie. La selezione naturale, però, non funziona secondo i nostri valori umani. Invece di funzionare come uno strumento di raffinamento e perfezionamento, l’evoluzione, ci ricorda Martinho-Truswell, nel mondo reale, sarebbe tutta una questione di compromessi.3 La vita, da un punto di vista evolutivo, avrebbe dei limiti per cui grandi cambiamenti vantaggiosi in un’area spesso sarebbero sfavorevoli in altre.4 Da un punto di vista opportunistico, noi, umani, potremmo consideraci gli animali più intelligenti e complessi del pianeta, ma forse, scomodandoci, dovremmo aggiungere, come suggerisce Martinho-Truswell, che non abbiamo la biologia migliore o più ottimizzata in assoluto, soprattutto quando si tratta di riproduzione.
Assistere al parto dei nostri simili mammiferi, sperimentare la crudezza che ci svegliano la vista, l’olfatto e l’udito, mette a nudo la biologia davanti a noi. Da un lato c’è il disgusto nato dalla nostra predilezione evolutiva per evitare sangue e fluidi di altri animali, forse, come suggerisce Martinho-Truswell,5 una spinta necessaria in tempi pre-sanitari. Indipendentemente dalla volontà di abbracciare una visione positiva della funzione corporea, la nostra sensibilità culturale (o stomaco) richiede un allenamento contro le idee che popolano i nostri cervelli o l’immaginario quando qualsiasi di noi, ad esempio un medico, si ritrova impegnato con questo apparato riproduttivo evolutivo. La vergogna e l’evitamento che proviamo con tutte le forme di scarica corporea potrebbero essere interpretate come una spinta di evitamento di un’esperienza scioccante.
Ci sarebbe, tuttavia, nell’opinione di Martinho-Truswell,6 un disagio ancor più profondo che originerebbe dall’osservare partorire i nostri simili mammiferi. Si tratterebbe del fatto di trovarci esposti ad un comportamento che, dal nostro punto di vista valoriale umano, mostrerebbe un’indifferenza abissale rispetto alla nostra esperienza del parto, elaborata, dolorosa e perfino resa metafisica. Una mucca muggisce e si abbassa in un lieve disagio, come ci si potrebbe sentire sazi dopo un buon pasto, ma non è paragonabile alla sofferenza di una madre umana che partorisce. Il vitello nasce rapidamente, praticamente cadendo a terra dopo una breve spinta, niente in confronto ai nostri giorni o più di arduo lavoro. Per la nostra sopravvivenza e il nucleo della nostra felicità familiare la nostra specie sopporta dolore e rischi, suggerisce Martinho-Truswell.7 E in questo siamo soli e questo, a parer suo, ci turberebbe.
Siamo soli perché, sebbene siamo mammiferi come la mucca e come i nostri più prossimi nella tassonomia, gli scimpanzé e le altre scimmie, non ci comportiamo come mammiferi, quasi mai. Utilizzando i dettagli forniti al riguardo da Marinho-Truswell, il nostro sangue è effettivamente caldo, la nostra pelle ha i capelli, il nostro cervello è ben integrato nei suoi emisferi ma qui finiscono le somiglianze. Per essere un mammifero, viviamo troppo a lungo, siamo troppo intelligenti per la nostra taglia e ci comportiamo in modo troppo fedele ai nostri partner. In questi particolari, non siamo decisamente soli, ma, piuttosto, soli nella nostra classe,8 quella dei Mammalia (cioè i mammiferi, vertebrati con peli, allattamento e omeotermia).
L’altra classe di animali post-rettile, a sangue caldo e con un grande cervello, solo lontanamente imparentati con noi, condivide molto più di ciò che ci rende umani rispetto ai nostri prossimi di classe (i mammiferi). Per capire noi, umani,9 e la nostra riproduzione, dovremmo iniziare con gli uccelli (Aves),10 sostiene Martinho-Truswell.11
Il kiwi depone l’uovo più grande, rispetto alle proprie dimensioni corporee, di qualsiasi uccello
Nell’interpretazione di Martinho-Truswell, circa la nostra peculiarità come mammiferi, che ci renderebbe più vicini agli uccelli anziché agli altri mammiferi della nostra classe, lui suggerisce un paragone più specifico raffrontandoci con il kiwi.12 Questo insolito uccello della Nuova Zelanda è uno dei pochi ratiti13 sopravvissuti, vale a dire quel gruppo di grandi uccelli inetti al volo che include anche lo struzzo, l’emù, il casuario e il nandù. Stando a lui, ci sarebbe molto di cui essere interessati sui kiwi ma la più significativa delle loro tante stranezze è rappresentata dal loro approccio peculiare alle uova. I kiwi depongono l’uovo più grande, rispetto alle loro dimensioni corporee, di qualsiasi uccello. Di solito producono solo un uovo a stagione e in genere pesa circa un quarto del peso della madre.14 Per inquadrare un paragone più facilmente comprensibile: i kiwi hanno dimensioni simili a una gallina domestica, ma depongono un uovo sei volte più grande. A questo enorme uovo corrisponde un altrettanto enorme periodo di incubazione. Mentre un pollo siederà sul suo uovo per 21 giorni per far schiudere un pulcino e un’anatra, in genere, 28-35 giorni, a seconda della specie, il kiwi ha una media da record di circa 85 giorni per arrivare alla schiusa del suo singolo, enorme uovo.15
Certamente, dal punto di vista della teoria evoluzionista, il kiwi si sta impegnando in un compromesso evolutivo con la stessa deposizione delle uova. A noi, umani, con le nostre lunghe gravidanze e il parto doloroso, le uova potrebbero sembrarci un compromesso evolutivo invidiabile. Come, con grande senso dello humor, suggerisce Martinho-Truswell, invece di una gravidanza estenuante, un uovo enorme significherebbe niente piedi gonfi, niente reflusso acido e, soprattutto, una gravidanza che potrebbe essere condivisa poiché chiunque potrebbe tenere in caldo un uovo per qualche ora qualora la madre abbia bisogno di una pausa.
Ma nel bizzarro mondo dei ragionamenti sviluppati dagli studiosi delle declinazioni delle cellule eucariote in termini evoluzionistici, quale è il mondo di Martinho-Truswell, è importante ricordare perché la gravidanza dei mammiferi dovrebbe essere ritenuta un adattamento così riuscito. Soffermarci nel compromesso riproduttivo evolutivo del kiwi indicherebbe le ragioni di questa precisazione. In effetti, si può facilmente convenire con lui che quando un mammifero (diverso da un umano) è incinta, il tempo ci sembra dalla sua parte.16 Si prenda, ad esempio, l’elefante,17 con la gravidanza più lunga di qualsiasi mammifero: circa due anni. Il cucciolo di elefante, sebbene enorme per gli standard umani, è più piccolo in relazione alla madre rispetto ai nostri cuccioli umani e, cosa ancora più importante, è molto più piccolo rispetto ai fianchi della madre.18 Questa lunga gravidanza potrebbe sembrarci un po’ una seccatura, ma per l’elefantessa, che ha un parto relativamente facile davanti e un cucciolo relativamente più piccolo che le causa un disagio minimo, è un enorme vantaggio rispetto ad un uovo.19 In primo luogo, rimane completamente mobile, non legata a un nido e a una prole fisicamente separata che potrebbe tentare un predatore o che potrebbe dover essere abbandonato in caso di pericolo. Inoltre, può prendersi del tempo a far crescere suo figlio fino a un’età molto più matura e capace e può altresì prendersene già cura più facilmente prima che nasca e debba essere accudito. Tutto quello che deve fare per prendersi cura del suo cucciolo durante la gravidanza è prendersi cura di sé stessa, mangiare bene e stare al sicuro. Può continuare a nutrire il cucciolo (attraverso la placenta) semplicemente nutrendo sé stessa.20
Per quanto riguarda un raffronto del compromesso evolutivo, il kiwi, osserva Martinho-Truswell, si confronta con un problema molto diverso da quello dell’elefante appartenente alla classe dei mammiferi. Deporre un uovo significa dare alla prole tutti i nutrienti di cui avrà bisogno per svilupparsi dall’embrione fecondato al pulcino schiuso, tutto in una volta.21 Nel momento in cui l’uovo viene deposto, ha tutte le sostanze nutritive che avrà mai, un’impresa molto diversa dall’alimentazione costante che il cucciolo di elefante ottiene nel grembo materno. Ciò significa che le uova pongono un limite fondamentale a quanto tempo un pulcino può crescere prima che rompa il guscio, cosa che i mammiferi (diversi dai monotremi22 che depongono le uova) non affrontano. Il kiwi vive proprio al limite di quel limite.23 Deponendo uova così enormi e incubandole così a lungo, il kiwi sta dando ai suoi piccoli il massimo tempo di sviluppo possibile prima che essi debbano rompere il guscio ed affrontare il mondo.24
Raggiungere quel massimo non è privo di costi nel compromesso evolutivo. La deposizione delle uova è abbastanza drenante per qualsiasi uccello e per il kiwi più della maggior parte delle altre specie. Stando a Martinho-Truswell, la femmina del kiwi deve mangiare fino a tre volte la sua assunzione normale per l’intero mese in cui l’uovo si sviluppa e rimane notevolmente indebolita dall’esperienza. Inoltre, la dimensione dell’uovo di kiwi è più grande di quanto un uccello della sua taglia può tranquillamente crescere e deporre. In effetti, esso occupa gran parte dello spazio nel suo corpo quando è pronto per essere deposto.25 E, nonostante tutti i costi di questo compromesso evolutivo, il kiwi riesce a superare una gestazione di tre mesi. L’elefante, con pochi compromessi, naviga felicemente per altri 19 mesi.
Compromesso evolutivo: raffronto tra uccelli, mammiferi e mammiferi umani
Ad ogni modo, sia la cura delle uova sia la gravidanza sono più facili per la madre kiwi e la madre elefante che per noi umani. L’incentivo evolutivo sarebbe quello di gestare il tempo più a lungo possibile, in modo che, successivamente, l’allevamento della prole sia meno oneroso. Nella descrizione di Martinho-Truswell,26 l’elefante ci riesce completamente, con un cucciolo che nasce, barcolla sulle gambe e può, a poche ore dalla nascita, camminare dietro sua madre, potendo essere allattato quando è necessario e nutrirsi con cibo supplementare. Il kiwi riesce a ottenere più o meno lo stesso risultato poiché i pulcini possono camminare, nutrirsi da soli e seguire la madre entro poche ore dalla nascita.
Ma mentre gli elefanti rappresentano la tipica esperienza dei mammiferi, i kiwi sono uccelli molto insoliti e perciò risulta interessante raffrontare il compromesso evolutivo riproduttivo del kiwi con la nostra esperienza umana. Come puntualizza Martinho-Truswell, la stragrande maggioranza degli altri uccelli nasce estremamente sottosviluppata: piccoli, ciechi, rosa, quasi senza piume che riescono a malapena a muoversi da soli per le prime settimane di vita, e sono confinati nel nido per mesi, accuditi assiduamente dai loro tormentati genitori. Questo è vero anche per gli uccelli con uova altrettanto grandi e periodi di incubazione altrettanto lunghi come gli albatros (dove i giovani nascono con un buon mantello di piume morbide) e sono un po’ più capaci di un uccello canoro come uno scricciolo o corvo.27
Per la maggior parte degli uccelli, le uova impongono alla madre un difficile compromesso: la dimensione del corpo di un uccello limita la dimensione delle sue uova e la dimensione delle uova limita altresì la quantità di nutrimento che possono contenere. Ciò comporta che la nutrizione nell’uovo limiti la durata dell’incubazione limitando la maturità della prole alla schiusa. Ciò significa, come sottolinea Martinho-Truswell,28 che la maggior parte degli uccelli è intrappolata in un lungo e faticoso periodo di allevamento dei figli dopo la schiusa, perché i loro piccoli non hanno tempo e nutrienti nell’uovo per diventare abbastanza maturi da prendersi cura di sé stessi.
Gli uccelli che hanno prole in condizioni di abbandonare il nido velocemente dopo la schiusa, vale a dire i nidifughi,29 sono pochi e rari. Includono ratiti, anatre e altri uccelli acquatici, polli e uccelli terrestri come fagiani, insieme a pochi altri sparsi in tutto l’albero evolutivo. Ciò che tutti questi discendenti di uccelli più maturi hanno in comune sarebbe che non sono gli uccelli generalmente ritenuti più intelligenti e nessuno di loro è un uccello canoro, cioè non appartiene al grande gruppo di uccelli moderni che rappresenta più della metà delle specie aviarie oggi, come ci segnala Martinho-Truswell nel suo The Parrot in the Mirror.30 Nessuno appartiene ai gruppi di uccelli dal cervello più grande e più intelligenti come i pappagalli,31 corvidi e piccioni,32 che sono universalmente altriziali, cioè quelle specie in cui i pulcini sono sottosviluppati al momento della schiusa33 dando origine a giovani immaturi ed impegnativi. Questo, secondo Marinho-Truswell, ha senso perché un animale che avrà un cervello altamente sviluppato e complesso ha bisogno di più tempo per costruire quel cervello, e quindi ha bisogno di un tempo di sviluppo più lungo, come documenta la ricerca di Michael Griesser, Szymon Drobniak, Sereina Graber, e Carel van Schaik su come l’approvvigionamento dei genitori aumenterebbe le dimensioni del cervello negli uccelli.34 Con lo sviluppo pre-schiusa limitato dalla dimensione dell’uovo, gran parte dello sviluppo del cervello deve avvenire dopo la schiusa, il che significa allevare giovani con un cervello ancora in via di sviluppo.35
Se tutto questo che si afferma circa gli uccelli ci suona un po’ familiare è perché ci sembra umano. Una lunga infanzia, neonati impegnativi e i genitori che devono fare quasi tutto per la prole per un lungo periodo di impotenza infantile è ciò che noi umani ci aspettiamo nella nostra riproduzione. Tuttavia, da un punto di vista valoriale umano, dati i vantaggi che i mammiferi hanno ottenuto nell’evoluzione della gravidanza, perché anche noi umani non partoriamo figli molto più simili all’elefante, con una gravidanza lunga e rilassata, con, alla fine, un bambino facile, collaborativo e capace? Certamente, gli studiosi in materia postulano che l’evoluzione è sempre un gioco di compromessi e che nel perseguire il nostro vantaggio evolutivo chiave, cioè in quanti umani il nostro potere cerebrale, abbiamo, inavvertitamente, rinunciato ai vantaggi della gravidanza dei mammiferi e siamo finiti con i vincoli delle uova delle specie aviarie altriziali con una prole impegnativa d’allevare.
Cervello e mani nel compromesso evolutivo di noi umani
Certamente, nell’interpretazione evoluzionista i nostri cervelli sono il nostro adattamento più importante. In questa prospettiva di decifrazione del regno animale, l’intelligenza umana non ha paragoni con nessun altro animale e sarebbe l’unico tratto che ci avrebbe permesso di dominare interamente questo pianeta, plasmando la sua ecologia al nostro volere. Seguendo la teoria, questa intelligenza funzionerebbe in tandem con un altro adattamento rivoluzionario, le nostre mani. Noi e, in effetti, come propone David Leavens, altri primati,36 abbiamo mani straordinariamente precise e manipolabili. La nostra intelligenza ci permette di pensare a nuovi strumenti e a nuovi processi per costruire e perfino distruggere e le nostre mani ci danno la destrezza per farlo.
La nostra dipendenza dalle nostre mani avrebbe portato a due cambiamenti evolutivi in noi umani. Innanzitutto, formerebbe un circolo virtuoso con il nostro cervello: le mani agili hanno in effetti bisogno di molta potenza cerebrale per controllarle (come può confermare qualsiasi esperto di robotica). Nel tempo, la capacità di essere più precisi e abili con le nostre mani avrebbe guidato l’allargamento del nostro cervello, al fine di fornire quella potenza di calcolo.37 Quindi, con cervelli più grandi e idee più grandi, abbiamo usato le nostre mani in modi ancora più abili e complessi, il che a sua volta spinge più potenza cerebrale. I due si arricchirebbero a vicenda come propone la ricerca in materia.38
L’altro adattamento relativo alla mano risulterebbe molto meno vantaggioso per tutti. Stando a Martinho-Truswell, in effetti, dal momento che abbiamo fatto così tanto affidamento sulle nostre mani per il nostro vantaggio evolutivo, nel tempo abbiamo smesso di usarle per aiutarci con la deambulazione, l’equilibrio e la stabilità, cioè ci siamo evoluti per camminare eretti. Ciò mantiene, indubbiamente, le nostre mani libere e pronte all’azione, a differenza persino dei nostri parenti stretti, gli scimpanzé e altre grandi scimmie, che mantengono la nostra andatura ancestrale e curva e usano le mani e le braccia per aiutarsi a camminare, arrampicarsi ed equilibrarsi.
Deambulazione dritta e restringimento del bacino ci avrebbero portati a gravidanze simili agli uccelli
La nostra posizione dritta come un fuso avrebbe, però, avuto due esiti meno positivi. Primo: mal di schiena, come sostengono Anna Wittman Blackburn e Lewis Wall.39 In secondo luogo, e cosa più importante, avrebbe cambiato l’angolazione e le dimensioni dei nostri fianchi. Avere le gambe direttamente sotto i nostri fianchi, piuttosto che dietro e ai lati e il busto direttamente sopra, avrebbe richiesto che il nostro bacino si restringesse e anche l’apertura al centro si restringesse.40 Questo restringimento sarebbe stato il modo in cui siamo finiti con gravidanze più simili agli uccelli anziché alla nostra classe di mammiferi.41
Abbiamo grandi cervelli e fianchi stretti, ci ricorda Martinho-Truswell e, per nascere, il nostro grande cervello deve passare attraverso questi fianchi stretti.42 E questo significa che dobbiamo nascere giovani, molto giovani. In effetti, dobbiamo nascere sottosviluppati. Rischiare una gravidanza più lunga delle nostre circa 40 settimane significherebbe rischiare la morte per la madre, il bambino o entrambi, poiché una testa troppo grande transita su fianchi troppo stretti. Anche con il nostro attuale compromesso evolutivo di costi e benefici, soffriamo tassi di morte durante il parto, per madre e bambino, non riscontrati in altri mammiferi.43 Dal nostro cervello alle nostre mani e ai nostri fianchi, non possiamo partorire e allevare bambini come gli elefanti. Le caratteristiche temporali delle nostre gravidanze,44 come sottolinea la biologa evoluzionista Suzanne Sadedin, sarebbero, alla base, limitate in lunghezza dalla nostra fisiologia, proprio come la gestazione delle uova negli uccelli. Negli uccelli, il limite ultimo è la dimensione dell’uovo attraverso i fianchi. In noi umani, allo stesso modo, è la dimensione della testa attraverso i fianchi. E così, dato questo limite evolutivo, suggerisce Martinho-Truswell,45 i nostri bambini nascono indifesi, a differenza di altri mammiferi, e molto più simili agli uccelli.
Compromesso evolutivo umano: grande testa attraverso i fianchi della femmina e coinvolgimento del maschio nell’allevamento
Dopo la nascita, come dopo la schiusa, arriva l’allevamento, e anche qui, stando alle referenze di quest’argomentazione, presentiamo tratti più simili agli uccelli anziché ai mammiferi, almeno dal punto di vista comportamentale. Di norma, le madri di mammiferi allevano la loro prole senza il coinvolgimento del maschio. O almeno, senza il profondo coinvolgimento del genitore maschio.46 Ci sono specie, come i leoni, che si riproducono in un’aggregazione ad harem. Osservando i branchi dei leoni si accerta che un branco è composto da un massimo di una dozzina di femmine imparentate, la loro prole a carico e una coalizione di due o tre maschi residenti, i quali si riproducono tutti insieme, cacciano in modo cooperativo, allevano la prole e proteggono il gruppo. I giovani maschi che raggiungono la maturità lasciano il branco per avviare il proprio.
Elefanti e molte balene vivono in aggregazioni simili di femmine cooperative, con maschi itineranti che vivono da soli, si accoppiano con le femmine e si spostano. Per altri mammiferi la vita, dal nostro punto di vista valoriale umano, è ancora più solitaria, con maschi e femmine che si incontrano per accoppiarsi, poi i maschi lasciano allevare la prole alla femmina, come nel caso della maggior parte degli orsi.
I casi dei leoni, degli elefanti e degli orsi, riflettono la facilità con cui i mammiferi allevano i figli. Una madre mammifera dà alla luce un cucciolo abbastanza capace che può seguirla, camminare da solo e integrare la propria dieta. Come ci fa notare Martinho-Truswell, perfino i giovani mammiferi più indifesi, come i cuccioli carnivori o i cuccioli di primati, che sono molto meno precoci di un cucciolo di animale da gregge, come una mucca o uno gnu, sono molto più capaci dei neonati umani. Allevare qualsiasi altro mammifero è un compito gestibile per un genitore single, e tanto più gestibile in aggregazioni di allevamento cooperative come quelle dei leoni.
La questione assiologica che ne deriva per le società umane sarebbe che, da un punto di vista della fitness evolutiva, i mammiferi maschi sarebbero incentivati a cercare il maggior numero possibile di partner di accoppiamento. Un elefante maschio non è necessario per l’allevamento della sua prole, quindi i suoi geni vengono riprodotti nel modo più efficace avendo quanti più partner e quanti più figli possibili e investendo pochissimo tempo o sforzi in ciascuno di essi. È incentivato ad un comportamento di accoppiamento simile alla pratica umana della poliginia, accoppiandosi con più femmine, e questo è esattamente ciò che fa un maschio elefante di successo, come puntualizza, provocatoriamente, David Barash nel suo saggio Is God a silverback?47circa il comportamento di accoppiamento dei Gorilla.
Questi comportamenti riproduttivi ormai non si verificano tra noi umani. Noi umani saremmo, con eccezioni, diventati, culturalmente e socialmente, monogami. Spesso perfino sessualmente monogami, anche se l’inganno o “copulazione extra-coppia” accade, certamente, ed avrebbe, altresì, le sue complessità evolutive. L’esistenza dell’inganno porta alcuni a sostenere che la sessualità umana sia naturalmente disposta a più partner, sia nella modalità della poliginia e che della poliandria o, addirittura, disposta alla poliginandria, cioè quel sistema di accoppiamento in cui maschi e femmine hanno più partner di accoppiamento durante una stagione riproduttiva praticato dai nostri parenti stretti, gli scimpanzé e i bonobo.
Gli uccelli mostrano un comportamento prevalentemente monogamo. Come gli umani, molti di loro si impegnano in sporadiche copulazioni extra-coppia, sebbene sia comune anche una rigida monogamia, come documenterebbe la ricerca di Grinkov, Bauer, Sternberg e Wink nel loro saggio Understanding Extra-Pair Mating Behaviour. 48 La maggior parte delle specie di uccelli pratica almeno la monogamia seriale, rimanendo con un partner per diverse stagioni alla volta, prima di riaccoppiarsi.49 L’accoppiamento per la vita è comune in molti gruppi di uccelli, ma soprattutto nei pappagalli, negli uccelli canori e in altri gruppi intelligenti. Laddove non si verifica la monogamia, tende a trovarsi negli stessi gruppi di uccelli nidifughi che hanno un allevamento più facile: anatre, galline, ratiti e così via.50
La monogamia sarebbe così comune negli uccelli perché, a differenza dei mammiferi, il genitore maschio può aumentare significativamente la sua capacità riproduttiva partecipando attivamente all’incubazione delle uova e all’allevamento dei piccoli. L’uccello femmina deve fare l’investimento maggiore nei gameti: l’uovo stesso è una cosa drenante per lei da produrre dal suo corpo. Ma una volta posato, c’è poca differenza nel fatto che venga fatto sedere dal genitore femmina o dal maschio. In alcuni uccelli, come il piccione comune (o colomba selvatica), questa incubazione è condivisa in modo semplice: femmina e maschio si dividono la giornata, con uno che depone le uova al mattino mentre l’altro si nutre, quindi si scambiano nel pomeriggio. Continuano a dividersi anche durante l’incubazione delle uova e i diversi mesi successivi alla cura del pulcino indifeso. Altri, come i cigni o alcuni pappagalli, fanno un affare diverso. Qui, la femmina si occuperà di tutte le deposizioni delle uova, mentre il maschio resta in attesa, in guardia per allontanare i predatori, sorvegliare il nido quando la femmina ha bisogno di fare brevi viaggi di foraggiamento e, in alcune specie, portarle cibo e darle da mangiare. Una volta che i piccoli si schiudono, entrambi i genitori raccolgono cibo e danno da mangiare ai piccoli. Ad ogni modo, i genitori delle specie aviarie più intelligenti si uniscono per prendersi cura dei loro piccoli. I cuccioli indifesi richiedono cure bi-parentali e le cure bi-parentali richiederebbero l’accoppiamento monogamo per funzionare.51
Cuccioli indifesi richiedono cure bi-parentali e le cure bi-parentali richiederebbero l’accoppiamento monogamo per funzionare
Gli umani non sembrano diversi. Naturalmente, nel mondo moderno, una combinazione di tecnologia, assistenza governativa e strutture sociali rende possibile essere genitori single. Nelle società pre-moderne, e specialmente nella nostra storia evolutiva, cercare di crescere un figlio come una madre single era una grande fatica. I bambini umani sono così impegnativi che Martinho-Truswell ci segnala che una teoria sosterrebbe che la menopausa esista per liberare le donne di continuare ad allevare piccoli. In altri mammiferi, le femmine rimangono fertili fino a poco prima della loro morte. In effetti, da una prospettiva linguista inevitabilmente antropomorfica, si potrebbe dire che una nonna elefante non può fare da babysitter ai figli di sua figlia perché è probabile che sia ancora impegnata con il suo.
Come per gli uccelli, si potrebbe postulare che la monogamia umana sia la risposta evolutiva al nostro bisogno di cura bi-parentale dei bambini. Un bambino umano, innanzitutto nella modernità, ha bisogno anche del genitore maschio in giro per avere abbastanza sostegno da parte di entrambi genitori per superare la nostra infanzia straordinariamente lunga. La monogamia mantiene quel padre o genitore maschio in giro.52
Questo sarebbe il motivo per cui le eccezioni alla monogamia tendono a raggrupparsi attorno ai ricchi e all’élite: il potere economico o sociale offre altre soluzioni al problema della crescita della prole, tra cui un matrimonio harem o poligamo, tate o, in effetti, addirittura schiavi. Con queste fonti artificiali di aiuto per la crescita dei figli, gli uomini ricchi e di alto rango avrebbero potuto staccarsi dal compromesso evolutivo in un modo che altri non potevano.53 La complessità della società umana ci avrebbe permesso di allontanarci dai comportamenti atipici tra i mammiferi che, in effetti, ci saremmo evoluti per accudire la prole, ma la nostra biologia sottostante e le forze che avrebbero plasmati i nostri ancestrali comportamenti da mammifero rimarrebbero. Da questa prospettiva interpretativa, noi umani saremmo una specie monogama come i nostri doppi, gli uccelli.54
Tutto ciò riporta all’idea fondamentale dei compromessi o trade-offs nelle scelte evolutive. Nessun adattamento sarebbe gratuito e ogni area di abilità eccezionale sarebbe, in parti uguali, vantaggio e limitazione. I dinosauri avevano sviluppato i grandi vantaggi delle dimensioni massicce e della corporatura pesante e robusta: enormi vantaggi, senza dubbio. Ma li hanno scambiati, compromessi o negoziati entrambi quando sono diventati uccelli, scambiandoli con il vantaggio contraddittorio ma ancora più rivoluzionario del volo.55 Noi umani avremmo fatto più o meno lo stesso con la nostra originale e rivoluzionaria gravidanza dei mammiferi.56 La prole facile, ben sviluppata e quasi autosufficiente sarebbe stata un grande vantaggio per i nostri antenati, ma avrebbe perso nel compromesso o trade-off per i grandi cervelli che cambiano il mondo. Da questa prospettiva, avremmo chiuso il cerchio, perdendo i vantaggi evolutivi della gravidanza e della facile crescita della prole per una serie di vincoli molto simili a un uovo sulla nostra gestazione. Con le nostre gravidanze diventate simili a uova, non sorprende che anche i nostri comportamenti e le nostre famiglie siano diventati simili a uccelli, insiste Martinho-Truswell.57
Noi umani, effettivamente, non ci comportiamo come gli altri mammiferi. Assomigliamo a loro, ma non ci comportiamo come loro. In effetti, molti dei nostri tratti umani distintivi: la nostra longevità, intelligenza, monogamia e educazione dei figli, apprendimento e linguaggio, tutte parti profonde di ciò che significa essere umani, risultano molto più simili agli uccelli che ai nostri simili di classe, i mammiferi. Queste somiglianze non avrebbero origine da antenati condivisi ma da storie parallele. Le nostre storie evolutive hanno spinto gli umani e gli uccelli alle stesse soluzioni. Antone Martinho-Truswell esplora queste somiglianze per sostenere che possiamo imparare molto su noi stessi pensando alla specie umana come “l’uccello senza piume”.58
Le argomentazioni di Martinho-Truswell sono sull’evoluzione convergente, un’evoluzione che spinge specie molto diverse verso esiti e comportamenti molto simili. I tratti che condividiamo con gli uccelli ma non con i mammiferi sono il risultato di pressioni simili e specifiche che richiedevano soluzioni simili. Esplorare queste somiglianze può aiutarci a capire sia perché ci siamo evoluti per essere come siamo, sia anche quanto siano insoliti alcuni dei nostri comportamenti nel regno animale. Attingendo a una ricca serie di esempi nel mondo naturale, Martinho-Truswell dimostra anche i modi in cui i pappagalli sarebbero la nostra immagine speculare biologica,59 stabilendo un parallelo evolutivo con noi stessi. Contemplando ciò che condividiamo con gli uccelli, e in particolare con i pappagalli, comprendiamo quanto la natura sia arrivata vicino a creare un altro lignaggio di intelligenza radicale sulla Terra, e arriviamo anche a comprendere meglio noi stessi.
______________Note _________________
1 Biologo evoluzionista e decano della Graduate House al St Paul’s College presso l’University of Sydney.
2 Antone Martinho-Truswell. The Parrot in the Mirror: How Evolving to Be Like Birds Made Us Human. Oxford University Press, 2022
3 Ibidem
4 Ibidem
5 Ibidem
6 Ibidem
7 Ibidem
8 Nelle scienze naturali, ai fini della tassonomia, la classe è uno dei livelli di classificazione scientifica degli organismi viventi (tanto della zoologia, quanto della botanica) e dei minerali. Diverse classi possono (ma non è necessario) essere ulteriormente suddivise in sottoclassi. Nel sistema di classificazione usato in zoologia è immediatamente inferiore al tipo e superiore all’ordine. Ovvero: nello stesso tipo ci sono uno o più classi, e ciascuna classe viene suddivisa in una o più ordini. Ad esempio, gli uccelli sono una classe, chiamata Aves, la quale viene ulteriormente suddivisa in sottoclassi, di cui interessa soprattutto quella chiamata neorniti (Neornithes). Nel sistema di classificazione usato in botanica è immediatamente inferiore alla divisione e superiore all’ordine. Ovvero: nella stessa divisione ci sono uno o più classi, e ciascuna classe viene suddivisa in una o più ordini. Le sette categorie sistematiche principali sono: specie, genere, famiglia, ordine, classe, phylum e regno. In quanto ordine il Genere Homo appartiene all’Ordine dei Primati e alla Classe dei Mammalia.
9 La classificazione applicata all’uomo è questa: Dominio Eukarya (le sue cellule eucarioti hanno nucleo e citoplasma differenziati), Regno Animalia, Phylum Chordata (con corda dorsale), Subphylum Vertebrata (con colonna vertebrale ossea e cartilaginea), Superclasse Tetrapoda (con quattro arti), Classe Mammalia, Ordine Primates (mammiferi placentali), Famiglia Hominidae (Ominidi o grande scimmie), Genere Homo (Antropomorfi eretti con elevato rapporto capacità cranica/peso), Specie Homo sapiens.
10 Gli uccelli (Aves) sono una classe di dinosauri teropodi (dinosauri aviani) altamente specializzati caratterizzati dalla presenza di becchi sdentati e forcule, code corte con pigostilo, corpi ricoperti di piumaggio e ripieni di sacchi aeriferi, dita anteriori fuse, uova dai gusci duri, metabolismi alti e ossa cave ma robuste. In base a diversi criteri di classificazione, il numero di specie di uccelli conosciute oscilla fra le 9 000 e le 10 500, delle quali almeno 120 si sono estinte in tempi storici.
11 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2022
12 Antone Martinho-Truswell. How like the kiwi we are. AEON, 11 April 2023
13 Raggruppamento di Uccelli inetti al volo, con sterno sprovvisto di carena, ali non funzionali, ridotte o del tutto vestigiali, zampe robustissime, terminanti con due-tre dita libere. La loro distribuzione è australe di origine gondwaniana. Il termine “ratiti” viene dal latino “ratis” che significa “zattera” poiché questi uccelli hanno lo sterno piatto invece che carenato.
14 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2023
15 Ibidem
16 Ibidem
17 Don Ross. The elephant as a person. In AEON, 24 October 2018
18 Ibidem
19 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2023
20 Ibidem
21 Ibidem
22 Ordine di Mammiferi ovipari, eterotermi, esclusivi del continente australiano, caratterizzati dalla presenza di una cloaca, con una sola apertura esterna; hanno muso allungato terminante in una specie di becco, gli arti, talvolta palmati, con i piedi posteriori all’infuori, muniti, nel maschio, di uno sperone cavo, appuntito, col quale possono inoculare un veleno secreto da apposite ghiandole; ne fanno parte le echidne e l ‘ornitorinco.
23 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2023
24 Ibidem
25 Ibidem
26 Ibidem
27 Ibidem
28 Ibidem
29 Degli uccelli che sgusciano dall’uovo in condizioni molto avanzate di sviluppo, così da essere capaci di abbandonare il nido immediatamente o poco dopo la schiusa (prole precoce); contrapposto a nidicolo.
30 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2022
31 Ibidem
32 Ibidem
33 In biologia, le specie altriziali sono quelle in cui i giovani sono sottosviluppati al momento della nascita, ma con l’aiuto dei genitori maturano dopo la nascita. Le specie precoci sono quelle in cui i giovani sono relativamente maturi e mobili dal momento della nascita o della schiusa. Le specie precociali sono normalmente nidifughe, nel senso che lasciano il nido poco dopo la nascita o la schiusa. Queste categorie di precocialità e altricialità formano un continuum, senza divari distinti tra di loro.
34 Michael Griesser, Szymon M. Drobniak, Sereina M. Graber, and Carel P. van Schaik. Parental provisioning drives brain size in birds. In PNAS, vol. 120, no. 2, January 10, 2023
35 Ibidem
36 David Leavens. The pointing ape. In AEON, 1 October 2019
37 Ibidem
38 https://neurosciencenews.com/hand-dexterity-16696/
39 Kimberly A Plomp, Una Strand Vidarsdottir, Darlene A Weston, Keith Dobney and Mark Collard. The ancestral shape hypothesis: an evolutionary explanation for the occurrence of intervertebral disc herniation in humans. BMC Evolutionary Biology 2015
40 Wittman, Anna Blackburn & Wall, L Lewis. The Evolutionary Origins of Obstructed Labor: Bipedalism, Encephalization, and the Human Obstetric Dilemma. Obstetrical & Gynecological Survey 62(11): p 739-748, November 2007
41 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2022
42 Ibidem
43 Ibidem
44 Suzanne Sadedin. War in the womb. In AEON, 4 August 2014
45 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2022
46 Ibidem
47 David P. Barash. Is God a silverback? In AEON, 4 July 2016
48 Grinkov VG, Bauer A, Sternberg H, Wink M. Understanding Extra-Pair Mating Behaviour: A Case Study of Socially Monogamous European Pied Flycatcher (Ficedula hypoleuca) in Western Siberia. Diversity, 14 (4):283, 2022
49 Ibidem
50 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2022
51 Ibidem
52 Ibidem
53 Ibidem
54 Ibidem
55 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2023
56 Antone Martinho-Truswell, op. cit. 2022
57 Ibidem
58 Ibidem
59 Ibidem