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9 Settembre, 2023

Raggiungere e mantenere il potere è al centro di quasi tutte le società animali.

E tale comportamento è subdolo come la politica umana.

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XI • Numero 44 • Dicembre 2022

 

Come domare una volpe (e costruire un cane)

Nel corso del tempo, stando alla conoscenza tramandata nelle nostre convenzioni, molte specie di animali non-umani hanno vissuto in stretto contatto con noi, animali umani. In questa convivenza, noi umani abbiamo ottenuto tanti vantaggi, al punto di, per esempio, aver addirittura selezionato il cane dalla volpe!1 E, tuttavia, sembra che indaghiamo poco la questione del potere in natura, vale a dire i modi sottili e non tanto sottili con cui gli animali si adoperano per controllare, fondamentalmente, gli altri membri della propria specie, nonché i diversi generi della famiglia o anche le specie simili racchiuse nel genere.

Facendo, irrimediabilmente, un’interpretazione pervasa dall’antropomorfismo con cui percepiamo, esaminiamo, descriviamo e ci spieghiamo il mondo, ci viene naturale leggere le interazioni tra gli animali non-umani utilizzando il vocabolario valutativo con cui ci rappresentiamo il nostro mondo. Da questa prospettiva, potrei dire che, dalle guerre impensabili e inimmaginabili dei granchi eremiti per procacciarsi delle conchiglie dove abitare e proteggere i loro addomi2 ai piccoli pinguini blu che spiano potenziali rivali, le lotte di potere nel regno animale sono tanto diverse quanto affascinanti e proprio per noi, umani, di una sorprendente portata carica di intuizioni e connessioni relative al nostro comportamento individuale e per di più sociale.

Circoscritto ai termini del paragone antropomorfico, potrei dire che la ricerca del potere negli animali non-umani appare molto più ricca, molto più sfumata della nostra stereotipata ricerca di tentare di buttare grossolanamente a terra l’avversario in un combattimento tra uomini. In effetti, le lotte di potere tra gli animali non-umani spesso assomigliano più ad un’opera teatrale che a un incontro di pugilato.

Tracciando il percorso verso il potere diversi studiosi3 avrebbero condotto ricerche che documenterebbero che per oltre trenta specie diverse in sei continenti, dalle iene ai delfini, dai bonobo ai topi campagnoli, dai ciclidi alle seppie, dai serpenti testa di rame ai corvi e alle manguste del genere Suricata, per citare solo alcune delle specie coinvolte, il potere ruoterebbe attorno allo spionaggio, all’inganno, alla manipolazione, alla formazione e alla rottura di alleanze, valutazioni complesse di potenziali oppositori, costruzione di reti sociali ed altro ancora.

Il potere, come sostiene lo studioso Lee Alan Dugatkin,4 pervaderebbe ogni aspetto della vita sociale degli animali: cosa mangiano, dove mangiano, dove vivono, con chi si accoppiano, quanti figli producono, con chi uniscono le forze e a chi depongono. In alcune specie, il potere potrebbe persino cambiare il sesso di un animale.5 I racconti dei ricercatori6 che studiano il potere negli animali non-umani sono pieni di insidie ​​inaspettate, colpi di scena, occasioni di fare scoperte per caso e perfino della pura gioia della rara scoperta scientifica, cioè accertata con dei modelli probabilistici. Ma nemmeno l’animale umano si mostrerebbe invulnerabile a questo melodramma magnificamente intricato. Quest’ultima osservazione costituisce, però, solo un’interpretazione sulla quale invito il lettore ad indugiare.

 

Il potere nella natura

 

Dopo il romanzo distopico di George Orwell 1984 (Nineteen EightyFour) anche nell’immaginario popolare il potere non sarebbe un mezzo ma il fine, in quanto l’oggetto del potere sarebbe il potere stesso. Infatti, sembra che questo discorso sia talmente introiettato che nelle cosiddette democrazie occidentali si va a votare consapevoli dal fatto che i partiti non si interessano al bene degli altri bensì solo al potere. Le popolazioni hanno ormai la certezza che nessuno prenda mai il potere con l’intenzione di cederlo proprio perché l’oggetto del potere è il potere stesso.

Anche gli animali non rinuncerebbero al potere una volta che lo ottengono pur se per i non-umani, il potere sembrerebbe piuttosto un mezzo per raggiungere un fine.7 Tanti fini, infatti, tra cibo, compagni, accoppiamento e riparo. Raggiungere e, quindi, mantenere il potere, definito come la capacità di dirigere, controllare o influenzare il comportamento di altri animali o di altre risorse, sarebbe al centro di quasi tutte le società animali, come sostiene Lee Alan Dugatkin.8

La ricerca del potere nei non-umani è stato un comportamento che ha interessato tanti studiosi sin dai tempi di Charles Darwin. Nel saggio del 1888 di Thomas Henry Huxley The Struggle for Existence: A Programme, il pro locutore di Darwin disse che il mondo animale equivaleva a uno “spettacolo di gladiatori“, almeno per quanto riguarda il giudizio di un moralista anche se lo spettatore non ha bisogno di abbassare il pollice, perché non viene concessa alcuna remissione. I più deboli e i più stupidi finiscono al muro. I più duri e i più scaltri, quelli più adatti a far fronte alle loro circostanze, anche se non siano i migliori in qualsiasi altro senso, sopravvivono.

Ma accantono in modo definitivo i pensatori di fine ‘800 e vado avanti velocemente fino agli anni ’70 quando iniziò a delinearsi il quadro teorico per lo studio moderno del comportamento animale. Niente più gladiatori. Allora, biologi e teorici hanno cominciato a parlare di “potenziale di detenzione di risorse” o “potere di detenzione di risorse“,9 una misura della capacità di acquisire e difendere le risorse. Tuttavia, quando gli studiosi degli animali, utilizzando l’approccio comportamentista, hanno applicato l’idea, il presupposto era solitamente che gli animali più grandi e più forti avessero un potere di detenzione di risorse maggiore. Si è discusso sul fatto che le abilità di combattimento non fossero la stessa cosa della mera dimensione ma, d’altronde, raramente si pensava che quelle abilità implicassero tecniche sfumate per ottenere dominio, come raccogliere ricognizioni, valutare il campo e fare rete con gli altri per acquisire potere. Infatti, originariamente il termine utilizzato era “potere di detenzione di risorse”, ma è diventato preferito “potenziale di detenzione di risorse”. Quest’ultima enfasi sul “potenziale” serve a ricordare che l’individuo con maggiore potere di detenzione di risorse non sempre prevale.

Più recentemente, stando al giudizio di Dugatkin,10 i comportamentisti studiosi degli animali sarebbero arrivati ​​​​a riconoscere questi modi più sottili, come raccogliere ricognizioni, valutare il campo e fare rete con gli altri, in cui gli animali cercano il potere su coloro che li circondano. Essere il “più duro” sarebbe solo una parte del quadro Infatti, anche il “più scaltro” conta molto. Gli animali, come riferisce Dugatkin, spierebbero i rivali per il potere, mostrerebbero il potere in modi diversi a seconda del loro pubblico, formerebbero coalizioni per salire di grado e si mimetizzerebbero per ascendere nella scala del potere. Tutto questo avrebbe rimodellato completamente il modo in cui una parte dell’élite dell’establishment pensava alle lotte di potere non-umane. Dunque, dagli anni ’70 in poi, una nuova ricerca iniziò ad offrire un’inedita finestra sull’emergere della socialità tra gli animali non-umani, portando i teorici della materia verso un modello integrato e concettualmente influente dell’evoluzione del potere. Per illustrare quest’interpretazione sul comportamento degli animali non-umani, come potere di detenzione di risorse e controllo degli altri membri della specie, seguo gli studiosi Walter H. Piper, Keren B. Tischler, Margaret Klich, Solveig C. Mouterde, David M. Duganzich, Laura E. Molles, Shireen Helps, Joseph R. Waas, Katie E. Slocombe, Klaus Zuberbühler, Margaret C. Crofoot, Ian C. Gilby, Matin C. Wikelski e Roland W. Kays, come evidenziato dalle fonti bibliografiche sparse a pie di pagina.

 

Potenziale di detenzione di risorse: i modi sottili di raggiungere e mantenere il potere

 

In questa breve argomentazione sulle dinamiche di potere tra gli animali non-umani inizio con la documentazione fornita da Lee Alan Dugatkin11 che riporta il caso delle specie di uccelli rappresentanti dell’ordine dei Gaviformi conosciuti col nome comune di strolaga. Quando un esemplare maschio di questi uccelli migratori delle zone artiche e subartiche dell’emisfero settentrionale nuota nei pressi del suo territorio, emette, occasionalmente, un richiamo tremolante, che echeggia attraverso la riva e sembra compiacere la femmina che nuota al suo fianco. Ma quella facciata pacifica maschererebbe intensi round di combattimento.12

Anche quando fanno i duri, gli esemplari maschi di strolaga comune sono anche scaltri e le loro numerose battaglie si svolgono più come opere liriche che come veri combattimenti a premi. Un gran numero di strolaghe comuni negli Stati Uniti trascorrono i loro inverni in Florida o nelle Carolina, per poi dirigersi a nord verso i loro territori su molti dei 15.000 laghi del Wisconsin. Questi uccelli, come riportano gli studiosi, sarebbero monogami e le coppie spesso starebbero insieme per anni, tornando al loro lago natale ogni primavera. Durante la stagione riproduttiva, un maschio trova un posto per il nido suo e della sua compagna, spesso su una piccola “isola” che si erge a un metro circa sopra l’acqua, in modo da ridurre la possibilità di incursioni di procioni (orsetti lavoratore) e puzzole (furetti selvaggi).

Il territorio di un esemplare di strolaga è un bene prezioso. Solo gli individui che ostentano un territorio avrebbero l’opportunità di accoppiarsi e il potere consisterebbe proprio nel controllarlo. Poiché i territori sarebbero così preziosi, gli esemplari di strolaga che ne sono in possesso vengono talvolta sfidati da esemplari chiamati dagli studiosi galleggianti e che, stando alle osservazioni dei ricercatori, mancherebbero di un territorio proprio. Questi maschi senza territori talvolta tenterebbero un violento rovesciamento. Se il colpo di stato di un galleggiante maschio funziona, il maschio territoriale verrebbe deposto e la sua compagna rimarrebbe in coppia con il vincitore.13

Naturalmente, i maschi residenti farebbero del loro meglio per contrastare tali prese di potere. Qualora un maschio scorgesse un galleggiante vicino, produrrebbe un richiamo che gli studiosi chiamo jodel, in riferimento al canto che da secoli veniva utilizzato nella Svizzera centrale per richiamare il bestiame o per una richiesta di soccorso. La frequenza di uno jodel sarebbe correlata alla massa corporea dell’emittente, il che significherebbe che un galleggiante può avere un’idea approssimativa delle condizioni del maschio territoriale. Addirittura gli jodel sembrerebbero segnalare la motivazione. Ad esempio, se le due note brevi che fanno parte del richiamo vengono ripetute spesso, i galleggianti agirebbero in modo più cauto, suggerendo che questo starebbe a significare che il detentore del territorio sarebbe pronto a combattere.14

I galleggianti, stando alla documentazione in materia,15 sarebbero presenti ovunque vi sia la possibilità di conquistare un territorio anche se la maggior parte delle visite che farebbero alla casa di un maschio territoriale sarebbero abbastanza banali. Una volta che un maschio galleggiante atterra o si presenta sull’acqua, il maschio territoriale emetterebbe un richiamo o jodel, nuoterebbe verso il galleggiante ed eseguirebbe una serie di movimenti come inchini e danze circolari. Di solito, riportano gli studiosi, un galleggiante vola via poco dopo e la struttura del potere rimarrebbe com’era. Ma non sarebbe sempre così che va a finire. Secondo la documentazione presentata da Dugatkin,16 circa un 25% delle incursioni dei galleggianti porterebbe a un’aggressività di basso livello e solo un 5% porterebbe a escalation più intense, con esemplari di strolaga che si lancerebbero sul becco di un avversario o che si afferrerebbero contemporaneamente la testa a vicenda, sbatterebbero le ali l’uno contro l’altro o addirittura immergerebbero la testa di un avversario sott’acqua per lunghi tratti. Nel complesso, si stima che solo un 10% di tutte le intrusioni provocherebbe un ribaltamento della struttura di potere, con il maschio residente sfrattato e sostituito dal galleggiante.17

A volte, i maschi sfrattati rimarrebbero alla periferia del loro (ex) territorio, ma i nuovi proprietari non lo prenderebbero bene, come raccontano i ricercatori,18 e tenderebbero a cercarli eseguendo azioni che chiarirebbero chi sia ora al comando. Entro una settimana dalla perdita del potere e dall’essere stati cacciati, molti maschi sfrattati sarebbero stati trovati morti dal biologo Walter Piper e dai suoi colleghi che studiano le strolaghe.19 Coloro che riuscirebbero a sopravvivere allo sfratto finirebbero in territori scadenti nelle vicinanze.

Combattimenti mortali come questo riportato da Piper, Tischler e Klich,20 sarebbero piuttosto rari negli animali. Stando alla documentazione utilizzata da Smith,21 i combattimenti mortali succederebbero spesso nelle specie di breve durata e che si riproducono una volta. Infatti, da un punto di vista umano sarebbe convenzionale asserire che se tutto dipende da quell’unico periodo di riproduzione, potrebbe valere la pena combattere fino alla morte. Ma la strolaga vive per 25 o anche 30 anni e hanno molte covate di pulcini. Allora perché sarebbero l’eccezione alla regola? Alcuni episodi forse raccontano un perché di questo comportamento.

Le vittime di incontri mortali sarebbero generalmente maschi anziani che detengono territori di alta qualità. I giovani galleggianti prenderebbero di mira tali territori e il problema per i maschi anziani con i nidi sarebbe che perdono massa corporea con l’età. Questo processo di decadimento verrebbe accelerato quando i loro territori sono particolarmente produttivi, a causa di tutta l’energia spesa per allevare i pulcini nel corso degli anni. Inoltre, i detentori di territori anziani sarebbero costretti ad emettere più jodel a causa di tutte le intrusioni. Poiché gli jodel fornirebbero informazioni non solo sulla motivazione della aggressione in atto, ma anche sulla massa corporea, potrebbero informare i galleggianti che un maschio residente anziano sia un obiettivo primario per una presa del territorio o scalata al potere.

Cercando di descrivere ciò che ci appare, con l’unico strumento che abbiamo per la cognizione umana, cioè il nostro pensiero/linguaggio, dobbiamo forzatamente arrivare a chiederci, con il carico dei nostri valori morali, se valga davvero la pena per un maschio territoriale anziano essere disposto a combattere fino alla morte quando viene confrontato con un galleggiante più giovane e più forte? Certamente, si potrebbe argutamente anche rispondere, con aria intelligente, che ciò dipenderà dalle opzioni che abbia il maschio territoriale anziano. I giovani galleggianti, si potrebbe ipotizzare, combatterebbero duramente per sbarcare un territorio ma, se stessero perdendo, se ne andrebbero piuttosto che rischiare lesioni gravi oppure morte. I giovani galleggianti, potremmo umanamente dire, vivono per combattere un altro giorno. Per un maschio anziano residente in un territorio produttivo, la posta in gioco, immaginiamo, sarebbe diversa. Se venisse sfrattato, sarebbe improbabile che abbia i mezzi per usurpare un altro territorio produttivo. Come ha affermato Piper,22 le ruote iniziano a staccarsi in tarda età, il che significa che una strategia disperata di lottare fino alla morte, se necessario, diventa un’opzione praticabile. Il potere, sotto forma di detenzione di territorio, fornisce ricchezze a un esemplare di strolaga maschio, ma, così facendo, può perfino bloccarlo in una gara di vita o morte con un giovane arrivato.

I calcoli comportamentali coinvolti nei combattimenti esibiti dagli esemplari maschi di strolaga li possiamo considerare, da un punto di vista carico delle nostre valutazioni umane, scaltri e complessi, ma i piccoli pinguini blu (Eudyptula minor) portano la questione del potere o della difesa del territorio ad un altro livello. Se il potere riguardasse solo lo scontro fisico, ci sarebbe un limite a quanto il potere possa rivelare sulla socialità, dal momento che gli animali guerreggiano corpo a corpo solo per brevi momenti di tempo. Infatti, il piccolo pinguino blu sembra che passi una buona parte del tempo a spiare i propri rivali, come suggerisce la ricerca di Joseph Waas e il suo gruppo di studiosi dei pinguini blu.23

Vivono nelle grotte e nelle tane sul lato orientale della penisola di Banks in Nuova Zelanda, così come in aree del Sud dell’Australia, i piccoli pinguini blu sono alti solo circa 30 cm e sarebbero il più piccoli di tutti i loro parenti. Sia maschi che femmine incubano le uova e anche se molto carini sono davvero molto rumorosi. Nella descrizione di Joseph Waas e del suo gruppo si segnala che ci sarebbero periodi di tempo in cui tutti i richiami sembrerebbero esauriti ma poi basta che un uccello o forse due emettano richiami che si otterrebbe quell’incredibile effetto contagioso tale da indurre tutti a richiamare di nuovo.24

Altri dettagli della ricerca di Waas puntualizzano che nelle colonie sui territori scoscesi, i pinguini nidificano a circa 2-3 metri l’uno dall’altro, di solito contro il muro delle grotte. Sdraiati sulla pancia e strisciando attraverso un mix di guano essiccato e piume, i ricercatori avrebbero assistito a combattimenti in cui i pinguini si colpivano con il becco e si lanciavano gli uni contro gli altri. Tali scontri sarebbero spesso seguiti da un richiamo del trionfo emesso dal vincitore. Tale richiamo consisterebbe in un’inspirazione acuta accoppiata ad un’espirazione dal suono ragliante, ripetuta più e più volte. I vincitori spesso si alzerebbero in piedi con le pinne mentre emettono questo richiamo, trasformando la vittoria in uno spettacolo di trionfo mentre il pinguino perdente sgattaiolerebbe via.25

Waas fu sicuramente colpito dai richiami di trionfo e presto si sarebbe accorto che questo non era l’unico comportamento peculiare. A parte il maschio perdente, gli sembrava che anche altri pinguini prestassero attenzione alle dimostrazioni di potere, persino spiando. Waas voleva capire cosa stesse succedendo, ma la grotta era troppo caotica per fare esperimenti controllati. Fortunatamente, c’era un’altra colonia di piccoli blu nelle vicinanze, che viveva all’aperto nelle tane che una coppia locale, Shireen e Francis Helps, interessata alla conservazione, aveva costruito per loro.

Tutti gli uccelli di quella colonia erano contrassegnati, in modo che gli Helps, e poi Waas, conoscessero la loro età e sesso. Le tane artificiali erano tutte delle stesse dimensioni, comode tane per pinguini 300 mm x 350 mm x 200 mm. Invece del caos della grotta, dove qualsiasi esperimento sulle esibizioni di trionfo e sullo spionaggio dei pinguini era impossibile, Waas aveva una colonia con uccelli contrassegnati che vivevano in case identiche. Allora, avrebbe deciso di eseguire un esperimento, posizionando gli altoparlanti vicini a determinate tane, il che avrebbe permesso a lui e ai suoi colleghi di controllare quali pinguini sentivano cosa.

Waas e il suo team di collaboratori, da quanto riportato,26 avrebbero studiato 27 maschi e 16 femmine che stavano incubando le uova da soli nelle loro tane mentre i loro partner erano in cerca di cibo nell’oceano. Avrebbero rimosso, prudentemente, un uovo e lo avrebbero messo in un’incubatrice. Al suo posto, avrebbero posizionato un uovo artificiale con sensori che registravano il polso dell’uccello e, quindi, indirettamente la sua frequenza cardiaca. Gli altoparlanti sarebbero stati posizionati a distanze variabili dalle tane e avrebbero trasmesso suoni di un combattimento, seguiti dal richiamo del trionfo del vincitore della lotta o dai richiami del perdente. Un microfono vicino al nido avrebbe registrato le vocalizzazioni del pinguino dopo che lui o lei avessero sentito cosa proveniva dall’altoparlante.

Quando i maschi avrebbero sentito il richiamo del trionfo del vincitore in un combattimento, la loro frequenza cardiaca sarebbe balzata a circa 30 battiti al secondo sopra il normale. Eppure non sarebbe stato riscontrato alcun aumento del genere quando avrebbero sentito i versi dei perdenti. Questi piccoli maschi blu volti allo spionaggio sarebbero stati manifestamente scossi quando quelli al potere si sarebbero trovati in difficoltà nelle loro vicinanze, e avrebbero recitato anche la parte, vocalizzando più in risposta ai suoni di un perdente, che sarebbe presumibilmente un potenziale avversario più debole, che in risposta al canto di un vincitore. Le femmine avrebbero mostrato un aumento della frequenza cardiaca quando avrebbero sentito il canto o richiamo di trionfo dei vincitori, ma quando avrebbero sentito la chiamata dei perdenti non avrebbero mai vocalizzato dopo aver sentito i suoni riproposti. Utilizzando una metafora antropomorfica per descrivere e comprendere in modo umano la situazione, si potrebbe suggerire che non volessero prendere parte a nessuna lotta per il potere maschile.27 A volte, però, mantenere il potere tra gli animali non-umani significa non solo spiare i propri rivali, ma svolgere un ruolo. E tutti i bravi attori devono conoscere il loro pubblico, come mostra il caso degli scimpanzé.

Per illustrare questo comportamento nelle dinamiche per raggiungimento e mantenimento del potere tra gli scimpanzé riferirò lo studio di due loro comunità nella foresta di Budongo, in Uganda, condotto da Klaus Zuberbühler e dai suoi colleghi.28 Durante le loro indagini i ricercatori avrebbero compreso che gli scimpanzé impegnati in lotte di potere non si preoccuperebbero soltanto di coloro a cui loro dovrebbero prestare attenzione come opponenti ma addirittura di coloro che gli starebbero prestando attenzione come osservatori. Sia gli scimpanzé aggressori che quelli vittime urlerebbero durante una lotta per il potere, ma Zuberbühler sarebbe rimasto particolarmente colpito dal fatto che, a seconda di chi stesse ascoltando, gli scimpanzé dalla parte dei perdenti sembravano usare le loro grida per esagerare le loro sfortunate circostanze.29 In questo modo, Zuberbühler avrebbe cominciato a pensare che la natura del pubblico fosse la chiave di tale comportamento teatrale.30 Stando al suo ragionamento se uno scimpanzé viene attaccato, spesso l’unico modo per uscirne sarebbe convincere qualcun altro a unirsi e questo potrebbe cambiare le sorti. La sua inferenza è stata che se le grida della vittima aiutano, allora importa davvero chi è nelle vicinanze, soprattutto se è il maschio alfa, che non tollera la violenza tra gli altri.

 

 

 

Zuberbühler e la sua collega Katie Slocombe31 avrebbero seguito e interpretato 84 lotte per il potere tra gli scimpanzé, stabilendo che i partecipanti ad incontri soltanto leggermente aggressivi non prestavano attenzione a chi fosse come pubblico nelle vicinanze, o anche se non ci fosse affatto un pubblico. Ma quando gli scontri diventavano più violenti, le urla delle vittime diventavano più lunghe e più intense quando gli ascoltatori erano nelle vicinanze. Se uno o più scimpanzé considerati tra il pubblico detenevano un grado nella gerarchia del dominio uguale o superiore al grado dell’aggressore, gli scimpanzé all’estremità perdente del combattimento emettevano urla più lunghe e intense. Questo, a sua volta, avrebbe portato la vittima a ricevere supporto da osservatori di alto rango circa il 20% delle volte e lo scimpanzé più anziano sarebbe intervenuto per interrompere le risse.

Le dinamiche di potere non-umane esisterebbero non soltanto a livello dei singoli individui ma anche a livello dei gruppi. Questo fenomeno dovrebbe essere considerato un dato di fatto per quanto riguarda le scimmie cappuccine dalla faccia bianca (Cebus capucinus) che vivono in coorti affiatate sull’isola di Barro Colorado a Panama e altrove in America centrale. Nella sua ricerca circa le lotte di potere in queste colonie di scimmie, Margaret Crofoot32 dotò un cappuccino in ogni gruppo di un radiocollare collegato a un sistema di telemetria radio automatizzata, nella ricerca segnalato come ARTS.

ARTS avrebbe inviato i dati alla postazione di Crofoot riguardanti gli individui dal collare ogni 10 minuti, 24 ore al giorno. Tale sistema avrebbe informato Crofoot molto limitatamente sui movimenti del gruppo. Infatti, utilizzando questo metodo non avrebbe aggiunto nulla su ciò che stavano facendo di preciso i membri del gruppo. Per questo, lei e i suoi assistenti avrebbero utilizzato metodi più tradizionali, uscendo presto ogni giorno, ruotando tra i gruppi di cappuccini per periodi di tre ore, per rilevare chi stava dando da mangiare, chi puliva oppure chi mostrava aggressività e così via.

I gruppi cappuccini, stando a queste fonti,33 avrebbero confini abbastanza ben definiti, ma spesso ci sarebbe una zona di sovrapposizione di circa il 20% tra i gruppi vicini. Quella zona di sovrapposizione sarebbe infatti dove si verificherebbero la maggior parte delle interazioni tra i gruppi. La documentazione segnala che ogni tre giorni circa, scoppierebbe un conflitto. Molte volte, un gruppo si limiterebbe semplicemente a girare la coda e se ne andrebbe. Altre volte, Stando a Crofoot, i cappuccini di entrambi i gruppi in contrasto si precipiterebbero tra gli alberi e se nessuno dei due gruppi se ne va, gli individui di ogni gruppo si allineerebbero a terra, come le squadre di football americano, e si lancerebbero e urlerebbero e si rincorrerebbero a vicenda. Alla fine, un gruppo farebbe marcia indietro e se ne andrebbe. Gli scontri ad eliminazione diretta sarebbero rari, ma accadono. Nella fitness di questi gruppi di scimmie perdere questi conflitti avrebbe un costo. Gli individui nei gruppi che perdono dovranno trascorrere più tempo camminando in giro alla ricerca di foraggiamento ed è più probabile che finiscano costretti a cercare cibo in appezzamenti di foraggio di bassa qualità.34

 

La Fortuna aiuterebbe gli scaltri

 

Alla ricerca di ulteriore documentazione sulle dinamiche di potere non-umane a livello di gruppi, in un altro studio, Crofoot e i suoi colleghi35 avrebbero individuato che, in generale, gruppi più grandi, in questo caso di scimmie cappuccine, vincono i conflitti, a meno che un gruppo più grande non abbia invaso in profondità il territorio di gruppi vicini più piccoli, dove sarebbe, paradossalmente, stando alla teoresi che i ricercatori propongono, molto più probabile che perdano. Teoreticamente, secondo il ragionamento di questi studiosi, ogni membro aggiuntivo del gruppo avrebbe aumentato del 10% le possibilità di vincere una lite di gruppo. Tuttavia, in conformità alle osservazioni rilevate in campo, i gruppi più piccoli, al centro del loro territorio, costituirebbero una forza da non sottovalutare perché, a quanto propone il modello elaborato dai ricercatori, ogni 100 metri che un gruppo vicino più grande si sposta dal centro del suo home range,36 le sue possibilità di vincere una lite con un gruppo vicino, pur se più piccolo, diminuiscono di ben 31%.37

Approfondendo sulle dinamiche di potere non-umane nei gruppi, Crofoot e il suo gruppo si sarebbero chiesti, con logica perplessità d’ingenuità umana, perché piccoli gruppi potevano sconfiggere grandi gruppi che si inoltravano troppo profondamente nei loro territori. Forse, avrebbero ipotizzato, i grandi gruppi, in pratica, non erano così grandi come apparivano in base al numero di membri. Oppure, probabilmente, non tutti i membri di quei gruppi più grandi stavano contribuendo con la loro giusta quota nel combattimento. A questo punto, l’accorgimento dei ricercatori fu quello di ipotizzare che forse alcuni cappuccini in gruppi più grandi eranofree-rider, facendo affidamento sui loro compagni di gruppo per pagare il costo quando scoppiavano gli scontri per il potere.

Per verificare queste ipotesi, Crofoot e i suoi colleghi avrebbero creato una serie di file audio di 60 secondi di quattro gruppi di cappuccini che loro stavano studiando.38 Quelle registrazioni, viene riferito, contenevano rumori associati al foraggiamento, inclusi richiami riguardanti il cibo, frutta che cade e scimmie in movimento. A metà di ogni registrazione audio, sono state inserite delle urla associate a lotte di potere. I suoni prodotti da tutti i membri del gruppo sarebbero stati inseriti nel file, fornendo una stima approssimativa delle dimensioni del gruppo per coloro che avrebbero ascoltato. Ai cappuccini di un gruppo sarebbero state fatte sentire registrazioni di file audio relative ad un gruppo vicino, simulando un’intrusione nel territorio. Le riproduzioni (playback) provenivano da un altoparlante posizionato al centro del territorio del gruppo o ai margini. Se un cappuccino lasciava l’albero su cui si trovava e si spostava di almeno cinque metri in direzione di un altoparlante, Crofoot presumeva che fosse pronto per partecipare a un incontro con un altro gruppo. Se invece lasciava l’albero e si spostava di cinque metri nella direzione opposta a quella dell’altoparlante, il metodo della ricerca prescriveva che si stesse ritirando e, quindi, si stesse liberando [free-riding],39 facendo affidamento sui suoi compagni di gruppo per difendere il collettivo dalla vicina banda di scimmie.40

Stando alla documentazione dello studio, i cappuccini avevano una probabilità quasi sette volte maggiore di avvicinarsi a un altoparlante se quell’altoparlante fosse posizionato al centro del loro territorio piuttosto che ai margini di esso. L’intrusione nel loro territorio sembrava davvero irritarli. Anche il free-riding sarebbe fortemente legato al luogo, ma le probabilità che un cappuccino si ritirasse, cioè agisse da free-rider, sarebbero state molto più basse quando l’incursione era al centro del suo territorio. Tutto ciò significherebbe (nella teoria dei ricercatori citati) che i grandi gruppi che si avventuravano fuori dal centro del loro territorio erano particolarmente suscettibili al free-riding. Questa considerazione, a sua volta, aiuterebbe a spiegare (all’interno del modello teorico in questione) perché i gruppi più piccoli potrebbero sconfiggere i gruppi più grandi, quando le incursioni dei grandi gruppi sono in profondità nel territorio del gruppo più piccolo.41

In tutto il pianeta, studiosi di orientamento comportamentista del modo di agire o di fare degli animali continuano a rimuovere strati di complessità su come gli individui di ogni specie acquisirebbero, conserverebbero, perderebbero e riconquisterebbero potere,42 vale a dire i modi sottili e non tanto sottili con cui gli animali non-umani si adoperano per controllare gli altri. In ogni modo, gli studiosi riportano43 che ci sarebbe ancora molto lavoro da fare prima di avere un modello teorico circa il potere o controllo degli altri integrato e di ampia portata nei non-umani. Stando agli studiosi,44 è difficile dire esattamente come sarà ma azzardano alcune ipotesi. La teoria, se e quando arriverà, sarebbe quasi certamente informata dai nuovi strumenti tecnologici associati alla raccolta di dati comportamentali. Il tracciamento GPS sarebbe solo la punta dell’iceberg. In molte specie, gli animali verrebbero dotati di piccoli dispositivi che parlano tra loro, in modo che quando due animali si trovano a una certa distanza, i collari raccolgono dati su entrambi. Sebbene l’osservazione degli animali sul campo (o in laboratorio) sia insostituibile, il modo in cui vengono raccolti i dati sta cambiando e con ciò anche il modo in cui vengono interpretati. Tali interessanti aspetti euristici della questione non sono però ciò che questa breve rassegna intende evidenziare.

Senza dubbio, come segnala anche Dugatkin,45 il modello teorico emergente che intende spiegare le dinamiche di potere, cioè dei comportamenti volti al controllo di altri membri della propria specie, sarà, verosimilmente, informato altresì da ciò che accadrebbe all’interno degli animali stessi mentre si manifestano i comportamenti vincolati dai ricercatori alle dinamiche di potere. Infatti, i nuovi progressi in endocrinologia e neurobiologia permetterebbero di comprendere meglio non solo come i comportamenti legati al potere influenzino i livelli ormonali e l’attività neurobiologica ma anche come tali processi fisiologici influenzino la dinamica del potere. Allo stesso modo, il lavoro sull’espressione genica aiuterà gli studiosi a valutare come i geni, spegnendosi o accendendosi, influenzino il posto dei singoli in una gerarchia.46

Infine, qualsiasi modello veramente efficace emerga, dovrebbe, secondo gli esperti,47 tenere conto delle forze evolutive e concentrarsi sui costi e benefici dell’energia investita in un comportamento, in un particolare contesto ecologico e per lunghi periodi di tempo. Ciò significherebbe che, mentre si continua ad accumulare sempre più data sulla dinamica del potere tra gli animali non-umani, si potrebbe continuare ad utilizzare l’euristica precedente per cercare modelli spiegativi più ampi. È molto probabile che gli studiosi si troveranno in grado di rispondere a molte domande sulle dinamiche di potere, vale a dire di controllo degli altri membri della propria specie, al fine di approfondire la nostra comprensione dell’evoluzione della socialità nei non-umani – e forse, anche, in noi stessi. Nel frattempo, forse nell’ultimo capitolo dell’umano e pur se tale capitolo iniziasse con la proclamazione dell’inizio del post-umano, nella confusione, qualcuno di noi, nella calca, potrebbe intuire che per quanto riguarda la capacità di dirigere, controllare o influenzare il comportamento dei membri della propria specie e il potenziale di detenzione delle risorse gli animali umani e non-umani ci comportiamo in modo abbastanza affine.

E tutto questo potrebbe accadere pur se siamo stati lungamente avvertiti che il potere (ancorché si faccia chiamare partito, movimento, nazione, stato, rivoluzione, corporation, lista civica, fondazione, religione o civiltà) cerca il potere interamente per sé stesso. Come insisteva George Orwell in forma romanzata, al potere non interessa il bene degli altri e ben che meno nessuno prende il potere con l’intenzione di cederlo perché il potere, si è chiaramente palesato nella storia dell’umanità, non è un mezzo ma un fine. L’oggetto del potere è il potere stesso.48 Raggiungere e mantenere il potere è al centro di quasi tutte le società animali. E tale comportamento è subdolo come la politica umana.

______________Note _________________

1 Lee Alan Dugatkin, and Lyudmila Trut. How to Tame a Fox (and build a Dog), The University of Chicago Press, 2017

2 Per i granchi eremiti le conchiglie sono il bene più prezioso che si possa possedere. Spesso le cambiano per avere più spazio per crescere e maggiore protezione. E la cosa più sorprendente è che utilizzano la loro abilità nel fiutare un esemplare morto per rubargli la conchiglia. Una sensibilità e una associazione di odore-azione non comune, per una specie che non è in grado di produrre autonomamente il proprio guscio.

3 Lee Alan Dugatkin. Power in the Wild: The Subtle and Not-So-Subtle Ways Animals Strive for Control over Others. The University of Chicago Press, 2022

4 Lee Alan Dugatkin. Fortune Favours the shrewd. In AEON, 30 September 2022

5 Ibidem

6 Lee Alan Dugatkin, op. cit. 2022

7 Ibidem

8 Ibidem

9 In biologia, il potenziale di detenzione delle risorse è la capacità di un animale di vincere una battaglia a tutto campo se dovesse aver luogo. Il termine è stato coniato da Geoff Parker nel 1974 per disambiguare la capacità di combattimento fisico dalla motivazione a perseverare in un combattimento.

10 Lee Alan Dugatkin. Power in the Wild: The Subtle and Not-So-Subtle Ways Animals Strive for Control over Others. The University of Chicago Press, 2022

11 Ibidem

12 Ibidem

13 Ibidem

14 Ibidem

15 Lee Alan Dugatkin. Fortune Favours the shrewd. In AEON, 30 September 2022

16 Ibidem

17 Ibidem

18 Walter H. Piper, Keren B. Tischler, Margaret Klich. Territory acquisition in loons: the importance of take-over. In Animal Behaviour. Volume 59, Issue 2, pages 385-394, February 2000

19 Ibidem

20 Ibidem

21 Richard Smith. The World Beneath: The Life and Times of Unknown Sea Creatures and Coral Reefs. Apollo Publishers, 2019

22 Walter H. Piper, Keren B. Tischler, Margaret Klich. op. cit. February 2000

23 Solveig C. Mouterde, David M. Duganzich, Laura E. Molles, Shireen Helps, and Joseph R. Waas. Triumph displays inform eavesdropping little blue penguins of new dominance asymmetries. In Animal Behaviour. Vol. 83, Issue 3, pages 605-611, March 2012

24 Ibidem

25 Ibidem

26 Ibidem

27 Ibidem

28Slocombe, Katie E., & Zuberbühler, Klaus. Chimpanzees modify recruitment screams as a function of audience composition. In PNAS Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 104(43), 17228–17233. 2007

29 Ibidem

30 Ibidem

31 Ibidem

32 Margaret C. Crofoot, Ian C. Gilby, Matin C. Wikelski and Roland W. Kays. Interaction location outweighs the competitive advantage of numerical superiority in Cebus capucinus intergroup contests. In Proceedings of the National Academy of Sciences, 105 (2): 577-81, 2008

33 Ibidem

34 Ibidem

35 Margaret C. Crofoot, Ian C. Gilby, Matin C. Wikelski and Roland W. Kays. Interaction location outweighs the competitive advantage of numerical superiority in Cebus capucinus intergroup contests. In Proceedings of the National Academy of Sciences, 105 (2): 577-81, 2008

36 Con il nome di spazio vitale o d’azione o anche home range, si indica, in etologia, tutta l’area che viene abitata da un individuo durante la sua vita, o da un gruppo di individui stabilmente organizzato durante la sua esistenza.

37 Margaret C. Crofoot, Ian C. Gilby, Matin C. Wikelski and Roland W. Kays, op. cit. 2008

38 Margaret Chatham Crofoot, and Ian C. Gilby. Cheating monkeys undermine group strength in enemy territory. In Proceedings of the National Academy of Sciences, 109 (2) 501-505, December 27, 2011

39 Il problema del free rider (letteralmente il problema del passeggero non pagante o il problema dello scroccone) si verifica quando un individuo beneficia di risorse, beni, servizi, informazioni, senza contribuire al pagamento degli stessi, di cui si fa carico il resto della collettività. In ambito sociologico, il fenomeno del free rider ha luogo quando, all’interno di un gruppo di individui, si ha un membro che evita di dare il proprio contributo al bene comune poiché ritiene che il gruppo possa funzionare ugualmente nonostante la sua astensione. Free Riding è un’espressione che prende il nome proprio dal comportamento di colui che sale sull’autobus senza comprare il biglietto.

40 Margaret Chatham Crofoot, and Ian C. Gilby. op. cit. 2011

41 Ibidem

42 Lee Alan Dugatkin, op. cit. 30 September 2022

43 Ibidem

44 Lee Alan Dugatkin, op. cit. 2022

45 Ibidem

46 Ibidem

47 Ibidem

48 George Orwell. 1984 (Nineteen Eighty-Four), 1949