Spunti per reinterpretare le scelte di salute pubblica nel nome della scienza

Se l’evidenza empirica significativa è esasperatamente difficile da statuire in fisica …
8 Giugno, 2024
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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno X • Numero 37 • Marzo 2021

 

Dati quantificabili e modelli matematici: entità totemiche nella via della conoscenza ritenuta scientifica

Rappresenta tradizione di “BIO Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena” interessarsi a rendere esplicito, nella misura delle sue possibilità editoriali, il carattere di costrutto sociale di ogni conoscenza, soprattutto di quella ritenuta “scientifica” e, di conseguenza, della sua parzialità. Nelle circostanze attuali, in cui la specie sapiens, anziché declinazione indisturbata della selezione naturale, diventa una sorta di biomassa sperimentale a disposizione del bio-potere, tale chiarificazione costituisce un imperativo. Questa è la ragione del perché ritorniamo, insistentemente ogni trimestre, a proporvi spunti reinterpretativi che ci aiutino ad accertare, con strumenti concettuali pertinenti, la bio-politica che legittima sé stessa nel nome della scienza quale entità astratta e sostitutiva dell’oracolo o del comandamento sacro del sovrano.

Di solito pensiamo di sapere con chiarezza a quale tipo di conoscenza si afferisca quando, nella vita quotidiana, si fa riferimento alla scienza. Per alcuni, scienza afferisce a ciò che non è magico né soprannaturale. Per tanti altri la questione finisce in un onomatopeico beh bah boh. Ci sono pure i più istruiti che, facendo riferimento al metodo scientifico e ancorché non potendo spiegare in cosa consista, di preciso, tale rassicurante deus ex macchina, darebbero, in questo modo, una soluzione ad una situazione altrimenti abbastanza imbarazzante. Di fatto, se vogliamo approfondire la questione e proviamo ad interpellare gli epistemologi, vale a dire quegli esperti che studiano le fondamenta e i metodi della conoscenza, particolarmente quella stimata come scientifica, ci ritroviamo ad imparare che tale metodo sperimentale sia solo una modalità di interpretare modelli di relazioni che, per ragionamento di deduzione o induzione, sottostanno ai fenomeni naturali, principalmente in fisica.

Comunemente si tende a considerare che la scienza trae la verità, attribuendole l’oggetto delle religioni. Invero, costituisce un beneficio di pochi essere edotti in materia e, di conseguenza, istruiti per intendere la scienza come un’attività volta a pervenire ad una descrizione plausibile della realtà e delle leggi che regolano l’apparenza di un fenomeno. Chi fa scienza sa che l’incertezza casuale e sistemica fa parte della natura stessa dei procedimenti di misura in cui si esplica la scienza. In breve, si tratta di una stima di valori a carattere predittivo che non si occupa della verità ma della verificabilità dei dati o fatti sperimentali. Inoltre, sa, ugualmente, che nella loro attività di stabilire le interazioni tra le loro misurazioni sperimentali mediante ragionamenti logici condotti da una serie di assiomi. In sintesi, nel fornire un modello semplificato della classe dei fenomeni osservati e descritti, la scienza propone una teoria deduttiva, coerente e relativamente autoconsistente, costruita tipicamente a partire dall’induzione sperimentale.

Data la sua attività di ridurre l’aspetto fenomenico a grandezze, misurazioni e interazioni delle variazioni sperimentali, la scienza è diventata sinonimo di dati e modelli, al punto che i ricercatori stessi perdono di vista la dimensione di costrutto dei loro modelli e del sapere strumentale che ne deriva. Ma come la secolarizzazione, in termini effettivi, è declinata nell’ambito degli usi e dei costumi anziché dei nostri modelli cognitivi, si scambia, anche intenzionalmente, ciò che era la tradizione teologica della verità rivelata con il sapere strumentale derivato dall’umana attività produttiva denominata scienza. Ma malgrado la secolarizzazione dei costumi, questi dati e modelli, generati da quest’attività a carattere fondamentalmente strumentale, cioè utile, vengono istituiti nella cultura popolare come rivelazioni inconfutabili dell’oracolo, trasferitosi oggi al laboratorio e, di conseguenza, legittimi per validare qualunque scelta politica, commerciale e perfino di giurisprudenza.

Stando così le cose, va da sé che anche per la maggior parte dei ricercatori e dei politici, per non accennare al cittadino medio, i dati quantificabili e i modelli matematici costituiscano, per così dire da una prospettiva critica, entità totemiche e unica via per la conoscenza cosiddetta “scientifica”. Di fatto, qualunque persona che non sia edotta in filosofia della scienza, cioè nei discernimenti e criteri che demarcano una conoscenza scientifica da una non scientifica, rifiuterebbe, subito, dal suo orizzonte cognitivo come non vera una proposizione, come quella di Michael Strevens, professore di filosofia della scienza alla New York University, che considera una finzione assurda, illogica ed inutile ritenere che la scienza sia fatta da soli dati e modelli.

Nel suo libro pubblicato a gennaio del 2020, The Knowledge Machine. How an Unreasonable Idea Created Modern Science,1 Strevens argomenta che, certamente, nell’ambito della cosiddetta scienza “moderna” ci sarebbe molto da offrire rispetto all’ambito di ciò che fu la “scienza” greca antica oppure cinese, come tecnologie avanzate per l’osservazione e la misurazione, comunicazione rapida ed efficiente e istituzioni ben finanziate e consacrate alla ricerca. Perfino, al parere di alcuni pensatori, fare scienza, oggi, avrebbe a disposizione un’ideologia superiore, pur se non sempre implementata in modo impeccabile, che si manifesterebbe in una preoccupazione per l’obiettività, l’apertura alle critiche e una preferenza per le tecniche irreggimentate per giungere alla conoscenza scientifica, come la sperimentazione controllata e causale. Paradossalmente, Strevens aggiunge a quest’elenco un altro elemento, un’innovazione che avrebbe reso la scienza moderna veramente scientifica: una sua certa irrazionalità altamente strategica.

L’esperimento e le sue misurazioni come cifra della scienza moderna che emula la fisica

“L’esperimento è l’unico giudice della verità scientifica”, dichiarò il fisico Richard Feynman nel 1963. “Tutto quello che mi interessa è che la teoria dovrebbe prevedere i risultati delle misurazioni“, disse Stephen Hawking nel 1994. E tornando più indietro nel tempo, troviamo nel XIX secolo John Herschel che esprime lo stesso pensiero: “All’esperienza ci riferiamo, come l’unico fondamento di ogni indagine fisica.” Queste non sono solo opinioni personali o propaganda. Il principio che solo l’evidenza empirica abbia peso nell’argomentazione scientifica risulta ampiamente sostenuto nelle discipline scientifiche attraverso le riviste accademiche, principali organi della comunicazione scientifica. In effetti, è ampiamente accettato, sia nel pensiero che nella pratica, che l’attenzione esclusiva della scienza all’evidenza empirica sia la sua forza più grande. Bisogna, però, prestare attenzione in quanto il criterio dell’esperimento di misurazioni per la predizione dei fatti sperimentali che origina ed organizza il paradigma della scienza è proprio quello dei fisici e della fisica, attività di misurazioni di ordini di grandezza per definizione.

Eppure c’è più di un accenno di dogmatismo in questa esclusività che la fisica concede ai fatti sperimentali nel fare scienza. Feynman, Hawking, Herschel sottolineano la necessità di ridurre la scienza alla sola evidenza empirica, deduttiva o induttiva che essa sia. Che dire, però, di altre considerazioni ampiamente ritenute rilevanti per la valutazione delle ipotesi scientifiche come l’eleganza teorica, l’unità o persino la coerenza filosofica? Tranne nella misura in cui tali qualità si rendano utili nella previsione e nella spiegazione di fenomeni osservabili, esse sono escluse dal dibattito scientifico e dichiarate impubblicabili nell’ambito editoriale che lo rappresenterebbe. Secondo Strevens è, per l’appunto, quell’impubblicabilità, quella censura, ciò che rende l’argomento scientico irragionevolmente ristretto. A parer suo, questa censura costituisce l’irrazionalità della scienza moderna e, tuttavia, anche ciò che spiega il suo successo senza precedenti.

Un esempio della censura scientifica in azione sarebbe, stando a Strevens, il caso della bellezza. Di fatto, quando, grazie agli acceleratori di particelle, sviluppati per esplorare la struttura sottostante nel protone, si sono scoperti oltre i quark2 up e down altri quattro quark, uno di questi è stato chiamato charm (fascino). La teoria dei quark, sviluppata in modo indipendente da Murray Gell-Mann nel 1964, sosteneva che i protoni, una volta ritenuti particelle fondamentali, fossero in realtà fasci strettamente legati di tre particelle più piccole, o quark. Gli esperimenti di Gell-Mann di “scattering anelastico profondo”3 hanno, effettivamente, verificato le previsioni che l’impulso trasferito al protone dall’energia dell’elettrone era abbastanza grande da rompere il protone e interagire con la sua struttura interna, costituendo la prima prova empirica diretta dell’esistenza del quark. In effetti, per questi studi ricevette il Nobel della Fisica nel 1969. Tuttavia, stando a Strevens, Gell-Mann non avrebbe sviluppato la teoria dei quark solo per spiegare i modelli di scattering anelastici ma sarebbe stato anche motivato dal desiderio di rivelare, nella proliferazione di particelle che erano state scoperte dai fisici negli anni ’40 e ’50, un ordine sottostante, un’armonia nascosta, una coerenza matematica fondamentale. In breve, sarebbe stato motivato ugualmente dal desiderio di rivelare che la bellezza teorica potesse costituire la parvenza di una regolarità scientifica.

Secondo Strevens, Gell-Mann era del parere che se si osservasse il mondo con una predisposizione cognitiva più vicina all’allucinazione percettiva adattiva controllata dagli organismi viventi si renderebbe manifesto che la bellezza, la semplicità e l’eleganza attuino come criteri di selezione naturale e che queste qualità potrebbero essere perfino utilizzate come criteri orientativi per individuare possibili ipotesi corrette nel fare scienza. Molti fisici, prima e dopo Gell-Mann, hanno espresso più o meno la stessa convinzione. Il fisico Paul Dirac scrisse nel 1963: “È più importante avere bellezza nelle proprie equazioni che adattarle a un esperimento.”4 Il Nobel della fisica Steven Weinberg nel 1979 disse nel 1992: “Noi non accetteremmo alcuna teoria come definitiva a meno che non sia bella.”5 Brian Greene, un altro fisico, conferma che questo riguardo per la bellezza sia un’influenza pratica significativa sul pensiero scientifico. Nella sua opera The Elegant Universe (1999)6, Greene ha detto che i fisici giudicano e fanno scelte riguardo l’indirizzo da prendere nelle loro ricerche fondandosi su un senso estetico, un senso in cui le teorie abbiano un’eleganza e una bellezza di struttura pari al mondo che sperimentiamo”.

Desiderio e divieto del pensiero estetico nella scienza e il principio dell’evidenza

L’importanza del pensiero estetico in fisica e, per estensione, nella scienza, da quanto si desume dagli studiosi citati, sembra ben nota a molti e, tuttavia, molti avranno anche la sensazione che la bellezza non sia sufficiente. In effetti, per supportare una teoria, gli scienziati richiedono prove empiriche come quella prodotta dagli esperimenti di diffusione anelastica profonda. Come afferma lo stesso Greene, i giudizi estetici non arbitrano il discorso scientifico. In definitiva, le teorie vengono giudicate in base a come si comportano di fronte a fatti sperimentali concreti. Ciò che forse pochi sanno è che gli appelli estetici non sono unicamente limitati a un ruolo sussidiario nell’argomentazione scientifica, quanto banditi.

La forma di questo divieto è piuttosto sottile. Come osserva Greene, gli scienziati non sonoo in alcun modo scoraggiati dal seguire la scia della bellezza nel loro pensiero privato né dal discutere questa strategia nei discorsi e nei libri popolari. Dove la bellezza non può avventurarsi è nell’arena del dibattito scientico professionale, cioè negli articoli di riviste scientifiche e nei documenti dei congressi. In tal ambito si possono trovare osservazioni occasionali sull’eleganza di una spiegazione ma nessuno costruisce un argomento a favore o contro una teoria, nemmeno in parte, su considerazioni estetiche. Sebbene i fautori di una nuova “fisica post-empirica” ​​vorrebbero cambiare questa regola, dovranno ancora guadagnare molto terreno. Il principio rimane saldo: ogni argomento deve essere costruito interamente sulla base di prove empiriche, pur se permane ancora aperta la questione di come si costruisca la “prova empirica” e di quanto l’establishment regolatore del discorso cosiddetto scientifico misconosca la questione relativa all’inevitabile coinvolgimento della soggettività dell’osservatore quando si fa scienza.7

C’è qualcosa di molto paradossale nell’atteggiamento dell’establishment regolatore della comunità scientifica riguardo l’estetica. Da un lato, la bellezza viene rappresentata come una luce guida. Se prendiamo Weinberg in parola, allora è semplicemente impossibile che una teoria priva di bellezza sia corretta. La bruttezza sarebbe una confutazione decisiva. D’altra parte, questa stessa qualità, che i fisici considerano così rivelatrice, viene del tutto esclusa dal dialogo ufficiale della scienza normativa o convenzionale. In definitiva, sembra che la convenzione nel fare scienza affermi che occuparsi della bellezza sia estremamente interessante ed anche utile ma che la scienza non dovrebbe prestare attenzione alla bellezza.

Stando al parere di Strevens, questo paradosso è irrazionale nel senso più completo perché quello che i filosofi chiamano il “principio dell’evidenza”8 impone, secondo lui, che quando si decide una questione importante si debba tener conto di tutte le considerazioni rilevanti. Nella sua interpretazione del principio, in alcuni casi, si può decidere che non valga la pena spendere tempo o denaro per perseguire una certa linea di pensiero ma si è razionalmente obbligati a dare a ciascuna linea importante almeno un’attenta, pur se breve, ispezione. Se si crede che sia promettente, se sembra che possa fornire una guida sostanziale per risolvere il problema in questione, allora la si dovrebbe seguire, per quanto sia praticamente possibile.

L’editto dell’establishment regolatore della comunità scientifica secondo cui “contano solo le prove” viola grossolanamente lo stesso principio stando alla modalità interpretativa di Strevens. Come accennato, i fisici considerano la valutazione estetica delle teorie altamente informativa e ci sono pochi o nessun ostacolo pratico all’uso della bellezza come misura della plausibilità di una teoria. Strevens sostiene che per qualsiasi pensatore che si prenda il tempo per capire il funzionamento di una teoria, una stima della sua bellezza arriverebbe più o meno spontanea. Eppure i gruppi dirigenti della comunità scientifica rifiutano ogni riferimento all’estetica quando uno “scienziato” formula e pubblica argomenti per le proprie teorie.

Seguendo il ragionamento di Strevens, ciò che risulta logicamente discutibile, va sottolineato, non è che la deliberazione scientifica preferisca l’evidenza empirica al pensiero estetico e nemmeno un eventuale obbligo di scegliere l’una o l’altra in quanto possono coesistere entrambe. Inoltre, si possono privilegiare le prove, i “fatti concreti” quanto si voglia, soprattutto perché si accumulerebbero e si avvicinerebbero all’incontrovertibilità. Il principio dell’evidenza non avrebbe alcun problema con questo. Esso enuncia solo che, se si pensa che l’estetica fornisca un’intelligenza utile, si debba anche tenere conto della bellezza. Ma l’establishment che governa la cosiddetta comunità scientifica ingiunge che la si debba ignorare completamente, indipendentemente da quanto si pensi sia importante. O più esattamente, la si debba ignorare nei propri contributi professionali, nelle proprie pubblicazioni. Quest’interdizione, dal punto di vista di Strevens sarebbe ciò che risulta irrazionale.

La conoscenza scientifica, secondo l’ortodossia, dovrebbe essere o, se non lo fosse, almeno proclamata, oggettiva, metodica, lucida, acuta e, in linea di principio, non dovrebbe ostacolare che il ricercatore (o scienziato che sia) possa ragionare, privatamente e tra colleghi, in termini di intelligenza estetica. In ogni modo, rimane la domanda di come sia avvenuto, allora, che il protocollo della pubblicazione scientifica andasse direttamente in contrasto con i canoni della razionalità del principio dell’evidenza. La congettura di Strevens è che potrebbe esserci qualche beneficio positivo nell’imporre questa ristrettezza nell’indagine scientifica.

Fare scienza pura comporta mancanza di risultati immediati profittevoli, enormi costi crescenti ed un futuro incerto: l’esperimento LIGO

Oltre ad affrontare la propria autocensura, fare scienza pura comporta scontrarsi con altre continue difficoltà come la mancanza di risultati immediati profittevoli, gli enormi costi crescenti ed un futuro incerto. L’esperimento LIGO costituisce esempio eloquente che ci consente di illustrare questa condizione di problematicità nel fare scienza.

Il progetto LIGO, acronimo di Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory, ovvero Osservatorio Interferometro Laser delle Onde Gravitazionali, si basa sul lavoro di numerosi scienziati che cercarono di definire un esperimento per valutare una parte della teoria della relatività di Einstein, nello specifico l’esistenza delle onde gravitazionali. A partire dagli anni sessanta del Novecento, studiosi, tra cui il fisico Joseph Weber9, Mikhail Evgen’evich Gertsenshtein e Vladislav Ivanovich Pustovoyt10, posero le basi teoriche e lavorarono ai primi prototipi di uno strumento, l’interferometro, per il rilevamento delle onde gravitazionali basato sull’interferometria11 laser.

In effetti, nel 1967 Rainer Weiss12 del Massachusetts Institute of Technology (MIT) pubblicò un’analisi per l’utilizzo di un interferometro laser ed iniziò la costruzione di un prototipo, grazie a sovvenzioni per la difesa, ma il progetto fu interrotto prima di diventare operativo. Dal 1968, Kip Thorne iniziò anche lui uno studio sulle onde gravitazionali e relative sorgenti nello spazio presso il California Institute of Technology (Caltech) e si convinse della possibilità di rilevarle, cioè di trovare l’evidenza empirica, con un esperimento. La costruzione del prototipo di un rilevatore interferometrico di onde gravitazionali non fu conclusa però che alla fine degli anni sessanta da Robert Forward, con i contributi dei colleghi del Hughes Research Laboratories13 e migliorato, successivamente, negli anni settanta da Weiss, presso l’MIT, da Heinz Billing ed i suoi colleghi presso il Max Planck Institute for Physics a Garching in Germania ed anche da Ronald Drever, James Hough ed i loro colleghi nella Glasgow University in Scozia.

Nel 1980, la National Science Foundation (NSF), l’agenzia governativa degli USA per la ricerca in campi non medici, finanziò, con fondi federali, uno studio sotto la direzione di Paul Linsay, Peter Saulson e Rainer Weiss per la realizzazione di un grande interferometro da parte del MIT. L’anno seguente, il California Institute of Technology realizzò, sotto la direzione dei fisici Ronald Drever e Stan Whitcomb, un prototipo da 40 metri. È stato solo a questo punto della ricerca che lo studio dell’MIT stabilì la fattibilità degli interferometri aventi una lunghezza nell’ordine del chilometro e con un’adeguata sensibilità.

Grazie all’influenza della NSF, l’MIT ed il Caltech furono invitati a condurre insieme il progetto per la costruzione di un osservatorio per le onde gravitazionali (LIGO) basato sullo studio del MIT e sui lavori sperimentali presso il Caltech, l’University of Glasgow e il Max Planck Institute for Physics a Garching in Germania. Drever, Thorne e Weiss formarono un comitato per la realizzazione del LIGO, tuttavia non riuscirono ad ottenere i finanziamenti per il progetto nel 1984 e neanche nel 1985. Nel 1986 il comitato fu sciolto e fu nominato unico responsabile, Rochus E. Vogt. Nel 1988 una proposta di ricerca e sviluppo per il LIGO ottenne un nuovo finanziamento.

Tra il 1989 e il 1994 il progetto LIGO non riuscì a decollare né dal punto di vista organizzativo né da quello scientifico, ottenendo alcuni risultati solo dal punto di vista politico conquistando l’appoggio del Congresso degli Stati Uniti. Le richieste di finanziamento furono sempre rifiutate fino al 1991, quando il Congresso approvò una somma di 23 milioni di dollari per il primo anno, tuttavia non furono raggiunti gli standard per poter ricevere i fondi e la NSF mise in dubbio la solidità tecnologica ed organizzativa del progetto. Nel 1992, il programma LIGO fu rivisto nell’organizzazione e Drever non ne fece più parte direttamente. Problemi di gestione del progetto e preoccupazioni tecniche, evidenziati dalla NSF, portarono ancora al congelamento dei fondi nel 1993.

Nel 1994, dopo una consultazione fra la NSF e i coordinatori scientifici del progetto LIGO, l’MIT ed il Caltech, il direttore Vogt si dimise e Barry Barish (Caltech) fu nominato nuovo direttore del progetto. La NSF fece presente che il progetto LIGO aveva l’ultima possibilità per essere finanziato. Il team condotto da Barish propose un nuovo studio, un nuovo piano finanziario ed un nuovo progetto esecutivo che prevedeva un investimento superiore del 40% al precedente. Questa nuova proposta fu approvata dalla NSF, comprensiva dell’aumento del 40%. Nel 1994, con un finanziamento di 395 milioni di dollari, il progetto LIGO divenne il più grande e costoso progetto finanziato dalla NSF. Verso la fine del 1994, 30 anni dopo che si era cercato di definire un esperimento per valutare una parte della teoria della relatività di Einstein, furono gettate le fondamenta per il primo rilevatore delle onde gravitazionali presso Hanford, nello stato di Washington, poi nel 1995, iniziarono i lavori anche per il secondo rilevatore a Livingston, in Louisiana. L’elezione di due siti separati, uno nello stato di Washington e l’altro nel Louisiana, è stata presa allo scopo di ridurre al minimo il pericolo di “rilevare” un rombo locale.

I rilevatori iniziarono ad operare nell’agosto del 2002 ma fino al 2010, più di 40 anni dopo che le basi teoriche dell’esperimento furono gettate, non si ottenne alcun risultato apprezzabile. Nel 2004, fu iniziato il miglioramento della sensibilità dei rilevatori (definito “Enhanced LIGO”). Questo portò al fermo dell’attività di rilevamento per alcuni anni per permettere la sostituzione dei rilevatori originari e sostituirli con una nuova versione detta “Advanced LIGO”. Molta parte del lavoro di ricerca e miglioramento tecnologico delle nuove macchine LIGO/aLIGO era basato sui lavori pionieristici del rilevatore GEO600 di Hannover, in Germania. Nel febbraio 2015, i nuovi rilevatori furono installati in entrambe le sedi del LIGO.

Alla metà di settembre 2015 fu completata la revisione totale, durata cinque anni e del costo di 200 milioni di dollari, che portò il costo totale del progetto LIGO a 620 milioni di dollari. Il 18 settembre 2015, l’Advanced LIGO iniziò la sua attività scientifica di rilevamento e misurazione con una sensibilità quattro volte maggiore della versione iniziale dell’interferometro LIGO. La sensibilità del rilevatore verrà ulteriormente aumentata fino a raggiungere quella di progetto prevista per il 2021. L’11 febbraio 2016, la LIGO Scientific Collaboration e la Virgo Collaboration pubblicarono un articolo sulla prima osservazione diretta di onde gravitazionali, costituita da un segnale distinto ricevuto alle 09.51 UTC del 14 settembre 2015 di due buchi neri aventi ~30 masse solari che si fondevano tra loro a circa 1,3 miliardi anni luce dalla terra. Il 15 giugno 2016 è stato annunciato il secondo rilevamento di un’onda gravitazionale, anch’essa, stando ai ricercatori, provocata dalla fusione di due buchi neri, rilevata il 26 dicembre 2015. La massa dei due buchi neri, distanti 1,4 miliardi di anni luce, coinvolti nell’evento fu stimata tra le 14 e le 8 masse solari, molto inferiore a quella del primo evento rilevato. Infatti, l’evento, cioè l’evidenza empirica, fu evidenziato solo attraverso l’elaborazione di dati degli osservatori, in collaborazione con VIRGO. Il 4 gennaio 2017 alle 10 e 11 minuti UTC sarebbe stato rilevato un terzo segnale, anch’esso ritenuto il prodotto dalla fusione di due buchi neri, distanti 3 miliardi di anni luce e aventi massa di 31 e 19 masse solari.

In breve, un esperimento il cui iter iniziò negli anni ’60 del Novecento, alla ricerca di un rigore scientifico, vede i primissimi imperfetti e scarsi risultati nel settembre del 2015.

La storia di LIGO è turbolenta e lunga. Dalla prospettiva della fisica ad oggi, il successo del progetto potrebbe sembrare tanto inevitabile quanto faticosamente vinto. Trenta anni fa sembrava essere al punto di essere definitivamente abbandonato. La National Science Foundation (NSF), che aveva finanziato LIGO a intermittenza dagli anni ’70, aveva iniziato a dubitare che potesse avere successo. Era assai costoso, la tecnologia non era provata, la politica complicata e i fondi per la scienza in generale diminuivano sulla scia del disinteressamento del mercato azionario dagli anni ’80 in poi con la fine della Guerra Fredda.

A quel punto, dopo più di 40 anni, i ricercatori e altri sostenitori del progetto LIGO avevano trascorso buona parte della loro carriera e vita professionale sviluppando la tecnica laser per misurare le onde gravitazionali e sembrava che non potessero andare da nessuna parte. È stato fatto di tutto per resuscitare l’esperimento: nuovi direttori, nuove proposte e ulteriori finanziamenti. Il progetto richiedeva pazienza straordinaria, per otto anni, dal 2002 al 2010, LIGO ha funzionato senza aver rilevato alcuna onda. È stato aggiornato a “LIGO migliorato”. Ancora niente. Quindi, è stato installato un aggiornamento più sostanziale a “LIGO avanzato”, che ha richiesto quasi sette anni di lavoro (a partire dal 2008). Questa nuova versione, attivata nel 2015 – circa 50 anni dopo che i fisici Rainer Weiss e Kip Thorne avevano iniziato a sviluppare l’idea per LIGO negli anni ’60 – avrebbe rilevato le onde tanto ricercate. A quel punto Weiss, Thorne e il direttore del progetto Barry Barish avevano più di 75 anni e si erano ritirati dalle loro posizioni di ricerca di lunga data presso il Massachusetts Institute of Technology e Caltech. In ogni modo, invece di orologi d’oro, hanno ottenuto un premio Nobel.

Ciò che la storia di LIGO e di tante altre saghe scientifiche illustrano è l’intenso impegno e la concentrazione necessari per fare scienza pura. La natura fornisce tanti indizi su ciò che il sapere umano ha immaginato come la sua struttura profonda, ma questi indizi dell’ipotizzata struttura della natura sono, per la maggior parte, a malapena accessibili. Ciò che distingue la teoria della gravitazione di Isaac Newton dalla teoria di Einstein che l’ha sostituita sono, stando a Strevens, piccole discrepanze, come la minima parte del diametro di un protone con cui i tubi di LIGO si espandono e si contraggono. Le differenze di questo ordine sono, effettivamente, estremamente difficili da rilevare in modo affidabile: lo sforzo e il costo di un esperimento riuscito sono paurosi. Un altro test alla ricerca di prove della teoria della relatività generale di Einstein è l’esperimento Gravity Probe B, che ha richiesto più di 40 anni per essere completato e al 2010 aveva già consumato circa USD 750 milioni. Il suo obiettivo era misurare la curvatura dello spazio tempo in prossimità della Terra e, di conseguenza, il tensore energia impulso correlato alla distribuzione e al moto della materia nello spazio.

Gli esperimenti di fisica potrebbero essere un caso estremo, ma sono tutti uguali, illustrazioni di una verità universale: attraverso i domini della scienza, l’evidenza empirica più significativa è esasperatamente difficile da scoprire.14 Tracciare i modi in cui i geni guidano lo sviluppo biologico – mentre assemblano collettivamente un corpo con tutti i suoi arti, tentacoli, occhi e antenne nei punti corretti – significa seguire il corso di una miriade di reazioni chimiche complesse a livello molecolare. Capire come l’attivazione neuronale dia origine a sensazioni, comportamenti e pensieri significa svelare una rete neurale contenente, nel caso del cervello umano, forse 100 trilioni di sinapsi e le sinapsi potrebbero non essere gli unici ponti intercellulari rilevanti per il funzionamento cognitivo. Questo accenno alla fisica, per antonomasia, la scienza, non è né retorico né metaforico come stile, e manco quest’ultimo esempio, riguardante la complessità dello sviluppo biologico guidato da geni, lo è. Anzi, quest’argomentazione costituisce un invito aperto ad essere utilizzata come griglia di riferimento per affrontare il discorso mediatico relativo alle politiche di salute pubblica nel nome della scienza.

Ostacoli nel riconoscimento dell’evidenza empirica nei domini della scienza: dimensione, complessità e rumore

In un modo abbastanza astratto e riassuntivo le difficoltà nell’individuare e statuire l’evidenza empirica nei domini della scienza fisica, sinonimo di scienza, si possono schematizzare i tre tipi di ostacoli. In alcuni casi, l’ostacolo nell’individuazione dell’evidenza empirica significativa è costituito dalla dimensione: le quantità o le strutture rilevanti sono estremamente piccole o lontane oppure vecchissime. In altri casi, l’ostacolo proviene dalla complessità: le parti del sistema sono profondamente interconnesse. In altre circostanze l’ostacolo origina dal rumore: i processi sotto osservazione sono costantemente sballottati da forze esterne, annegate nella statica ambientale, il cui ronzio e tintinnio deve essere districato dai processi stessi. In molti casi, la difficoltà nel precisare l’evidenza empirica perviene da combinazione di questi o dall’intero insieme di fattori. Tutto sommato, come riassume Strevens, fare scienza empirica è complicato, costoso, richiede tempo e, a sua volta, risulta monotono, frustrante e spesso soggetto a un fallimento quasi totale.

Per quanto entusiasmante possa essere la prospettiva di discernere le verità nascoste della natura, quindi, la vita quotidiana di uno scienziato tende a essere non solo scoraggiante ma demoralizzante. La difficile situazione degli scienziati di LIGO intorno al 1990 – nessun risultato, costi in aumento, un futuro incerto – è piuttosto che un’anomalia una normalità.

A questo punto ci si potrebbe chiedere cosa spinge i ricercatori che possiamo, davvero, chiamare scienziati, ad andare avanti? Per presentarsi al laboratorio settimana dopo settimana, per mettere a punto un apparato che ancora non funziona secondo le specifiche o per decodificare dati statistici parziali e rumorosi che ancora non mostrano alcun effetto chiaro? Per sopportare le battute d’arresto, la noia, il terrore esistenziale senza fine che il loro finanziamento potrebbe semplicemente scomparire?

Possiamo congetturare che se un ricercatore della caratura di uno scienziato smettesse di andare al laboratorio, perderebbe il lavoro. Oppure che quando i fondi vengono sospesi si ritrovano a fare tante altre attività. In effetti, ad esempio, Weiss inviava palloncini per misurare la radiazione cosmica dei forni a microonde e Thorne scrisse un libro di testo sulla gravitazione.15

Ma, poiché l’evidenza empirica significativa nella fisica e nella costruzione della scienza è esasperatamente difficile da scoprire e statuire, questi studiosi non potettero accreditare niente come evidenza per tutti gli anni in cui cercavano di stabilire le basi teoriche dell’esperimento per verificare le manifestazioni fattuali delle onde gravitazionali e in cui cercavano di realizzare i rilevatori idonei a catture un qualche segnale accreditabile a queste onde. Niente altro che non fossero manifestazioni incontrovertibili di tali onde si sarebbe qualificato come argomento positivo a favore dell’esistenza delle onde gravitazionali. Questo perché i canoni della scienza sono abbastanza specifici su ciò che è qualificato, cioè solo l’evidenza empirica. Se Thorne, Weiss e altri ricercatori volevano fare un caso scientifico per le onde gravitazionali, cioè il genere di cose che possono essere pubblicate in una rivista scientifica sotto il titolo “Le onde gravitazionali esistono davvero!” (O qualche altro equivalente), allora dovevano farlo usando prove empiriche, nel senso piuttosto preciso del termine nella scienza. C’era bisogno di qualcosa come LIGO e della sua impresa simile ad una tortura tantalica alla ricerca delle prove delle onde gravitazionali che altro non erano che un’ipotesi su un fenomeno inaccessibile direttamente all’esperienza umana.

Dunque, quando le scelte di salute pubblica ci vengono presentate come opzioni nel nome della scienza, allora dovremmo aspettarci che siano scelte documentate da evidenze raccolte attraverso progetti complessi, a volte quasi interminabili, che la maggior parte delle persone cosiddette “ragionevoli”, persino gli incalliti personaggi ricercatori di “verità”, preferirebbe evitare.

In questo modo, la ristrettezza delle regole della scienza, non adattabile ad urgenze umanitarie e politiche, incanala l’energia sociale, declinata in personificazioni istituzionali riguardanti lo stato delle cose, e le loro ambizione, verso percorsi specici, spesso piuttosto lunghi e ardui. Ma è proprio alla fine di questi percorsi che si trovano le evidenze più rivelatrici, vale a dire i fatti osservabili che discriminano più chiaramente tra teorie concorrenti o che spingono i pensatori, alla ricerca di spiegazioni, a escogitare idee completamente nuove. E tuttavia, nonostante questo paradigma riguardante il valore scientifico degli enunciati, rimangono irrisolti molti nodi relativi allo status della scienza in quanto costruzione sociale e umana.

In effetti, anche se si assum, come disse il filosofo della scienza Thomas Kuhn, nell’ormai libro rosso dell’ortodossia, The Structure of Scientific Revolutions (1962)16, che le peculiari istituzioni della scienza “costringono gli scienziati a indagare una parte della natura in un dettaglio e una profondità che altrimenti sarebbero inimmaginabili”, rimangono domande quali il conflitto di interesse tra coerenza dei fatti sperimentali, in termini dell’ortodossia scientifica, e il finanziamento delle impresse che statuiscono tale coerenza. E ancora tante altre domande, oltre alla costruzione sociale della scienza, valgono a dire tutti gli interrogativi relativi alle nuove rivelazioni riguardanti i processi cognitivi dove il cervello della specie viene, sì, statuito come “carne” impegnata nella predizione mediante il riconoscimento e la codificazione computazionale degli stimoli ma, in ogni caso, evolutivamente condizionato ad un fenomeno dell’interpretazione della realtà come allucinazione controllata volta a garantire la sopravvivenza adattiva. Questi vincoli cognitivi sono lontani dall’essere riconosciuti nel dibattito scientifico e politico formattato in piccoli tagli. La cosiddetta scienza moderna è ancora chiusa nell’orizzonte dei soli fatti empirici misconoscendo i processi che condizionano la loro fattura. Oppure, se si preferisce, ignara della sua autoreferenzialità.

Un’altra conclusione, forse più pratica di quanto sopra esposto come via d’uscita da “un vicolo cieco”, potrebbe essere racchiusa nelle seguenti considerazioni di von Foster e Luhmann17: per aggirare i paradossi relativi ad ogni conoscenza avrebbe senso discutere solo di osservazioni locali che sono limitate ad osservazioni o introspezioni soggettive, personali, quindi parziali ma sempre scambievoli e non assumere l’esistenza di alcuna verità in assoluto, perché l’interpretazione di ciò che è osservato ha un valore meramente relativo all’osservatore stesso. Dunque, con questi spunti di riflessione i discorsi delle politiche sanitarie adottate nel nome della scienza si adombrano in uno scenario di conflitti epistemici e di interessi palesemente tragicomico.

1 Michael Strevens. The Knowledge Machine. How an Unreasonable Idea Created Modern Science. Allen Lane, UK, 01/10/2020

2 Gli atomi sono formati da elettroni, protoni e neutroni, e queste due ultime particelle sono fatte di quark. Un po’ come una serie di bambole matrioska che si infilano l’una nell’altra. Fino a qualche anno fa i fisici ritenevano ci fossero solo due quark, chiamati up e down (“su” e “giù”) e di carica elettrica uguale rispettivamente a 2/3 e -1/3 della carica dell’elettrone; poi, con il passare degli anni e l’entrata in funzione dei grandi acceleratori di particelle, si è scoperto che la famiglia è più grande. Grazie agli acceleratori di particelle si sono scoperti infatti altri quattro quark, battezzati charm (fascino), strange (strano), bottom (basso) e top (alto). E ben presto si è scoperto anche che per ogni quark esiste un antiquark con carica elettrica opposta (e con un’altra proprietà opposta, la cosiddetta “stranezza”). Infine, come se non bastasse, ci si è resi conto che ogni quark può esistere in tre stati diversi, altrimenti sarebbe violata una legge fondamentale della fisica, il principio di esclusione di Pauli. In altre parole, due quark che ai nostri strumenti di misura sembrano uguali possono in realtà essere diversi: per convenzione, si dice che hanno un “colore” differente (e i nostri strumenti, come se fossero daltonici, non li possono distinguere).

3 Con scattering anelastico profondo o diffusione anelastica profonda, si indica un processo di scattering elettrone-protone in cui l’energia dell’elettrone, e di conseguenza l’impulso trasferito al protone, è abbastanza grande da “rompere” il protone e interagire con la sua struttura interna.

4 P. A. M. Dirac. The Evolution of the Physicist’s Picture of Nature. In “Scientific America”, Vol. 208, N° 5, pp: 45-53, May 1963

5 Steven Weinberg. Dreams of a Final Theory: The Scientist’s Search for the Ultimate Laws of Nature. Vintage Books, 1992

6 Brian Greene. The Elegant Universe: Superstrings, Hidden Dimensions, and the Quest for the Ultimate Theory. W.W. Norton & Company, 1999 / In italiano, L’universo elegante. Supertringhe, dimensioni nascoste e la ricerca della teoria ultima. Giulio Einaudi, 2015

7 Per una discussione approfondita circa i problemi epistemici dell’osservazione nella ricerca, nello specifico circa il mito del ricercatore come garante della determinabilità e configurazione del mondo, si veda: Rinaldo O. Vargas & Eugenia D’Alterio. L’osservatore globale. Ossimoro di falsità oggettive! In “BIO Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità. No. 17, pp.24-39, marzo 2016

8Il principio dell’evidenza trae origine dalle idee di Platone che considerava che le idee hanno la caratteristica dell’evidenza proprio perché esse appartengono al mondo sovrasensibile e sarebbe da tale mondo che promana la verità dell’evidenza che di per sé non farebbe parte dell’illusorio mondo sensibile. In effetti, il termine “evidentia” sta a significare ciò che si vede in modo eccellente ed immediato.

9 Joseph Weber. Detection and generation of gravitational waves. In “Physics Review”, Volume 117, Number 1, pp.306-313, 1960 Joseph Weber. Gravitational Waves. In “Gravitation and Relativity”, Chapter 5, pp. 90-105, W. A. Benjamin, Inc., New York, 1964

10 Mikhail E. Gertsenshtein and Vladislav I Pustovoit. On the detection of low frequency gravitational waves. In “Soviet Physics”, JTEP 16, pp. 433-435,1963

11 In fisica l’interferometria è un metodo di misura che sfrutta le interferenze fra più onde coerenti fra loro, utilizzando degli strumenti detti interferometri, permettendo di eseguire misurazioni di lunghezze d’onda, di distanze e di spostamenti dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda utilizzata; con essa vengono misurate anche le velocità di propagazione della luce in vari mezzi e per vari indici di rifrazione. L’interferometria di conseguenza risulta essere un’importante tecnica diagnostica e/o investigativa utilizzata in diversi campi come astronomia, fibre ottiche, metrologia, oceanografia, sismologia, meccanica dei quanti, fisica del plasma, rilevamento a distanza e analisi forensi.

12 Rainer Weiss. Nobel per la Fisica 2017 insieme a Barry Barish e Kip Thorne per i loro contributi decisivi all’osservatorio LIGO e all’osservazione delle onde gravitazionali.

13 HRL Laboratories è un centro di ricerca a Malibu, in California, fondato nel 1960. Precedentemente braccio di ricerca di Hughes Aircraft, HRL è attualmente di proprietà di General Motors Corporation e Boeing.

14 Michael Strevens, op. cit. 2020

15 Charles W. Misner, Kip S. Thorne, John Archibald Wheeler. Gravitation. Princeton University Press, 2017

16 Thomas Kuhn. La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Einaudi, Torino, 1979

17 Heinz von Foerster. Observing systems. Intersystems Publications, Seaside CA. 1981 & Niklas Luhmann. Essays on self-reference. Columbia University Press, New York, 1990

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