Passa il tempo, e le poche certezze che credevamo di avere sulla pandemia di Coronavirus cadono una dopo l’altra. Dopo aver dovuto rivedere le posizioni sulla natura della malattia, poi sull’utilizzo delle mascherine, poi sulle strategie di contrasto dell’infezione, ora medici e scienziati si trovano a dover riconsiderare anche la valutazione sulle fasce più bersagliate. A quanto pare, infatti, non è vero che gli uomini siano più colpiti delle donne, anzi. Quello che sembrava un dato incontrovertibile (al 13 marzo, inizio del lockdown, le donne erano appena il 39,7% dei casi registrati) è stato completamente ribaltato. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), aggiornato al 22 giugno, le donne rappresentano oggi il 54,2% del totale. Una differenza notevole, ma soprattutto una tendenza di difficile interpretazione, che vede la percentuale femminile in continua crescita da quando il dato viene registrato. E, neanche a dirlo, sul motivo di questo trend nessuno sembra capirci niente.
Chiariamo un punto: il fatto che la percentuale di uomini sia in forte diminuzione non vuol dire che ora la malattia li colpisca meno duramente. Secondo tutti gli studi più recenti sono ancora gli uomini a morire di più per il COVID19, sebbene anche questa disparità vada riducendosi, con la percentuale maschile scesa in due mesi dal 70% al 60%. E anche l’età in cui la malattia si sviluppa con maggiori criticità vede un dato meno drammatico per la popolazione femminile: le donne che muoiono in seguito alle complicanze da COVID hanno mediamente 85 anni, mentre gli uomini 79. Quale potrebbe essere, allora, il motivo per il quale il trend dei contagi è così fortemente in crescita tra le donne? Secondo alcuni potrebbe essere perché con il passare del tempo stanno emergendo molti più casi che riguardano il personale sanitario o i lavoratori delle RSA, categorie professionali dove le donne sono molte più degli uomini. Tra i 20mila e più operatori sanitari contagiati finora, infatti, i maschi rappresentano poco più del 31%. Un altra ragione potrebbe essere da cercare proprio nel fatto che la malattia si manifesti in forma più lieve nelle donne. Questo ha fatto sì che nella fase di maggiore congestione delle strutture di analisi, i casi maschili, più evidenti, prevalessero. Mentre in tempi recenti, quando si è cominciato a fare tamponi anche ai paucisintomatici o agli asintomatici, il numero di donne ha cominciato ad aumentare.
RIcordiamo che secondo gli studi pubblicati dall’ISS, basati su un campione di 26.466 casi, i pauci-sintomatici (cioè con sintomi lievissimi, simili a quelli di un raffreddore) in Italia rappresentano l’11,4% del totale e gli asintomatici il 29,5%.
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