Nel giorno in cui il mondo accende una luce sulla violenza contro le donne — il 25 novembre — dobbiamo con amarezza discutere di un dato sconcertante: per molte vittime, i diritti a salute e prevenzione sono un lusso che non possono permettersi. Le cicatrici invisibili dell’abuso si intrecciano con barriere concrete all’accesso alle cure e ai programmi di prevenzione, rivelando un legame profondo tra violenza di genere e disuguaglianza sanitaria.
La violenza come ostacolo alla prevenzione sanitaria
Un’indagine condotta su 207 donne nei centri antiviolenza della rete D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) ha mostrato che quasi la metà (48,8 %) non ha mai partecipato a iniziative di screening sanitario. Inoltre, il 31 % delle donne che avrebbero bisogno di cure segnala di incontrare barriere proprio a causa della violenza subita. Questo non è solo un problema di diagnosi tardive: è un problema che nasce dal vissuto di chi ha subìto abusi, da traumi che condizionano la fiducia, il tempo personale, le risorse economiche e la libertà di agire.
Le conseguenze psicologiche e sociali
La violenza non lascia soltanto ferite fisiche, ma erode la salute mentale delle sue vittime. A dirlo è la stessa indagine: oltre il 70% delle intervistate ha riportato sentimenti di solitudine, ansia e difficoltà nel fidarsi degli altri. Questa fragilità psicologica diventa struttura: la violenza diventa un fattore sistemico che influenza la capacità stessa di cercare cure, di pianificare visite, di sentirsi legittime nel prendersi del tempo per sé.
Per contrastare questo fenomeno, D.i.Re ha avviato il progetto “La salute è di tutte. Contro la violenza di genere, per il diritto delle donne alla salute”. L’obiettivo? Creare un ponte tra i centri antiviolenza e il sistema sanitario, offrendo visite gratuite di prevenzione senologica e cardiovascolare in strutture della rete D.i.Re su tutto il territorio nazionale.Non è solo un’offerta di cure: è un segnale, una dichiarazione che il diritto alla salute non può essere separato dal percorso di uscita dalla violenza.
Formiamo un sistema sanitario più giusto
Non basta mettere a disposizione visite gratuite: è necessario che il personale sanitario sappia riconoscere e rispondere al vissuto di violenza. Cristina Carelli, presidente D.i.Re, ha sottolineato che serve una formazione diffusa per medici e operatori sanitari, non solo per gestire le emergenze, ma per includere nel percorso di cura il riconoscimento del trauma, del vissuto e della vulnerabilità. Questo approccio non è per “superare” la violenza come episodio isolato, ma per affrontare la violenza come un fattore strutturale che intreccia salute fisica, psicologica e relazionale. Quando quasi metà delle donne intervistate dichiara di rivolgersi al medico solo in caso di sintomi, il problema diventa evidente: la prevenzione è un privilegio, non una garanzia. Il progetto “La salute è di tutte” non è solo un’iniziativa sanitaria, ma un’azione di giustizia sociale: puntare a dare a ogni donna l’accesso a una salute piena, libera dall’ombra della violenza.
Perché parlarne proprio il 25 novembre
La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre) è un momento per denunciare non solo la violenza fisica, ma anche le sue conseguenze a lungo termine. Il Ministero della Salute stesso riconosce che la violenza può avere effetti duraturi sul corpo e sulla mente, alterando persino i meccanismi molecolari e favorendo patologie croniche. Questa data diventa l’occasione per ricordare che il diritto alla salute è un passo essenziale per la liberazione delle vittime, non un extra da “offrire se si può”.
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