Nel corso del XX°secolo sono stati condotti esperimenti di psicologia di gruppo che hanno fornito indicazioni importanti sul funzionamento della mente umana. Alla luce dei crescenti disagi sociali dovremmo considerare queste conoscenze per meglio comprendere i comportamenti degli individui nella nostra epoca.
L’esperimento di Asch sul Conformismo, per esempio, ha evidenziato come i soggetti di un gruppo mostrino scarsa fiducia nei propri giudizi e tendano ad omologarsi al parere degli altri, considerandolo più attendibile. L’esperimento condotto nel 1951 dallo psicologo polacco Solomon Asch. dimostra che l’influenza psichica di un gruppo di persone può modificare le azioni, i giudizi e le percezioni visive di uno dei suoi membri. L’esperimento prevede che sette persone collaboratrici e complici si incontrino in un laboratorio con un ottava persona; lo scopo è quello di svolgere un normale esercizio di discriminazione visiva. Il conduttore dell’esperimento presenta loro delle schede con tre linee di diversa lunghezza in ordine decrescente mentre su un’altra scheda è disegnata un’altra linea, di lunghezza uguale alla prima linea della scheda precedente. Viene richiesto a quel punto agli otto soggetti, iniziando dai complici, quale sia la linea che nelle due schede si equivale.
Dopo un paio di ripetizioni del test con risposte corrette, alla terza serie di domande i complici rispondono concordemente in modo errato. L’ottavo soggetto, che viene interrogato per ultimo o penultimo, risponde frequentemente anch’esso in maniera scorretta, conformandosi alla risposta sbagliata fornita dalla maggioranza del gruppo. Pur sapendo quale sia la risposta giusta, il soggetto sperimentato decide di uniformarsi alla risposta degli altri membri. In totale, i soggetti non complici di Asch che parteciparono all’esperimento furono 123. Solo il 25% dei soggetti testati si sottrae alla pressione del gruppo, dichiarando ciò che vede realmente e non ciò che sente di dover dire; il 75% invece si conforma almeno una volta alla pressione del gruppo, il 5% di essi persevera nell’errore ad ogni ripetizione della prova.
Quando le risposte vengono fornite senza la presenza di altri individui, le risposte sbagliate ammontano solamente all’1%. Ciò che emerge è che il soggetto sperimentale si trovava in una situazione di disagio: scisso tra la consapevolezza di ciò che vede e ciò che sostiene la maggioranza; per un terzo dei soggetti, tale situazione porta a un ragionamento e a un conseguente cambio di giudizio che si uniforma con quello espresso dalla maggioranza.
Asch arriva alla conclusione che frequentemente gli individui preferiscono conformarsi alla maggioranza per non essere considerati devianti; ricercano l’approvazione sociale e desiderano che gli altri abbiano una buona opinione; probabilmente hanno paura di sentirsi esclusi e sono disposti a mentire agli altri e a sé stessi.
Di altrettanta attualità è l’esperimento sull’Obbedienza all’autorità, condotto da Milgram, col quale si è cercato di capire fino a che punto persone sottoposte ad una autorità che impartisce ordini sono disposte ad infliggere punizioni dolorose a un innocente (che nell’esperimento è un collaboratore che finge il dolore). Quasi tutti i partecipanti hanno obbedito fino in fondo agli ordini, senza fermarsi di fronte alle urla della vittima, nemmeno quando questa manifestava un problema cardiaco. Conformarsi agli ordini calati dall’alto da una autorità considerata legittima porta il vantaggio di non responsabilizzarsi, anche quando si tratta di ordini assurdi.
L’esperimento fu condotto nel 1961 dallo psicologo statunitense Stanley Milgram il cui obiettivo era lo studio del comportamento di soggetti ai quali un’autorità, nel caso specifico uno scienziato, ordinava di eseguire delle azioni contrastanti con i valori morali dei soggetti stessi. Milgram cercava una risposta alla domanda se i nazisti e i loro milioni di complici stessero semplicemente eseguendo degli ordini e conclude che il principio di obbedienza all’autorità è proprio di ogni essere umano.
Nella fase iniziale della prova lo sperimentatore, assieme a un collaboratore complice, assegna ai partecipanti, con un falso sorteggio, i ruoli rispettivamente di “allievo” e “insegnante”: il soggetto ignaro viene sorteggiato come insegnante e il complice del conduttore dell’esperimento come allievo. L’insegnante è posto di fronte ad un generatore di corrente elettrica e gli viene spiegato il suo compito, dopo aver provato sul proprio corpo il dolore della scossa. Ad ogni risposta sbagliata dell’allievo l’insegnante deve erogare una scossa d’intensità crescente. L’allievo è legato ad una sedia elettrica con un elettrodo al polso e risponde volutamente in maniera errata alle domande che gli vengono rivolte, fingendo implorazioni e grida al progredire dell’intensità delle scosse che in realtà non riceve. Il conduttore esorta in modo pressante l’insegnante con frasi come «l’esperimento richiede che lei continui», «è assolutamente indispensabile che lei continui», «non ha altra scelta, deve proseguire». Il grado di obbedienza è misurato in base alla potenza elettrica erogata da ogni soggetto prima che interrompa spontaneamente la prova. Nonostante i 40 soggetti dell’esperimento protestassero verbalmente, una considerevole percentuale obbedì al conduttore violando i propri principi morali. Pur non essendo costretti, tutti i partecipanti arrivarono a somministrare scosse da 210 volt. Il 62,5% somministrò le scariche con il massimo voltaggio. L’esperimento ha dimostrato che chiunque è in grado di eseguire un ordine immorale, distruttivo e nocivo, se impartito da una autorità su cui ripone la propria fiducia ed a cui deve render conto. La percezione di legittimità dell’autorità scientifica rappresentata dal conduttore e l’educazione all’obbedienza hanno reso possibile nell’esperimento un’azione sadica.
L’esperimento di Milgram ci permette di giungere ad alcune conclusioni. Il rispetto delle norme e dei divieti e il riconoscimento a un leader di comandare sono principi che permettono ad una società di funzionare; l’obbedienza è un principio insegnato all’uomo sin da quando è bambino. Consideriamo però che l’autorità che impartisce ordini viene spesso considerata meritevole di fiducia e competenza a prescindere dal tipo di ordine, in modo tale che colui che ubbidisce non si sente responsabile dell’azione che svolge. Si è inoltre portati ad obbedire facilmente ad un ordine crudele o violento quando l’azione da realizzare è graduata in un arco di tempo prolungato.