Teorie scientifiche e criterio epistemiologico

Rimandi per riflettere sulla scientificità della medicina.
5 Dicembre, 2020
Tempo di lettura: 22 minuti

Se il terreno dell’indagine scientifica è mutevole …

Nel precedente contributo del trimestrale BIO Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena per Generiamo Salute apparso sotto il titolo “IL TERRENO MUTEVOLE DELL’INDAGINE SCIENTIFICA IN FISICA QUANTISTICA. ALLEGORIA IN TEMPO DI COVID19 E CRISI DI CREDIBILITÀ NELLA SCIENZA” ci chiedevamo con quali certezza ontologiche si disegnassero le politiche e i protocolli della salute pubblica se il terreno dell’indagine scientifiche è mutevole. Emblematicamente abbiamo riassunto la situazione che emerge quando si intende dare risposta alla nostra domanda come un bollettino dal campo di guerra di un mondo incerto. In effetti, la situazione emergente è quella di un mondo solido ridotto a sbuffi di probabilità. Tale domanda conduce, inevitabilmente, alla soglia della frantumazione della scientificità e dei pronostici della medicina. Accostando lo stato dell’arte della scientificità della fisica a quella della medicina abbiamo segnalato che quel livello della ricerca in fisica quantistica di essere in grado di inquadrare attentamente una domanda, uscire e colpire “il mondo” in condizioni pulite di laboratorio e cercare di setacciare ammassi e ammassi di unità di osservazioni per ottenere una qualche fiducia di base nei risultati, è un livello ancora precluso alla medicina. Infatti, si tratta di un mondo allestito in condizioni di laboratorio. Tale mondo, in laboratorio, non è, però, il mondo reale e incontrollabile in cui ci troviamo in medicina. Per di più, dalla fisica quantistica apprendiamo che nell’ambito della realtà, le cui condizioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo. L’accadere (all’interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso. Da questo principio si desume che potremmo provare a imparare molto su una cosa ma, inevitabilmente, non sappiamo nulla di una certa quantità abbinata. Dunque, la risposta a cosa implica questo per la nostra nozione di come funziona il modo per fare previsioni su ciò che accadrà domani o il giorno successivo è, certamente, scoraggiante se ci manca sempre un qualcosa per determinare la previsione. E ciò che si può raccontare riguardo alla fisica quantistica può, ugualmente, servire come schema per indagare sullo stato dell’arte della medicina o su qualunque altro campo del sapere, innanzitutto se si ritiene che sia di utilità pratica riflettere sulle incertezze scientifiche e di ogni livello. Ma per onestà intellettuale e solidarietà con i medici e la medicina bisogna azzardarsi ad indagare come si possa determinare o demarcare la scientificità della scienza. Se riuscissimo a stabilire un tale principio, riusciremo ad aiutare la medicina a riflettere circa la scientificità della sua conoscenza. Ed è questo ciò che intendiamo con quest’argomentazione sul criterio di demarcazione tra scienza e non-scienza.

Livelli di posizioni cognitive riguardo la questione della scientificità della scienza

Di solito pensiamo di sapere con chiarezza a quale tipo di conoscenza si afferisce quando nella vita quotidiana facciamo riferimento alla scienza. Per alcuni, scienza può riguardare tutto ciò che non è magico né soprannaturale. Per tanti altri la questione potrebbe finire in un onomatopeico beh bah boh. Ci sono anche i più istruiti che possono fare riferimento al metodo scientifico e, anche, se forse non possono spiegare in cosa consista di preciso questo rassicurante deus ex macchina, si dà così una soluzione ad una situazione altrimenti abbastanza imbarazzante. Di fatto, se volessimo approfondire la questione e intendessimo interpellare gli epistemologi, cioè quelli esperti che studiano i fondamenti e i metodi della conoscenza scientifica, ci ritroveremo ad imparare che tale metodo sperimentale sia solo una modalità di interpretare modelli di relazioni che, per ragionamento di deduzione o induzione, sottostarebbero ai fenomeni naturali, principalmente in fisica.

Questo andare avanti nel voler precisare cosa si deva intendere precisamente quando si parla di scienza, paradossalmente, ci rimanda indietro nella storia. Appunto, l’intento di porre fine al vecchio problema di separare, in maniera netta, la scienza dalle altre forme di sapere occupa gli esperti in materia sin dai greci impegnati nel distinguere l’opinione (doxa) dalla conoscenza (episteme). Così, questa indagine sui criteri di distinzione tra non-scienza e scienza rischia di condurci, fatalmente, alla questione del criterio di demarcazione di ciò che fa di una conoscenza una scienza. Altrimenti, il nostro livello di interpretazione cognitiva sulla scientificità della scienza rimarrebbe nel rango di uno scambio di convincimenti.

Quando si chiede, difatti, ai cosiddetti epistemologi, impariamo subito che i vari criteri per demarcare cosa sia la scienza da ciò che non lo è si sono rivelati storicamente infruttuosi, al punto di portare agli esperti ad asserire che nella Post-Modernità, dopo tutto, la scienza sia veramente sui generis e, addirittura, che, forse, non ci siano caratteristiche epistemiche in comune nelle svariate discipline che culturalmente accettiamo come “scientifiche”, come sostiene Larry Laudan già dagli anni 80.[1] Questa mancanza di peculiarità conoscitive comuni, spiegherebbe il motivo per cui i millenari tentativi di individuare i tratti che contraddistinguono la scienza o, più in genere, un sapere fondato su basi solide, siano miseramente falliti. Allora, dunque, se l’impresa scientifica versa nel caos di una mancanza di riconoscimento unanime, come segnalava negli stessi anni Paul Karl Feyerabend,[2] noi, comuni mortali, come facciamo a sapere in cosa consista la scientificità della scienza e, per estensione, come possiamo sapere se la medicina sia un sapere scientifico?

Trascurando la complessità della questione della scientificità della medicina, come lo richiede lo spirito semplicistico di moda, concentriamoci, “pragmaticamente”, sulla questione della scientificità della scienza. Dopotutto, se riuscissimo a trovare il criterio che definisce la scienza, basterebbe ascriverlo alla medicina, no? Istituito per ascrizione al club delle scienze lo status scientifico della medicina, possiamo senz’altro essere certi di trovarci nelle mani della scienza quando ci capita di svegliarci nella condizione di pazienti.

L’incantesimo dell’aggettivo “scientifico”

Sicuramente, il crescente successo delle cosiddette scienze dure, spinge sempre più gestori e ricercatori di altre discipline non prettamente scientifiche, sia a livello pubblico che privato, a rincorrere l’aggettivo “scientifico” per rendere rispettabile e degno dei compensi, di frequente piuttosto alti, il proprio lavoro. A questo proposito, non è raro assistere a banali scimmiottamenti del metodo della fisica o della chimica perché con l’etichetta di scientificità una qualsiasi ricerca guadagna presto un massimo livello di credibilità. “Scientifico” è diventato, in sostituzione della verità rivelata delle religioni, sinonimo di “ragionevolmente vero” e la maggior parte delle società occidentali, ignara di abitare ancora alla frontiera della mente bicamerale, oggi si arrende di fronte a tale “verità”. Seguendo questo proposito di usufruire del credito sociale dell’aggettivo “scientifico”, l’ambiente sanitario, appunto, è dominato dall’ideale regolativo della scientificità al punto di aver coniato, come ci ricorda Sandro Balletta, l’emblematico modo di dire il paziente è nelle mani della scienza.[3]

Stando gli studiosi della materia, come ci segna lo stesso Balletta, non dovrebbe però costituire un motivo per sostenere che non vi sia una demarcazione tra scienza e non-scienza il fatto che dai tempi dei Greci fino ad oggi si sia discusso sui criteri demarcativi per distinguere la credenza dalla conoscenza senza arrivare ad un accordo. Infatti, per studiosi della caratura di Karl Popper, Thomas Kuhn e Imre Lakatos, tale situazione irrisolta non dovrebbe men che meno portarci a sostenere che, dopo tutto, la scienza sia veramente sui generis o perfino che non ci siano caratteristiche epistemiche in comune nelle svariate discipline che noi riteniamo senza remore “scientifiche”. Sicuramente, non tutti gli epistemologi sono del parere di avallare le posizioni di Laudan e Feyerabend che portano ad accordare un carattere sui generis e indefinibile alla scienza. Stando ad alcuni epistemologi che contrastano questa crisi epistemica, procedere in tal modo preclude la possibilità di distinguere la scienza dalle pseudo-scienze e una tale preclusione porta subito ad un disimpegno intellettuale, come segnala Martin Mahner..[4] Tali epistemologi, impegnati nell’istituire lo statuto della scientificità, considerano che se, davvero, la scienza fosse un insieme di speculazioni, assisteremmo ad una caotica e rovinosa competizione “scientifica” in cui tutti gli aspiranti farebbero a gara per appaltarsi un posto d’onore in ambito accademico, come avvertono Massimo Pigliucci e Maatern Boudry.[5] Di fatto, che difficoltà c’è nel trasformare una disciplina qualunque, nel nostro caso la medicina, in una disciplina sui generis, ovvero in una scienza?

Il motivo per cui l’approccio di trasformare una disciplina qualunque in scienza sui generis non è agevolmente adottabile potrebbe essere attribuito al fatto che la comunità scientifica “sente” che ciò che è per davvero scienza ha qualcosa di peculiare e, nel giudicare una ricerca, la valuta sempre alla luce di un qualche criterio di demarcazione.[6] Nella tradizione impegnata ad istituire lo statuto della scienza, la soluzione migliore del problema della delimitazione della scienza, suggeriscono Pigliucci e Boudry, non sarebbe quella di scrollarsi di dosso l’impegno teorico di riflettere sul suo limite, disincantando l’aggettivo “scientifico” agli occhi degli uomini comuni, ma dovrebbe essere, normativamente, quella di cercare di capire e spiegare che cos’è questa scientificità che tacitamente caratterizzerebbe e guiderebbe il più accreditato strumento di conoscenza. Nel far ciò, però, si rende opportuno, per prima cosa, accettare l’idea di una scienza fallibile, scardinando così il pregiudizio che vorrebbe la scienza come conoscenza certa, addirittura vera. Senz’altro, la scienza è fallibile ma non per questo, sostengono i suoi difensori, indistinguibile dalle altre forme di sapere. Da una posizione pragmatica, ciò che occorre, propone S. Balletta, è una razionalità senza certezze[7] per cui dovremmo dire a rigore che nell’ambito sanitario, dominato dall’ideale regolativo della scientificità, i pazienti sono, semmai, nelle mani di una razionalità senza certezze.

Benché questa possa risultare un’asserzione scandalosa, a ben vedere, la fiducia sull’esistenza di una scienza che si distingue positivamente dalle altre forme di sapere o abilità è, purtroppo, in ultima analisi, infondata. Il problema, però, ci rammenta L. Laudan, è che questa fiducia, ancorché infondata, condiziona, in ogni caso, non solo la nostra vita intellettuale ma, addirittura, buona parte della nostra vita sociale e politica.[8] Infatti, riguardo a queste incrinature nell’impalcatura dell’establishment si preferisce asserire che noi non ubbidiamo al potere ma ci regoliamo ascoltando la scienza anche se, invero, forse sappiamo assai poco della distinzione tra scienza e non-scienza.

Questo stato delle cose, preso sul serio e portato maliziomente alla ribalta, potrebbe far piombare nel caos l’ordine sociale e politico. Un tale rischio, per quanto riguarda la medicina, ci obbliga a cercare una soluzione al possibile discredito della scienza in generale e della medica in particolare. Una soluzione potrebbe essere, come propongono Pigliucci e Boudry, quella di “ripensare il problema della demarcazione tra scienza e razionalità senza certezza non come una separazione netta, ma come un gradiente di linee sfumate e distinzioni graduali”.[9]Precisamente, insistono, “finché si sia d’accordo che c’è, sicuramente, una differenza riconoscibile fra, per esempio, biologia evoluzionistica da un lato e creazionismo dall’altro, allora dovremmo altresì accettare il fatto che ci siano criteri demarcativi, per quanto elusivi possano apparire a un primo sguardo”.[10]

I tentativi storici di demarcazione tra scienza e non-scienza

Alla ricerca di un criterio di distinzione, imprescindibile oggi per convenire su come distinguere la scienza da altre forme di conoscenza e, di conseguenza, per istituire quale sia la scientificità della medicina, oltre ai contributi di Karl Popper e Thomas Kuhn, abbiamo, come suggerisce Gennar Luigi Linguiti, quelli di Imre Lakatos, “le cui idee epistemologiche rappresentano uno dei più fini e persuasivi strumenti disponibili per la comprensione dell’attività scientifica e della stessa attività del pensare”.[11] Di fatto, la proposta di Lakatos circa un criterio di demarcazione interiorizza nella sua impresa conoscitiva il pensiero di Karl Popper e Thomas Kuhn, gli altri due più autorevoli studiosi della materia nel secolo scorso.

Durante gli anni ’70 e ‘80 Lakatos aveva già notato che le soluzioni che erano state avanzate per demarcare la scienza risultavano problematiche e insoddisfacenti[12] ma, convinto del fatto che il tipo più degno di conoscenza, a cui solitamente si dà il nome di scienza, doveva essere in qualche modo caratterizzato da contrassegni peculiari, Lakatos delineerà la sua filosofia della scienza, che potrebbe essere letta, appunto, come il tentativo di risolvere il problema della demarcazione. La risoluzione di tale problema, come precedentemente accennato, non coinvolge solamente aspetti teorici e speculativi, ma avrebbe importanti implicazioni anche per la vita sociale e politica.[13] È sufficiente ricordare al riguardo i casi storici in cui certe teorie sono state bandite o, contrariamente, promosse oppure ciò che succede con la questione della vaccinazione oggi. Ma proprio questo dovrebbe spingere, almeno l’élite pensante, alla ricerca di un criterio di demarcazione donde poter indirizzare la confusione politica e sociale.

Lakatos, però, va subito chiarito, non ci consegnerà una soluzione del problema della demarcazione perché sia per Lakatos stesso che per Feyerabend, un criterio di delimitazione tra scienza e non-scienza stabile e valido a priorisarebbe dogmatico e antistorico e, inevitabilmente, non scientifico.[14] Questa sua ammissione di una certa elasticità nel criterio di confine non dovrebbe significare, stando alla teoresi di Lakatos, mettere da parte la razionalità e il dialogo critico tra diverse metodologie scientifiche. Infatti, le stesse considerazioni, comprese nel discorso sulla demarcazione, del tipo Lakatos respinge oppure Lakatos propone, rimandano, semplicemente, a prese di posizioni conoscitive da parte del soggetto e, pertanto, non ci conducono ad una strada di segnaletiche univoche come quella che probabilmente vorremmo imboccare per trovare una risposta assoluta alla nostra domanda iniziale circa quale sia il criterio per distinguere la scienza dalla non-scienza e, di conseguenza, per poter individuare a quale scienza ci consegniamo quando ci affidiamo alla medicina.

A questo punto dell’argomentazione, qualcuno potrebbe voler intervenire per segnalare che, come accennato all’inizio, una tale soluzione sia già stata stabilita con il “metodo scientifico” e che la domanda circa la demarcazione tra scienza e non-scienza sia un’espressione di scrupolosità intellettuale, ritenendo innecessario procedere nella direzione della discussione in materia tra gli epistemologi. Si potrebbe altresì aggiungere che i trial risolvano la questione della scientificità della medicina e chiudere in questo modo la questione. Purtroppo, a stretto rigore, le cose non sono così semplici e normalmente al di fuori delle nicchie degli esperti accademici si misconosce cosa sia da intendersi quando si parla sia di trial che di scienza. Per di più, perfino molti dei cosiddetti “scienziati” hanno un campo cognitivo e conoscitivo talmente ristretto al punto di risultare buffi quando si esprimono in termini di “verità scientifica” per la semplice ragione che nella scienza non c’è verità ma verificabilità di fatti sperimentali. Valutando, dunque, criticamente ciò che entra nel campo cognitivo e conoscitivo degli esperti in materia, la questione della scientificità della medicina non sarebbe risolta con il deus ex macchina dei trial né quella della scienza con il cosiddetto “metodo scientifico”.

Quest’incertezza ci sollecita a rivolgere la nostra attenzioneal di battitto accademico ritenuto il più rappresentativo del secolo scorso sulla questione della demarcazione. Per questo il nostro passo successivo sarà quello di riprendere, in modo riepilogativo, le considerazioni di Lakatos. In ogni modo, va sensatamente segnalato che molta della documentazione della ricerca delle neuroscienze e di altri filosofi della scienza avrebbe, ad oggi, in qualche modo, reso ancor più complessa, addirittura infondata, la questione della demarcazione. Infatti, queste ricerche documenterebbero che il realismo, posizione conoscitiva sulla quale si basa lo statuto che l’organizza e disciplina il funzionamento della scienza, sarebbe falso, come sostiene Donald Hoffman,[15] in quanto la percezione non consisterebbe in un accesso diretto e accurato alla realtà e, quindi al reale, ma sarebbe piuttosto una semplice “allucinazione culturale adattiva” ai fini pragmatici della sopravvivenza e del fitness, come puntualizza Andy Clark.[16]

Lakatos, di fatto, è tra i pochissimi pensatori che ha confrontato gli studiosi con il distacco esistente tra le varie immagini storiche della scienza e la “cosa reale” a cui la scienza farebbe riferimento. Proprio lui ha anticipato gli sforzi recenti delle neuroscienze nello stabilire che noi non percepiamo la realtà come essa sia ma che cognitivamente abbiamo accesso a modelli funzionali adattivi di rappresentazione dei fenomeni. Inoltre, Lakatos è rimasto sempre contrario a speculazioni su come procede la scienza senza la documentazione della storiografia della scienza stessa, interpretando gli argomenti sulla demarcazione alla luce della storia della scienza in modo normativo.[17] Infatti, Lakatos ha esaminato i più noti argomenti demarcativi e li ha valutati alla luce della storia normativamente interpretata. Vediamoli cronologicamente.

L’idea seicentesca di demarcazione: il giustificazionismo

La prima forma per stabilire una demarcazione che Lakatos prende in esame è quella modalità di razionalità chiamata il giustificazionismo, ovvero l’idea seicentesca secondo la quale sarebbe possibile caratterizzare la scienza come un sapere infallibile e dimostrato oltre ogni possibile dubbio.[18] Stando a Lakatos, questa posizione va ricondotta alla volontà degli scienziati di adeguare la propria conoscenza a quella teologica, la quale era infallibilmente “dimostrata” dalla Rivelazione e dalla Chiesa. Le difficoltà di tale posizione sono oggi note e pochissimi filosofi o scienziati pensano che la conoscenza scientifica sia, o possa essere, conoscenza dimostrata,[19] anche se la cultura popolare sia persuasa da questo convincimento.

Seguendo l’argomentazione di Sandro Balletta in “Imre Lakatos e il problema della demarcazione”,[20] in risposta al superato criterio giustificazionista sarebbero nate tre scuole di pensiero: l’anarchismo epistemologico, l’elitismo e il falsificazionismo. Tutti questi approcci devono, però, rendere conto del fatto che la conoscenza scientifica non è, come si pensava prima, un’episteme, cioè un sapere certo e incontrovertibile delle cause e degli effetti degli accadimenti, bensì una forma di sapere fallibile e non dimostrabile una volta per tutte.

Le forme del sapere fallibile della postmodernità

    • L’anarchismo epistemologico di Feyerabend

Secondo il principale esponente di questa prospettiva, Paul Karl Feyerabend, la scienza sarebbe un’impresa essenzialmente anarchica.[21] Egli considera il problema della demarcazione uno pseudo-problema giacché, dal punto di vista epistemologico, tutte le teorie si troverebbero sullo stesso piano. Stando a lui, ogni credenza sarebbe a suo modo valida e la scienza sarebbe soltanto una tipologia particolarmente forte di credenze. Nella sua prospettiva, all’interno della scienza non sarebbe rintracciabile alcun percorso di razionalità e il confronto fra teorie diverse sarebbe così quasi impossibile e quando vien fatto non produrrebbe motivi validi razionalmente per scegliere una teoria anziché un’altra. Per Feyerabend non esistono criteri demarcativi. Egli s’appella alla fallibilità della scienza, la quale dovrebbe limitarsi a descrivere senza prescrivere.

Affermare, però, che la scienza sia un’impresa “essenzialmente anarchica” significa, stando agli studiosi che intendono fondare una distinzione tra scienza e opinione, negare validità al lavoro di teorici e scienziati che da molti anni sono alle prese con la costruzione di una scienza razionale, pensata come qualcosa che deve avere un metodo rigoroso che la contraddistingua. Per questi studiosi, la descrizione di Feyerabend va in contraddizione con il concetto che è giunto a noi oggi col nome di “scienza” come sapere dimostrato e certo. Purtroppo sarebbe sufficiente accendere il televisore, per verificare che il concetto anarchico di Feyerabend è culturalmente coerente con la réclame che annuncia che il prodotto X è stato scientificamente testato, basta leggere una qualunque rivista alimentare per imparare che del cibo Y è stata dimostrata scientificamente la nocività. E, nonostante la critica di Feyerabend, nessuno di noi sarebbe disposto a credere che codesti studi siano, sotto sotto, irrazionali. Non è banale questa fiducia nella scienza e forse i suoi motivi sono ben più profondi della semplice assuefazione culturale, anche se, in fondo, sia sempre arduo enunciare in che cosa consista precisamente la scientificità.

Per i difensori rigorosi dell’esistenza di una demarcazione, asserire che la scienza sia irrazionale non ci aiuterebbe affatto a capirla. Per caratterizzarla adeguatamente, invece, bisognerebbe, stando a loro, seguirne un’idea regolativa che ne costituisca l’essenza, vale a dire la sua razionalità. Lakatos rimane fermamente convinto che la fallibilità della scienza non implichi che essa sia priva di razionalità e di metodo. La scienza sarebbe, nella sua prospettiva, nata sulla base di una razionalità descrivibile in modo peculiare, cioè una razionalità consistente nel saper aderire a un programma progressivo in grado di predire fatti nuovi.

  • L’elitismo del paradigma di Kuhn

L’altra proposta di soluzione demarcativa analizzata da Lakatos, come ci riporta Sandro Balletta[22], sarebbe l’elitismo. Secondo questo punto di vista, rappresentato da Thomas Kuhn, se esiste una demarcazione, cioè una separazione tra ciò che sarebbe scienza e ciò che non lo sarebbe, questa dipende da una demarcazione tracciata tra la comunità scientifica e le altre comunità. Non esisterebbero criteri demarcativi per valutare le singole teorie ma solo modi per individuare una certa comunità scientifica. La scienza, che s’identifica con il lavoro di tale comunità, sarebbe guidata da un paradigma condiviso a cui gli scienziati prestano fede, condizione necessaria affinché ci sia una comunità scientifica. Al riguardo, precisa Kuhn, “perché una disciplina sia una scienza, le sue conclusioni devono essere logicamente derivabili da premesse condivise”.[23] Nella sua prospettiva, all’interno della comunità scientifica il passaggio da un atteggiamento critico a uno dogmatico segnerebbe l’inizio della “scienza normale”, stabilendo il paradigma (o modello) con cui si affrontano i problemi reali. Quando il paradigma normativo viene messo in discussione e sostituito da uno nuovo, il passaggio sarebbe governato dall’irrazionalità, assomigliando più a una conversione religiosa che a una scelta ponderata e cosciente. Di fatto, Kuhn esclude ogni possibilità di ricostruzione razionale dell’evoluzione della scienza.[24]

  • Il falsificazionismo di Popper

La terza prospettiva di un criterio di demarcazione presa in considerazione da Lakatos, come riferita da Balletta,[25]sarebbe il falsificazionismo di Karl Popper secondo il quale la scienza si distingue dalle altre forme di sapere in quanto falsificabile. Quest’idea, anche se contraria ad un’opinione corrente che vede nella scienza un modello di conoscenza indiscutibile, è tuttavia dotata di una sua forza persuasiva ed è quasi diventata, almeno per le persone culturalmente informate, un nuovo senso comune. Questo tentativo di soluzione della questione sarebbe stato il punto di partenza da cui Lakatos stesso avrebbe sviluppato la sua soluzione demarcativa. Per un falsificazionista sarà scientifica quella teoria che avrà specificato in anticipo un esperimento cruciale in grado di contraddirla. La falsificazione, di conseguenza, sarebbe l’esito di una contrapposizione fra una teoria e l’osservazione. Ci sarebbero, tuttavia, più modi di praticare il falsificazionismo. Un modo dogmatico o naturalistico che presuppone una base empirica assolutamente salda contro la quale far scontrare tutte le teorie scientifiche per deciderne la refutazione. Il principio sarebbe che se un evento osservabile contraddice la teoria, essa deva essere rigettata senza remore. In questo modo la teoria possiede una base empirica, cioè l’insieme dei falsificatori potenziali, che la rende falsificabile e pertanto scientifica. L’errore in questa prospettiva, secondo Lakatos, sta nell’ammettere l’esistenza di fatti puri e semplici e nel credere di poter dimostrare una proposizione fattuale con l’esperimento, cioè con l’osservazione.[26] Se si seguisse questa prospettiva, la maggior parte della scienza risulterebbe, a ben vedere, non-scienza.

Un tipo migliore di falsificazionismo, anche se non ancora sufficientemente adeguato per demarcare o contraddistinguere la scienza, sarebbe proprio quello praticato per la prima volta dallo stesso Popper: il falsificazionismo metodologico. Questo approccio cerca di riparare all’errore dogmatico o naturalistico stabilendo convenzionalmente a priori alcuni asserti “osservativi” come non falsificabili, ovvero come “conoscenza di sfondo”. Questa conoscenza di sfondo, anche se difficilmente rintracciabile dallo scienziato, come suggeriscono Lakatos e Alan Musgrave, dovrebbe essere quella nei confronti della quale controllare le teorie. Tale conoscenza di sfondo è, infatti, solo convenzionalmente osservativa. Lo scienziato sarebbe moralmente obbligato a specificare in anticipo quale evento “osservabile”, se effettivamente occorre, falsifica la teoria. La scienza che risulta da questa prospettiva sarebbe scienza negativa, scienza che considera valide solo quelle scoperte frutto di falsificazioni.[27]

Con un attento sguardo alla storia della scienza, ci avverte Balletta, ci si accorge invece che le migliori teorie scientifiche sono tenaci e non sono, quasi mai, vittime di atteggiamenti confutatori.[28] Benché il falsificazionismo metodologico funzioni dal punto di vista logico, risulta inadeguato per la ricostruzione razionale della storia della scienza. Bisogna tener conto del fatto che, normalmente, gli scienziati ignorano le anomalie. Ma c’è di più. Guardando alla storia della scienza, come avvertono Feyerabend e Lakatos, si scopre che molte teorie si sono affermate grazie a verifiche importanti piuttosto che a mancate falsificazioni.[29]

Il modo corretto d’intendere il falsificazionismo, stando a Lakatos sarebbe la modalità che lui denomina falsificazionismo sofisticatoDa questo punto di vista “una teoria sarebbe ‘accettabile’ o ‘scientifica’ soltanto se ha un aumento di contenuto empirico corroborato rispetto alle teorie precedenti (o rivali), cioè soltanto se conduce alla scoperta di fatti nuovi[30]. In gioco, adesso, non ci sarebbe più una sola teoria e l’“osservazione”, ma due o più teorie e l’“osservazione”, la quale non perderebbe il ruolo di arbitro imparziale. La falsificazione di una teoria T si rende possibile solo se una nuova teoria T¹ eccede di contenuto empirico rispetto a T e ne spiega il successo. In più, parte del nuovo contenuto empirico deve essere corroborato. Tuttavia, ci avverte Lakatos, l’unità minima della scienza non è la teoria singola ma un insieme di teorie. Infatti, ciò che viene sottoposto al vaglio della critica demarcazionista non è una teoria isolata ma una successione di teorie che si mostrano in una certa continuità. Tale continuità fissa la serie in un programma di ricerca. Dunque, dalla prospettiva del falsificazionismo sofisticato, sarà tale programma di ricerca a demarcare lo status scientifico di una conoscenza.

  • La metodologia dei programmi di ricerca scientifici di Lakatos

Dunque, stando a Imre Lakatos, il nostro Cicerone attraverso questa materia così sofisticata, la storia della scienza è ricostruibile adeguatamente come storia dei programmi di ricerca anziché di teorie isolate. Un programma di ricerca è un insieme di teorie e regole metodologiche che delineano un’euristica, cioè quell’approccio alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso del metodo scientifico ma che si affida all’intuito e allo stato temporaneo delle circostanze al fine di generare una conoscenza.[31] Per far sì che tale sviluppo empirico sia capace di prevedere fatti nuovi gli studiosi, stando a Lakatos, dovrebbero utilizzare la loro ingegnosità per articolare o anche inventare delle “ipotesi ausiliari” che formino una cintura protettiva intorno al nucleo teorico del programma di ricerca.[32]

Questo nucleo, stando a Lakatos, dopo un lento accrescimento per prove ed errori, si istituisce come una serie di asserti convenzionalmente non confutabili e, dopo un’adeguata maturazione, costituirà il punto nevralgico dell’intero programma di ricerca. Lakatos denomina questo andamento della costituzione del nucleo “euristica negativa”. L’euristica positiva, sarebbe, invece, delineata dalla cintura protettiva, ovvero da “un insieme abbastanza articolato di proposte o di suggerimenti su come cambiare e sviluppare le ‘varianti confutabili’ del programma di ricerca, su come modificare e sofisticare la cintura protettiva ‘confutabile’”[33]. La cintura protettiva assorbe le anomalie, difende il nucleo adattandosi ai casi recalcitranti e, oltre a spiegare fenomeni conosciuti, predice fatti nuovi.

Predire fatti nuovi e sorprendenti, secondo Lakatos, costituirebbe un punto di forza del programma di ricerca e le conferme di tali predizioni giocherebbero un ruolo di primo piano nella comunità scientifica. Tuttavia, i tempi di predizione tenderebbero ad essere piuttosto lunghi e perciò la non-confutabilità e la tenacia degli scienziati diventano una caratteristica essenziale della scienza. Lakatos ci fa notare che se, infatti, si volesse render conto di come effettivamente si comporta la comunità scientifica si dovrebbe ammettere che la “storia della scienza è piena di casi di tenacia […]. E senza questa tenacia non ci sarebbe progresso scientifico[34]. Ciò implicherebbe, però, secondo Lakatos l’abbandono di una razionalità istantanea à la Popper, poiché prima che un buon programma di ricerca venga adeguatamente sviluppato potrebbe passare molto tempo. Infatti, stando a lui, la razionalità, diversamente da quanto si creda, opera lentamente e fallibilmente. Inoltre, per Lakatos, non esistono esperimenti decisivi in grado di eliminare istantaneamente un programma di ricerca. Al riguardo, ci segnala che la storia è testimone di molti casi in cui un preteso esperimento cruciale viene successivamente trasformato in una vittoria per il programma che sembrava “sconfitto”. Ne sono esempi, gli esperimenti contro la legge della caduta libera dei gravi di Galileo e quelli contro la legge della gravitazione di Newton. L’esperimento cruciale di cui normalmente si parla sarebbe, per Lakatos, nient’altro che una retro-valutazione di un caso particolare alla luce dello sviluppo di tutto il programma di ricerca. Per essere battezzato “cruciale”, l’esperimento dovrebbe avere la caratteristica di falsificare un programma e corroborarne un altro nel contempo.

Un altro aspetto importante riguardo al criterio di demarcazione tra scienza e non-scienza in Lakatos è che i programmi di ricerca possono essere distinti, in termini di un giudizio di valore, in progressivi o regressivi. Nel primo caso la serie di teorie porta il programma a predire fatti nuovi e a corroborarli, nel secondo caso il programma collassa su sé stesso a causa di aggiustamenti ad hoc e ipotesi empiricamente vuote. Il nuovo criterio di demarcazione di Lakatos, purtroppo, non distingue una teoria scientifica da una pseudoscientifica bensì una “’scienza matura’, consistente di programmi di ricerca’, da una ‘scienza immatura, consistente solo di una trama raffazzonata di prove ed errori[35]. La scienza matura sarebbe allora per Lakatos un dispositivo euristico in grado di portare il ricercatore a scoprire fatti nuovi alla luce di una struttura che ingloba la continuità in un nucleo saldo e convenzionalmente condiviso. Per cui, nella sua teoresi, entro una dose ragionevole di tempo, è del tutto razionale evitare i controesempi rifiutando alcuni dati sperimentali e proseguire guidati dall’euristica positiva. Lavorare a un programma di ricerca regressivo, come ad esempio quello freudiano, sarebbe, ammette Lakatos, lecito ma, tutto sommato, irrazionale, e perciò pseudo-scientifico. Infatti, stando a lui, la razionalità consiste nel saper aderire a un programma progressivo o a trasformarne uno regressivo in progressivo secondo le regole lakatosiane. In questo modo, il criterio di demarcazione viene tradotto ulteriormente, ma questa volta si tratta di un criterio mobile e aggiornabile: un programma regressivo può diventare progressivo se rispetta i parametri delineati da Lakatos.

Un problema epistemologico di importanza pratica e politica senza soluzione binaria

Alla ricerca di una risposta alla domanda che oggi, nello scenario di governi dei pieni poteri “guidati dalla scienza”, come riferiscono i media, si rende incalzante riguardo a quale sia il criterio di distinzione tra scienza e pseudoscienza, ci siamo rivolti a Lakatos in quanto lui si è sforzato di salvaguardare la razionalità nella scienza senza perdere mai di vista proprio l’importanza pratica e politica del problema epistemologico, evitando di cadere nell’irrazionalismo e nel relativismo dell’anarchismo epistemologico a seguito del tramonto dell’infallibilità della scienza.

Infatti, l’ultima grande battaglia contro lo scetticismo scientifico, nel secolo scorso, è stata combattuta da Lakatos con argomentazioni utili e metodologie valide che a tutt’oggi vengono discusse con grande interesse in ambito epistemologico, storico ed economico. Dopo Lakatos molti studiosi hanno cercato di applicare la metodologia dei programmi di ricerca alla concreta pratica scientifica, ma questi tentativi non sono risultati privi di difficoltà. Lakatos stesso era consapevole dei problemi che, specie all’inizio, affollano la metodologia dei programmi di ricerca. Infatti, sarebbe necessario identificare il nucleo del programma di ricerca, guardare con attenzione alla storia, capire cos’è ad hoc e cosa no e così via.

Per rendere un’idea della complessità della questione si pensi che se si volesse stabilire una demarcazione per istituire, a rigore epistemologico, la scientificità della medicina o semplicemente del vaccino in medicina sarebbe necessario identificare il nucleo del programma di ricerca della medicina oppure quello della scienza della vaccinazione, guardare con attenzione alla storia dei loro sviluppi e capire cos’è ad hoc e cosa no nelle loro euristiche. In ogni modo, una tale ricostruzione storica sarebbe, metodologicamente, un approccio euristico senza pretese di completezza e validità universali. La storia della “scienza medica” o della “scienza della vaccinazione” dovrebbe essere normativamente interpretata e dovrebbe convalidare una teoria di razionalità scientifica. Solo in questo modo sarebbe possibile lasciare spazio a una metodologia superiore che ricostruisca in maniera migliore il percorso scientifico della medicina o della semplice scienza della vaccinazione. Senza la metodologia dei suoi programmi di ricerca, attributo necessario che caratterizza l’impresa scientifica, non potremmo mai decidere sulla scientificità o meno della medicina a cui ci affidiamo. Senza alcune precisazioni al riguardo, per essere prodigalmente indulgenti, non si riuscirebbe nemmeno a riconoscere, negli specifici e autonomi tentativi umani di orientarsi nella conoscenza della realtà, un atteggiamento razionale comune, vale a dire un atteggiamento che ci consenta di affrontare l’insieme dei problemi medici e le circostanze relative alla nostra salute attraverso una rete programmatica di mosse interpretative e predittive.[36] Se la scienza stessa e, in modo particolare la medicina medesima, non trova una soluzione soddisfacente o ragionevole al problema della demarcazione, la nostra domanda, circa la scientificità del sapere induttivistico della medicina a cui ci affidiamo in quanto pazienti e cittadini di uno Stato, ci abbandonerebbe alle porte dell’irrazionalismo e dell’incomunicabilità.

Certamente, a questo punto della nostra indagine circa la scientificità della scienza e, per ascrizione, della medicina a cui ci affidiamo, siamo, può darsi, ormai scoraggiati sia dalla complessità della materia sia dalla mia testardaggine nel rimanere attaccato ai canoni di valutazione piuttosto academici della scientificità di una specifica conoscenza. E sicuramente avete ragione perché se da medici si dovesse percorrere una tale metodologia di verifica, cioè di falsificabilità di ogni protocollo medico, integrato di ruotine nella propria praxis, ci si ritroverebbe con un carico di lavoro e di responsabilità impossibile da compiere. Ugualmente anche se da pazienti dovessimo percorrere tutte queste considerazioni ogni volta che dobbiamo accettare un piano terapeutico, ci troveremmo impossibilitati a prendere una decisione e, ovviamente, siamo costretti a prestare fede a ciò che ci viene proposto.

Dunque, semi-abbandonati alle porte dell’incomunicabilità dovuta alla complessità della questione della demarcazione della scienza, vorrei prima di concludere sottolineare un’osservazione riguardo al limite della mia argomentazione. Sono sociologo interessato alle teorie sulla conoscenza e lungi dalle mie competenze e possibilità poter rispondere alla domanda della scientificità della medicina. Ho, certamente, una mia opinione al riguardo e, di conseguenza, vi riferisco, per inclinazione, delle considerazioni degli studiosi in materia che sento più affini alla mia sensibilità ovvero meno contrari. Ed è da questa prospettiva di sensibilità simile che posso riferirvi che, stando a Heidegger, la medicina sarebbe una pratica carente di oggetto, cioè quel contenuto di un atto percettivo o intellettivo considerato come entità distinta e logicamente contrapposta al soggetto che lo pensa. Dunque, non avendo oggetto non sarebbe una scienza.

Ma poiché mi precludo l’intenzione di suscitare le ire dei medici clinici ammetto che mi si potrebbe “ricordare” che l’oggetto della medicina è l’individuo e che nel caso della medicina gli universali sarebbero le entità morbose che nel complesso costituirebbero la classificazione nosologica. Al di là della mia posizione bisogna, però, rammentare, da una parte, che l’individuo non è oggetto della scienza ma del romanzo e della storia. Dall’altra parte, l’entità morbosa non potrebbe essere oggetto della scienza perché, in quanto combinazione di diverse e numerose variabili genetiche ed ambientali, essenzialmente aleatorie, non definisce un oggetto ma un’area di fluttuazioni statistiche. In sintesi, in quanto l’individuo evolve nella diacronia non può essere oggetto di scienza ma solo di registrazione storica. Infatti, in medicina si parla di anamnesi. In quanto la scienza mira alla sincronia, l’entità morbosa sarebbe potenzialmente scientifica, ma si tratta solo di una nozione. Insomma, si potrebbe dire che in quanto dottrinaria, la medicina non ha oggetto, vale a dire, sarebbe piuttosto un sapere filosofico e non una scienza. La medicina, però, è all’origine della filosofia. Infatti, Ippocrate ed Empedocle precedono Platone e Aristotele nell’indagine della natura. Ippocrate ed Empedocle aprono a Platone e Aristotele il campo dove esercitare la filosofia. Inoltre, non tanto di nascosto, la medicina sostiene il programma dell’ontologia senza oggetto, comune a entrambe, filosofia e medicina.

Antonello Sciacchitano ha segnalato che il nichilismo occidentale non è l’oblio dell’essere e, quindi, dell’ontologia come sosteneva Heidegger. Il nichilismo occidentale sarebbe piuttosto l’oblio dell’oggetto, che la medicina ribadisce e pratica. Nella sua disertazione del perché la medicina non sarebbe scienza, egli segnala che la medicina non ha oggetto e che non si potrebbe sostenere che l’oggetto della medicina sia il corpo malato. Semmai l’oggetto della medicina sarebbe la fisiopatologia. Infatti, la fisiopatologia sarebbe il suo oggetto ideale, addirittura ideologico. Si tratta di un costrutto astratto, impastato con le rimanenze della fisica, della chimica e della biologia ma senza i principi teorici di Galilei, Lavoisier e Darwin. Invero, la medicina non ha qualcosa di simile al moto rettilineo, all’invarianza della massa-energia della fisica, o al meccanismo selettivo del più efficiente a riprodursi e della discendenza con modificazioni della biologia. Si potrebbe, sicuramente asserire che della scienza la medicina accoglie solo le ultime e più recenti applicazioni tecniche, sia a livello di rilevazione di dati clinici sia a livello di applicazioni terapeutiche. Ma, in questo senso, si potrebbe considerare che la medicina sia più vicina all’ingegneria che alla scienza. Dalla scienza la medicina non potrebbe accogliere il principio oggettivo, riducendosi alla codifica di una pratica solo apparentemente rigorosa come quella scientifica. Apparenza oggi giustificata dall’abbondanza delle intrusioni tecnologiche nell’enciclopedia medica. Ma nell’inganno cascano solo quegli che ignorano la complessità del paradigma scientifico.

[1] L. Laudan, The Demise of the Demarcation Problem, in «Boston Studies in the Philosophy of Science», 76, 1983, pp. 111-127

[2] P. Feyerabend, Contro il metodo (1975), tr. it. Feltrinelli, Milano 2005

[3] S. Balletta. Imre Lakatos e il problema della demarcazione. In “Scienza e Filosofia”, no. 14, 2015

[4] M. Mahner, Demarcating Science from Non-Science, in Handbook of the Philosophy of Science: General Philosophy of Science – Focal Issues, Elsevier, Amsterdam 2007, pp. 515-575

[5] M. Pigliucci, M. Boudry, Philosophy of Pseudoscience. Reconsidering the demarcation problem. Chicago University Press, Chicago 2013

[6] S. Balletta. op. cit.

[7] M. Pigliucci, M. Boudry. op. cit.

[8] L. Laudan, The Demise of the Demarcation Problem, in «Boston Studies in the Philosophy of Science», 76, 1983, pp. 111

[9] M. Pigliucci. op. cit., p. 11

[10] Ibidem

[11] G. L. Linguiti, Imre Lakatos e la «filosofia della scoperta», Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca 1981.

[12] I. Lakatos, La metodologia dei programmi di ricerca scientifici. Scritti filosofici I (1978), tr. it. Il Saggiatore, Milano 1985, p. 10.

[13] L. Laudan, op. cit. 1983

[14] I. Lakatos & P. K. Feyerabend. Sull’orlo della scienza. Pro e contro il metodo, [a cura di M. Motterlini], Raffaello Cortina Editore, Milano 1995, p. 153

[15] Donald D. Hoffman. The Case Against Reality: Why Evolution Hid the Truth from Our Eyes. WW Norton & Co, 2019

[16] Andy Clark. Surfing Uncertainty: Prediction, Action, and the Embodied Mind. Oxford University Press, 2019

[17] I. Lakatos, La metodologia dei programmi di ricerca scientifici. Scritti filosofici I (1978), tr. it. Il Saggiatore, Milano 1985, p. 131

[18] I. Lakatos, Matematica, scienza e epistemologia. Scritti filosofici II (1978), tr. it. Il Saggiatore, Milano 1985, p. 5.

[19] Ibid. p. 11

[20] Sandro Balletta. op. cit.

[21] P. Feyerabend, Contro il metodo (1975), tr. it. Feltrinelli, Milano 2005

[22] Sandro Balletta. op. cit.

[23] Lakatos & A. Musgrave. Critica e crescita dalla conoscenza, Feltrinelli, Milano 1976. p. 78

[24] Ibid, p. 225

[25] Sandro Balletta. op. cit.

[26] Lakatos & A. Musgrave. Critica e crescita dalla conoscenza, Feltrinelli, Milano 1976. p. 174

[27] Ibidem

[28] Sandro Balletta. op. cit

[29] I. Lakatos & P. K. Feyerabend. [a cura di M. Motterlini], op. cit. p. 139.

[30] Lakatos & A. Musgrave [a cura di], Critica e crescita dalla conoscenza, Feltrinelli, Milano 1976. p. 191

[31] In particolare, l’euristica di una teoria dovrebbe indicare le strade e le possibilità da approfondire nel tentativo di rendere la teoria “progressiva”, in grado, cioè, di garantirsi uno sviluppo empirico tale da prevedere fatti nuovi (nuovi sviluppi teorici, nuove scoperte empiriche e nuove tecnologie) non noti al momento dell’elaborazione del nocciolo della teoria.

[32] Ibid. p. 209

[33] Ibid. p.211

[34] I. Lakatos & P. K. Feyerabend. [a cura di M. Motterlini], op. cit. p. 125

[35] Lakatos & A. Musgrave. Critica e crescita dalla conoscenza, Feltrinelli, Milano 1976. p. 252

[36] G. L. Linguiti, op. cit., p. 88

[37] Antonello Sciacchitano. La psicoanalisi secondo Sciacchitano.

 

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