Della natura dell’uomo e dei miasmi

13 Settembre, 2020
Tempo di lettura: 3 minuti

Rutger Bregman è l’autore di Utopia per realisti. Come costruire davvero il mondo ideale (2014), il cui programma si potrebbe così sintetizzare: Una settimana di lavoro di quindici ore, un reddito di base universale e un mondo senza confini. Recentemente questo brillante intellettuale olandese ha riportato le radici di una possibile miglior visione del mondo alla questione fondamentale: se l’uomo sia naturalmente buono o cattivo (Humankind. A hopeful history, 2019). Questione che ha già due protagonisti emblematici nella storia della filosofia. Hobbes, per il quale l’uomo è per natura una belva aggressiva (homo homini lupus), che per la sua sicurezza accetta di sottomettersi ad un potere assoluto. Rousseau, che guarda invece con nostalgia ai buoni sentimenti innati nella natura umana e corrotti dalla civiltà. Bregman si schiera evidentemente con Rousseau, allargando la sua analisi ai motivi del successo evolutivo della più mite specie umana (Homo puppy, quel tenero cucciolo che è l’uomo) rispetto ai più dotati ed aggressivi altri primati ed ominidi. Ma anche attualizzando la critica della nostra civiltà che, al culmine dei suoi successi, si autoalimenta tuttavia di un pregiudizio negativo sulla natura umana.

L’uomo è un animale che arrossisce, che ha il senso del pudore, e questa sua delicatezza e socievolezza è stata premiata dalla selezione naturale. L’uomo è un animale capace di vivere liberamente insieme con i suoi simili e di relazionarsi ad essi con una naturale simpatia e con l’uso del linguaggio. Da quando però da cacciatore è divenuto agricoltore, il suo stesso senso di appartenenza e coesione lo ha spinto a creare barriere (quelle della proprietà privata, direbbe Rousseau), rendendo ciascuno e ciascun gruppo aggressivo contro chi sia straniero e diverso. La nostra civiltà, di cui oggi più che mai possiamo valutare i benefici in termini di risorse e tecnologie utilizzabili, è stata perciò inficiata da una visione errata della natura umana, presuntivamente  volta e dedita al particolare e machiavellicamente votata alla sopraffazione ed alla cinica lotta per il potere. Ovvero nella versione economica più che politica: lo scopo dell’uomo sarebbe la ricchezza ed il successo più che le sue personali motivazioni ideali.

Nelle situazioni di emergenza l’uomo rivela la sua natura solidale ed altruista. E tuttavia rischia di ridurre la sua concezione della vita ad una utilitaristica lotta per il predominio sessuale, per la ricchezza fine a se stessa, per il potere. È, dice Bregman, una sorta di nocebo, un’idea negativa e dannosa autoalimentantesi. È come se decidessimo di alimentare il lupo cattivo anziché il lupo buono che è in noi. Ma appunto sarebbe possibile un effetto placebo, se riprogrammassimo l’educazione, il lavoro, le relazioni sociali sulla base dell’idea che l’uomo vive per assecondare la sua natura benevola e che la fiducia ed il sostegno reciproco vengono prima dei conflitti di interesse su cui il potere costruisce la sua legittimazione.

Credo che questo tema riguardi anche la Medicina omeopatica, in quanto essa oltre all’azione del rimedio mette in campo l’alleanza tra placebo e guarigione, nell’auspicio per ciascuno di una crescita interiore e di una evoluzione nel riconoscimento dei propri più alti e nobili scopi della vita. E credo che il tema di quale sia realmente la natura umana possa offrire anche una valida chiave di lettura della teoria miasmatica.

Il miasma originario, quello psorico, Kent pensò forse che potesse trarre origine nel peccato originale, secondo altri nel trauma della nascita, nell’angoscia esistenziale. Potremmo invece, io credo, pensare alla psora come a quella pudica socievolezza in cui siamo ancora in contatto con la nostra natura benevola e socievole. Quando però il pudore si irrigidisce in pruderie e genera una paura specificatamente rispetto al tema della sessualità e quindi a ciò che sarebbe naturale in se stessi e negli altri, allora la nostra predisposizione ad ammalarci si approfondisce come miasma sicotico, che è essenzialmente quello di una reazione controfobica: mi fingo forte per esorcizzare la paura di ciò che non conosco ed accumulo una serie di comportamenti innaturali. Il negare a se stessi ciò che è naturale porta ad un eccesso di atteggiamenti artificiosamente ostili verso sé e verso gli altri. In una concezione dove la lotta per il potere rischia di prendere poi il sopravvento nelle sue conseguenze distruttive ed autodistruttive tipiche del miasma sifilitico.

In epilogo al suo libro Bregman indica dieci regole per vivere meglio, a partire dal fatto che se cominciamo a credere che la maggior parte delle persone sono oneste e gentili, tutto cambia. Una di queste regole è: tempra la tua empatia, educa la tua compassione. L’empatia ci sfinisce e ci consuma, condividere la sofferenza altrui può essere un peso insopportabile. Ma noi invece che sentire empaticamente insieme agli altri, possiamo ragionevolmente sentire di poter essere utili a chi soffre, avere compassione nei loro confronti: senza esaurire la nostra energia nella condivisione del dolore, ma riconoscendolo invece quel dolore per poter agire e cercare di guarirlo. Proprio quello che il medico (omeopatico) sente di dover fare.

1 commento

  1. Molto interessante

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