Le emozioni sono risposte psicofisiche complesse, attivate dal nostro sistema nervoso che reagisce ai vari eventi che ci arrivano e hanno un ruolo fondamentale non solo nella elaborazione delle esperienze, nella loro comprensione e accettazione, ma anche nella regolazione dei nostri comportamenti.
Sono quindi uno strumento importante per l’assimilazione della realtà e di conseguenza per l’attribuzione di significato alle cose.
Il modo in cui ognuno di noi legge la realtà consolida il proprio senso di sé e questo, se non gestito in maniera elastica, può rappresentare un grande ostacolo al nostro benessere psicofisico. Frasi come “io sono fatto così” oppure “il modo in cui vedo le cose è quello giusto” ci incanalano in schemi di pensiero fissi che ci portano ad evitare il cambiamento proprio perchè questo indebolirebbe quel senso di sé che tanto faticosamente abbiamo costruito.
La capacità di provare emozioni accomuna ognuno di noi, ciò che ci differenzia è l’intensità della risposta, il grado di controllo che riusciamo ad esercitare su di esse e la velocità con la quale riusciamo a spegnerle.
La Mindfulness, offrendoci uno strumento importante per la comprensione della realtà, può fornire un valido contributo alla nostra modalità di approccio alle emozioni e quindi alla diminuzione del dolore emotivo. L’origine del dolore emotivo risiede infatti proprio nel nostro approccio alla realtà: riusciamo a percepirla per quella che è o lo facciamo attraverso una nostra personale interpretazione, influenzata dagli automatismi innescati dal modo in cui abbiamo imparato ad attribuire significato alle cose?
Il dolore emotivo
Il dolore emotivo non è altro quindi che quel dolore che scaturisce da una ferita creata proprio da una risposta inadeguata ad un evento o da un’interpretazione impropria della realtà. Le principali manifestazioni di questa ferita sono stress, ansia, depressione, tristezza, malinconia, ma anche rabbia, gelosia, paura, biasimo, ossessione…
E allora come possiamo fare a gestire le nostre emozioni in modo da non incorrere in una sofferenza emotiva eccessiva?
La mindfulness ci aiuta a farlo attraverso l’acquisizione di consapevolezza e quindi l’osservazione della realtà in maniera attenta e non giudicante.
Un primo strumento che possiamo sfruttare è sicuramente il nostro approccio allo stress, una condizione che nella società moderna è spesso di difficile gestione e causa di malessere, anche emotivo.
Stress: cause e meccanismi
Nel linguaggio comune lo stress è considerato come l’insieme delle pressioni quotidiane, ma in termini scientifici viene definito come la risposta del corpo e della mente ad una situazione percepita come minaccia e attivata per ristabilire l’equilibrio e la calma.
Il primo a definire il concetto di stress fu Hans Selye negli anni ’50, distinguendo tra la risposta dell’organismo — da lui chiamata stress — e gli stimoli che la provocano, definiti invece stressor. Le reazioni fisiologiche attivate dagli stimoli stressanti si sono sviluppate nel corso dell’evoluzione e, in passato, erano essenziali per la sopravvivenza: servivano ad esempio per fuggire da animali feroci o riconoscere un pericolo immediato come un serpente velenoso. Oggi, la nostra mente continua però a rispondere nello stesso modo ogni volta che percepisce una minaccia, anche quando questa è solo immaginata o non mette in reale pericolo la nostra vita.
La società moderna ci sottopone infatti continuamente a stressor, a stimoli che innescano un campanello di allarme, costringendoci a vivere per lunghi periodi sotto stress.. Gli stressor moderni non sono più le belve feroci, ma situazioni lavorative frustranti, preoccupazioni economiche, situazioni familiari difficili, problemi di salute, imprevisti della quotidianità, vita frenetica, necessità di essere sempre performanti, esposizione continua al giudizio altrui, paura di non essere all’altezza…
In funzione di questo si parla oggi di carico allostatico, un’iperattivazione della risposta allo stress che dura per lunghi periodi, generando tutta una serie di effetti psicofisici che mettono il nostro corpo a dura prova esaurendo le riserve energetiche del corpo e della mente.
Sintomi dello stress
Nel momento in cui lo stressor si presenta, esso genera tutta una serie di meccanismi regolati principalmente da due sistemi:
- l’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene, che porta alla sintesi di cortisolo
- Sistema Nervoso Simpatico, che attua una risposta del tipo “lotta o fuga” per reagire velocemente alla minaccia.
Gli stressor agiscono prima di tutto a livello ipotalamico, il centralino delle emergenze del nostro organismo, inducendo la sintesi del CRH (Ormone di rilascio della corticotropina) che va a stimolare, a livello ipofisario, la sintesi di ACTH (l’Ormone adrenocorticotropo). Quest’ultimo comunica il messaggio di allarme alle ghiandole surrenali le quali rispondono con la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress.
L’attivazione ipotalamica ha poi come conseguenza diretta l’attivazione del SN simpatico, una parte del SN autonomo che in condizioni ambientali di sfida porta all’attivazione di una risposta definita “di lotta o fuga”, mediata da Adrenalina e Noradrenalina, innescando tutta una serie di reazioni a catena che supportano la lotta o la fuga per evitare il pericolo. Inizialmente entrano in azione Ippocampo e Amigdala attivando una risposta del tipo “prima scappa e poi pensa”, non fermarti a vedere se si tratta di un bastone o di un serpente, perché questa sosta potrebbe esserti letale, e solo in ultima analisi, grazie all’attivazione della Corteccia prefrontale, che per ovvi motivi è un processo più lento, si ha l’elaborazione delle immagini che ci permettono di capire se realmente si trattava di un bastone o di un serpente.
L’attivazione del sistema adrenergico ha ovviamente lo scopo di far sì che il nostro corpo si organizzi per far fronte alla minaccia e quindi la liberazione di questi neurotrasmettitori si converte, a livello fisico, principalmente in:
aumento della concentrazione di glucosio nel sangue per aumentarne la sua distribuzione ai muscoli che lo useranno come fonte energetica per far fronte al carico di lavoro cui stanno per andare incontro, aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca per favorire il ritorno venoso al cuore, aumento della frequenza respiratoria per garantire un maggiore apporto di ossigeno ai muscoli, diminuzione dell’apporto di sangue all’apparato digerente e in generale a tutti quei sistemi che non sono strettamente necessari per attuare il piano di lotta o fuga, vasocostrizione periferica, che si manifesta con pallore, per minimizzare perdita di sangue a seguito di eventuali ferite (allo stesso modo si ha un aumento della densità del sangue), aumento della sudorazione per termoregolare un organismo surriscaldato, stimolazione del sistema immunitario per far fronte ad eventuali infezioni.
Per quanto riguarda il sistema immunitario dobbiamo però dire che il cortisolo ha un effetto opposto a quello adrenergico, portando ad una diminuzione delle difese, condizione che si osserva spesso in chi è sottoposto a stress prolungato e cronico, con costante produzione di cortisolo.
Con la stimolazione surrenalica abbiamo quindi tutta una serie di eventi che supportano la sopravvivenza ad una minaccia, che attivano il dinamismo e l’azione e un’energia decisamente Yang. È logico pensare che questa deve necessariamente essere una condizione temporanea, passata la quale si dovrebbe ritornare subito ad un equilibrio del SN autonomo con il controbilanciamento del SN parasimpatico che, grazie alla sua azione Yin di recupero e ristoro, reintegra le energie spese.
Ed è altrettanto logico pensare che una situazione di questo tipo va molto bene quando lo stressor rappresenta una reale minaccia per la nostra sopravvivenza, ma può avere conseguenze anche gravi sul nostro benessere quando il fenomeno si cronicizza e il nostro corpo è sottoposto a continui campanelli di allarme derivanti dalle insoddisfazioni di una vita troppo frenetica e spesso vissuta con l’acceleratore premuto. Quando nel nostro corpo continuano a crearsi adrenalina, noradrenalina e cortisolo si crea un sovraccarico che si traduce in continua tensione muscolare, nervosismo, palpitazioni, diminuzione delle difese immunitarie, cattiva digestione, problemi intestinali, mal di testa cronico, mal di schiena da continua tensione, disturbi del sonno, ansia, depressione, malumore, agitazione… Inoltre questi stessi sintomi possono essere percepiti come un’ulteriore fonte di stress provocando un aggravamento della situazione.
Mindfulness e stress
La Mindfulness, agendo sulla riduzione dello stress, ci aiuta a rispondere anziché reagire alla situazione stressogena, a distinguere tra stress reale e immaginario e ci riporta ad una dimensione più stabile ed equilibrata della nostra quotidianità.
Come già detto nell’articolo: “La mente consapevole: come la mindfulness può contribuire nella cura” la mindfulness, attraverso l’acquisizione di consapevolezza, ci aiuta ad eliminare la sofferenza legata ad una scorretta interpretazione della realtà e questa pratica risulta particolarmente utile in caso di stress o dolore emotivo. Ci sono numerose tecniche e molte pratiche formali ed informali che ci possono aiutare moltissimo nell’acquisizione di consapevolezza che porta ad una calma mentale, ad un maggiore equilibrio psicofisico, e molte di queste hanno trovato applicazione in ambito clinico ed educativo, al punto che oggi la mindfulness non solo viene utilizzata con successo nelle scuole e in vari ambienti lavorativi, ma anche in ambito clinico.
Mindfulness e dolore emotivo
Attraverso la consapevolezza è possibile affrontare emozioni dolorose. La chiave sta nella nostra disponibilità ad osservare la propria sofferenza, ad esaminarla coscientemente, senza cercare di reprimerla o allontanarla, accettandola senza giudizio. Ricordiamo che negare le emozioni o lasciarci travolgere da esse comporta un aumento della sofferenza, così come cercare che la realtà si conformi sempre più alle nostre aspettative.
Essere consapevoli significa restare nella pura sensorialità del momento presente, osservandolo per quello che è e non nell’attesa che la realtà migliori o nella paura che peggiori. Rimuginare continuamente sui possibili scenari non fa che peggiorare la situazione, imprigionandoci in un vicolo cieco dominato dall’ansia o dalla paura e impedendoci di vedere la transitorialità dell’evento.
Ovviamente, l’acquisizione di consapevolezza è un processo che richiede esercizio e determinazione. Ci sono numerose pratiche alle quali dedicarsi quotidianamente per poter raggiungere un risultato apprezzabile.
Pratiche di Mindfulness applicate alla clinica
Negli ultimi trent’anni, l’uso della mindfulness come supporto in ambito clinico è cresciuto in maniera costante e sono tanti i risultati ottenuti nel trattamento di numerose psicoptologie, ad iniziare dall’ansia cronica, depressione e sue ricadute, attacchi di panico, ma anche disturbi del sonno, dipendenze di varia natura e disturbi alimentari.
A partire dal protocollo MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction) di Jon Kabat-Zinn, un protocollo di 8 settimane per il trattamento dei disturbi dell’ansia, del dolore cronico, stress e prevenzione del burnout, sono stati ideati numerosi protocolli clinici utilizzati con successo per la riduzione di numerosi disturbi.
Tali protocolli sono oggi conosciuti con il termine di MBI (Mindfulness based Intervention) e tra i principali possiamo citare
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MBCT (Mindfulness Based Cognitive Therapy) simile al MBSR al quale integra elementi di terapia cognitiva e utilizzato nel disturbo depressivo ricorrente, soprattutto nella prevenzione delle ricadute.
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MBRP (Mindfulness Based Relapse Prevention) utilizzato nel trattamento delle dipendenze, soprattutto per prevenire le ricadute.
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MB-EAT (Mindfulness-Based Eating Awareness Training) utilizzato per promuovere un rapporto più sano e consapevole con il cibo, aiutando le persone a riconoscere segnali di fame e sazietà, a gestire il comportamento alimentare emotivo e a ridurre gli episodi di alimentazione incontrollata.
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MBRE Mindfulness-Based Relationship Enhancement per migliorare la qualità delle relazioni di coppia.
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MSC (Mindfulness Self-Compassion) ideato da Neff e Germer per trattare problemi di autostima, stress emotivo e disturbi dell’umore
Poi ci sono diversi protocolli misti che, pur non essendo focalizzati solo sulla Mindfulness, la utilizzano come parte integrante del trattamento. Tra questi ricordiamo
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ACT (Acceptance and Committment Therapy ) usato nel trattamento di ansia, depressione, disturbi alimentari, dolore cronico.
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DBT (Dialectical Behavior Therapy) per il trattamento del disturbo borderline della personalità e autolesionismo.
Ovviamente tutti questi dati sono supportati dalla letteratura scientifica con numerose pubblicazioni a riguardo
Non sei ciò che senti: sei il coraggioso testimone che osserva il sentire