Ormai è diventato un vero e proprio mantra, che viene ripetuto continuamente: bisogna essere indipendenti.
Secondo la Treccani “con riferimento a persone singole, si intende in genere la libertà da uno stato di soggezione, anche economica (dalla famiglia o da altri)o una condizione non subordinata.
Essere indipendente, quindi, significa non essere soggetto (quindi dipendente) da nessuno, sotto tutti i punti di vista. Non essere “soggetto” a nessuno.
Dal momento che l’essere umano, per vivere, necessita di relazioni sane, essere indipendenti dovrebbe significare avere con gli altri un rapporto, una relazione paritaria, nella quale non vigono relazioni di potere, di subordinazione né tantomeno di controllo.
Purtroppo, sempre più spesso sento persone che manifestano la loro necessità, il loro desiderio, la loro voglia di essere indipendenti da soggetti con i quali, per svariate ragioni, hanno instaurato un rapporto di dipendenza. Con il marito, la moglie, il fidanzato/a, il datore di lavoro, il collega, il collaboratore…
Nel momento in cui si rendono conto di non essere liberi ma manovrati, anche attraverso induzione di sensi di colpa, ecco che sentono il peso di questo legame e vogliono rompere. Allora si inizia a parlare di separazione, di allontanamenti, di cambio lavoro o di trasferimenti, nella speranza (la chiamerei piuttosto illusione) che il riuscire ad allontanarsi dal/dalle persone o situazioni dalle quali si dipende possa finalmente renderle indipendenti. Ossia liberi.
In realtà, se noi abbiamo creato un legame di dipendenza con qualcuno, siamo responsabili quanto l’altro di questa dipendenza. Salvo in rari casi ed in particolari fasi della vita, entrambe le persone che interagiscono sono parte attiva di una relazione. Certo, addossare la colpa solo ad una delle due parti (ovviamente non a sé) rende in apparenza più semplice l’idea di potersi liberare dalla persona o situazione tossica (perché crea dipendenza) e riacquistare così la propria libertà.
Purtroppo, essendo corresponsabili di quella interazione, ed essendo soggetti attivi della relazione, questo meccanismo non basta a renderci indipendenti. Pensate a quante persone incontriamo, ogni giorno, che si lamentano della madre, del padre, del marito, della moglie, del datore di lavoro ma che non attuano la scelta di “andarsene” perché “come faccio, non sono indipendente economicamente”.
È vero, l’indipendenza economica è fondamentale anche se, di fatto, non esiste. Ogni soggetto che lavora, infatti, dipende da chi gli permette di lavorare. Anche i lavoratori cosiddetti autonomi. Perché io posso passare tutte le ore del giorno a lavorare ma, se nessuno mi paga per il lavoro che faccio, se nessuno lo apprezza, allora non potrò guadagnare. E, di conseguenza, non sarò davvero indipendente, soprattutto economicamente.
Come dire: il concetto di “indipendenza”, così come prima definito, di fatto non esiste: non esiste persona né essere vivente al mondo (ma anche esseri non viventi) in grado di non dipendere da niente e da nessuno. Pensate solo a cosa accade quando manca la corrente. O a cosa vi succederebbe se vi togliessero la possibilità di bere.
Tutti noi abbiano bisogno, ogni giorno, di qualcosa o qualcuno per poter sopravvivere e vivere. Non possiamo essere davvero indipendenti nel senso di “non aver bisogno di niente e di nessuno”.
Il problema vero è che, più che essere indipendenti, dovremmo lavorare ogni giorno per essere autonomi. Il termine autonomia deriva dal greco autos nomos ossia legge/regola (nomos) di sé stesso (autos). Il termine autonomia indica il farsi legge da sé, l’essere padrone di sé e quindi l’essere libero inteso come “sciolto da condizionamenti esterni”.
Per poter essere indipendente, anche da convenzioni sociali, da aspettative familiari, dal ruolo che ci han dato (e che ci siamo presi), per prima cosa dobbiamo avere delle nostre leggi. Ossia qualcosa in cui crediamo, che reputiamo giusto, che è coerente alla nostra “anima” ed al nostro “cuore”. Dobbiamo avere delle leggi che noi reputiamo giuste sulla base delle nostre credenze e delle nostre convinzioni, che derivano dalla nostra storia e dalle nostre esperienze e non che ci vengono imposte dall’esterno in quanto socialmente accettate e/o giustificate.
Solo quando riusciremo a fare questo, ossia ad essere autonomi, potremmo diventare indipendenti. Perché avremo capito che ognuno di noi ha bisogno dell’altro, di interazioni, così come del cibo, dell’aria, dell’acqua. Ma questo bisogno non ci mette in uno stato di soggezione (quindi di dipendenza). Perché come noi prendiamo dagli altri, dalle situazioni, dalle relazioni, così gli altri prendono da noi, in una situazione di relazione e di scambio. Avremo capito che i legami con l’altro possono essere costruttivi, se fatti in autonomia, e non distruttivi. E avremo capito che nessuno di noi può vivere da solo e non aver bisogno di nessuno, perché quel bisogno è frutto della nostra umanità. Ossia della nostra imperfezione.
Avremo capito che la capacità più bella, più ricca, più grande di un essere umano è proprio quella di creare relazioni, legami, non vincoli. Ma perché le relazioni ed i legami siano sani, funzionali e costruttivi dovremo aver lavorato sulla costruzione della nostra autonomia. E quindi, dovremo aver chiaro chi siamo, cosa vogliamo, cosa vogliamo diventare.
Solo così saremo davvero autonomi ed indipendenti e non fuggiaschi alla perenne ricerca del Giardino dell’Eden perduto.
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