Per anni ci hanno detto che la depressione è una malattia causata da uno “squilibrio chimico” nel cervello, in particolare da una carenza di serotonina. Una spiegazione semplice, rassicurante, ripetuta in ambulatori, pubblicità e persino nei manuali universitari. Ma oggi, grazie a revisioni scientifiche sempre più solide, emerge un quadro radicalmente diverso: quella teoria non solo non è mai stata dimostrata, ma è ormai ampiamente smentita.
È il cuore della denuncia contenuta nel libro Chemically Imbalanced: The Making and Unmaking of the Serotonin Myth della psichiatra Joanna Moncrieff, e confermata da una recente umbrella review pubblicata su Molecular Psychiatry, che ha esaminato sistematicamente decine di studi su migliaia di pazienti.
L’impatto è enorme: se decade la spiegazione biochimica della depressione, cade anche la pretesa di curarla con una pillola. E torna centrale una visione più ampia, olistico-relazionale, della salute mentale.
Serotonina e depressione: nessun legame provato
La revisione condotta da Moncrieff e altri cinque ricercatori europei ha analizzato tutte le principali evidenze disponibili su serotonina e depressione: dai livelli cerebrali ai trasportatori, fino ai geni coinvolti nella sua produzione. I risultati parlano chiaro: non esistono prove di un’associazione tra bassi livelli di serotonina e depressione.
Anche gli studi che hanno tentato di indurre depressione abbassando artificialmente la serotonina (attraverso la dieta) non hanno prodotto sintomi depressivi nei volontari sani. Allo stesso modo, le analisi genetiche su decine di migliaia di pazienti non hanno rilevato differenze nei geni legati alla serotonina tra depressi e non depressi.
Un equivoco costruito dal marketing
La cosiddetta “ipotesi della serotonina” fu formulata già negli anni Sessanta, ma non fu mai supportata da dati certi. A renderla popolare furono soprattutto le massicce campagne pubblicitarie delle case farmaceutiche, che negli anni Novanta e Duemila diffusero lo slogan: “la depressione è causata da uno squilibrio chimico che gli antidepressivi aiutano a correggere”.
In realtà, già nel 2005 i ricercatori Jeffrey Lacasse e Jonathan Leo denunciarono, su PLoS Medicine, la totale mancanza di congruenza tra questa narrativa pubblicitaria e i dati scientifici. La FDA americana, pur consapevole dell’incertezza, aveva comunque autorizzato spot basati su frasi vaghe come “potrebbero aiutare a ristabilire l’equilibrio chimico”. Una strategia comunicativa efficace, ma priva di fondamento scientifico, come confermato anche dallo psichiatra David Healy, che parlò apertamente di marketing di un mito.
Etica e disinformazione: un nodo irrisolto
Il vero problema oggi non è solo scientifico, ma anche etico. Come può un medico, vincolato al principio “Primum non nocere”, giustificare il fatto di trasmettere a un paziente un’informazione falsa perché “semplifica la comunicazione”?
In un’intervista radiofonica, il noto psichiatra Daniel Carlat ha ammesso: “Non sappiamo davvero come funzionano questi farmaci, ma i pazienti vogliono sentirsi dire qualcosa. E così semplifichiamo.” Una semplificazione che diventa una bugia strutturale, trasmessa anche ai giovani professionisti: uno studio su studenti di psicologia ha rilevato che il 46% aveva appreso l’idea dello squilibrio chimico direttamente da un medico. Ma la conseguenza più grave, come sottolineano Lacasse e Leo, è che i pazienti rischiano di sentirsi traditi e manipolati, una volta scoperta la verità.
Quando il placebo è più potente del farmaco
Oltre alla mancanza di prove sull’origine chimica della depressione, i dati rivelano un altro fatto scomodo: gli antidepressivi funzionano poco meglio del placebo. Studi come lo STAR-D e il famoso Study 329 hanno mostrato che le differenze tra chi assume SSRI e chi prende pillole inattive sono minime. In alcuni casi, le aziende farmaceutiche hanno perfino manipolato i risultati degli studi per far apparire efficaci farmaci che non lo erano.
Come ha dimostrato il ricercatore Irving Kirsch, l’effetto principale degli antidepressivi sembra derivare più dalle aspettative del paziente che dall’azione farmacologica vera e propria.
La depressione non è una malattia, ma un segnale
Tutto questo ci impone un cambio di paradigma. Se la depressione non è una malattia da correggere con una sostanza chimica, allora è un segnale: un grido di allarme dell’organismo, un invito al cambiamento.
Nel libro Chemically Imbalanced, Moncrieff propone di tornare a vedere la depressione come un’esperienza esistenziale, legata alla storia personale, ai traumi, alle relazioni, allo stile di vita. Curare la depressione significa aiutare le persone a ricostruire un senso, a fare scelte, a cambiare le condizioni di vita che le fanno soffrire.
Questo può avvenire con la psicoterapia, con il lavoro corporeo, con la meditazione, con il supporto sociale, con modifiche nell’alimentazione, nel sonno e nell’attività fisica. In altre parole: non esiste una cura unica, ma percorsi diversi per tornare a uno stato di equilibrio.
L’Omeopatia come alleata della guarigione
In questo scenario, l’Omeopatia si propone come strumento complementare e personalizzato. Non si limita a trattare il sintomo, ma considera la persona nella sua totalità: emozioni, corpo, mente, relazioni.
Lontana da visioni meccanicistiche e riduzioniste, l’Omeopatia può sostenere il percorso di chi affronta la depressione, favorendo l’emergere di nuove risorse interiori e accompagnando il lavoro su sé stessi. Può anche aiutare, in alcuni casi, a ridurre gradualmente la dipendenza da farmaci assunti per anni, sotto guida medica esperta.
Oggi più che mai è tempo di recuperare una medicina della complessità, dell’ascolto, dell’equilibrio profondo. La depressione non è un malfunzionamento chimico, ma una crisi che può diventare occasione di trasformazione. L’Omeopatia, insieme ad altre pratiche integrative, può aiutarci a compiere questo passaggio con rispetto, efficacia e umanità.
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11 commenti
Andrea Borlizzi
L’antidepressivo più efficace e usato per secoli è l’iperico, Hypericum perforatum, anche conosciuto come erba di San Giovanni.
Guarda caso sconnsigliato in tutti i bugiardini degli antidepressivi per effetti contrastanti quelli degli inibitori della ricaptazione della serotonina. Ma il problema sono loro, non l’iperico.
Generiamosalute
Grazie per il contributo.
Leonardo
Grazie mille per gli interessantissimi articoli che pubblicate. Bisognerebbe riuscire a combattere i bigotti che a seguito della condivisione di articoli reali come questo, partono a spada tratta, ormai lobotomizzati, come automi, sempre con lo stesso slogan e cioè “complottista” . Per queste persone, c’è una cura? Una terapia? Arriverà il momento che chi ha un pensiero critico non venga appellato così?
Generiamosalute
Una buona cura in questo caso è un’informazione documentata.
Caterina
Finalmente un po’ di luce. Gli antidepressivi sono inutili e possono causare danni maggiori dei benefici, in casi estremi possono ridurre i freni inibitori e portare al suicidio.
Rosalia Tarantino
Finalmente
Finalmente vengono pubblicati studi interessanti sulla depressione! Grazie
Generiamosalute
Grazie di cuore a lei per l’ apprezzamento
Paola Vicini
Grazie
Generiamosalute
Il piacere più grande per noi è che il contenuto sia stato di interesse per i nostri lettori. Grazie a lei.
Virginia Paribello
Grazie per questo articolo così interessante.
Generiamosalute
Grazie a lei per l’ apprezzamento.