Il mondo dei medici di Medicina generale è ad una svolta. A breve si scoprirà se questa svolta sarà positiva o negativa. Il reportage di Dataroom di Milena Gabanelli per il Corriere della Sera solleva il velo su un progetto di riforma destinato a modificare radicalmente lo status dei medici di medicina generale. Le anticipazioni descrivono un cambiamento epocale: da liberi professionisti convenzionati a dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale.
Un quadro demografico in trasformazione
Lo scenario demografico rende urgente un ripensamento del sistema. L’Istat evidenzia che il 77% dei medici di famiglia ha più di 55 anni, con una proiezione di 10 mila pensionamenti su 37 mila medici tra il 2025 e il 2030. Il ricambio generazionale diventa una priorità strategica. Preso atto della situazione, l’obiettivo principale è rilanciare le 1.350 Case della Comunità, costruite con 2 miliardi di fondi PNRR e attualmente sottoutilizzate. Questi nuovi presidi sanitari dovrebbero garantire assistenza continuativa dalle 8 del mattino alle 8 di sera.
Principali novità
- Orario di lavoro: Si passerebbe da 5-15 ore settimanali a un impegno fisso di 38 ore, con modalità differenziate in base al numero di pazienti assistiti.
- Luogo di lavoro: I medici lavoreranno sia nei loro studi che nelle Case della Comunità, garantendo una copertura dalle 8 del mattino alle 8 di sera.
- Formazione: Il percorso formativo verrebbe trasformato da un corso triennale a una laurea specialistica quadriennale.
- Inquadramento: La riforma riguarderà principalmente i nuovi medici, mentre quelli già in servizio manterranno lo status di liberi professionisti, con la possibilità di optare volontariamente per il nuovo regime.
L’approfondimento di Fanpage: molte voci contrarie
Secondo quanto scrive la giornalista Annalisa Cangemi su Fanpage, i giochi però sarebbero tutt’altro che chiusi: lo stesso ministro Schillaci sarebbe “irritato” per le indiscrezioni emerse e non pienamente convinto della riforma. Silvestro Scotti, segretario della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG), solleva una serie di critiche articolate. La principale riguarda la trasformazione del rapporto medico-paziente, che perderebbe la sua natura fiduciaria e personalizzata. Con il nuovo modello, i medici si succederanno in fasce orarie predefinite, cancellando quel legame esclusivo che oggi caratterizza l’assistenza territoriale. Scotti sottolinea come questo cambiamento possa impattare negativamente persino sulle politiche di prevenzione, dove la relazione umana gioca un ruolo cruciale.
Problematiche pratiche e organizzative
Le criticità sollevate investono molteplici aspetti dell’assistenza. Come si organizzerà la domiciliarità? Chi oggi usa la propria auto per raggiungere i pazienti potrà continuare a farlo? Un medico senza patente di guida potrebbe essere escluso dal servizio. L’attuale sistema convenzionato garantisce una flessibilità che verrebbe sostanzialmente compromessa. Un medico oggi è sempre reperibile, mentre con le 38 ore settimanali avrà il diritto e il dovere di “staccare”, lasciando potenziali vuoti assistenziali.
Conseguenze previdenziali e rischi sistemici
Un aspetto particolarmente delicato riguarda l’impatto sui sistemi previdenziali. I nuovi medici verseranno contributi all’INPS invece che all’Enpam, rischiando di creare squilibri significativi. Alcuni medici prossimi alla pensione potrebbero anticipare il proprio pensionamento, temendo ripercussioni sul proprio assegno.
Una proposta alternativa
La soluzione secondo la FIMMG sarebbe mantenere un sistema convenzionato che garantisca ai medici la possibilità di auto-organizzarsi, rispettando le specificità dei diversi territori. L’obiettivo è preservare quella flessibilità ed efficienza che un modello rigidamente burocratico rischierebbe di compromettere.
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