La comunità scientifica dibatte da molto tempo sull’efficacia della vitamina D contro il nuovo coronavirus. Ne abbiamo già parlato su queste pagine del nostro blog, in riferimento a uno studio del Policlinico San Matteo di Pavia. Questo nutriente è tornato sulla bocca di tutti una prima volta quando si seppe che era incluso nella terapia somministrata al presidente statunitense Donald Trump. Trump è un uomo piuttosto anziano, tecnicamente obeso e con alti livelli di colesterolo nel sangue. Per questo era tra i soggetti a rischio, e il rapido decorso positivo della sua malattia aveva fatto ben sperare per l’efficacia delle cure che gli erano state somministrate.
Coronavirus: sempre più prove dell’efficacia della Vitamina D
Poi, però, della vitamina D si son perse di nuovo le tracce. Almeno a livello mediatico, ma nei laboratori di ricerca come negli studi medici, la questione ha continuato ad essere analizzata e dibattuta, sperimentata. Oggi, a un anno dai primi casi di COVID-19, le prove degli effetti positivi sono sempre di più. Ce le racconta il Guardian in un lungo articolo, in cui ripercorre il sentiero travagliato che sta portando alla sua consacrazione definitiva.
All’inizio la vitamina D era somministrata, in via quasi ufficiosa, solo da alcuni particolari ospedali e sempre per iniziative individuali. A marzo, infatti, i consulenti scientifici del governo britannico avevano esaminato le prove esistenti e deciso che non ce n’erano abbastanza per dare il loro placet. Per questo motivo i centri in cui continuava a essere somministrata, come la Fondazione Newcastle upon Tyne Hospitals NHS, venivano guardati con sospetto e a volte denigrati.
L’appello dei medici attraverso il British Medical Journal
Poi le cose sono cambiate. Ad aprile, dozzine di medici hanno scritto al British Medical Journal descrivendo la vitamina D come “un passaggio semplice e sicuro”. E aggiungendo che “offre in modo convincente una possibilità di mitigazione del Covid-19 significativa e fattibile”. Non dimentichiamo che, se l’efficacia fosse dimostrata, disporremo di una nuova arma contro il COVID19 estremamente economica e di facile reperibilità.
Negli ospedali di Newcastle, ai pazienti trovati carenti di vitamina D, sono state somministrate dosi orali estremamente elevate del nutriente, spesso fino a 750 volte la misura giornaliera raccomandata dalla Public Health England. A luglio, i medici hanno scritto alla rivista Clinical Endocrinology per condividere i loro risultati iniziali. Dei primi 134 pazienti affetti da coronavirus trattati con vitamina D, 94 erano stati dimessi, 24 stavano ancora ricevendo cure ospedaliere e 16 erano deceduti. I medici non avevano chiaramente associato i livelli di vitamina D con i tassi di mortalità complessivi, ma solo tre pazienti con alti livelli di nutrienti sono morti e tutti erano fragili e avevano almeno 90 anni.
Pelli diverse, reazioni diverse
La vitamina D viene creata negli strati inferiori della pelle attraverso l’assorbimento della luce solare, ed è noto che svolga un ruolo centrale nella funzione immunitaria e metabolica. La circostanza che sia quasi interamente sviluppata sotto la pelle attraverso i raggi solari (solo una percentuale bassa si assume tramite alimentazione) fa sì che le persone di carnagione chiara la sintetizzino più facilmente di quelle con la pelle scura, soprattutto ad elevate latitudini, dove il sole scarseggia, soprattutto in inverno.
La Public Health England in aprile ha dovuto rivedere la sua posizione riguardo all’esposizione ai raggi solari. Se prima considerava dannosa l’esposizione al sole, che era consigliata (per i motivi già detti) alle sole persone dalla pelle scura, le nuove linee suggeriscono almeno un’ora di esposizione quotidiana. Secondo il Guardian, però, il dipartimento di Salute Pubblica non ha dato il giusto risalto al cambio di rotta, col risultato che la maggior parte delle persone continua a non saperne niente.
Sempre più studi a sostegno della vitamina D
Nel frattempo anche nel resto del mondo gli studi si sono moltiplicati. Uno studio francese, realizzato in una casa di cura, ha suggerito che l’assunzione di integratori di vitamina D era “associata a manifestazioni di Covid-19 meno gravi e a un migliore tasso di sopravvivenza”. Uno studio su 200 persone in Corea del Sud ha suggerito che la carenza di vitamina D potrebbe “diminuire le difese immunitarie contro Covid-19 e causare la progressione verso una malattia grave”. Una ricerca preliminare della fondazione del Queen Elizabeth Hospital e dell’Università dell’East Anglia ha trovato una correlazione tra i paesi europei con bassi livelli di vitamina D e tassi di infezione da coronavirus. In generale, i paesi più vicini all’equatore sono stati meno colpiti dal Covid-19 rispetto a quelli più lontani da esso, sebbene Brasile e India siano eccezioni degne di nota.
Un certo numero di altri studi ha prodotto rapporti simili, sebbene sia solo uno studio spagnolo, condotto all’inizio di settembre, che si è avvicinato a dimostrare che bassi livelli di vitamina D hanno un ruolo fondamentale nell’aumento dei tassi di mortalità. Lì, 50 pazienti con Covid-19 hanno ricevuto una dose elevata di vitamina D, mentre altri 26 pazienti non hanno ricevuto il nutriente. La metà dei pazienti a cui non è stata somministrata vitamina D ha dovuto essere ricoverata in terapia intensiva e due in seguito sono morti. Solo un paziente che ha ricevuto vitamina D ha richiesto il ricovero in terapia intensiva e in seguito è stato dimesso senza ulteriori complicazioni.
Anche l’ex-segretario alla Brexit si schiera a favore
“Tutti gli studi osservazionali mostrano forti effetti della vitamina D su infettività, morbilità e mortalità – sostiene l’ex-segretario alla Brexit David Davis – Questa malattia esiste seriamente al di sopra dei 40 gradi di latitudine, perché è lì che la luce UV scompare in inverno”. Tutte queste prove insieme, dice, rendono “molto, molto chiaro che la vitamina D ha un effetto materiale”. Un mese prima, Davis aveva scritto un articolo per il Telegraph sostenendo che correggere la carenza di vitamina D della Gran Bretagna avrebbe potuto salvare migliaia di vite.
Sebbene la posizione ufficiale del governo britannico resti scettica per mancanza di prove decisive, alla fine di novembre l’esecutivo ha annunciato che avrebbe offerto quattro mesi di integratori gratuiti di vitamina D a tutti coloro che si trovano in case di cura – circa 2,7 milioni di persone – e attivato forniture di integratori per coloro che si trovano nelle carceri del Regno.
Per un approfondimento sull’utilizzo della Vitamina D consigliamo la lettura della sezione ad essa dedicata, curata dal dott. Giulio Maria Ranalli, nel capitolo Dall’Emergenza alla Prevenzione del libro edito da CeMON Generiamo Salute Covid-19 la Sfida dell’Immunità Individuale (pag. 126-130) che potete scaricare qui gratuitamente
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1 commento
Francesco
La struttura molecolare della vit D (che si può derivare dal colesterolo come i cortisonici tra cui il desametazone) può suggerire anche un effetto antinfiammatorio; analoghi strutturali più potenti derivati dalla vit D (calcitriolo, calcipotriolo…) vengono usati in terapia topica per la psoriasi da decenni con risultati sulla cute più che accettabili, parola di dermatologo.