Redazione

Esistono persone immuni al Sars-Cov-2?

I medici di tutto il mondo alla ricerca della causa che rende alcuni resistenti all'infezione
Tempo di lettura: 2 minuti

Vivono sotto lo stesso tetto. Lui ha una forma di Covid19 sintomatica, magari anche grave. Lei lo accudisce ogni giorno. Pian piano le precauzioni si affievoliscono: ogni tanto abbassa la mascherina, qualche volta dimentica di lavare le mani. Eppure, anche dopo settimane, il tampone è sempre negativo. Dopo un anno di pandemia è sempre più evidente che persone così ce ne siano molte. Immuni al virus, probabilmente. Ma com’è possibile?

Esistono persone immuni al Sars-Cov-2?

I medici di tutto il mondo se lo chiedono. Effettuano le prime ricerche, avanzano le prime ipotesi. L’ultima, in ordine di tempo, l’hanno realizzata gli scienziati del Francis Crick Institute presso l’UCL (University College of London). Mentre esaminavano i campioni di pazienti Covid per valutare la durata dell’immunità data dall’infezione, si sono accorti che nei campioni di sangue di persone che non si erano mai infettate vi erano anticorpi che reagivano al Sars-Cov-2. “Com’è possibile?”, si sono chiesti?

La risposta, forse, è da cercarsi nelle infezioni da altri Coronavirus

Secondo gli inglesi, la risposta è nella cross reattività immunologica, o reattività crociata. In parole povere, il sistema immunitario riconoscerebbe il nuovo coronavirus per somiglianza ai coronavirus precedenti, che ben conosce. Tutti i coronavirus utilizzano la proteina spike per attaccare la cellula ospite ed insinuarsi in essa. Questa proteina, però, è composta di due parti: mentre la prima (S1) è peculiare di ogni coronavirus, la seconda (S2) è simile in tutti. I ricercatori hanno trovato anticorpi cross reattivi nel 10% dei campioni di sangue donati da donne incinte nel maggio del 2018. Quando, cioè, non potevano ancora essere entrate in contatto con il Sars-Cov-2. È probabile, quindi, che il loro sistema immunitario sia stato in grado di identificarlo come minaccia partendo da S2.

I ricercatori del Center for Infectious Disease and Vaccine Research del Jolla Institute for Immunology in California sono giunti a coclusioni simili. Il team si scienziati ha confrontato i campioni di sangue di venti pazienti convalescenti da Covid con altri venti mai ammalati e hanno pubblicato le loro conclusioni sulla rivista Cell. Anche secondo gli statunitensi l’immunità potrebbe dipendere da precedenti infezioni di coronavirus differenti.

Gli italiani avanzano una spiegazione diversa

Anche gli scienziati italiani sono al lavoro per rispondere a questo interrogativo. L’Università di Tor Vergata sta conducendo uno studio in collaborazione con i colleghi della Rockfeller University di New York e di altri istituti, riuniti nel Consorzio Internazionale di Genetica (Covidhge). Il professor Giuseppe Novelli, ex rettore dell’ateneo romano, spiega: “Abbiamo eseguito uno studio molto importante per capire come mai ci siano differenze spesso molto grandi tra persone esposte allo stesso patogeno, e abbiamo scoperto che il 10 per cento dei soggetti che sviluppano forme gravi hanno un difetto genetico sulla produzione dell’interferone, cioè la prima linea di difesa che produciamo noi. Senza interferone è più facile ammalarsi gravemente”.

La loro teoria è che la differenza sia, appunto, data dai livelli di interferone prodotti dall’organismo: “Stiamo selezionando volontari che ci donino il loro DNA tra persone che siano state fortemente esposte al virus ma non si siano ammalate. In seguito esamineremo la loro capacità di produrre interferone”

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