Non tutti i positivi sono uguali. Man mano che passa il tempo, i dati a disposizione degli scienziati per capire come funzioni il coronavirus aumentano. E pian piano si fa luce sui suoi meccanismi di trasmissione. Fin qui, l’umanità si è fatta cogliere alla sprovvista, ma da ora in poi le cose potrebbero cambiare. Uno dei grattacapi che i medici si sono trovati davanti fin qui, ad esempio, è stato quello dei super-diffusori. Alcuni individui, cioè, sembrano trasmettere il virus molto più di altri. Mentre alcune persone convivono per settimane con infetti senza contagiarsi, capita che un singolo evento a cui abbia partecipato un solo positivo infatti ne crei moltissimi altri. Com’è possibile?
Non tutti i positivi sono uguali
La risposta potrebbe essere nella carica virale di queste persone. Per capire questo punto, è importante sapere come avviene l’analisi di un tampone naso/oro-faringeo. Come ha spiegato il professor Giorgio Palù, ordinario di microbiologia e virologia dell’Università di Padova, in un’intervista all’emittente privata Tv7, il tampone preleva del materiale genetico dalla faringe. Perché le tracce genetiche del Sars-Cov-2 possano essere individuate, però, è necessario moltiplicare (o meglio, amplificare) milioni di volte il materiale così ottenuto alla ricerca delle tracce dell’agente patogeno. ciò avviene con una particolare tecnica, chiamata Reazione a catena della polimerasi o PCR. Se l’amplificazione viene ripetuta 40 volte senza che vengano trovate tracce, il tampone viene dichiarato negativo.
La reazione a catena della polimerasi
Il numero di volte che quest’operazione viene ripetuta (che chiamiamo CT) ci dice molto sulla quantità di virus che la persona ha all’interno. E quindi, molto probabilmente, anche del suo livello di contagiosità. In coloro che hanno livelli di virus molto alti, i primi frammenti di coronavirus vengono trovati già a partire dalla 10 amplificazione. Costoro sono i candidati perfetti a diventare super-diffusori, oltre a sviluppare con alta probabilità una forma della malattia più grave. Altri, invece, risultano positivi nelle amplificazioni successive, anche la 35°. Queste persone hanno livelli di virus estremamente bassi. Sembra ormai di potere affermare che queste persone hanno sintomi molti più lievi, e hanno scarsissime possibilità di trasmettere il contagio. Per capire le proporzioni del discorso, un test con risultato positivo dopo 12 cicli ha 10 milioni di volte il materiale genetico virale di un campione con un valore CT di 35.
Il CT e l’evolversi della malattia
In uno studio pubblicato di recente su Clinical Infectious Diseases, i ricercatori guidati da Bernard La Scola, un esperto di malattie infettive presso IHU-Méditerranée Infection, hanno esaminato 3.790 campioni positivi con valori CT noti per vedere se contenevano virus vitali. La Scola e i suoi colleghi hanno scoperto che il 70% dei campioni con valori CT di 25 o inferiori avrebbe potuto effettivamente replicarsi, rispetto a meno del 3% dei casi con valori CT superiori a 35. Quindi conoscere questo valore potrebbe potenzialmente essere di grande aiuto per contenere la diffusione dell’epidemia, tenere sotto più stretta osservazione le persone più a rischio ed eventualmente restituire una vita a coloro che stanno bene e hanno una positività bassissima, per quanto ancora esistente.
Cosa mostrano gli studi clinici
Un altro studio di giugno, effettuato dai ricercatori della Weill Cornell Medicine, ha rilevato che tra 678 pazienti ospedalizzati, il 35% di quelli con un valore CT di 25 o inferiore è morto, rispetto al 17,6% con un valore CT da 25 a 30 e il 6,2% con un valore CT superiore a 30. Ad agosto ricercatori brasiliani hanno scoperto che tra 875 pazienti, quelli con un valore CT di 25 o inferiore avevano maggiori probabilità di avere una malattia grave o morire. Non tutto, però è così lineare: circa il 40% delle persone che contraggono SARS-CoV-2, infatti, rimane in buona salute anche se ha una quantità di virus simile a quella dei pazienti che si ammalano seriamente.
Anche questo dato, quindi, va preso con cautela, anche perché lo stesso esame, ripetuto sulla stessa persona, può portare a risultati diversi a seconda del momento, della mano di chi lo analizza, e, in definitiva, del caso. L’importante è continuare nello sforzo di migliorare gli strumenti diagnostici, sperando di far luce al più presto su ogni meccanismo di diffusione.
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1 commento
corrado Sacripanti
Vero tutto ciò. Vorrei porre tre quesiti:
1. Il virus Sars Cov-2 non mi sembra sia stato mai isolato per intero.
2. La RT-PCR a detta dello stesso Kary Mullis non può essere considerata come valido strumento diagnostico.
3. Essendo il virus relativamente nuovo, e non conoscendo il primer genetico che si possa abbinare al virus, come si fà a trovare in una pcr una frazione dello stesso virus che molto probabilmente è composto da 25/30.000 basi?
Grazie