Redazione

The Guardian: “Le riviste mediche più prestigiose hanno usato dati taroccati”

Uno scandalo di proporzioni mastodontiche che coinvolge riviste del calibro di The Lancet o il New England journal of medicine
10 Giugno, 2020
Tempo di lettura: 2 minuti

L’intera risposta globale alla pandemia da nuovo coronavirus potrebbe essere stata fondata su dati farlocchi. In particolare le terapie a base di idrossiclorochina, facile da reperire e a buon mercato, sono state scartate, a quanto risulta da un’approfondita inchiesta del Guardian, senza alcun motivo scientifico. Lo scandalo è di quelli da fare tremare i polsi, dal momento che mina l’attendibilità di due tra le riviste scientifiche più autorevoli del pianeta, Lancet e New England Journal of Medicine. Ma, nonostante questa vera e propria bomba esploda nel pieno di una delle crisi sanitarie più gravi che l’Uomo ricordi, da noi pare che non meriti più di qualche trafiletto nascosto nelle pieghe dei grandi quotidiani.

Partiamo dall’inizio. Secondo quanto emerso dall’attività di ricerca del Guardian, l’intero database di dati su cui sono fondati i principali studi sull’idrossiclorochina delle due riviste sopra citate proviene da un’unica azienda statunitense, la Surgisphere. Questa ditta vanta un gigantesco agglomerato di dati provenienti da collaborazioni con gli ospedali di ogni angolo della Terra. Parliamo di dati sensibili di 96.000 pazienti provenienti da 1.200 ospedali in tutto il mondo. Perché le informazioni possano essere considerate attendibili servirebbero accordi con ognuno di questi singoli ospedali per il trattamento dei dati in forma anonima, un lavoro complesso che non si limita alla semplice rimozione del nome dalle cartelle e che richiede personale specificamente competente. In più, servirebbe uno staff mastodontico di medici, esperti di statistica, ricercatori e analisti. Peccato che la Surgisphere dichiari 11 dipendenti. E la quasi totalità di questi non sembra avere la minima competenza scientifica. Giusto per limitarci ai casi più eclatanti, il caporedattore scientifico è in realtà uno scrittore di fantascienza, mentre la ‘dirigente marketing’ risulta essere una modella di riviste per adulti e hostess per fiere e congressi. Interpellato dal Guardian, il CEO dell’azienda si è trincerato dietro risposte fumose su privacy, intelligenza artificiale e altre amenità, che non fugano nessuno dei gravissimi dubbi che pendono sulla questione.

Adesso, tra gli autori dei prestigiosissimi studi incriminati, è tutto un correre ai ripari, ricalibrare i dati, rifare i conti. Mandeep Mehra, rinomato chirurgo vascolare di Harvard (forse l’università più prestigiosa al mondo) e principale autore di una delle ricerche in esame, ha dichiarato che “gli autori dei recenti studi pubblicati su The Lancet e sul New England Journal of Medicine hanno avviato revisioni indipendenti dei dati utilizzati in entrambi i documenti, dopo aver appreso delle preoccupazioni sollevate sull’affidabilità del database“. Bene. Ma, francamente, queste giustificazioni tardive appaiono largamente insufficienti nel momento in cui hanno coinvolto tutte le più autorevoli istituzioni sanitarie del mondo, inducendo perfino l’OMS a dichiarare potenzialmente rischiosa l’idrossiclorochina e facendo fermare i principali test clinici in corso al riguardo. Quante persone potrebbero essere morte per quella che, nelle migliore delle ipotesi, è una svista clamorosa?

È sotto gli occhi di tutti che il problema non sia limitato all’idrossiclorochina, né alle sole ricerche sul Covid-19, ma riguardi l’attendibilità a 360 gradi del gotha della scienza medica, che da questa questione esce clamorosamente ridimensionata. Se un’azienda venuta fuori dal nulla e senza alcuna competenza né alcun passato è riuscita a superare (per dolo o per colpa?La questione meriterebbe un altro, serissimo approfondimento) tutte le verifiche di attendibilità quelle che dovrebbero essere riviste blindatissime, che credibilità può avere l’intero mondo della medicina accademica?

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