Sala congressi, ampia, luminosa, più di cento presenze, tutti medici dell’Omeopatia in silenzio ad aspettare, chi in piedi, chi già accomodato.
Si susseguono poi entrando i relatori, tutti chiari nomi, che prendono posto nelle prIme file, conosciuti per la loro bravura ed esperienza. A lato sul palco i tre moderatori, già pronti.
Siamo davanti ad un evento che sta lasciando un segno nelle nostre conoscenze.
Schermi accesi in sala, brusio, connessioni che vanno e si interrompono, poi riprendono, poi finalmente stabili “videano” la sala e il palco.
Aula gremita, alcuni con la mascherina, altri sorridono tra le capigliature bionde delle signore, per estinguere il grigio.
C’è una frenesia nell’aria, una attesa, un desiderio di ascoltare, controllando la scaletta degli interventi.
Si comincia.
Presentazione come da prassi, un po’ retorica, ma fa parte del momento.
G.S. è bravissimo nell’accogliere i presenti e farli sentire a loro agio.
Sorridente, empatico, traspira gioia e orgoglio per l’evento.
Intanto io le stringo la mano tanto da far diventare pallide le dita.
La mia, sudata non nasconde la mia ansia.
Gira la testa e sorride per darmi coraggio e per dirmi con gli occhi, va tutto bene, andrai benissimo.
Lei è perfettamente tranquilla.
Adoro le amate che sanno darti forza anche nei momenti che noi maschietti siamo al naufragio.
Sono il primo relatore, mi alzo adagio convocato per l’intervento.
Salgo gli scalini, tre, e a braccia tese con le mani afferrate sullo scranno di legno intarsiato, prendo fiato e al microfono espirando, pensando a lei e cercandola con gli occhi, dico:
“L’Omeopatia è una gran signora, lo è sempre stata, non accusa stress, né ne procura.
Accoglie sia il medico che il paziente in un rituale all’apparenza effimero, ma di fondo risolutivo. Lascia respirare la mente di entrambi in un ballo carismatico e seducente, per poi arrivare puntuale come una freccia al bersaglio.
Non sono qui oggi, esimi colleghi, per lodare la stessa, ma sono qui per sottolineare la profondità di tale arte medica.
Vi racconterò quindi brevemente di un bambino di pochi anni, cinque, affetto da inestinguibili movimenti spontanei agli occhi e agli arti superiori. Iniziati progressivamente e sempre più ingravescenti tale da rendere la qualità della vita del piccolo molto difficoltosa.
Inspiegabili dal punto di vista clinico, tanto che dopo molteplici indagini neurologiche la diagnosi si arenò con un “passeranno con l’età”. Dissero: Tic senza riscontro organico.
Certo passeranno crescendo, ma intanto? Solo aspettare ?
No, non attendiamo il tempo benevolo, agiamo ora col suo farmaco, agiamo perchè la Materia Medica ci dà la possibilità e le sue conoscenze.
Cosa fu prescritto con successo?
Un semplice Agaricus alla 9CH granuli, 5 al giorno la mattina al risveglio.
Solo quello, e quello, bastò.
Ora, non sento di aggiungere altro a voi auditori, il mio è solo un esempio puntuale che conferma i vostri credo, di cui sicuramente non c’è alcun bisogno di rinforzare.
Con questo breve intervento, e come dice il titolo, di Lectio Magistralis, vi ringrazio dell’attenzione, e vi porgo i miei più calorosi saluti, grazie ancora”.
Facendo un cenno col capo verso il basso come di saluto, scesi dal palco, né impettito né tronfio, ma quasi curvo e, sfuggendo agli applausi veri o di circostanza, raggiunsi le mani della mia amata, lei protese, che baciai sfiorandole.
E ora mi godo il convegno senza se e senza ma.
Sei mia.
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