Luesinum e una Perrier

9 Giugno, 2023
Tempo di lettura: 2 minuti

Abito in un piccolo attico alla periferia di Torino, mi affaccio e guardo i tetti bassi, il Po con le sue anse, alla mia destra la collina di Superga.

Ma guardo anche il bicchiere sul tavolino che deve essere riempito di nuovo da due dita di Rum.

Sarà il quarto due-dita che mi servo oggi pomeriggio, libero dal lavoro e dagli affanni conseguenti.

Bevo da due o tre anni costantemente, cominciando da dopo pranzo e dalla mia separazione.

Amo i super alcolici, un pò tutti, dalla Sambuca con la mosca, agli amari, dal whisky torbato, al gin liscio senza ghiaccio. In fondo non ho una predilezione ben precisa, l’unica fondamentale è che superino i 40*.

In realtà non mi ubriaco mai da finire fuori di testa, “tengo” bene lo sballo, esco, e la gente non si accorge che sono zeppo di alcol, parlo correttamente, a bassa voce, non deraglio né raglio, forse il fiato mi potrebbe tradire, ma macino chewing-gum, mi profumo il viso per coprire l’eventuale puzzo di alcol, non fumo, non gesticolo o rido per tutto. Non barcollo camminando.

Sono un alcolista anonimo, ma non “anonimo” perché vado alle riunioni apposite, sono soltanto “anonimo” perché non si vede, non si palesa fisicamente, eppure lo sono.

E Dio, se lo sono.

Vivo solo, con l’ovvio passato del separato colpevole di essere debole e autodistruttivo.

Mai violento per carità, ma soltanto molto debole e molto autodistruttivo.

E sempre prima di rientrare in casa al pomeriggio, mi approvvigiono di tutto l’alcol che serve, con l’accortezza di cambiare sempre il negozio per gli acquisti, alterno enoteche e supermercati, per non dare nell’occhio.

Non vado nei bar a “fare spalletta” sul bancone, mai, sempre e soltanto tra le quattro mura di casa mia. Anonimo appunto.

Trilla il citofono. “Siii?”

È Francesco il mio amico storico, giornalista sportivo, mio coetaneo, “fratello di latte”, a conoscenza di tutto.

“Apro, sali”.

Incazzato nero irrompe, e comincia una scenata storica, epica, definitiva, dirompente, indimenticabile, decisiva.

Mi spiega urlando che sono un maledetto depresso, che mi sto distruggendo, ammazzando.

Va in cucina come una furia, e svuota le bottiglie nel lavandino, mi intima di preparare una borsa perché per un periodo vivrò da lui, e non vuole sentire ragioni. “Ora basta bere, e per sempre!”.

“Amico mio, non ho più forze”, e in silenzio lo seguo.

Fine, e inizio della risalita dagli inferi.

Ci volle tempo, e visite mediche e analisi, e sedute di psicoterapia cognitivo-comportamentale.

E optai prima di tutto, per la terapia omeopatica presso un noto medico torinese, e il mix fu vincente.

Ricordo: Luesinum, Calcarea fluorica, Aurum, Fluoricum acidum, alte e basse diluizioni, drenanti epatici e un Fiore di Bach.

In verità non ho sofferto molto, mi sono lasciato prendere per mano, dal mio amico, come dal terapeuta, per ritrovarmi ammarato sulla riva della lucidità, e della consapevolezza, per sempre.

Abito in un piccolo attico alla periferia di Torino, guardo i tetti bassi e il lento procedere del fiume, ma ancora per poco perché ritorno a casa mia, dalla mia famiglia, ritorno da chi mi ha sempre voluto.

“Desidera?”

“Una Perrier (acqua francese in bottiglia molto frizzante), con ghiaccio, limone e due cannucce, grazie”.

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