La guarigione ha bisogno del suo tempo

9 Febbraio, 2021
Tempo di lettura: 4 minuti

Come sempre cerco di riflettere su alcuni dei moltissimi aspetti che si devono tenere in considerazione quando li incontriamo in una situazione di malattia, acuta o cronica, personale o dei nostri familiari, figli, amici, parenti etc.: il tempo della guarigione, il tempo necessario per consentire l’evoluzione della risoluzione della malattia.

Nel nostro mondo attuale postmoderno, uno dei problemi maggiori è il tempo senza tempo nel quale viviamo e si sviluppa tutto ciò che riguarda la nostra vita. Questo conflitto tra cultura e natura crea un disordine molto importante, a tal punto da portare le situazioni ad un punto di impossibilità di realizzazione delle cose. Lo si può constatare in ogni aspetto della vita e in modo particolare nel momento della malattia. Esistono molti modi di ammalarsi. Se facciamo una piccola sintesi che è stata magnificamente evidenziata nell’Organon di Hahnemann (lo dico per puntualizzare la finezza clinica e la precisione che ha mostrato sempre il genio scopritore dell’Omeopatia) potremo dire che le manifestazioni che noi chiamiamo malattie si possono dividere in:

Indisposizioni: sono tutte quelle manifestazioni che alterano il benessere di una persona perché questa è venuta meno all’igiene della sua vita. Per esempio quando una persona fa un’abbuffata natalizia e sente impaccio, nausea e in aggiunta vomito e diarrea. Questa indisposizioni hanno il loro proprio tempo di evoluzione.

Malattie epidemiche: quando una persona comincia a soffrire manifestazioni di malessere insieme a molte altre persone che si ammalano in ugual modo. Di fatto Epidemia significa una manifestazione collettiva che altera e colpisce un gran numero di persone. In questa manifestazione epidemica hai un tempo in cui i sintomi sono prevalentemente uguali in tutte le persone, come per esempio l’ultima epidemia di bronchite catarrosa che ha afflitto moltissime persone in tutto il mondo, adulti, anziani e bambini. Trascorso il primo momento, se la malattia non è stata curata, i sintomi cambiano in ciascuna persona, dato che la propria natura individuale, con la sua forma personale di reazione, mostra e si manifesta in forma differente nell’ambito dell’epidemia. Se nel primo momento un rimedio può corrispondere a tutti gli ammalati colpiti, in una seconda fase, ciascun paziente avrà necessità di un rimedio diverso secondo la sua propria natura e peculiarità. Queste malattie epidemiche hanno un proprio tempo di evoluzione.

Malattie acute sono le manifestazioni più o meno repentine di sofferenza. Colpiscono l’individuo nella sua totalità anche se l’affezione si concentra in un organo, come per esempio, un morbillo, una varicella, un vaiolo, un’appendicite… Insomma, situazioni che hanno una serie di caratteristiche naturali di evoluzione: inizio, esplosione e risoluzione. Queste malattie acute hanno anche un proprio tempo di evoluzione.

False malattie croniche: mettono in evidenza una serie organizzata di sintomi e sofferenza che hanno la caratteristica di dipendere da uno stimolo concreto che è la causa della malattia. Per esempio i sintomi di una persona alcolizzata, conseguenti al fatto di bere un tipo determinato di bevanda alcoolica che gli cambia la personalità e la condizione fisica causando maggiore o minore molestia. Oppure i sintomi conseguenti al tabagismo o a una cattiva igiene di vita, per il fatto di avere un lavoro che non gli si addice o per non poter dormire o mangiare o vivere con il minimo indispensabile che gli si addica. Queste, sono false malattie perché non nascono dall’interno dell’individuo, ma dipendono da uno stimolo esterno. Sono croniche perché sono persistenti fin tanto che continua lo stimolo nocivo. Se tuttavia, per tempo, si elimina lo stimolo che crea la malattia, la persona evolve verso la sua salute. Anche queste malattie hanno un proprio tempo di evoluzione diverso dalle altre.

Acutizzazione di malattie croniche: come si osserva in situazioni critiche di una situazione anteriore che determina l’acutizzazione, come per es. una bronchite emorragica in un paziente tubercoloso o una emorragia uterina in una paziente con endometriosi fibromatosa o una colica biliare in una persona con calcoli nella cistifellea o cose simili. Anche questa situazione acuta ha un suo proprio tempo di evoluzione in funzione del tipo di acutizzazione e della condizione di infermità cronica del paziente, della sua età, delle sue caratteristiche, delle sue condizioni e delle sue possibilità biologiche.

Vere malattie croniche: generalmente di carattere ereditario e che esprimono un modo di stare male nella propria totalità, fisica e psichica. Indicano il limite e l’incapacità dell’individuo di poter realizzare la vita che gli compete. Determinano un modo di pensare, di comprendere, di sentire, amare e di alterare la vita che rende schiavo l’individuo, lo deforma e gli fa sperimentare la sua difficoltà o la sua incapacità di vivere bene. Indubbiamente queste malattie hanno un loro proprio tempo di evoluzione ineludibile.

Questa piccola sintesi ci mette davanti ad una particolare attenzione e necessità di attesa intelligente. Una conoscenza utile per possibili ammalati. I loro familiari e indubbiamente per i medici.

Nella nostra epoca di postmoderni ciechi e prepotenti, attratti dal mito deformante dell’analgesia come obiettivo/condizione necessaria della salute e spinti dall’edonismo imperante che crea la falsa idea che la salute è il non soffrire e il soddisfare immediatamente le esigenze dei sensi dell’organismo, ci imbattiamo in un grande ostacolo, medici e pazienti: il non renderci conto di quello che sta succedendo, di come possiamo aiutare quello che abbiamo davanti e di come saper attendere l’evoluzione positiva del processo salvifico che rappresenta sempre qualsiasi malattia. Nella prossima lettera parleremo propriamente di questo: perché la malattia, compresa quella cronica la possiamo o la dobbiamo considerare come salvifica se il paziente sta morendo(?).

Nella cecità di questa realtà e spinti da ciò che ho detto, quello che oggi un paziente desidera e anche esige dalla medicina postmoderna è che agisca immediatamente a qualsiasi prezzo. Che si lenisca il dolore e spariscano i sintomi di qualsiasi natura e si ristabilisca la normalità, vera o falsa, del paziente in modo che tutto “torni a sorridere” e che non esista l’ombra di ciò che caratterizza questa nostra condizione umana, il dolore e la sofferenza come conseguenza dell’aver perduto l’ordine della nostra propria esistenza individuale, ereditaria o familiare e sociale. Il proprio dolore, la propria sofferenza come strumenti inevitabili di crescita, di maturazione personale e conoscenza per la restituzione della vita che a ciascuno appartiene.

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