Lettera dall’antichità

4 Febbraio, 2022
Tempo di lettura: 2 minuti

Ah, caro dottore, si ricomincia. Che stress! Tutti i giorni è sempre la stessa storia: credo di essere guarita, mi sento bene, vedo il mondo colorarsi tutto di rosa poi, all’improvviso, i soliti orribili sintomi riprendono ad assillarmi. Mi creda è un vero e proprio tormento poiché sentirsi bene per qualche ora, rende solo più insopportabile il ritorno del problema. Questa mia malattia è una maledizione che mi porto dietro fin dall’infanzia. Ricordo che, da bambina, appena aprivo bocca per proferire qualche parola, i miei genitori mi cospargevano di olio e sale fino a rendermi la pelle piena di bolle e scaglie eczematose. Dicevano che lo facevano per me e per il mio futuro, altrimenti non avrei mai potuto trovare marito. Non soddisfatti, m’impedivano pure di protestare e, con la scusa che era di buon auspicio, mi ficcavano un peperoncino in bocca. Un peperoncino in bocca ad una bambina di pochi anni soltanto per ottenere un effetto scaramantico, capisce dottore? Di conseguenza, poiché il peperoncino mi aumentava la diuresi, passai tutta l’infanzia e buona parte dell’adolescenza a farmela addosso, altro che “è solo debolezza di vescica!- come sostenevano quei perfidi dei miei genitori. Come se non bastasse, quel maledetto peperoncino mi procurava anche enormi emorroidi e dolorosissime ragadi anali. Tuttavia, poiché al peggio non c’è mai fine, la mia situazione peggiorava quando incontravo i miei fratelli. Io e il gatto nero eravamo i loro bersagli preferiti. Ci urlavano contro “maledetti iettatori!” e ci gettavano contro di tutto: ciondoli, corni e, persino, ferri di cavallo che, pur non essendo fatti di ferro, dal momento che ci troviamo ancora nell’età del bronzo, quando mi colpivano la testa facevano tanto male ugualmente. Il culmine delle atrocità nei miei confronti, tuttavia, lo toccavo a capodanno. Con la scusa che “porta bene” ero costretta a mangiare cibi a me indigesti come zampone, lenticchie, uva e tutti i frutti rossi di questo mondo. Come se non bastasse, poiché “chi canta a capodanno canterà tutto l’anno”, sotto a rami di vischio, ero costretta a cantare a squarciagola tutte le filastrocche conosciute, con un paio di corna di bue sulla mia testa e i miei fratelli intorno che, con la scusa di bruciare il vecchio anno, cercavano di darmi fuoco. Poi i miei concittadini hanno il coraggio di accusarmi che sono solo un’inguaribile pessimista! Che ci provino loro a crescere in una famiglia sciagurata come la mia. Caro dottore, io sono davvero una donna sfortunata! Neppure oggi, giornata dove tutta la città festeggia la fine di questa guerra, io riesco a stare bene. A questo punto credo proprio sia giunto il momento di assumere quelle dosi omeopatiche di Sepia che lei mi ha consigliato per combattere la malattia che nuovamente cresce dentro di me. Sento il bisogno di urlare quello che sento. I miei concittadini lo capiscono e si stanno procurando gli amuleti per proteggersi contro la malasorte. Che ci posso fare se io sono fatta così? Se questo enorme cavallo, che sta oltrepassando le mura, mi fa presagire che accadrà qualcosa di brutto per me e per tutta la città?

Cordiali saluti

Cassandra dalla città di Troia

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