Al nome di Werner Heisenberg (1901-1976) è legato uno dei due principi fondamentali della fisica quantistica, il principio di indeterminazione, l’altra faccia del principio di complementarietà di Niels Bohr. Heisenberg è stato poi nondimeno il principale coordinatore delle ricerche supportate dalla Germania nazista di un uso militare dell’energia atomica.
Principio di indeterminazione
L’osservazione perturba il fenomeno. Questa può essere l’icastica enunciazione del Principio di Indeterminazione, formulato da Heisenberg nel 1927, tale per cui noi possiamo conoscere, di una particella elementare, una grandezza ma a scapito della precisione del rilevamento di un’altra grandezza correlata. Sono inversamente proporzionali la precisione con cui posso determinarne la posizione nello spazio e la sua velocità; la sua energia e il momento esatto in cui si trova. Tanto più un osservatore sceglie di rilevare con precisione l’una grandezza, tanto meno preciso sarà il rilevamento dell’altra grandezza a essa coniugata.
Per localizzare una particella elementare devo colpirla con un raggio di luce, ciò che altera la quantità di moto della particella stessa. Dunque: “un’imprecisione fondamentale nella misura di variabili atomiche coniugate è implicita in natura”.
Il principio di indeterminazione si estende al principio di complementarietà: un elettrone si può comportare come corpuscolo o come onda a seconda del modo in cui viene osservato e misurato. L’uno suo modo di apparire va a scapito dell’altro; c’è un insito contrasto tra quelli che sono due diversi modi, entrambi coerenti, di raffigurarsi un fenomeno. Una particella elementare è un onda e nello stesso tempo un corpuscolo, ovvero nessuna delle due cose. Il gatto di Schrödinger è vivo e morto.
Heisenberg fu allievo di Bohr e contribuì a quella che è nota come interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica: questa teoria sostiene che le particelle quantistiche esistono in uno stato di sovrapposizione di possibilità, fino a che non vengono misurate. L’approccio di Heisenberg era prevalentemente matematico, la sua può essere chiamata una meccanica delle matrici; un approccio più propriamente fisico lo aveva contemporaneamente sviluppato Schrödinger, con la sua Funzione d’onda.
Non possiamo determinare con esattezza l’orbita di un elettrone, poiché non possiamo misurarne con precisione la sua posizione ed al tempo stesso la sua velocità. Semmai possiamo definire il suo orbitale, come la regione in cui ci sia alta probabilità di trovare l’elettrone. La funzione d’onda è la funzione matematica che indica il grado di probabilità di trovare un elettrone in un dato punto dello spazio e in un certo istante. Il continuo ed il discreto ancora si specchiano l’uno nell’altro nella stessa Fisica quantistica, che dà per scontata l’esistenza di un quantum non ulteriormente divisibile.
Heisenberg e Bohr
Nel cammino comune della discretizzazione della fisica atomica, l’incontro tra Heisenberg e Bohr fu decisivo. Il giovane scienziato tedesco si trasferì nel 1924 a Copenaghen, invitato da Bohr. L’approccio di Bohr alla fisica era sistematico e filosofico, ed Heisenberg ne rimase coinvolto.
Ritiratosi poi nel 1925 all’isola di Helgoland, fu lì in solitudine che Heisenberg concepì la Meccanica delle Matrici. L’elettrone non può più essere pensato come un oggetto con una determinata posizione, ma come ciò che può essere osservato in una tabella di possibili posizioni. La meccanica quantistica si annuncia, cosa che sarà corroborata dall’interpretazione di Copenaghen, come una fisica delle relazioni. Gli elettroni non è provabile che esistano finché non cambiano orbita, cioè non effettuano un salto quantico, cioè non interagiscano. La fisica non parla più di cose, di cosa gli oggetti siano, ma di una realtà dinamica fatta di relazioni ed infinite connessioni.
Bohr dunque, dopo un’iniziale diffidenza, integrò il principio di indeterminazione nel suo più ampio concetto di complementarietà. Alla prova del Congresso di Solvay del 1927, questa interpretazione si consolidò come lo spirito di Copenaghen.
L’ascesa di Hitler al potere lasciò poi Heisenberg, che si professava scienziato apolitico, in una sorta di opposizione attiva non senza voler lottare per la sopravvivenza di una onesta fisica teorica in Germania. Heisenberg si rinchiuse nella sua solitudine, a sua volta accusato dai fanatici del regime di essere un ebreo bianco; ma d’altra parte la sua acquiescenza, e soprattutto la sua partecipazione ai progetti di ricerca tedeschi sull’energia atomica, portarono ad un raffreddamento dei suoi rapporti, con Bohr in particolare. I suoi colleghi internazionali non condivisero la sua scelta di rimanere in Germania, a suo dire giustificata dall’amore per il suo paese e da un senso di responsabilità nei confronti dei suoi connazionali.
Heisenberg, dunque, partecipò al progetto nucleare tedesco, come principale esperto sulla fissione nucleare. Egli espresse in effetti scetticismo sulla realizzazione pratica degli esplosivi nucleari; ed alcune sue erronee valutazioni tecniche contribuirono al ritardo del progetto tedesco rispetto al Progetto Manhattan degli Alleati.
In questo clima la visita di Heisenberg a Bohr a Copenaghen nel settembre del 1941 lasciò una scia di sospetti, e comunque determinò l’incrinarsi della loro relazione.
Fisica e Filosofia
Difficile indagare sui dilemmi morali di Heisenberg durante la sua collaborazione con il governo nazista.
Negli ultimi anni, Heisenberg cercò piuttosto di dare una valenza filosofica alla sua opera di fisico teorico. Egli, come altri suoi colleghi e come corroborato dall’Interpretazione di Copenaghen, comprese la rivoluzione epistemologica insita nei principi della fisica quantistica, consapevole del fatto che essa aveva rotto ogni continuità con il determinismo in Fisica e con il realismo in Filosofia. Non c’è un mondo oggettivo indipendente dall’osservazione. La realtà non è costituita da cose, ma semmai da stati potenziali che possono o meno passare allo stato di realtà. L’osservatore non è passivo, ma è anzi l’atto di misurazione che forza un salto dal regno delle possibilità a quello della realtà fattuale. La probabilità non è una misura della nostra ignoranza, ma è insita nella natura stessa delle cose. La potenzialità e l’indeterminatezza sono caratteristiche ontologiche della realtà.
Oltre gli antichi paradigmi del determinismo, del dualismo, della stessa causalità, la scienza quantistica spinge ad una posizione di grande apertura culturale. Essa si ricongiunge semmai, più che al moderno materialismo, ad alcune espressioni della antica filosofia greca, in particolare alla distinzione aristotelica tra Potenza ed Atto. Laddove però Aristotele si teneva ancorato al principio di Identità come garante della fondamentale corrispondenza tra linguaggio e realtà, Heisenberg invita pure ad un linguaggio che scaturisca da una nuova Logica, in cui non sia valido il principio del Tertium non datur, ed in cui anzi stati apparentemente contraddittori devono essere pensati nella loro coesistenza. Un’affermazione può (non) essere né vera né falsa, ma trovarsi in uno stato intermedio. Da questo punto di vista il linguaggio naturale può essere più veritiero delle formalizzazioni matematiche.
Agli scienziati si impongono nuove responsabilità: era questa una convinzione di Heisenberg, affinché l’invenzione delle armi nucleari non determini un assurdo tipo di suicidio.
È di Heisenberg l’auspicio che le culture dialoghino tra di loro, la scienza dovendo saper indurre la tolleranza ed evitare che le dottrine anche politiche si irrigidiscano e diventino totalitarie.








