Oggi essere “green” è quasi obbligatorio per l’immagine di una azienda o di una istituzione e ora persino di un governo o di una nazione.
In Italia nel 2021 è stato istituito il Ministero per la ”transizione” ecologica (MiTE) che si occupa della tutela dell’ambiente e delle biodiversità.
La transizione ecologica è quel processo di innovazione tecnologica e ambientale, che tende a favorire economie, che non solo tengono conto dei profitti economici, ma anche del rispetto della sostenibilità ambientale.
Questo intento è stato determinato per allargare gli obiettivi che il Ministero dell’Ambiente si era dato nelle legislature trascorse e così è stato deciso di cambiare il nome.
Oggi, secondo gli attuali proponimenti ministeriali, gli sforzi per far fronte all’evidente degrado ambientale dovrebbero riguardare anche le imprese e il settore produttivo.
Dal green marketing al greenwashing
Il “green marketing” presenta quasi ovunque la sostenibilità dei prodotti e dei servizi e prevede l’ideazione di strategie di marketing e la realizzazione di campagne pubblicitarie tese ad attirare l’attenzione del consumatore sensibile alle questioni ambientali.
Dal green marketing al green washing il passo è breve: dipende dall’etica dell’azienda.
Il Greenwashing è una strategia di marketing che descrive una immagine aziendale con una posizione favorevole alla salvaguardia dell’ambiente. Al contempo l’azienda, l’istituzione o l’ente, cerca di occultare l’impatto negativo sull’ambiente dei prodotti o delle scelte commerciali.
È un fenomeno in espansione in tutto il mondo: si tratta di fatto di una pratica ingannevole, usata per dimostrare un finto impegno nei confronti dell’ambiente con l’obiettivo di catturare l’attenzione dei consumatori attenti alla sostenibilità.
Viene fatta attraverso campagne e messaggi pubblicitari o in qualche caso persino con iniziative di responsabilità sociale.
Quali sono gli obiettivi del greenwashing
In sostanza il Greenwashing è una strategia premeditata di marketing, in cui l’immagine aziendale, accomodante e schierata a favore delle questioni ambientaliste, può avere lo scopo di eludere l’attenzione sugli eventuali difetti del prodotto.
Il Greenwashing oltre a valorizzare la reputazione ambientalista dell’impresa ottiene a volte sostegni e benefici di impresa. In questo modo può anche aumentare il bacino dell’utenza.
I casi di Greenwashing sono parecchi, alcuni clamorosi, pochi sanzionati, ma come possiamo vedere quotidianamente, è sempre più diffusa la pubblicità di prodotti che tendono ad ammiccare verso il green.
L’obiettivo del Greenwashing, quindi, è duplice: valorizzare la reputazione ambientale dell’impresa e ottenere i benefici in termini di fatturato (perchè aumenta il bacino di clientela).
Questa pratica, una volta riconosciuta, è sanzionata in Italia dallo IAP e dall’antitrust.
La aziende che praticano il greenwashing
La Coca Cola è tra i maggiori produttori di rifiuti di plastica nel mondo generandone 2,9 milioni di tonnellate all’anno. Imbottiglia 200.000 bottigliette di plastica al minuto.
L’azienda afferma che le sue bottiglie di plastica e i tappi sono progettati per essere riciclabili al 100%.
In realtà non ha implementato una strategia di riciclaggio efficace e si è attivamente opposta alle leggi che imporrebbero una piccola tassa sull’acquisto delle bottiglie di plastica che verrebbe restituita al consumatore quando la bottiglia viene restituita ad un impianto di riciclaggio.
L’ENI tra il 2016 e il 2019 ha propagandato un diesel bio, green e rinnovabile, sostenendo addirittura la possibilità di abbattere le emissioni di CO2 fino al 40%.
Non è la prima volta: la Snam è stata condannata nel 1996 per il suo slogan “Il metano è natura”.
L’ENI insiste e tenta di accaparrarsi i miliardi del Recovery Fund per il suo impianto “cattura CO2”. Non solo cerca di accaparrarsi il denaro pubblico ma ricorre contro i provvedimenti. A novembre 2021 il Tar del Lazio ha rigettato il ricorso presentato da Eni contro la decisione presa nel 2020 dall’Agcm (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) dove si era accertata la scorrettezza della campagna pubblicitaria di Eni Diesel+, confermando la multa di 5 milioni di euro.
In Italia, tra i casi più noti di Greenwashing c’è lo spot di Ferrarelle che pubblicizzava la bottiglia a “impatto zero” promettendo la compensazione della CO2 emessa con la tutela di nuove foreste: l’azienda è stata multata perché la definizione di “impatto zero” lascia intendere che la CO2 venga interamente compensata.
Nel 2010 anche San Benedetto è stata multata per avere presentato la sua bottiglia di plastica come “amica dell’ambiente” in diverse pubblicità, così come la Sant’Anna è stata multata nel 2012 perché nella pubblicità sull’eco-bottiglia riportava pregi ambientali superiori alla realtà.
Ci sono però altri piani che riguardano la sostenibilità. Se andiamo sul sito di Ikea, possiamo fare una bella immersione nel marketing della sostenibilità. La casa sostenibile. Gli arredi sostenibili. La vita sostenibile.
Il diritto a un lavoro dignitoso fa parte (Punto N° 8) dell’agenda ONU 2030 dello sviluppo sostenibile. C’è una sentenza, emessa dal tribunale di Versailles, che condanna alcuni dirigenti di Ikea-Francia, e la stessa multinazionale, ad alcune pene detentive per non aver rispettato i diritti del personale.
Dalla Apple, ogni anno, centinaia di milioni di smartphone e computer vanno a riempire le discariche in tutto il mondo. Se Apple fosse in grado di rispettare il suo sbandierato impegno sul riciclo, questo potrebbe anche influenzare altre aziende a fare lo stesso. Tuttavia, alcuni documenti mostrano che la vocazione ambientalista dell’azienda è ben lontana dalla verità.
Da sempre, Apple afferma di essere all’avanguardia della tecnologia per il riciclo. Addirittura, alcune indagini dimostrano che l’azienda ostacola volontariamente il riutilizzo dei vecchi dispositivi, con ordini specifici di distruggerli per mantenere elevato il valore di mercato.
COP 27
La pratica del Greenwashing ha preso piede investendo anche le intenzioni degli stati. Nel recente COP 27 tenutosi in Egitto è stata evidente la proposta calcolata di ospitare la Conferenza Onu sul clima per ripulirsi l’immagine.
Una operazione riuscita quella di Al-Sisi, sostenuta da Nazioni Unite e Governi che hanno così scelto di riconoscere legittimità internazionale a un regime notoriamente liberticida.
Il regime ha provveduto a chiudere il tradizionale spazio di dissenso e partecipazione che negli anni passati ha accompagnato le COP: vietato manifestare in strada, vietato prendere parte ai lavori per le tante ong egiziane che si occupano di giustizia sociale e ambientale in un paese che soffre di povertà crescente, diseguaglianze strutturali, desertificazione e devastazioni ambientali varie.
Infine la COP 27 è stata ulteriore motivo di repressione in Egitto: Sharm el-Sheikh è stata militarizzata, un centinaio di attivisti arrestati e le Ong egiziane escluse dal dibattito.
Il cerchio si chiude con l’accordo di sponsorizzazione per la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, stipulato con la Coca-Cola. Il segretario generale dell’Onu, con una certa ipocrisia, ha aperto la COP 27 senza giri di parole: «Con le attuali politiche disastroso aumento delle temperature».
Il consumatore inconsapevole
Si potrebbe andare avanti all’infinito a elencare aziende, istituzioni, governi che non si comportano in modo etico. In sostanza l’industria e non solo questa, non perde occasione per gabbare il consumatore. Abbiamo sempre saputo che l’anima del commercio non guarda in faccia a nessuno e ora men che meno l’industria si fa scrupolo a promuovere i propri prodotti con un’aureola ecologica.
Le emittenti pubbliche, come abbiamo constatato su più fronti, sono contro gli utenti. Il pubblico non capirà mai il falso e l’industria non ha remore quando cerca di distruggere l’educazione attraverso una pubblicità fasulla, solo apparentemente etica. Non ci sono altre fonti, la verità viene messa in custodia cautelare a seconda di come tira il vento e dove il padrone vuole.