Un recente libro (2021) di Roberto Mancini su Gandhi ci aiuta, fin dal sottotitolo, Al di là del principio di potere, a collocare l’opera e la vita di Mahatma Gandhi (1869-1948) al di là dei paradigmi, ed in particolare al di là del paradigma del potere, del codice Hobbes (come pure Mancini lo definisce) della modernità dove tutto passi per una logica di dominio e/o di utilità. Alcune parole chiave del codice Gandhi ci mostrano invece un’altra via. Anzi, dietro l’illusione del potere, Gandhi ci ha mostrato la possibilità di essere presenti a noi stessi. “La politica del potere è irreale. Noi dobbiamo dire al popolo che cos’è realmente la politica”.
Scrive Mancini: “L’opposto del potere non è l’impotenza, né è un contropotere, ma è una forza generativa e creativa che da sempre le grandi tradizioni sapienziali chiamano amore. È qui che s’incontra Gandhi. Lungo questa via viene alla luce come l’amore sia più che un’emozione, un sentimento, un affetto e una passione, perché essenzialmente è la forza fondamentale della vita. Anzi, propriamente parlando, è la vita stessa.”
Sottrarsi alle logiche di potere significa intanto evitare di nuocere ad alcuno, ed è perciò la condizione per compiere l’azione giusta. Affidarsi ad una forza che non usa né potere né violenza, è il principio morale che dà senso al modo in cui Gandhi ha inteso la religione e la politica.
“Gandhi ha reso obsoleta la lingua del potere e ha cominciato a parlare la lingua che nasce dall’esperienza della verità”.
Satyagraha
“La parola satyagraha ricapitola tutta l’esistenza di Gandhi. Il termine deriva dalle radici Sat e Satya, che indicano la verità e l’essere, ossia ciò che è eternamente esistente: “Sat o Satya è il solo nome di Dio che sia corretto e pienamente significativo”. La parola agraha si riferisce invece alla fermezza: è un in-sistere concepito non tanto come un perseverare, quanto come l’andare a mettere radici in un terreno. È il radicamento esistenziale, solo che esso risulta nuovo, differente rispetto a quello biologico e abituale. Il satyagraha è l’attaccamento alla verità, vissuto ricevendo da essa la propria forza”. La resistenza nella verità diviene la forza dell’amore. E la società ha bisogno che gli individui facciano della loro vita questa forma di testimonianza, liberandosi dal dominio dell’ego, quello da cui scaturisce la mera illusione del potere. Solo così può scaturire la passione per il bene comune.”
Il satyagraha è più che resistenza passiva: dove questa è la lotta anche violenta del più debole, il primo è l’agire mai violento di chi è forte del suo essere radicato in una verità che è forza e non potere, di chi è umile senza essere debole.
Ahimsa
Ahimsa è lo scandalo della non-violenza. La non-violenza non è la lotta per il potere, ma la rinuncia all’esercizio del potere. È dal potere che scaturisce la violenza come sua diretta manifestazione. La non-violenza non sarà pertanto neppure una lotta per il riconoscimento, quanto un conflitto per la guarigione comune. Qui il pensiero di Gandhi assurge anche alla più nobile primogenitura del contemporaneo pensiero ecologico. “Si tratta, oltre che di un altro tipo di razionalità, di un altro modo di essere al mondo: conta saperlo abitare, non rovinarlo.” La comunità è definita dalla responsabilità del prendersi cura.
“La nonviolenza è alternativa non solo alla violenza, ma più radicalmente al potere”.
“L’ahimsa è il cuore della politica e si sprigiona al culmine della contraddizione tra logica di potere e logica della giustizia risanatrice.” La capacità di essere non-violenti è “un’abilità orientata al bene”.
Non ci può essere indifferenza tra mezzi e fini, la non-violenza è il fine come scelta del mezzo. Per l’impegno etico di ognuno e di ogni comunità non c’è scelta che sia neutrale, non c’è tecnica che non risponda già di una logica di potere.
La non-violenza è il vero principio di responsabilità, e di onestà innanzitutto con se stessi. “Prima ancora di costituire una forza amorevole nella politica, l’ahimsa è la via del giusto rapporto con se stessi, è la chiave del conseguimento dell’integrità e della libertà del singolo essere umano. Chi si lascia guidare da sentimenti fuorvianti fa violenza a sé. La soglia dell’ahimsa si trova, in fondo, nell’accoglienza di noi stessi.”
Nella non-violenza pure rientra l’arte del compromesso, se lo si intende non come una coazione del diritto positivo ma come un’arte della buona efficacia, come la capacità della benevolenza di navigare a vista. “Ciò conferma che il vero criterio dell’agire politico non è la contrapposizione ai nemici, ma è l’armonizzazione del sistema delle relazioni attraverso il metodo del paziente perseguimento del bene comune.” Scrive Gandhi: “Durante tutta la mia vita, il radicamento nella verità [insistence on truth] mi ha insegnato ad apprezzare la bellezza del compromesso. Più tardi ho capito che questo spirito di compromesso è parte essenziale del satyagraha. Spesso questo ha significato mettere in pericolo la mia vita e incorrere nella disapprovazione degli amici, ma la verità è dura come il diamante e tenera come un fiore”.
Swaraj
Swaraj significa indipendenza, ma così come venne intesa da Gandhi essa significa non solo e non tanto indipendenza dell’India dall’imperialismo e dal colonialismo, ma tout court indipendenza di ogni parte del mondo dal male che è rappresentato dalla moderna fagocitante logica del potere.
“Sono in gioco sia la nascita in India di una civiltà alternativa a quella della modernità occidentale, sia il venire alla luce del vero volto dell’umanità”. “In quest’ottica il termine swaraj abbraccia tre significati interconnessi e di crescente importanza: l’indipendenza dall’Impero britannico e l’instaurazione dell’autogoverno del popolo indiano nella pace interreligiosa; la costruzione di una civiltà originale, che non sia né arcaica né modernizzata; il conseguimento della libertà dal male, che permette la piena adesione alla verità dell’amore e l’autentica capacità di autogoverno.”
Gandhi dunque critico della modernità. “La critica si spiega in base al fatto che per lui la modernità è per eccellenza la civiltà del potere. Il tipo di mentalità, l’organizzazione dell’economia, l’uso della tecnologia, le forme della politica e i ritmi della vita quotidiana sono tutti incentrati sul primato del potere stesso, mai sul servizio all’umanità e sul rispetto della natura, tanto meno sul riconoscimento dell’invisibile ma decisiva vicinanza di Dio a ogni essere umano”.
È in questo senso che, tra le altre, va letta la sua critica della medicina moderna e degli ospedali. Ed il suo elogio della medicina omeopatica. L’Omeopatia è il metodo terapeutico più avanzato e più raffinato che consente di trattare il paziente in modo economico e non violento.
La lotta di Gandhi per l’indipendenza non fu propriamente nazionalista. “L’Occidente è troppo materialista, autocentrato e ottusamente nazionalista. Ciò che noi vogliamo è una coscienza internazionale che abbracci il benessere e il progresso spirituale dell’umanità intera”.
Sarvodaya
“Quando Gandhi vuole indicare una condizione di benessere completo, universalmente accessibile, usa la parola sarvodaya, un composto di sarva(che significa tutti) e udaya (che indica elevazione, progresso, sovrabbondanza)”. Mancini propone di rendere il significato di questo termine con l’espressione vita semplice. Nel senso “di un cammino trasformativo lungo il quale contraddizioni e debolezze sono riconosciute e la persona si sente accolta da un bene più grande.” La “bellezza di una via che è percorribile alla sola condizione di essere se stessi, deponendo illusioni e presunzioni.” È proprio di chi conduce una vita semplice l’impegno di prendersi cura del bene della comunità.