William Brian Arthur e la tecnologia come sistema complesso

27 Dicembre, 2022
Tempo di lettura: 6 minuti

Williams Brian Arthur, irlandese nato nel 1945 ed attualmente docente dell’Università di Berkeley, è uno studioso di economia che ha seriamente cercato di utilizzare la teoria della complessità, nata nel contesto della biologia, applicandola in maniera inedita alla radicale definizione di cosa sia la tecnologia.

La natura della tecnologia 

Già un altro economista, Kenneth Arrow, aveva individuato tre caratteristiche peculiari della tecnologia: inesauribilità, cumulatività e non appropriabilità. La tecnologia rappresenta un patrimonio comune che in maniera complessa si autoalimenta: le tecnologie sono interdipendenti e la loro combinazione ne genera di nuove. Un potenziale inesauribile, che pure ci rende inquieti poiché la nostra confidenza con gli artefatti della tecnologia convive con la nostra fiducia in ciò che è naturale.

Il mondo è oggi più che mai plasmato dalla tecnologia. E la tecnologia è d’altronde da intendere come il risultato di un’evoluzione che Arthur definisce combinatoria. Tutte le tecnologie sono combinazioni, ogni componente di una data tecnologia è in sé una tecnologia, e finalmente tutte le tecnologie “imbrigliano, o catturano se si preferisce, e sfruttano qualche effetto o fenomeno naturale”. “La tecnologia costruisce se stessa organicamente a partire da se stessa”. 

Ne viene fuori una nitida caratterizzazione di quella che altri hanno cercato di definire come età postindustriale, se non addirittura postmoderna. “Lentamente, con tempi misurabili in decenni, stiamo passando da tecnologie che producevano determinati beni materiali ad altre la cui caratteristica principale è poter essere combinate e configurate all’infinito per soddisfare scopi sempre nuovi”. La struttura della tecnologia è ricorsiva.

La tecnologia così definita è più che un mezzo per raggiungere uno scopo. La tecnologia non è intanto disgiunta dalla natura: anzi i fenomeni naturali sono la fonte indispensabile della tecnologia, che li cattura e li assembla. Tutto nasce dall’intuizione del potenziale utilizzo di un fenomeno naturale. È questo che lega la tecnologia alla conoscenza della natura, alla scienza. E d’altronde è la tecnologia che può tradurre la scienza in esperienza. La scienza stessa potrebbe essere considerata come una forma di tecnologia. Scienza e tecnologia sarebbero originariamente in simbiosi, crescono in parallelo. Non ci sarebbe dunque un primato della teoria. Ma semmai un primato della natura: la tecnologia non può esistere senza fenomeni naturali, mentre i fenomeni naturali non hanno bisogno della tecnologia, semplicemente esistono. Ciascun dominio della tecnologia è un mondo di possibilità. 

L’evoluzione combinatoria della tecnologia 

La tecnologia ha bisogno dell’ingegneria per risolvere problemi. La tecnologia è un processo continuo di problem solving. “Ogni nuovo progetto pone sempre un nuovo problema”. In questo processo gioca un ruolo importante la creatività. “L’invenzione è … il processo creativo che genera tecnologie radicalmente nuove.” Nella storia della tecnologia che evolve, nuove idee cercano di tradursi in un progetto concreto. L’evoluzione della tecnologia ha dunque una sua linearità, ma anche ampi margini di contingente casualità.

Una costante della storia della tecnologia è d’altronde che essa determini un aumento della complessità. Problemi che divengono più complessi richiedono soluzioni sempre più complesse. Arthur la chiama una crescita strutturale della tecnologia. Secondo un modello che Thomas Kuhn ha descritto rispetto alla storia della scienza, vi è un paradigma, quello di una scienza normale ovvero di tecnologia standard, che si consolida in maniera conservativa. Ma decisivi nella storia della scienza e della tecnologia sono quei momenti, quegli snodi rivoluzionari in cui il paradigma cambia. La tecnologia è in grado di darsi nuove regole e nuove finalità. Il paradigma è finalmente arbitrario, ed una comunità può avere consapevolezza, in certi momenti, della crisi del paradigma adottato e della necessità di un cambiamento.

Ai cambiamenti della tecnologia tengono dietro, sia pure con dinamiche e tempi non lineari, i cambiamenti nel campo dell’economia. Quel processo autogenerantesi che è l’evoluzione della tecnologia, ha un impatto determinante sulla storia dell’umanità. Arthur utilizza il termine già coniato in ambito biologico da Humberto Maturana e Francisco Varela: autopoiesi.  E tiene a precisare che “le tecnologie sono una creazione della storia”, e non evidentemente il contrario. “Certo, affermare che la tecnologia crea se stessa non significa dire che abbia una coscienza o che manipoli gli esseri umani in qualche modo sinistro per raggiungere i propri scopi. La tecnologia costruisce se stessa da se stessa con l’intervento di inventori e sviluppatori umani, proprio come la barriera corallina costruisce se stessa con l’attività di piccoli organismi viventi”. La tecnologia è un’organismo che concerne l’uomo e che ne determina in certo modo i comportamenti, ma che evidentemente si costituisce a partire dall’uomo e dalla sua attività. La tecnologia non ha una sua finalità, se non quella che dipende dall’uomo. La tecnologia è d’altronde cresciuta, diventando specializzata e complessa. Ma se le tecnologie si combinano tra di loro generandone di nuove, ciò avverrà comunque in base alla determinazione da parte dell’uomo di ciò di cui ha bisogno. È d’altronde vero che “i bisogni crescono con l’espansione della tecnologia”.

“La tecnologia genera bisogni”. Ogni tecnologia crea nuove opportunità ed induce nuovi bisogni. “Immaginiamo la totalità delle tecnologie come una rete che cresce da sé e si espande organicamente.” L’economia media, determinando costi e prezzi, e quindi quali tecnologie sia effettivamente conveniente utilizzare. La questione politica, di cui Arthur deliberatamente non intende occuparsi, è se il parametro economico debba essere l’unico che decida dell’uso opportuno delle tecnologie. Chiosa comunque Arthur: “la tecnologia necessita ancora dell’intervento umano per crescere e riprodursi, e sono il primo a essere grato che le cose stiano così”.

Ampliando Arthur ciò che Marx indicava come mezzi di produzione e facendo invece riferimento alla più ampia ed estesa nozione di tecnologia, resta il fatto che l’economia scaturisce da essa. “L’economia è espressione delle proprie tecnologie”, o “la tecnologia, se preferite, è lo scheletro dell’economia”. L’economia è “l’ecologia delle proprie tecnologie, si forma a partire da esse, non esiste senza di esse.” C’è una circolarità causale, che noi possiamo immaginare sia virtuosa ovvero viziosa: “la tecnologia crea le strutture dell’economia e l’economia media la creazione di nuove tecnologie”.

Ad ogni modo “il sistema propende sempre verso il cambiamento”. L’economia non è mai statica. “L’economia è sempre soggetta ai cambiamenti, si trova in un continuo stato di novità, esiste in un’autopoiesi perpetua, è sempre insoddisfatta”. Alcune opportunità creano problemi che richiedono nuove soluzioni. “L’uso di tecnologie basate sui combustibili fossili ha portato al riscaldamento globale. L’uso dell’energia atomica, una fonte di energia pulita dal punto di vista delle emissioni, comporta il problema delle scorie radioattive. L’uso dei trasporti aerei ha favorito la diffusione mondiale delle infezioni. In economia, le soluzioni generano problemi, i quali richiedono ulteriori soluzioni.” L’economia, dice Arthur, è un sistema complesso, a tratti illuminato dalle teorie di eccelsi economisti: Smith, Ricardo, Marx, Schumpeter. 

La tecnologia come una forma di intelligenza 

Ma il sistema complesso della tecnologia ha anche una sorprendente analogia con la biologia. La tecnologia diventa biologia, e viceversa. Più che una macchina, la tecnologia “è piuttosto un sistema, una rete di funzionalità, un metabolismo di cose che eseguono cose… in grado di percepire il proprio ambiente e riconfigurare le proprie azioni per agire in maniera appropriata.” Il fatto che la tecnologia sia in grado di percepire l’ambiente e reagire di conseguenza, induce a considerarla una forma di intelligenza. Si può ritenere che la tecnologia abbia una sorta di cognizione biologica: si autoconfigura, si autoripara. “Le tecnologie hanno acquisito proprietà che normalmente associamo agli esseri viventi.” “La tecnologia è tanto un metabolismo quanto un meccanismo”.  Così come è vero che sia possibile una spiegazione anche meccanica della biologia.

La nuova tecnologia conferisce inoltre un nuovo elemento di creatività a chi se ne fa imprenditore. Siamo nell’epoca delle startup, non più solo in quella della rivoluzione industriale. C’è un passaggio “dall’uso della razionalità alla creazione di senso; da aziende basate sul prodotto a imprese fondate sulle competenze”. Anche l’economia cambia. “Le idee esplicative di ordine, chiusura ed equilibrio stanno cedendo il passo a concetti di apertura, indeterminatezza e perpetua innovazione”.

È in corso un mutamento generale di paradigma. “Ai tempi di Cartesio cominciammo a interpretare il mondo in termini tecnologici: connessioni meccaniche, ordine formale, forza motrice, geometrie semplici, superfici nitide e precisione meccanica”. Ma i presupposti di quella visione razionale del mondo sono oggi superati. “Al loro posto cresce la consapevolezza che il mondo sia qualcosa di più della somma dei suoi meccanismi, che occupano sicuramente un posto centrale, ma più si fanno complicati e interconnessi, più rivelano mondi complessi, aperti, in evoluzione e capaci di generare proprietà emergenti, non prevedibili dall’analisi delle singole parti.”

Grazie alla biologia evolutiva, ma anche per l’influenza della tecnologia moderna: “stiamo sostituendo la nostra immagine di perfezione con una di integrità permeata di disordinata vitalità”.

Arthur si confronta con l’importante riflessione filosofica di Heidegger, che vede nell’epoca della tecnica il compimento del destino della metafisica come assoluto dominio sulla natura. La tecnica sarebbe un mezzo senza fine, un insensato sfruttamento della natura. Non rispettiamo più la natura, ci imponiamo su di essa. La tecnologia diverrebbe un modo di essere che dirige la vita umana, a cui l’uomo si sottomette e si adatta. Eppure la tecnologia ci è utile, ha conquistato in parte la nostra fiducia. 

“Temiamo che la tecnologia ci separi dalla natura, la distrugga, distrugga la nostra natura.” Ma la tecnologia è al tempo stesso profondamente umana. Già la filosofia antica indicava la specificità dell’uomo nella sua capacità di usare le mani, di creare artefatti. 

Conclude perciò Arthur: “La tecnologia è parte dell’ordine più profondo delle cose, ma il nostro inconscio distingue fra quella che schiavizza la nostra natura e quella che la esalta. Questa è la distinzione corretta”.

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