Consideriamo cose arbitrarie come naturali, in particolare il linguaggio

Noi, umani, abbiamo un forte impulso a vedere le cose arbitrarie e convenzionali come se fossero naturali ed essenziali, in particolare il linguaggio.

NEWSLETTER

Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere tutti gli aggiornamenti.

22 Giugno, 2024
Tempo di lettura: 16 minuti

BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIII • Numero 50 • Giugno 2024

 

Il Dialogo di Platone Κρατύλος [Il Cratilo] – Due teorie sul linguaggio

Per gli studiosi di una materia così specialistica, come la possibile natura del linguaggio, i personaggi del dialogo di Platone Κρατύλος [Il Cratilo] costituirebbero riferimento necessario nell’introduzione di qualsiasi argomentazione in materia. Tale dialogo riguarda un incontro tra Socrate, Ermogene e Cratilo circa le idee d’allora sulla natura dei nomi. Stando alle fonti di questa breve considerazione al riguardo,1 Cratilo sosteneva che i nomi rispecchiavano la natura extra-linguistica dell’entità animata, inanimata o immaginata di cui noi umani possiamo parlare. Ermogene osservava, invece, che i nomi fossero arbitrari, decisi solo dall’uso e dalla convenzione.

Nel dialogo, Socrate inizia confutando la tesi di Ermogene, proponendo di considerare che i nomi non siano da ritenere solo qualcosa di convenzionale ma da essere ritenuti come qualcosa che racchiude, in sé, parte dell’oggetto a cui ci si riferisce. Per Socrate i nomi contengono una qualche caratteristica che li rende perfetti per adattarsi alla cosa descritta, adoperando lettere e sillabe differenti, basate proprio sulla natura delle cose. Da ciò si desume che la correttezza dei nomi si misuri in base alla correttezza degli elementi che li compongono, come, ad esempio, le lettere, le vocali, e via dicendo, che riproducono l’essenza delle cose a cui si riferiscono. Dunque, per Socrate e Cratilo il nome fa riferimento, in qualche modo, alla stessa natura delle le cose che descrive. Con la differenza che per Socrate non c’è identità tra nome e cosa ma solo somiglianza.

Senz’altro, questo dialogo porta alla questione della conoscenza tramite il linguaggio. In effetti, stando a Cratilo, come riporta la nostra fonte, se gli uomini conoscono e apprendono la natura delle cose attraverso i nomi, ossia attraverso il linguaggio, risulta evidente che non possa esistere nessuna conoscenza se il linguaggio non fosse corretto, cioè se i nomi non fossero della stessa natura delle cose. A tale proposito, però, Socrate aveva obiettato a Cratilo che la conoscenza vera è solo conoscenza delle cose e non dei nomi che le indicano. In ogni modo, il Dialogo di Platone Κρατύλος [Il Cratilo] può essere considerato come una discussione circa due teorie sul linguaggio: la teoria sofistica del linguaggio, esposta da Ermogene, e la teoria naturalistica presentata da Cratilo.

Per i Sofisti, essendo l’uomo misura di tutte le cose, ogni tipo di nome si adatta a seconda delle condizioni poste dall’uso. Dalla loro prospettiva, si può sostenere che un nome come volpe è, soltanto, convenzionale perché non c’è nulla in comune tra il nome e la volpe. Tuttavia l’uso comune ha permesso quest’accettazione ed ancora, oggi, si reputa corretto pensare che quell’animale sia per uguaglianza e identità una volpe, senza valutare che andrebbe, ugualmente bene, il nome libellula oppure trifoglio giacché non sussiste nessuna somiglianza extra-linguistica tra nome e cosa nominata.

Cratilo esprime, invece, la concezione naturalistica del linguaggio per la quale esiste un’assoluta identità tra nome e cosa nominata. Il nome è effettivo, sempre, perché racchiude in sé la stessa natura che pervade la cosa nominata per cui ogni nome è una conoscenza.

In ogni modo, se la teoria platonica del linguaggio fonda la sua concezione del linguaggio sull’ontologia, per Platone fu immediatamente evidente che esiste un’altra realtà al di fuori del nome, cioè che esistere una natura extra-linguistica dell’entità animata, inanimata o immaginata di cui noi umani abbiamo l’audacia di parlare. Dalla sua prospettiva, per Platone, bisogna, infatti, che esista una natura al di fuori del nome perché esista una reale nominabilità. Perciò, gli studiosi considerano che Platone avrebbe cominciato dal Cratilo ad elaborare una teoria delle idee immutabili, vale a dire di un’essenza stabile nella natura, che rimarrebbe uguale ed inalterata nel tempo e che renderebbe valida la nominabilità stessa.

Come indicato all’inizio dell’argomentazione, per gli studiosi di una materia così specialistica come la possibile natura del linguaggio, i personaggi del dialogo di Platone Κρατύλος [Il Cratilo]2, vale a dire, Ermogene e Cratilo, non avrebbero potuto andare d’accordo. Inoltre, visto che non ci sarebbe accesso ad una discussione a questo proposito che non sia proprio sotto il formato di un dibattito immaginario, troverà, in ogni caso, loro a mantenere posizioni opposte ed estreme. Nel Dialogo, Cratilo crede e sostiene che il suono di ogni parola sia un riflesso di ciò che descrive nel mondo, per cui si potrebbe sostenere che la parola vento acquisirebbe il suo significato dal suo suono, che assomiglierebbe al fenomeno che descriverebbe e in ciò non ci sarebbe niente di arbitrario.

In un tale contesto, stando agli studiosi, non ci rimane che immaginare Ermogene quando ribatte a Cratilo, che tutto è arbitrario. Per i non naturalisti come Ermogene il rapporto tra il suono e il significato di una parola è da intendersi come il prodotto di un processo estremamente stocastico che si svolge ogni volta in modo diverso, di cui la varietà delle lingue ne è testimonianza. Il flusso d’aria viene in modo regolare chiamato wind in inglese, viento in spagnolo, betep in russo ma nessuno dei tre tradisce una connessione speciale tra forma e significato. Ciascuno di questi avrebbe potuto essere diversamente.

Tuttavia, le posizioni che rappresentano questi due personaggi del Cratilo di Platone, vanno ben oltre il linguaggio. L’astrologia, almeno nella sua declinazione occidentale, si basa sull’idea che il momento in cui nasciamo, un fatto piuttosto accidentale della nostra vita, modella, profondamente, chi siamo. Vale a dire, il nostro segno zodiacale è legato a chi amiamo, a ciò che otteniamo e così via. Ciò, effettivamente, riporta il sapore del naturalismo di Cratilo, con l’analoga implicazione che, se la vita di una persona si ripetesse, fin dalla nascita, tenderebbe, inesorabilmente, verso gli stessi percorsi.

Poi c’è il genere, un’arena in cui oggi persiste questo tiro alla fune tra ciò che è naturale e ciò che è arbitrario. La visione del Cratilo è che il genere, un buffet di comportamenti, preferenze e modi di essere nel mondo, è una manifestazione diretta di una caratteristica biologica. Un’essenza definita con la stessa certezza della qualità sedativa di un papavero, come Simone de Beauvoir descriveva questa visione e che lei rifiutava [Le Deuxième Sexe/Il secondo sesso]. In una tale visione vestirsi di colori floreali e comportarsi con passività e compassione è conseguenza dell’essere biologicamente femminili. Ugualmente, rispondere alle domande con fiducia immeritata, il potenziale di un genio potente e singolare e l’ambizione sono conseguenze dell’essere biologicamente maschili. Ma, quale sarebbe l’origine di questo impulso a naturalizzarsi, a percepire un’essenza naturale sottostante in ciò che potrebbe semplicemente essere fondamentalmente arbitrario? E cosa avrebbe a che fare la risposta a questa domanda con il linguaggio?

 

Naturalismo linguistico e iconizzazione

Le studiose Judith Irvine3 e Susan Gal4 offrono uno sguardo su queste domande, esplorano la pseudoscienza coloniale razzista di mettere in relazione le caratteristiche grammaticali delle lingue senegalesi, come il Fula,5 con presunte differenze nel carattere dei loro parlanti. Stando a queste studiose6 le caratteristiche linguistiche della lingua Fula, come la struttura delle sillabe e il sistema di classificazione dei nomi, furono considerate, da linguisti europei quali de Guiraudon (1894) e Tautain (1885), come emblemi della delicatezza e dell’intelligenza dei suoi parlanti rispetto ai Fula parlanti di Wolof.7

Questa è un’idea con una storia lunga. Come osserva James C. McKusick8 una variante della dottrina del naturalismo linguistico, riconducibile a Epicuro e Lucrezio (De Natura, 5:1031 ss), asserisce che il linguaggio nasce spontaneamente dalla natura umana, così come le bestie emettono naturalmente grida … [le lingue sarebbero] manifestazioni esteriori della natura interiore dell’uomo … All’ovvia obiezione che esistono molte lingue umane diverse, [Lucrezio] risponde che esiste una grande varietà di popoli, ciascuno con le proprie caratteristiche distinte. La variazione linguistica sarebbe, in questa prospettiva, un indice della variabilità della natura umana.

Irvine e Gal hanno coniato il termine iconizzazione per descrivere questo tipo di pensiero, convenientemente adatto alle ideologie razziste, dove una caratteristica linguistica in qualche modo rappresenterebbe o mostrerebbe la natura o l’essenza intrinseca di un gruppo sociale.

In Meaning and Linguistic Variation9, la sociolinguista Penelope Eckert esplora il modo in cui facciamo affidamento su queste iconizzazioni nei nostri sforzi per costruire un’identità sociale. Sia se che chi parla sia un’adolescente che adatta i tratti di una ragazza della Roma agiata per posizionarsi come più cool dei suoi interlocutori o un pescatore di Catania che cerca di posizionarsi come avversario all’incursione dell’economia continentale sull’isola, le mosse stilistiche sarebbero sempre ideologiche.

Nel caso delle spiegazioni di Cratilo, l’idea del naturalismo linguistico è che sia le informazioni che le parole esprimono sul mondo siano latenti nella loro forma, rilevabili con sufficiente riflessione. Nei casi dell’iconizzazione, è, invece, l’informazione sui parlanti delle parole a essere immaginata, erroneamente, latente. Il punto di vista di Irvine e Gal è che le iconizzazioni tendono a essere racchiuse in un progetto ideologico.

In Revivalistics10 (2020), il linguista Ghil’ad Zuckermann evidenzia un altro esempio della convenienza ideologica della visione del mondo di Cratilo nella pratica etimologica ebraica medievale.11 Un caso tipico è la spiegazione del nome della città polacca di Radom. Luogo di storica violenza antisemita, il suo nome sarebbe appropriato se derivasse dall’ebraico ra dam (di cattivo sangue), e questa sarebbe stata, infatti, un’etimologia offerta dagli ebrei dell’epoca. L’implicazione sarebbe che Dio, nel creare l’ebraico, aveva anticipato la violenza che avrebbe avuto luogo millenni dopo in Polonia, un evento che, secondo questa logica, sarebbe stato integrato nella struttura del mondo.

Nella teoria di Zuckermann, le etimologie si inseriscono in una visione del mondo più ampia, tipica della teologia ebraica, secondo cui alcuni testi sono integrati nella natura. In un atto confusamente ricorsivo, la Torah (o Antico Testamento) racconterebbe come essa stessa sarebbe stata tramandata agli ebrei da Dio. Questo viene spesso interpretato, come segnala Zuckermann, non come il contenuto generale del testo, ma come l’esatta sequenza di parole, che ne sancisce la posizione non solo come libro, ma come parte della natura, una sorta di codice sorgente per l’Universo. Ripercorrendo di nuovo la storia, la Torah sarebbe la stessa, non solo nel contenuto, ma parola per parola.

In questo senso, una storia talmudica vuole che il re Tolomeo faccia tradurre la Torah dal suo originale ebraico al greco a 72 studiosi. Stando al racconto, come riferisce Zuckermann, ognuno lo avrebbe fatto in una stanza separata. Quando successivamente ebbero confrontato i risultati, ogni traduzione sarebbe stata, in una parola, identica. In questa visione il testo della Torah ci appare come se fosse una verità latente sull’Universo che può essere scoperta, esattamente, in qualsiasi lingua, proprio come persone disparate potrebbero, alla fine, dedurre le leggi della fisica, nonostante i loro diversi quadri di riferimento.

Lo stesso tipo di naturalismo linguistico si può trovare in contesti più quotidiani. Le etimologie popolari come SOS, vale a dire Save our Ship / Salva la nostra nave oppure Salva le nostre anime (Save our Souls), farebbero un gioco simile prendendo qualcosa di arbitrario e adattandolo a un elegante sistema. SOS risulterebbe, semplicemente, facile da identificare nel codice Morse ma suggerirebbe che la forma della parola avrebbe una relazione con il suo significato che sarebbe più di un incidente storico.

A questo punto dell’argomentazione circa il naturalismo o l’arbitrarietà del linguaggio, cioè il rapporto convenzionale del significante con il significato, ci si potrebbe chiedere a cosa servano, veramente, queste visioni di un linguaggio naturalistico, in stile Cratilo, sia come finzione giocosa che come convinzione genuina.

 

L’immagine scientifica e quella manifesta

Il tratto distintivo di questo tipo di spiegazioni, linguistiche o meno, può essere, come suggerisce Reuben Cohn-Gordon, l’inserimento delle preoccupazioni umane nel tessuto della natura. Stando a questa studiosa, la mossa è ben incorniciata dalla distinzione operata dal filosofo Wilfrid Sellars12 tra l’immagine scientifica e quella manifesta. La prima riguarda il mondo dei campi e delle particelle che si muove governato da leggi matematicamente eleganti e precise. La seconda riguarda il mondo abitato dagli oggetti di portata umana: emozioni, eventi, storie, giocattoli, sorprese, armadi e così via.

Per Reuben Cohn-Gordon, le supposte leggi fondamentali della natura raramente parlano direttamente degli oggetti nell’immagine manifesta. Come ci segnala questa studiosa, esiste il principio di Pauli secondo cui due fermioni (un tipo di particella) non possono occupare simultaneamente lo stesso stato quantico, ma non esiste alcuna legge secondo cui due fisici che si chiamassero entrambi Fermi non possano trovarsi, contemporaneamente, nella stessa stanza. La natura potrebbe garantire un invariante come l’energia totale di un sistema chiuso ma non un invariante come la quantità di entusiasmo per lo squash in Perù. L’amore per gli sport con la palla e la presenza di fisici italiani non sono, ovviamente, pronunciati dalla natura.

Si potrebbe immaginare un mondo in cui le cose vadano altrimenti e sistemi di credenze, come l’astrologia o il destino, realizzano proprio questo mondo controfattuale.13 Ad esempio, in Storie proprio così (Just So Stories for Little Children), raccolta di racconti per l’infanzia, lo scrittore Rudyard Kipling raccoglie fantasiosi miti inglesi delle origini. Si tratta di racconti fantastici sul perché vari fenomeni si siano generati, come quello riguardate L’elefantino curioso ossia la storia di come la proboscide dell’elefante è diventata così lunga. La proboscide, stando al racconto, si è allungata mentre l’elefantino curioso resisteva ostinatamente a essere trascinato nel fiume da un coccodrillo. La logica della storia è che questa caratteristica del suo corpo sia una manifestazione della sua essenza, in particolare della sua testardaggine, che lo fa restare fermo mentre il suo tronco viene strattonato per tutta la sua lunghezza da un coccodrillo. La forma fisica dell’elefante sarebbe, in questo modo, spiegata in termini dell’essenza del suo carattere.

Le Metamorfosi di Ovidio precedono Kipling di millenni, ma mostrano lo stesso sapore di logica controfattuale riguardo all’immagine manifesta e alle essenze naturali nella descrizione antica dell’origine dell’universo. Incentrato sul fenomeno della metamorfosi,14 la trama sciolta della narrazione si snoda dall’origine dell’Universo all’avvento dell’Impero Romano, una storia alla volta. Se un fiore di narciso è carino, ciò sarebbe una conseguenza della bellezza dell’uomo Narciso, in cui la sua bellezza si sarebbe trasformata. Nel pensiero controfattuale, gli eventi avvengono non a causa delle forze fisiche, ma per la forza di volontà di vari agenti mortali e immortali. Il movimento periodico del Sole sarebbe il risultato di un viaggio tempestivo su un carro ogni giorno da parte del dio del sole Helios. Quando vacilla, il tempo va fuori controllo. E quando Icaro cade e muore dopo aver volato troppo vicino al Sole, viene invocata un’altra legge: la punizione per l’arroganza sarebbe insita nella natura.

Come sostiene Reuben Cohn-Gordon, nella sua argomentazione circa il rapporto convenzionale del significante con il significato, nella teoresi naturalista del linguaggio niente sarebbe arbitrario e tutto avrebbe una spiegazione che legherebbe le preoccupazioni umane al tessuto della natura. Il problema che ne deriva sarebbe che non è che una persona selvaggia sia come un lupo, è che è letteralmente un lupo, la cui essenza selvaggia è messa a nudo. Metamorfosi, invece di metafora.

Anche le teorie scientifiche del mondo, puntualizza la Cohn-Gordon, non diversamente da quelle di Ovidio, dipingono un quadro in cui la rigogliosa e vivace confusione del mondo che osserviamo è il risultato di forze e regole latenti. Ma la differenza fondamentale è che queste regole tendono a non parlare dell’immagine manifesta. Ad esempio, la teoria dell’evoluzione spiega la diversità della flora e della fauna, non in termini di un insieme immutabile e cablato di piante e animali, creato da un progettista simile a quello umano, ma come il risultato di un processo di selezione naturale. In effetti, secondo la teoresi della Cohn-Gordon, se si ripercorre la storia, e anche se le dinamiche della competizione e dell’evoluzione si ripeteranno, difficilmente si vedranno gli umani emergere come specie perché il linguaggio delle teorie scientifiche non tende a parlare dell’immagine manifesta. Nella visione del mondo delle Metamorfosi, al contrario, cercando di riprodurre il mondo, non solo si otterrebbe la stessa specie, ma persino le stesse culture, lo stesso Impero Romano e, addirittura, l’imperatore Augusto medesimo a governarlo.

In effetti, l’origine delle teorie scientifiche, argomenta Reuben Cohn-Gordon, è spesso legata alla determinazione di cosa appartiene e cosa non appartiene all’immagine scientifica. Al riguardo, nella sua interpretazione, la cosmologia di Galileo è stata così controversa perché, postulando che la Terra non fosse il centro del sistema solare, stava suggerendo che l’importanza della Terra non era una caratteristica dell’immagine scientifica. Concretamente, si può asserire che le leggi fondamentali della fisica non abbiano alcuna consapevolezza speciale degli umani e delle loro vite.

Il linguaggio non fa eccezione a questa tendenza. All’inizio del XX secolo, Ferdinand de Saussure postulò l’arbitrarietà del segno come premessa fondamentale della linguistica. Intendeva, esattamente, quello che intendeva Ermogene, cioè che la forma fonologica di una parola ha una relazione totalmente arbitraria con il suo significato. E nonostante tutta l’intelligenza di Cratilo, non è difficile vedere che Saussure ed Ermogene avevano ragione. Hegel e Schlegel non avevano professioni simili perché i loro nomi facevano rima, e non si può capire il significato di vento riflettendo intensamente, si deve solo sapere a cosa si riferisce. Ripercorrendo la storia umana, segnala Reuben Cohn-Gordon ci sarebbero ancora le lingue, ma il modo in cui le parole e i significati sono correlati in ciascuna sarebbe completamente diverso.

 

Le nozioni di convenzione sociale e conoscenza comune

Eppure, stando a Reuben Cohn-Gordon, c’è qualcosa di strano nel linguaggio che questa valutazione dell’arbitrarietà non coglie o non rende. Si tratta di un aspetto peculiare: una lingua potrebbe mostrare una relazione arbitraria tra le parole e i loro significati, ciò nonostante la sua esistenza dipende dal fatto che i suoi parlanti agiscano come se fosse in qualche modo naturale. Nella sua interpretazione, la nozione di convenzione sociale è al centro di questa stranezza. Il fatto che in Italia si guidi sul lato destro della strada è una convenzione, come sono una convenzione i colori e i tagli degli abiti indossati rispettivamente da uomini e donne. Circa 60 anni dopo Saussure, il filosofo David Lewis definì la convenzione come una relazione tra un tipo di agente e un comportamento stabile, noto collettivamente e, naturalmente, arbitraria.

La convenzione di guida a destra è stabile nel senso che gli italiani non si svegliano la domenica mattina e decidono tutti di guidare a sinistra. È nota, collettivamente, nel senso che non solo sanno su quale lato della strada guidare, ma sfruttano il presupposto che anche tutti gli altri lo sappiano: non c’è bisogno di preoccuparsi del traffico in arrivo se si sta guidando a destra. E, infine, è arbitraria nel senso che non c’è nulla di necessario nel fatto che la convenzione abbia scelto la destra piuttosto che la sinistra. Non c’è nulla nella conformazione delle strade, o nel territorio piacevole dell’Italia, che li costringa a guidare a destra. In effetti, puoi andare in altri paesi e vedere il traffico funzionare bene sulla sinistra. Ripercorrendo la storia, sarebbe potuta finire diversamente. Se fossimo dalla parte di Cratilo, potremmo sostenere che la guida a destra riflette uno sguardo rivolto a destra, verso il mondo antico e la storia, e non avrebbe potuto essere altrimenti.

Tutto ciò ha senso in superficie, ma solleva una domanda difficile: come nasce una convenzione? Il motivo per cui questa sia da essere considerata una domanda difficile è che una convenzione è comunemente nota. Questo equivale, stando a Reuben Cohn-Gordon, a dire che c’è una conoscenza comune.

Allora, come fa l’informazione a diventare conoscenza comune, cioè convenzione? Questa sarebbe una questione che colpisce particolarmente quando la convenzione riguarda il linguaggio. In fondo, come sostiene Reuben Cohn-Gordon, le lingue sono cattedrali di convenzioni. Ognuna di essa è una vasta relazione tra la forma delle parole (sequenze di esse, in realtà) e l’informazione che quelle parole trasmettono. Un esempio particolarmente noto è quello della lingua inglese nella quale il modo in cui si pronuncia la parola water, che denota, convenzionalmente, un particolare liquido, collega a un particolare luogo, status sociale e così via.

Al riguardo, le lingue si adattano bene alla caratterizzazione di Lewis. Sono stabili. Di solito non decidiamo in massa di iniziare a chiamare Burundi la carota. Sono anche note collettivamente. Approfittiamo del presupposto che il nostro interlocutore ci comprenderà e viceversa. E, certamente, sono arbitrarie, esattamente nel senso sottolineato da Saussure e Ermogene. Parafrasando Aristotele si può postulare che ogni frase ha significato, anche se non come strumento della natura ma, per convenzione.

Allora come nasce una lingua? Il fatto incomprensibile racchiuso in questa domanda è ciò che storicamente ha reso così plausibile la visione di Cratilo, secondo cui le parole derivavano il loro significato da una fonte naturale, sono state manifestazioni esteriori della natura interiore dell’uomo.

La lingua nel suo insieme, una parte molto più elaborata della conoscenza comune, si evolve secondo un meccanismo che può essere sintetizzato in questo modo. Ogni volta che qualcuno ci parla, la scelta delle parole, la loro intonazione, gli idiomi usati e così via presuppongono un linguaggio, al quale noi ci adattiamo. Ma tutti gli altri stanno facendo lo stesso, adattandosi al linguaggio che produciamo.

In breve, il continuo tentativo, da parte di ciascuno di noi, di determinare la natura della nostra lingua sarebbe la forza che la plasma nel tempo. Tutti ci comportiamo come se le regole fossero già di dominio pubblico, e poi – la parte più strana! – cerchiamo, gradualmente, di capire quale sia questa conoscenza comune. Ciò risulta sorprendentemente diverso dal determinare la posizione di un pianeta, o il peso di una grande torta, dove esiste un fatto abbastanza separato dalle nostre convinzioni al riguardo, che può essere ricostruito mediante indagine attraverso telescopi o scale.

Tenendo tutto questo in mente, si rende più facile capire perché una convenzione sembri un oggetto naturale, dal momento che il processo reale attraverso il quale si forma è del tutto controintuitivo. Questo pensiero, secondo il parere della filosofa Judith Butler,15 proviene da una tradizione diversa, basata sulle idee di Beauvoir, Edmund Husserl e Maurice Merleau-Ponty, piuttosto che sui filosofi analitici che hanno ispirato Lewis. Più che la lingua, l’argomento di studio di Butler, però, è il genere. La visione di Ermogene – il genere come convenzione – era un tema ricorrente del pensiero femminista molto prima di Butler, ovviamente, in cui il genere nasce da un processo storico disordinato e non ha una relazione diretta o immutabile con le caratteristiche biologiche. Ancor più del linguaggio, però, storicamente si è ritenuto che il genere avesse una relazione di tipo diretta ed immutabile con la biologia, nello spirito del naturalismo di Cratilo. Scrivendo nel 1988, Butler fa delle congetture sul perché:

Il tacito accordo collettivo di rappresentare, produrre e sostenere generi distinti e polari come finzioni culturali è oscurato dalla credibilità della sua stessa produzione. Gli autori di genere rimangono estasiati dalle proprie finzioni per cui la costruzione costringe a credere nella sua necessità e naturalezza.

Ciò che Butler suggerisce è che le regole di genere sono seguite in modo così efficace che sembra che provengano da una fonte innata. Ogni volta che ciascuno di noi si conforma alle norme sociali che ci si aspetta dagli uomini, ad esempio resistendo all’impulso di piangere, ciò fornisce la prova che tali propensioni devono essere intrinseche all’essere uomo. L’apparenza di naturalezza nel rapporto tra sesso e genere sarebbe un sottoprodotto del successo della convenzione.

La stessa intuizione della Butler fornisce una risposta al motivo per cui la lingua sia così spesso naturalizzata: è perché agiamo come se la convenzione fosse naturale e, così facendo, rendiamo plausibile quell’ipotesi. Stando a Reuben Cohn-Gordon, ci avviciniamo al linguaggio come se avesse una vera forma da determinare e, nell’atto di scavare quella forma, la creiamo.

Questa percezione di naturalezza è evidente non solo nelle iconizzazioni e nelle etimologie, ma nell’idea che esista una vera forma di linguaggio, una che sta lentamente deteriorandosi e decadendo nelle mani delle generazioni più giovani, e che dovrebbe essere salvata con sforzi per controllare l’uso sciatto – una denuncia avanzata già ai tempi di Cicerone e da allora ininterrotta, puntualizza Reuben Cohn-Gordon.

Alla fine, seguendo la teoresi della Cohn-Gordon, tutto ritorna alle immagini manifeste e scientifiche. Le convenzioni vivono nell’immagine manifesta, ma devono la loro esistenza alla pretesa collettiva di essere nell’immagine scientifica. Ma forse il modo migliore per comprendere il fascino intuitivo della visione di Cratilo è con la storia dell’italiano che sta cercando di dimostrare l’intrinseca superiorità della sua lingua madre, raccontando che in francese, un cucchiaio si chiama cuillère, mentre in spagnolo è cuchara e in inglese spoon. Ma in italiano non si chiama altro che quello che è veramente: un cucchiaio! L’inserimento delle preoccupazioni umane nel tessuto della natura porta a questo mondo convenzionato. Nella nostra evoluzione mostriamo, ancora, questa tendenza a naturalizzare ciò che altro non è che convenzione arbitraria. Rendersene conto allarga la nostra conoscenza circa come noi umani funzioniamo.

______________Note _________________

1 David Sedley. Plato’s Cratylus. Cambridge University Press, 2003

2 D’accordo a ciò che ci viene tramandato, Il Cratilo (Κρατύλος) sarebbe un dialogo di Platone. In esso è trattato il problema del linguaggio, o meglio, della correttezza dei nomi. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Ermogene e Cratilo. La maggior parte degli studiosi moderni concorda sul fatto che venne scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo di Platone. David Sedley. Plato’s Cratylus. Cambridge University Press, 2003

3 Professoressa di antropologia linguistica presso l’Università del Michigan, dove studia l’uso della lingua nella vita sociale africana per creare una gerarchia sociale.

4 Professoressa di Antropologia, Linguistica e Scienze Sociali presso l’Università di Chicago. È autrice o coautrice di numerosi libri e numerosi articoli su antropologia linguistica, genere e politica, e sulla storia sociale dell’Europa orientale.

5 La lingua fula con l’alfabeto adlam () è una macro-lingua atlantica dell’Africa occidentale. Al 2022, è parlata da oltre 32 milioni di parlanti totali. Ethnologue (2022) offriva i seguenti dati sulle quattro maggiori varietà di fula: fula adamawa (5,7 milioni), fula nigeriano (16,6 milioni), pulaar (5,4 milioni) e pular (4,8 milioni).

6 Susan Gal & Judith T. Irvine. Signs of Difference: Language and Ideology in Social Life. Cambridge University Press, 2019

7 Il wolof o, con la grafia italiana, uolof è la lingua parlata in Senegal dall’omonima popolazione. Al 2022, era parlato da 12,3 milioni di parlanti totali.

8 James C. McKusick. Coleridge’s Philosophy of Language. Yale University Press, 1986

9 Penelope Eckert. Meaning and Linguistic Variation. Cambridge University Press. 2018

10 Revivalistics: From the Genesis of Israeli to Language Reclamation in Australia and Beyond è un libro accademico scritto dal linguista e revivalista Ghil’ad Zuckermann, pubblicato nel 2020 dalla Oxford University Press.

11 Zuckermann, Ghil’ad. Revivalistics: From the Genesis of Israeli to Language Reclamation in Australia and Beyond. Oxford University Press, 2020

12 Considerato uno dei grandi filosofi americani del dopoguerra. Allievo di Edmund Husserl fu influenzato dalla sua fenomenologia. I contributi principali di Wilfrid Sellars sarebbero in filosofia della mente, del linguaggio e della scienza. Si distingue da molti filosofi analitici per il suo interesse per la storia della filosofia e per la sua concezione sistematica della filosofia. La sua opera più conosciuta è probabilmente il saggio del 1956 Empirismo e filosofia della mente, pubblicato in italiano, con introduzione di Richard Rorty, da Einaudi (2004) in cui attacca quello che chiama “Mito del dato” (The myth of the given).

13 In logica e filosofia del linguaggio consiste un enunciato ipotetico la cui protasi presuppone, benché non asserisca, la falsità del suo contenuto, in quanto contrario alla realtà dei fatti. Da un punto di vista logico, la verità dell’intero enunciato sarebbe indipendente dalla verità delle singole proposizioni che lo compongono, come nel famoso enunciato ipotetico “se Cesare non fosse stato assassinato, oggi Roma dominerebbe ancora il mondo.” In psicologia per pensiero controfattuale si intende concetto psicologico che coinvolge la tendenza umana a creare possibili alternative a eventi che si sarebbero già verificati. In breve, il pensiero controfattuale è, come afferma l’aggettivo: contrario ai fatti.

14 La metamorfosi, in letteratura e in mitologia, è la trasformazione di un essere o di un oggetto inanimato in un altro di natura e forma differente, in genere dovuta a magia o a interventi soprannaturali e divini. Si può considerare il simbolo dell’onnipotenza degli dèi.

15 Butler, Judith. “Performative Acts and Gender Constitution: An Essay in Phenomenology and Feminist Theory.” Theatre Journal, vol. 40, no. 4, 1988, pp. 519–31. JSTOR

0 commenti

Share This