Già conosciuta nell’antica Grecia, è con l’avvento del cristianesimo che l’ermeneutica assume un ruolo centrale nell’interpretazione dei testi sacri. Agostino di Ippona (354-430), nel De Spiritu et littera, riprende il tema di Paolo di Tarso, e tratta ampiamente della relazione tra la legge (la lettera) che uccide e lo spirito che vivifica.
Johann G. Fichte (1762-1814), filosofo idealista tedesco, nel saggio Sullo spirito e la lettera (1800), afferma che lo spirito coglie la discrepanza tra il reale (ciò che esiste in quel momento) e l’ideale; tale discrepanza costituisce un limite mobile e lo spirito ha il dovere di spostarlo quanto più possibile verso l’assoluto. Chi si attiene alla lettera non coglie questa particolare mobilità del limite; chi ha spirito, invece, coglie i limiti stessi del mondo oggettivo come il tratto provvisorio di una creazione che deve essere continuata. Lo spirito non è allora soltanto strumento ermeneutico di comprensione del pensiero, in contrapposizione alla rigida interpretazione letterale, ma al tempo stesso presupposto e risultato del dischiudersi della razionalità nella sua libertà.
Per Friedrich Schlegel (1772-1829), considerato uno dei filosofi fondatori del romanticismo: … la lettera è spirito fissato. Ogni lettera deve, di necessità, restare sempre incompiuta, giacché una lettera che si pretendesse compiuta sarebbe la lettera che uccide lo spirito di cui diceva Paolo di Tarso. Sicché la lettera per un verso fissa lo spirito, per un altro, restando incompiuta, permette allo spirito, sempre e di nuovo, di sprigionarsi dalla lettera. La lettera è finita e vuole diventare infinita; lo spirito è infinito e vuole diventare finito.
Per Friedrich Schleiermacher (1768-1834), uno dei massimi esponenti della filosofia idealista tedesca, l’ermeneutica si basa su alcuni principi fondamentali:
– l’ermeneutica deve sempre intervenire quando ci si trova di fronte alla difficoltà di comprendere il vero significato di un qualsiasi messaggio comunicativo, la cui interpretazione deve essere rivolta all’interezza del testo;
– lo spirito individuale dell’autore, pur radicandosi nella storia, conserva sempre la sua particolare e mutevole originalità spirituale di modo che l’interpretazione del messaggio comunicativo dell’autore non cesserà mai;
– l’ermeneuta deve, non solo riferirsi al testo nella sua interezza, ma cercare anche di comprenderlo intuitivamente nelle sue allusioni, nei suoi accenni; inoltre, anche la personalità dell’autore va compresa al fine di interpretare correttamente il suo pensiero.
Il percorso ermeneutico della filosofia/fede cristiana si esprime nell’enciclica Aeterni Patris (1879) di Vincenzo Pecci (1810-1903), papa Leone XIII, con un invito programmatico: Vetera novis augere et perficere “accrescere e migliorare le cose vecchie con le nuove”. Secondo Leone XIII la filosofia cristiana è immutabile nelle verità fondamentali, ma si aggiorna continuamente nel dialogo con le diverse culture; ha una sua fisionomia e identità, storica e teoretica, ma è anche aperta ad approfondire temi nuovi ed accogliere nuovi suggerimenti provenienti da altre correnti di pensiero; ha il compito di unificare il sapere e le stesse scienze, pur nel rispetto dello statuto epistemologico di ognuna. Queste riflessioni riguardo l’ermeneutica potrebbero apparire avulse dal contesto della medicina omeopatica che, come scienza naturale, si interessa dei dati esperienziali e sperimentali che derivano dalla conoscenza scientifica della realtà.
Come afferma Wilhelm Dilthey (1833–1911), una cosa è spiegare, attività che riguarda le scienze della natura che cercano le cause del fatto da ricondurre a una legge universale, altra è comprendere che è proprio delle scienze dello spirito (filosofia, religione, arte), che si propongono di comprendere il caso singolo nella sua storicità. Per comprendere veramente un’opera occorre allora riferirsi al vissuto che l’autore ha profuso nel testo, intendendo con esso il progetto di vita dell’autore, cioè quale senso spirituale l’autore attribuisce alla sua vita.
Giungiamo così a C. F. Samuel Hahnemann (1755-1843) e ci confrontiamo con la sua principale opera, l’Organon dell’arte razionale della cura. In senso ermeneutico, l’Organon va compreso riferendoci al progetto di vita dell’Autore che troviamo riassunto nel § 1: Scopo principale ed unico del medico è di rendere sani i malati … e nel § 2: Il più alto ideale della terapia è la restaurazione rapida, dolce, duratura, della salute, ossia la rimozione del male nella sua totalità nel modo più rapido, più sicuro ed innocuo, secondo principi chiaramente comprensibili. Nei primi due paragrafi dell’Organon è racchiuso il progetto di vita su cui Hahnemann propone di fondare la nuova medicina.
Sperimentalmente, Hahnemann spiega che il principio di similitudine, similia similibus curentur, esplica un potenziale terapeutico straordinariamente più efficace del contraria contrariis curentur, perché in sintonia con le dinamiche fondamentali di funzionamento dei sistemi viventi. I rimanenti 289 paragrafi delineano gli elementi teorici e procedurali della nuova medicina, che si struttura attorno al principio di similitudine. Come trattato sulla medicina, l’Organon spiega il percorso teorico e metodologico che conduce il medico ad acquisire le competenze teorico-pratiche per utilizzare gli strumenti curativi in modo razionale così da rendere la dottrina omeopatica una disciplina medica con una prassi codificata.
Lo spirito dell’Organon consta quindi di due componenti:
– la prima, progettuale, è il curare i malati in modo rapido e delicato, secondo principi razionali;
– la seconda, operativa, riassume i principi della dottrina omeopatica: la sperimentazione patogenetica, il singolo rimedio, la diluizione/dinamizzazione, la minima dose, in un contesto in cui l’interpretazione dinamica della malattia, come perturbazione dell’equilibrio energetico, è l’elemento fondante.
Se il medico volesse cogliere nella sua radicalità lo spirito progettuale dell’Organon, dovrebbe essere aperto ed interessato a tutte le discipline mediche che offrono la possibilità di curare rapidamente e delicatamente i malati seguendo principi razionali. Altre discipline mediche, sconosciute al tempo di Hahnemann, quali ad esempio la medicina tradizionale cinese e la medicina ayurvedica, propongono un sistema terapeutico articolato secondo peculiari fisiopatologie in cui è sottolineato proprio l’aspetto dinamico della malattia.
La lettera dell’Organon è contenuta nell’elenco minuzioso delle procedure che si devono adottare per raccogliere la storia clinica e comprendere ciò che deve essere curato nel malato, effettuare la sperimentazione delle sostanze e comprendere ciò che vi è di curativo in esse, applicare correttamente la terapia per giungere alla guarigione. Sarebbe errato considerare la lettera dell’Organon conclusa ed immutabile. Anzi, l’Organon deve essere riletto attentamente, per non lasciarci sfuggire numerose sollecitazioni.
Le conoscenze e la pratica del medico omeopata non possono esaurirsi nella prescrizione del medicinale omeopatico. Nella concezione hahnemanniana, il medico dovrebbe avere anche approfondite conoscenze di dietetica, medicina ambientale ed occupazionale, climatologia medica (§ 4, 5); dovrebbe avere competenza pratica per la gestione di piccole procedure chirurgiche, ovvero affidare al chirurgo tutte le patologie di competenza (§ 7a, 13, 186).
La psicologia, appena abbozzata nell’Organon, negli ultimi cento anni ha aperto orizzonti ampi per la corretta interpretazione dei sintomi e dei segni, portandoci ad una comprensione molto più profonda e precisa di ciò che deve essere curato nel malato. In particolare, la psicologia analitica junghiana e la psicosomatica, grazie al lavoro di numerosi autori, offrono interessanti spunti al medico omeopata per approfondire la psicodinamica del paziente. Queste discipline psicologiche hanno anche sviluppato efficaci tecniche di raccolta della storia del malato, che già alcuni omeopati hanno integrato con successo nella pratica clinica.
I numerosi dispositivi elettromagnetici costruiti negli ultimi decenni andrebbero adeguatamente studiati (§ 286-287) per comprenderne il potenziale terapeutico. I § 288-289 ci costringono a confrontarci con un’osservazione di Hahnemann che per noi è imbarazzante e di solito trascurata: “l’imposizione delle mani” sul malato, da parte di un terapeuta “ben intenzionato” e “dotato di grande forza magnetica” produce un effetto terapeutico. Invece che trascurarlo, dovremmo accettare la sfida e cercare nella letteratura scientifica attuale quali evidenze si trovano. Scopriremmo che in PubMed alla voce “healing touch” corrispondono 3.734 studi pubblicati, molti dei quali con risultati positivi. Inoltre, molte discipline, anche incluse nei programmi di medicina integrativa di molti ospedali americani, sono indirizzate al miglioramento e all’equilibrio dell’elemento energetico dinamico dell’organismo (fondamento delle osservazioni di Hahnemann sull’origine dinamica della malattia), basti ricordare il TaiChi, il Qigong, lo Yoga. Per non dimenticare le discipline Mente/Corpo come l’Immaginazione Guidata e la Meditazione, (§ 17a), anch’esse incluse nei programmi integrativi degli ospedali americani.
Il § 290 ci ricorda il potenziale terapeutico delle pratiche di massaggio, in cui modernamente potremmo includere l’osteopatia, la riflessologia e altre discipline affini, che condividono il concetto eziologico dinamico delle malattie. Infine, nel § 291 troviamo una breve analisi dei diversi effetti, omeopatici o palliativi dei bagni termali.
Da questa breve disamina ci accorgiamo, non senza una certa sorpresa, che la lettera dell’Organon è molto ricca e abbondante di risorse che il medico omeopata potrebbe aggiungere nel proprio armamentario diagnostico–terapeutico, perfettamente coerente con lo spirito progettuale ed operativo che Hahnemann aveva pensato per il medico e la nuova medicina.
Vetera novis augere et perficere. La filosofia cristiana, che si propone come verità rivelata alla fede del credente, riesce ad invitare ad accrescere e migliorare le cose vecchie con le nuove, ad aggiornarsi continuamente nel dialogo con le diverse culture, a lavorare per unificare il sapere e le stesse scienze, nel rispetto dello statuto epistemologico di ognuna. La vecchia scuola medica, che Hahnemann criticava, praticava i salassi, le purghe, le vomificazioni, usava sostanze in dosi eroiche e senza alcuna cognizione né sperimentazione. La medicina scientifica contemporanea, pur rimanendo radicata nel materialismo riduzionistico e deterministico, visione diametralmente opposta al primato della coscienza (implicitamente sostenuto dalle diverse medicine non convenzionali), attraverso l’enorme attività di ricerca ha reso razionali le molte terapie palliative (che in alcuni casi diventano anche risolutive della patologia) e ha dotato tutti i medici di una vastità di strumenti diagnostici impensabile al tempo di Hahnemann. È tempo di riconoscere i meriti, oltre che i limiti, sia della medicina moderna sia della medicina omeopatica, così come delle altre medicine tradizionali e complementari, e disporci di buon grado per attuare una collaborazione integrativa.
Non abbiamo giustificazioni, né filosofiche, né scientifiche, per rimanere comunità chiuse arroccate su posizioni di sbarramento epistemologico e procedurale. L’ermeneutica dello spirito e della lettera di Hahnemann conducono noi medici omeopati ad una ampiezza sino ad ora inesplorata e che risponde al fine ultimo di ogni medico: curare i malati.
Tratto da Il Medico Omeopata – Anno XXVII – numero 81 – dicembre 2022