BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XIV • Numero 56 • Dicembre 2025
Le nostre nozioni di carattere innato e d’identità originaria viste alla luce della tradizione cinese
Siamo talmente alienati al potere ed abituati ai suoi strumenti di discriminazione e di abuso che viviamo la situazione geopolitica attuale come se le sue basi fossero, veramente, categorie identitarie naturali. Ci sfugge proprio che, invece, siano i conflitti a creare le identità. Questa posizione circa la menzogna dell’identità, che condivido, pienamente, con il filosofo e storico ghanese Kwame Anthony Appiah,1 mi spinge ad andare indietro nel tempo per riconsiderare le nostre nozioni di carattere innato e identità originarie alla luce della tradizione cinese nel tentativo di decostruire la menzogna dell’identità.
Abituati, come siamo, nella culla del creazionismo di matrice semita e del romanticismo individualista basilarmente cristiano, a concepire noi stessi, se non come un atto specifico di creazione divina, almeno come portatori di un’identità naturale originaria e, di conseguenza, di un carattere innato assegnato, ci risulta singolare accostare queste nostre convinzioni ad altre tradizioni, come nel caso di questa brevissima argomentazione circa le nozioni di carattere innato e d’identità originaria viste alla luce della tradizione cinese.
Questa rapida discussione della materia segue il tracciato del filosofo Alexander Douglas, docente di filosofia presso l’Università di St Andrews in Scozia, Regno Unito, autore di Against Identity: The Wisdom of Escaping the Self (2025),2 profonda meditazione sul modo in cui percepiamo noi stessi e sulle voragini in cui spesso cadiamo, sia come individui che come collettività, dal cortile della scuola allo stato nazionale.
Questa ricerca di possibilità è la ragione per la quale mi sono soffermato a curare questa discussione per voi, per gettare un po’ di luce sulle tragedie che colpiscono i cortili delle scuole e gli stati nazionali a nome di un’identità immutabile, nei quali ci troviamo alienati quale fossero la nostra identità originaria naturale da cui non dovremmo mai allontanarci.
In ciò che si potrebbe definire una sintesi della sua opera al momento, cioè il saggio, Essence is fluttering,3 Alexander Douglas ci introduce al suo pensiero con il classico esempio di Oscar Wilde. In effetti, ci riporta al pensiero di Wilde per iniziare il suo esame accurato della questione. “La maggior parte delle persone sono altre persone”, scrisse Oscar Wilde, ci racconta Douglas.4 “I loro pensieri sono le opinioni di qualcun altro, le loro vite un’imitazione, le loro passioni una citazione”. Quest’era, ovviamente, intesa come una critica, ma in cosa consiste, esattamente, la critica proposta da Wilde?
L’interpretazione di La maggior parte delle persone sono altre persone, in un senso radicalmente diverso da quello inteso da Wilde nella sua epoca, suggerisce, in particolare, che la stragrande maggioranza delle persone non sono io. L’enorme dimensione di questa maggioranza, miliardi a uno, si direbbe, garantisca che ci sia qualcuno migliore di me in qualsiasi cosa mi venga in mente. Perciò come argomenta Douglas,5 se cucio un vestito per la prima volta, è saggio che segua uno schema. Se cucino un pasto per la prima volta, sarebbe ugualmente saggio che segua una ricetta. Poi, questa sarebbe, per quanto oggi ne so, la mia prima volta come umano, ragiona Douglas e, quindi, si domanda perché non sia saggio per lui emulare un modello di vita di successo, soprattutto quando ci sono così tanti candidati modelli, passati e presenti.
Quando Wilde scriveva, la cultura letteraria aveva raggiunto l’apice dell’individualismo romantico. In quella cultura, era ovvio cosa ci fosse di sbagliato nell’essere come gli altri: farlo significava tradire il proprio vero sé. Si pensava allora che ognuno di noi possedesse un’identità unica e individuale, cucita nel tessuto stesso del nostro essere. Walt Whitman celebrava “il pensiero dell’Identità, tua per te, chiunque tu sia, come mia per me”, e lo definiva come: “La qualità dell’ESSERE, nel sé dell’oggetto, secondo la sua idea e il suo scopo centrali, e di crescere da e verso lì, senza alcuna critica secondo altri standard e adattamento a esso”6
Nel XX secolo, questa visione fu notoriamente messa in discussione, ad esempio da Jean-Paul Sartre, che proclamò che noi umani nasciamo senza un’identità definita, senza alcuna “idea centrale e scopo” innati: “l’uomo non è altro che ciò che fa di sé stesso“. Questo è un punto logicamente insidioso, poiché non rimane chiaro come qualcosa, privo di qualsiasi identità, possa farsi o diventare qualcosa. Non possiamo supporre, in particolare, che si faccia secondo i suoi capricci, le sue inclinazioni o i suoi desideri, poiché se ne possiede qualcuno, allora avrebbe già un’identità di qualche tipo. Questo ci pone in un dilemma. Simone de Beauvoir, compagna di Sartre nella filosofia, nella vita e nel crimine, rispose ammettendo che l’autocreazione può funzionare solo su una base rivelata da altri uomini.

Ma la cultura popolare ha reagito, in larga parte, ritirandosi, acriticamente, al vecchio Romanticismo. Steve Jobs di Apple consigliò a una classe di laureati di Stanford di non lasciare che il rumore delle opinioni altrui soffocasse la propria voce interiore e di avere il coraggio di seguire il proprio cuore e la propria intuizione, che, nel pensiero popolare caro a Jobs, in qualche modo sanno già cosa si vuole veramente diventare. Le pubblicità di shampoo e, ugualmente, quella delle apps per il pagamento dei viaggi, consigliano di scavare in profondità dentro di sé e trovare il vero sé. La questione di come ognuno di noi sia stato pre-programmato con questa identità unica e autentica, questa articolata voce interiore, viene lasciata da parte, così come la questione più inquietante di come gli inserzionisti possano essere così sicuri di scommettere che il vero sé amerà i loro prodotti.
Come apparirebbero le cose, filosoficamente, se eliminassimo, si chiede Douglas, questa nozione romantica dal quadro euristico e epistemologico del sé innato, assegnato e con un senso predeterminato? Douglas suggerisce di farcene un’idea della questione guardando alla grande tradizione filosofica che fiorì prima della formazione della dinastia Qin, in quella che oggi è la Cina.
L’antica euristica circa la questione del sé innato predeterminato nella tradizione cinese
Il filosofo più noto di questa tradizione sarebbe Confucio (Kong Qiu, 孔丘), che si ritiene sia vissuto tra il 551 e il 479 a.C. In realtà, sostiene Douglas,7 i libri a lui attribuiti furono, verosimilmente, scritti da più autori in un lungo periodo. Il più famoso di questi, gli Analects,8 propone un ideale etico basato sull’emulazione di esempi ammirevoli. La filosofa Amy Olberding ha scritto un intero libro dedicato a questo argomento, Moral Exemplars in the Analects (2012).9 Per Confucio, essere altri sarebbe, esattamente ciò a cui si dovrebbe aspirare, a patto di emulare personaggi degni di lode come i grandi re-saggi Yao e Shun o addirittura Confucio stesso. Stando al filosofo Alexander Douglas,10 l’obiezione che l’ideale di Confucio tradirebbe la nostra vera identità innata non viene sollevata affatto. L’idea che ognuno di noi abbia un’identità individuale, innata e autentica non sembra essere presente in questa tradizione, puntualizza Douglas.11
Seguendo il suo ragionamento sotto quest’aspetto,12 ciò che la tradizione di Confucio riconosceva sarebbero solo le identità di ruolo. Infatti, segnala Douglas, Confucio temeva che queste identità di ruolo si stessero perdendo ai suoi tempi. In effetti, negli Analects, Confucio avrebbe dichiarato che il suo primo atto di governo sarebbe stato quello di “rettificare i nomi” (zheng ming, 正名).13 Si tratta di un concetto complesso, ma stando a Douglas, un altro passaggio ne chiarisce il significato, in cui gli viene chiesto dello zheng (政), cioè l’ordine sociale e lui risponde che tale ordine consiste in che il signore sia un vero signore, i ministri veri ministri, i padri veri padri e i figli veri figli“. Confucio temeva la perdita dello zheng tradizionale, che associava al recente crollo del Regno degli Zhou Occidentali, che portò a un caos sociale in cui signori, ministri, padri e figli non svolgevano i ruoli che spettavano loro. Perciò Douglas propone che “Rettificare i nomi” potrebbe significare garantire che le persone siano all’altezza dei propri nomi, non dei loro nomi individuali, ma dei nomi del loro ruolo o posizione sociale (ming, 名) che, infatti, secondo gli studiosi in materia, può essere usato per significare nome, ma anche per indicare rango o status.
Alla domanda classica e ossessiva – “Chi sono io?”, per Douglas,14 Confucio avrebbe voluto che rispondessimo con il nostro ruolo sociale tradizionalmente definito. Per quanto riguarda il modo in cui dovremmo interpretare tale ruolo, l’ideale sarebbe emulare una figura esemplare ben nota che abbia svolto un ruolo simile.15 Sotto la dinastia Han, che adottò il confucianesimo come una sorta di filosofia ufficiale, furono prodotti molti cataloghi di modelli di ruolo, in particolare, nelle tradizioni delle donne esemplari (Lie nu chuan, 列女傳) di Liu Xiang,16 ricche di modelli di moglie, madre, signora, ecc. come ci segnala Douglas.17
La filosofia di Confucio fu osteggiata ai suoi tempi, ma non dagli individualisti romantici. Da una parte c’era Mozi (o Mo Di, 墨翟),18 che proponeva di prendere a modello la natura piuttosto che gli eroi del passato.19 Con semplicità, come osserva Douglas, perché ciò avesse senso, la natura doveva essere antropomorfizzata, dotata di cura e preoccupazione per l’altro. Come spontaneamente emerge da questo ragionamento, un paragone potrebbe essere fatto con gli antichi stoici greci e romani20
Dall’altra parte c’era Zhuangzi (Zhuang Zhou, 莊周),21 forse il filosofo più singolare di ogni cultura, stando a Douglas. In effetti, un punto centrale del suo libro, Against Identity: The Wisdom of Escaping the Self,22 è che Zhuangzi rifiutava il conformismo confuciano dei ruoli. Stando a Douglas, Zhuangzi sosteneva che non si doveva aspirare a essere un re saggio, o una madre esemplare, o qualsiasi altra identità di ruolo predeterminata. Non si dovrebbe aspirare, per usare le parole di Wilde, a essere altre persone. Nella nostra cultura altamente individualista, non possiamo fare a meno di aspettarci che questa linea di pensiero continui con il suo: sii semplicemente te stesso!
Ma non è proprio questo che predicava Zhuangzi. Lui, invece, affermava: “zhi ren wu ji (至人無己)”, tradotto come la Persona Perfetta non ha un’identità fissa oppure come la persona suprema non ha un sé. L’ideale etico non costituisce il sostituire un’identità conformista con una individuale ma nello sbarazzarsi completamente dell’identità.23 Sotto quest’aspetto, il filosofo Brook Ziporyn24 afferma che è altrettanto pericoloso cercare di essere come sé stessi quanto cercare di essere come chiunque altro.

Il problema della preclusione dell’identità
Al riguardo Douglas si chiede perché sia ritenuto da Zhuangzi altrettanto pericoloso cercare di essere come sé stessi quanto cercare di essere come chiunque altro, come riferisce Ziporyn. La risposta è che, in primo luogo, l’attaccamento ad un’identità fissa impedisce di assumere nuove forme.25 Questo, a sua volta, rende difficile adattarsi, ovviamente, a nuove situazioni.26 Nel suo libro Freedom’s Frailty (2024), la filosofa Christine Abigail L Tan27 lo afferma in questo modo: se ci si impegna in un’identità fissa, allora questo è già problematico, poiché non ci si auto-trasforma né si auto-genera”.28 Prendendo a prestito un termine dalla psicologia, possiamo chiamare questo il problema della preclusione dell’identità. L’American Psychological Association definisce la preclusione dell’identità29 come un impegno prematuro verso un’identità, vale a dire l’accettazione incondizionata da parte di individui (di solito adolescenti) del ruolo, dei valori e degli obiettivi che altri (in particolare, genitori, amici intimi, insegnanti, allenatori sportivi) hanno scelto per loro. Ma il messaggio radicale dello Zhuangzi è che può essere una preclusione altrettanto pericolosa accettare il ruolo, i valori e gli obiettivi che si sono scelti per sé stessi. Così facendo, ci si esclude dalla possibilità di ripensare radicalmente tutto questo sotto influenze esterne.30
Stando a Christine Abigail L Tan,31 in effetti, ci si spinge a resistere alle influenze esterne, per una semplice ragione: Abbiamo un forte istinto di sopravvivenza, vale a dire un bisogno impellente di continuare a esistere. Ma continuare a esistere significa mantenere la forma che ci rende noi stessi e non qualcos’altro.32 Trasformarsi in un cadavere, ovviamente, non conta come sopravvivere, e non conterebbe nemmeno trasformarsi in qualcosa di troppo radicalmente diverso da ciò che siamo abituati a pensare di noi fondamentalmente. Come sottolinea Douglas,33 svegliarci domani con il nostro corpo, i nostri ricordi e la nostra personalità sostituiti da quelli di qualcun altro risulta tanto temuto quanto morire nel sonno; anzi, potrebbe benissimo essere considerato come la propria morte. Dunque, perciò osserva Brook Ziporyn: sopravvivere significa rimanere gli stessi in aspetti cruciali e definitivi. Ma questo significa che più ci definiamo in modo restrittivo, più ci sentiremo sulla difensiva contro le influenze esterne che potrebbero cambiarci.34

Al riguardo puntualizza Alexander Douglas, che il termine identità si presta naturalmente a questo senso di autodefinizione.35 Deriva dal latino identitas, con la radice idem, che, come sappiamo, significa “uguale”. Un’espressione nota al riguardo è unus et idem, “uno e lo stesso”. La nostra identità è tutto ciò che deve rimanere lo stesso affinché noi possiamo rimanere noi stessi. Un’identità ristretta richiede molta coerenza, a sé stessi e anche al mondo in generale. Se la propria identità è legata, assumiamo, all’essere un sellaio, allora la propria sopravvivenza (sotto quell’identità) richiede non solo che si continui a lavorare alla produzione di selle, esige anche, logicamente, perfino che l’industria delle selle debba rimanere vitale. Se l’industria dovesse estinguersi, ad esempio con l’avvento delle automobili, ci si ritroverebbe in una disperata crisi d’identità, in preda al panico all’idea che nulla di ciò che ora si potrebbe essere conterà come ciò che fino a quel momento era stato riconosciuto come sé stesso. Nel pensiero di Zhuangzi,36 speriamo che il soggetto troverà nuovi elementi con cui definirsi. Ma avrebbe potuto risparmiarsi l’angoscia non legando la propria identità a qualcosa di così specifico fin dall’inizio.
Supponiamo ora, ci suggerisce Alexander Douglas nella sua argomentazione,37 che la propria identità sia legata a certe convinzioni religiose o politiche. In tal caso, il proprio istinto di sopravvivenza sarà allertato ogni volta che qualcosa minaccia tali convinzioni. Più convincente sembra un argomento contro di esse, meno si sarà in grado di ascoltarlo. Più un’alternativa sembra attraente, più duramente verrà respinta, per paura di cambiare e di perdersi nel cambiamento. In questo modo, precludersi un’identità fissa, anche una che si è scelta per sé stessi, ci spingerà a isolarci dalle influenze esterne. Sotto quest’aspetto Douglas suggerisce di pensare a un esempio di Sartre, proprio quello dell’allievo attento. Tale allievo che vuole essere attento si esaurisce, lo sguardo fisso sul suo maestro, tutto orecchie, nel fare l’allievo attento, al punto da non riuscire più ad ascoltare nulla.38
Ma il mondo è in continuo cambiamento, in modi che non possiamo prevedere. Quando l’attaccamento a un’identità fissa ci spinge a isolarci dalle influenze esterne, queste influenze avrebbero potuto altrimenti rivelarsi molto preziose nel guidarci attraverso il cambiamento e l’incertezza. Ci sono molte storie di coloni australiani che rifiutarono la conoscenza indigena che avrebbe potuto aiutarli a sopravvivere in un ambiente ostile e sconosciuto, a causa del loro eccessivo attaccamento a un’idea di sé superiori dal punto di vista scientifico e razziale. Questa idea era incompatibile con l’idea che potessero avere qualcosa da imparare da coloro che consideravano selvaggi nudi.39 Perciò stando a Zhuangzi, quando cerchiamo un’identità definita, tradiamo la nostra vera natura di esseri fondamentalmente fluidi e indeterminati.40
C’è, seguendo il pensiero di Zhuangzi, un altro motivo per cui cercare di essere sé stessi, nel senso di un’identità fissa, si rende ugualmente un comportamento pericoloso.41 Per comprenderlo, propone Douglas, dobbiamo chiederci da dove abbiamo preso l’idea di quell’identità fissa. E la domanda ha molto senso, innanzitutto, se si ricorda che, in precedenza, le nostre anteriori civiltà immaginavano sé stesse in un contesto culturale privo della nozione romantica secondo cui ognuno di noi nasce con un sé innato.42 Stando alla stessa Tan, il compilatore del più antico testo sopravvissuto dello Zhuangzi, Guo Xiang (252-312 d.C.), fornì anche un commento che delinea una nozione di sé molto diversa.43 Il commento di Guo estrae elementi dallo Zhuangzi che criticano l’etica confuciana dell’emulazione del modello, che Guo chiama seguire le “impronte” (ji, 跡).44 In particolare, Tan segnala che Guo commenta un passaggio come segue:
Benevolenza e rettitudine appartengono naturalmente al carattere innato [qing, 情], ma a partire dalle Tre Dinastie, gli uomini si sono perversamente uniti in una rumorosa contesa su di esse, abbandonando ciò che è nel loro carattere innato per inseguirne le impronte altrove, comportandosi come se non potessero mai raggiungerlo, e anche questo, proprio vero ha causato molto dolore!45
Al riguardo, Alexander Douglas,46 ci segnala che il riferimento al carattere innato qui potrebbe indurci a leggere questo passaggio in modo romantico – una familiare celebrazione dell’essere il proprio vero sé innato piuttosto che seguire le orme degli altri. Ma quando Guo usa termini come questi, o natura originaria (benxing, 本性), sembra intendere qualcosa di completamente diverso.47 A tale proposito Tan spiega che natura originaria (benxing, 本性) non significa in realtà che sia immutabile e fissa, o che sia innata, perché significa semplicemente senza vincoli.48
La visione di Zhuangzi, come interpretata da Guo, e riportata da Tan, è che quando cerchiamo un’identità definita, tradiamo la nostra vera natura di esseri fondamentalmente fluidi e indeterminati. Finiamo per inseguire un modello esterno di determinatezza. Eppure, anche se il modello sia di nostra creazione, è esterno alla nostra vera natura indefinita.49 In tal senso, una storia dello Zhuangzi racconta di un imperatore accogliente e benevolo, ma senza volto, Hundun. Hundun aveva un volto trafitto da altri due imperatori che già possiedono un volto. Di conseguenza, muore.50 La storia suggerirebbe, stando a Douglas, che l’identità fissa ci arriva sempre dall’esterno, da altri che si sono già attaccati a identità fisse e ci spingono a fare lo stesso, di solito non tramite esercitazioni ma piuttosto con l’esempio. Tale attaccamento all’identità, guidato dai pari, uccide la nostra natura fondamentale, che è informe e fluida come Hundun. Il suo nome, 混沌, significherebbe, secondo Tan, qualcosa come caos confuso, puntualizzando che ogni carattere contiene il radicale dell’acqua che segnala fluidità. La nostra vera natura Hundun sarebbe la capacità di assumere molteplici forme senza essere definiti irreversibilmente da nessuna di esse.51
Questo incontro con una cultura filosofica lontana ci libera, consentendoci di porci domande che altrimenti non avremmo mai pensato di porci, puntualizza Douglas.52 In effetti, ci sollecita ad immaginare se non fossimo stati condizionati a credere che il nostro vero sé sia qualcosa di fisso e innato.53 Avremmo, inevitabilmente, trovato la strada verso quest’idea? O forse, come Zhuangzi, avremmo supposto che la nostra vera natura risiedesse in una flessibilità e fluidità illimitate, su cui qualsiasi identità definita non può che essere un’imposizione estranea?54 Come sarebbe la nostra cultura se questa fosse l’idea dominante che tutti abbiamo del nostro vero sé? Ridurrebbe la vita umana a un caos insensato di vagabondaggio senza scopo? O potrebbe forse essere più pacifica, più adattabile e più emozionante?55 In quanto curatore dell’argomentazione ammetto e reitero che convengo con l’idea di Douglas.
Decisamente, come Douglas, tendo a propendere per quest’ultima posizione. E come lui, ammettendo il proprio pregiudizio di conferma, vediamo ovunque esempi di come l’identità ci ostacoli. Si pensi solo che tutta la narrativa della geopolitica si basa su quest’idea di diversità di immutabilità contrastanti. Ma, in un mondo complesso e imprevedibile, le nazioni hanno più che mai bisogno di imparare le une dalle altre. Invece, si chiudono le porte e si lanciano nei dialoghi internazionali con il megafono acceso e i tappi nelle orecchie.
Sono i conflitti a creare le identità
Nelle democrazie moderne, le persone votano per ciò che sono, non per ciò che vogliono, dice il filosofo e storico ghanese Kwame Anthony Appiah,56 il che porta a politiche che mettono i gruppi identitari l’uno contro l’altro, anziché perseguire benefici collettivi o addirittura benefici reali per un singolo gruppo. La tecnologia informatica mette il mondo intero a portata di mano, eppure le persone rimangono sorprendentemente indifferenti a tutto ciò che esula dalla loro ristretta sfera culturale, come se temessero che l’esposizione a troppe differenze le allontani dalla loro preziosa identità.57 E anche quando gli schemi attuali si dimostrano insostenibili, troviamo difficile cambiarli, perché le nostre identità ne rimangono in qualche modo vincolate.58
Chi sei? è una domanda legata a un’altra domanda: cosa pensi di essere? Un genere. Una religione. Una razza. Una nazionalità. Una classe. Una cultura. Quest’etichette producono identità collettive. Formano i contorni del senso che abbiamo di noi stessi e il perimetro del mondo che ci circonda. Eppure, sono piene di contraddizioni e di falsità. Tutti sappiamo che le identità portano conflitti. Ma Kwame Anthony Appiah59 dimostra qualcosa di più profondo e insidioso: sono i conflitti a creare le identità. La religione è, innanzitutto, una manifestazione del potere e non della fede. La razza, che oggi occupa lo spazio pubblico e pervade il linguaggio, è un residuo scellerato del Novecento. Il nostro concetto di sovranità nazionale è instabile e poco coerente. L’idea stessa dell’Occidente costituisce un ideale vuoto.
La storia più famosa degli Zhuangzi è il Sogno della Farfalla. Zhuangzi si sveglia da un sogno in cui era una farfalla che svolazzava liberamente. Non sa se è Zhuangzi, che sognava di essere una farfalla, o una farfalla che ora sogna di essere Zhuangzi. Questa storia mette Zhuangzi in contatto con la trasformazione delle cose, una realtà in cui le identità sono sempre fluide e mai fisse. Come sottolinea Kuang-Ming Wu in The Butterfly As Companion (1990),60 l’essenza della farfalla è svolazzare. Hundun e la farfalla sono simboli di uno svolazzare interiore, un’indefinitezza interiore che risiede più in profondità in noi di qualsiasi identità fissa, scelta o imposta.
La pretesa di essere fedeli a noi stessi, come individui, come comunità, come chiese, partiti, città, nazioni, ci porta a manipolare il mondo. Mantenerci uguali significa mantenere le cose nella giusta forma per fornire il contesto alla nostra autodefinizione. Altri cercano di mantenere le cose nella giusta forma per adattarsi alle loro definizioni di sé. Il risultato è un mondo pieno di conflitti e privo di progresso.61 Forse è giunto il momento di cercare il nostro svolazzare interiore.
Con un’esplorazione della storia e della natura delle identità che ci definiscono, ho cercato di decostruire le etichette di cui ci serviamo per capire chi siamo, e che tuttavia possono trasformarsi in strumenti di discriminazione e di abuso del potere. Come direbbe Kwame Anthony Appiah, se vogliamo vivere insieme in concordia e armonia, una discussione attenta ed equilibrata su questioni che ci coinvolgono nel profondo dell’animo è fondamentale.62
- Kwame Anthony Appiah. La menzogna dell’identità. Come riconoscere le false verità che ci dividono in tribù. Giangiacomo Feltrinelli, 2019
- Alexander Douglas. Against Identity: The Wisdom of Escaping the Self. Allen Lane, 19 June 2025. “Contro l’identità” è un libro rivelatore, scritto con singolare chiarezza e grande determinazione, che utilizza filosofie poco note per pensare meglio e vivere con meno tumulti, auto-tortura e aggressività. In tempi di pessimismo e caos, è una gradita voce di ottimismo e possibilità.
- Alexander Douglas. Essence is fluttering. In AEON, 1st sept 2025.
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Alexander Douglas. Against Identity: The Wisdom of Escaping the Self. Allen Lane, 19 June 2025.
- Gli Analects” (o I Dialoghi) è una raccolta di detti e pensieri del filosofo cinese Confucio e dei suoi contemporanei, compilata dai suoi discepoli dopo la sua morte. L’opera, suddivisa in 20 libri e scritta originariamente su strisce di bambù, contiene i precetti e gli insegnamenti fondamentali della filosofia confuciana, offrendo un codice di saggezza pratica e regole di comportamento.
- Amy Olberding. Moral Exemplars in the Analects. The Good Person is That. Routledge 2012. In questo studio, Olberding propone un nuovo modello teorico per la lettura degli Analects. La sua tesi è che la sensibilità morale del testo derivi dallo sforzo di catturare e articolare concettualmente le caratteristiche riscontrabili negli esemplari, esemplari identificati e ammirati pre-teoricamente e quindi prima di qualsiasi criterio concettuale di virtù. In parole povere, Olberding propone un “mito delle origini” in cui Confucio, già e prima del suo filosofare, sa chi giudica virtuoso. Il lavoro che vediamo lui e gli autori degli Analects perseguire è il loro sforzo di spiegare in modo organizzato, generalizzato e astratto perché gli esemplari identificati pre-teoricamente siano virtuosi. Il ragionamento morale qui inizia con le persone e con esperienze rudimentali di ammirazione per loro. Il lavoro concettuale del testo riflette il tentativo di analizzare tali persone e di analizzare tali esperienze al fine di distillare qualità astratte che spieghino la virtù e possano guidare l’emulazione.
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Lienu Zhuan (Vite di donne) è stato realizzato da Liu Xiang nel periodo degli Han Occidentali, un periodo che garantisce alla Cina un regime di relativa stabilità. Quest’opera è divisa in 7 libri. I primi sei sono dedicati a 89 protagoniste che si sono distinte per i loro ottimi comportamenti e per tale motivo sono state innalzate al rango di paradigma per i posteri. Il settimo libro è invece dedicato a 15 donne perverse, che costituiscono modelli da evitare in toto. Realizzando quest’opera, l’autore intende codificare il ruolo della donna, garantendone l’edificazione morale.
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Mozi (墨子S, Mòz P, latinizzato in Micius; Lu, 470 a.C. circa – 391 a.C. circa) è stato un filosofo cinese. Mozi ha lasciato una riflessione filosofica principalmente morale e politica. Mozi cercò di sostituire quello che considerava il tanto radicato attaccamento cinese alle strutture familiari con il concetto di “cura imparziale” o “amore universale” (兼愛, jiān ài). Proprio per questo si metteva in contrapposizione con i confuciani i quali sostenevano che era innaturale e scorretto per le persone preoccuparsi di persone diverse con livelli diversi. Mozi, invece, sosteneva che in linea di principio le persone dovrebbero prendersi cura di tutti allo stesso modo, concetto che i filosofi di altre scuole ritenevano assurdo, in quanto interpretavano questo concetto come non implicante alcuna particolare cura o dovere nei confronti dei propri genitori e della propria famiglia. Nel primo capitolo degli scritti di Mozi sull’amore universale, Mozi sostiene che il modo migliore di essere fedele ai propri genitori è essere fedele ai genitori degli altri.
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Ibidem
- Zhuāngz (莊子T, 庄子S, Zhuāngz. 369 a.C. circa 286 a.C. circa, è stato un filosofo e mistico cinese. Successivamente considerato tra i fondatori del Daoismo e, per costumanza dell’antica Cina, per metonimia si indica con il suo nome anche qualsiasi testo recante per iscritto il pensiero e dottrina a lui attribuiti. In generale, la filosofia di Zhuangzi è basata sul concetto della limitatezza della vita in confronto all’infinitezza della conoscenza. Usare il limitato per raggiungere l’illimitato, egli affermava, era impossibile. Il nostro linguaggio, cognizione, percezione, sono una prospettiva personale delle cose, per questo bisogna esitare prima di definire qualche conclusione come universalmente vera e valida. Il pensiero di Zhuangzi può essere considerato anche precursore del prospettivismo. Il suo pluralismo lo ha portato anche a dubitare delle basi degli argomenti pragmatici sino a mettere in discussione i presupposti che la vita sia positiva e la morte negativa. Un altro esempio è quello dell’inesistenza di uno standard universale di bellezza.
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Ibidem
- Brook Ziporyn. Zhuangzi: The Complete Writings (English Edition). Hackett Publishing Company, Inc. March 1, 2020.
- Ibidem
- Ibidem
- Christine Abigail L Tan. Freedom’s Frailty. Self-Realization in the Neo-Daoist Philosophy of Guo Xiang’s Zhuangzi. Suny Press, 2024.
- Ibidem
- La preclusione dell’identità è uno stato psicologico, secondo il modello di James Marcia, in cui un individuo ha preso impegni su valori, obiettivi e ruoli senza aver prima esplorato criticamente le alternative possibili, arrivando a una decisione senza un vero e proprio processo di scelta o crisi. Questo stato differisce dalla diffusione (mancanza di impegno e esplorazione) e dalla moratoria (esplorazione senza impegno), portando a un’identità stabile ma non sviluppata attraverso la scelta. Questo modello è spesso applicato per comprendere lo sviluppo dell’identità durante l’adolescenza e l’età adulta, ma il concetto può essere esteso anche ad altri contesti e fasi della vita.
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Christine Abigail L Tan. op. cit. 2024.
- Ibidem
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Brook Ziporyn. op. cit. March 1, 2020.
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Christine Abigail L Tan. op. cit. 2024.
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Ibidem
- Ibidem
- Brook Ziporyn. op. cit. March 1, 2020.
- Christine Abigail L Tan. op. cit. 2024.
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Ibidem
- Christine Abigail L Tan. op. cit. 2024.
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Ibidem
- Ibidem
- Ibidem
- Kwame Anthony Appiah. Cosmopolitanism – Ethics in a world of strangers, 2006; trad. it. Cosmopolitismo – L’etica in un mondo di estranei, 2007.
- Kwame Anthony Appiah. La menzogna dell’identità. Come riconoscere le false verità che ci dividono in tribù. Giangiacomo Feltrinelli, 2019.
- Ibidem
- Ibidem
- Kuang-Ming Wu. The Butterfly As Companion: Meditations on the First Three Chapters of the Chuang Tzu. State of New York University Press, 1990.
- Alexander Douglas. op. cit. 19 June 2025.
- Kwame Anthony Appiah. op. cit. 2006.








