Giorgio Israel e l’Umanesimo in medicina

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17 Gennaio, 2023
Tempo di lettura: 9 minuti

Giorgio Israel (Roma 1945-2015) è stato uno storico della scienza, matematico, epistemologo.

I nemici della scienza

Incubi postmoderni e tirannia della tecnoscienza sono le due minacce a salvaguardia dalle quali Israel ripropone un razionalismo aperto, critico, costruttivo. Dove l’illuminismo rischia di degenerare in positivismo scientista ed il romanticismo in integralismo totalitario, occorre ritrovare la radice umanistica dell’uno e dell’altro. Il fossato che ogni volta si ricrea tra cultura scientifica ed umanistica va a detrimento dell’una e dell’altra.

Ci sono molte insidie e pericoli nell’instaurarsi di una società ipertecnologica ma con un diffuso analfabetismo scientifico. Sono molti, del resto, gli iscritti ai corsi di Ingegneria, pochi quelli alle facoltà scientifiche basilari, di teoria prima che di applicazione tecnica. La scienza come impresa conoscitiva è relativamente poco incoraggiata. Scientismo ed egemonia della tecnoscienza sono tra i principali nemici della scienza.

Pensare in matematica. Matematica e realtà

Israel, anche attraverso la sua attività di formatore dei futuri maestri di matematica nella scuola primaria, rivendica alla matematica di fondarsi su questioni cruciali della conoscenza. “Al maestro si chiede – quasi più che a qualsiasi altro insegnante di matematica – di aver penetrato a fondo il senso dei concetti della matematica, del suo operare, di aver compreso la complessità di una disciplina che non è “procedurale” ma neppure logica pura, o sinonimo del pensiero razionale; di una disciplina che ha un rapporto profondo con lo studio della natura ma non si identifica con esso; della disciplina scientifica che ha raccolto la sfida di manipolare il concetto di infinito.” La matematica ha una rigorosa struttura assiomatica, ma non si identifica con la logica; è l’indiscusso e imprescindibile metodo della fisica, ma non ad essa può ridursi la conoscenza della natura. La matematica è per certi aspetti scienza dell’infinito.

“Questo tema evoca lo stretto rapporto che la matematica ha con la filosofia e, più in generale, con la cultura, rapporto che ruota attorno al tema della ricerca della verità e della conoscenza del mondo.” Pedagogicamente il carattere simbolico ed astratto della matematica è una risorsa, non un ostacolo da aggirare.

La considerazione della matematica non può peraltro prescindere dalla storia della scienza. E l’ipotesi già galileiana che il mondo sia matematico, deve fare i conti con l’incompiuto tentativo di Hilbert di mostrare coerenza e veridicità della matematica. Oltre che fare i conti con l’elettromagnetismo, la termodinamica, la biologia, la teoria della relatività, la meccanica quantistica. Tutti elementi che hanno contribuito a far perdere la certezza che il linguaggio della matematica fosse realmente il linguaggio della natura. La matematica ha un’origine intuitiva ovvero scaturisce da una convinzione a priori. Pertanto “non è neppure possibile presentare la matematica come la scienza che svela le strutture segrete e semplici della natura, come il linguaggio delle leggi naturali, perché ormai sappiamo che il rapporto tra matematica e natura è molto più indiretto e complicato e che la natura non è semplice come si credeva.”

Non deve più essere considerato certo e necessario l’isomorfismo tra realtà e matematica, ma la versatilità della matematica nell’offrire modelli di comprensione è una risorsa per trovare analogie tra differenti campi del sapere. I modelli matematici possono “dare una risposta scientifica rigorosa a problemi complicati e irrisolti”. Non che si debba matematizzare o ridurre a grandezze quantitative ogni aspetto della realtà: ma la matematica fa parte di quel processo di revisione di alcuni paradigmi della scienza moderna da parte della cultura in generale. “Pertanto, un approccio umanistico significa anche salvare la specificità della ricchezza concettuale della matematica nelle sue relazioni con tutte le altre attività conoscitive umane, anziché impoverirla nel tentativo fallimentare di farle assorbire ogni aspetto della realtà”

Se guardiamo alla sfera della vita ed a quella dei rapporti interumani, il mondo non è matematico. Che l’emergenza di sistemi complessi debba richiedere un linguaggio altro che matematico, è un invito a tenere in considerazione i confini ed a far dialogare la scienza meccanica matematica e la conoscenza più propria di una cultura umanista. “La consapevolezza va al di là del meccanismo. È un fenomeno primario. È una proprietà irriducibile della realtà.” (Israel cita Federico Faggin, ideatore del primo microchip e ricercatore nel campo della robotica). “Un neo-umanesimo postdigitale è necessario”.

Contro le visioni meccaniciste dell’uomo

Considerare l’uomo alla stregua di una macchina è il culmine di una concezione meccanicistica della realtà, che tuttavia – Israel cita Popper – oltre ad essere erronea, tende a “minare un’etica umanista”. Materialismo e spiritualismo appaiono in tal senso teorie specularmente dogmatiche, oltrepassando quel razionalismo aperto e critico che è proprio di un approccio umanistico.

È l’uomo stesso che ha creato il mito di poter creare una macchina vivente ovvero una intelligenza artificiale. La moderna rivoluzione scientifica, anzi, áncora questa suggestione ai principi della fisica matematica.

La rivoluzione scientifica ha tolto all’uomo la centralità della Terra, ma gli ha conferito il potere di conoscere e trasformare la natura. Non tanto Newton, ma Cartesio è stato “il massimo interprete di due idee fondamentali della scienza moderna: l’onniscienza potenziale dell’uomo e la sua capacità (pure potenzialmente illimitata) di riprodurre e fabbricare gli oggetti naturali.”

Con Cartesio il meccanicismo giunge al culmine, insieme raffinato ed estremo. “Si tratta di un’idea che è alla base del meccanicismo contemporaneo e che ne ispira il duplice movimento: da un lato, costruire macchine sempre più miniaturizzate che assomiglino al corpo umano, o almeno a quella sua parte privilegiata che è il cervello; dall’altro, procedere sempre più in profondità verso la determinazione dei costituenti elementari puramente fisici del funzionamento del corpo umano, in modo da non lasciar posto all’esistenza di una sostanza vitale, e così ridurre il corpo umano a una macchina”.  Anche le macchine naturali possono essere smontate e ricostruite. E se ci impadroniamo di questi principi geometrico-meccanici, possiamo costruire artificialmente macchine analoghe a quelle naturali. All’uomo conviene pensare a Dio come un orologiaio.

Il principio di inerzia, pensabile solo in uno spazio vuoto, diventa fondamento del mondo oggettivo. Una realtà oggettiva e assoluta esiste al di fuori di noi; e ad essa, che è infinita, intende approssimarsi la conoscenza del razionalismo meccanicista. La matematica sarebbe la garanzia di questa oggettivazione del mondo. “La matematizzazione appare come la via maestra per la costruzione di una scienza partecipe del vero”. Dal mondo oggettivo il soggetto è di fatto espulso, o meglio decantato nel mondo del puro pensiero. Il dualismo non è un banale errore di Cartesio, è la conseguenza del suo meccanicismo.

Nella storia della scienza tuttavia la termodinamica, l’elettromagnetismo e soprattutto la biologia evoluzionista operano delle significative curvature nel paradigma meccanicista. “Agli inizi del Novecento la macchina vivente appare sempre più come una macchina di natura fisico-chimica composta di strutture molecolari elementari, se pure estremamente complessa, e governata da principi adattativi e auto-adattativi”.  Si arriva poi fino all’idea dell’identità tra cervello e calcolatore, base fondante della teoria dell’intelligenza artificiale. In una qualche sinergia con gli sviluppi della biologia molecolare. “La macchina vivente è quindi vista prevalentemente come una macchina molecolare basata su principi di carattere informatico”.

  “La scienza ha bisogno assoluto di ipotesi metafisiche per procedere”.  E quella dell’uomo-macchina è stata anche foriera di risultati utili. L’uomo è anche una macchina. Ma sarebbe evidentemente riduttivo limitarsi a questo aspetto. “Sappiamo… che l’uomo è luogo e soggetto di un gran numero di altre attività – mentali, sociali – che sono state e sono temi di discipline corrispondenti, come la psicologia, le scienze sociali ed economiche, e altre forme di conoscenza meno formalizzate, fino alla letteratura e all’arte”.  “Il problema nasce quando ci si pone l’obiettivo di far evaporare queste altre forme di conoscenza e di ridurle a un’analisi confinata agli aspetti puramente materiali (meccanici, fisico-chimici), includendo in essa la riduzione dei processi mentali a un’attività meramente logico-matematica o di trasmissione di informazione in termini formalizzati”.  Discutibili derivati dell’uomo-macchina sono l’homo suffragans, l’homo oeconomicus, l’homo ludens. Questo atomismo psicologico e sociologico non tiene conto della non linearità di fenomeni complessi, dei meccanismi di autoregolazione e di omeostasi.

  Il significato di un avvenimento non può essere ridotto alla sua spiegazione fisico-matematica. Materialismo e spiritualismo sono entrambe ipotesi metafisiche. Tra l’una e l’altra si definisce il luogo del progresso della conoscenza, della cultura di un razionalismo critico ed aperto. Quello che rischia di irrigidirsi in un dualismo ontologico, dovrebbe piuttosto slittare in un costruttivo dualismo semantico. Per parlare con differenti linguaggi di due aspetti della realtà che sono paralleli più che antitetici.

In definitiva le macchine hanno comunque bisogno dell’assistenza dell’uomo, mentre l’uomo non può minimamente trarre dalle macchine la definizione del senso della sua esistenza. L’intenzionalità che caratterizza l’agire umano non è riducibile al formalismo matematico che descrive il funzionamento di una macchina. Meno di quanto già il finalismo fosse riducibile al meccanicismo. Il dinamismo della vita non può neppure essere ridotto al mantenimento di uno stato di equilibrio, che significherebbe morte e decadenza, ma anzi va compreso come la scelta e la tensione verso un sempre nuovo stato di squilibrio. Né l’entropia né un’idea economica di equilibrio possono essere spiegazioni soddisfacenti del vivente. La stessa omeostasi presuppone un momento in cui l’equilibrio si rompe per poi cercare di ricomporsi in una maniera differente.

Per una medicina umanistica

I grandi progressi della chimica farmacologica, delle tecnologie diagnostiche, della biologia molecolare e genetica sono innegabilmente un momento importante nella storia della medicina. Tuttavia “la trasformazione della medicina in una scienza esatta comporta necessariamente la sottovalutazione delle componenti soggettive e di relazione”. E l’ineludibile modello delle scienze esatte sarebbe quello delle scienze fisico-matematiche.

Ma l’attenzione rigorosa alla cura di una persona “ha come condizione imprescindibile il rigetto di ogni forma di riduzionismo, tanto più se meccanicistico”. “Difendere il valore umanistico della medicina non è quindi soltanto un’istanza morale, ma significa affermarne il valore conoscitivo e pratico in tutta la sua pienezza”.

Bisognerebbe già intanto riandare alla medicina ippocratica, alla concezione originaria greca di cosa debba intendersi per physis. “La physis greca non è un mondo di oggetti bensì un mondo di processi vitali e la sua normalità e salute non è uno stato di equilibrio caratterizzato dall’assestarsi dell’organismo attorno a determinati parametri quantitativi bensì la coesistenza armoniosa e non conflittuale di quei processi”.  Ad una medicina qualitativa, che descrive le patologie nei termini dei prefissi “a” e “dis”, si vorrebbe invece sostituire una medicina quantitativa, caratterizzata dai prefissi “ipo” e “iper”. La malattia anziché essere inquadrata come un processo dinamico, viene ridotta ad una variazione rispetto ai parametri normali. Al metodo scientifico è necessario “definire gli stati patologici come variazioni quantitative degli stati fisiologici”.

Alla concezione ottocentesca termodinamica dell’organismo, si è andata sostituendo una concezione di tipo cibernetico. Alla medicina ospedaliera si associa una medicina di laboratorio. “La nuova medicina mira a compensare le insufficienze della clinica tradizionale controllando rigorosamente, su base sperimentale, le ipotesi circa le relazioni di causalità che intervengono nei fenomeni osservati. L’esperimento è molto di più della mera osservazione perché mira a riprodurre i fenomeni in un contesto controllato”.

L’analisi quantitativa è anche quella per cui il padre della medicina moderna, Claude Bernard, distingueva il farmaco da un veleno in riferimento alla dose utilizzata. Così come nell’ omeostasi veniva riconosciuta la naturale tendenza di un organismo ad autoregolarsi. Veniva riconosciuta una saggezza del corpo.

D’altronde proprio Bernard ammonì che «il materialismo uccide l’arte e la poesia, il sentimento. Occorrono due cose, la scienza e l’arte, la ragione e il sentimento». E che “dobbiamo prendere le distanze allo stesso tempo da un’ipotesi vitalista e da un’ipotesi materialista”. La vita, comunque, non si differenzia dalla morte solamente per parametri quantitativi.

Nella versione cibernetica o genetica, è sempre il modello dell’uomo-macchina ad essere adottato. Ma “l’identificazione di ciò che caratterizza un essere umano come individuo vivente autonomo con la capacità di comportarsi in modo autoregolato rispetto a una serie di caratteristiche che definiscono il suo stato di normalità, rappresenta una riduzione drastica della concezione di persona quale viene suggerita dall’esperienza più comune ed evidente”.

“L’uomo non è un aggregato semplice di parti”. Una macchina mal funzionante continua ad obbedire alle leggi della fisica meccanica. Altro è invece il significato della malattia e della morte per una persona da curare. “Vivere è preferire e scegliere”. “Dove vi è vita vi è anche normatività, e questa normatività è irriducibile a principi di determinismo meccanico”. “Il medico-clinico non può rinunciare, senza menomare la propria professione, alla considerazione della specifica idea del vissuto, della salute e delle finalità della persona che ha di fronte.” “L’unico modo di realizzare la scientificità della medicina è di tener conto che il suo oggetto sono dei soggetti, e dei soggetti considerati nella loro individualità e particolarità, portatori di una storia personale situata in modo irripetibile nello spazio e nel tempo”.

“Un approccio radicalmente oggettivista alla medicina sostituisce all’idea di cura l’idea di riparazione, non ascolta più il malato e rende irrilevante il ruolo della clinica.” Claude Bernard non ha in vita sua curato un solo malato. “Sulla scena non è più presente alcun malato, bensì soltanto la malattia”.

“Troppi ragionano come se la scoperta di un nesso di correlazione implichi l’esistenza di un nesso di causalità”.  Ma il ragionamento clinico non è un ragionamento statistico. “Sapere è utile, sapere troppo e soprattutto dettagli di dubbia utilità o di difficile valutazione serve soltanto a una medicalizzazione dell’esistenza che rischia di trasformarla in un incubo”.

“La fuga in avanti verso la direzione aperta da Bernard – una medicina che aggredisce la malattia e non si occupa del malato e del suo sentirsi malato – per risolvere complessivamente ogni tipo di patologia, rischia di essere un grave errore”.  Non si tratta di disconoscere gli enormi progressi della medicina scientifica, si tratta piuttosto di restituire al rigore della medicina il ruolo imprescindibile della clinica. “La clinica, il giudizio ponderato del medico clinico, può avere il ruolo di moderare, e rendere più razionale, l’uso dei metodi di predizione dello stato presente e futuro delle persone”.

La malattia toglie gradi di libertà, ma la guarigione è un processo più dinamico e personale di una semplice restituito ad integrum.  Israel fa riferimento ad un antico testo, del 1934, La struttura dell’organismo, di Kurt Goldstein.  “Abbiamo appreso a non combattere sempre la febbre ma a considerare eventualmente un’elevazione della temperatura come una costante necessaria alla guarigione. Il nostro comportamento nei confronti di certe forme di pressione arteriosa o di certe modificazioni psichiche deve essere analogo […] non tutte le alterazioni della norma sono segni di malattia, ma talune di esse hanno il valore di mezzi di protezione contro certi pericoli provocati da una modificazione ineluttabile”.  Non possono comunque essere parametri quantitativi a rendere una vita degna di essere vissuta.

“La scientificità della medicina non può essere la stessa di quella della fisica”.  Una medicina che sia scienza ed arte, deve risolutamente essere umanistica.

  

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