Jacques Monod: tra Libertà e Contingenza

NEWSLETTER

Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere tutti gli aggiornamenti.

16 Luglio, 2024
Tempo di lettura: 5 minuti

Jacques Monod (1910-1976) è stato un biologo e filosofo francese, vincitore del Nobel per la Medicina nel 1965, il cui piccolo scritto del 1970 Il caso e la necessità costituisce un testo imprescindibile per molte delle questioni di Filosofia della Biologia.

Il caso e la necessità

Acuto ricercatore ed estimatore dell’oggettività della scienza, Monod ha voluto ad un tempo sgombrare dalla biologia ogni teoria che dal finalismo trascendesse in  poco attendibili teorie vitalistiche o animistiche; ma anche fare in modo che il linguaggio della fisica non restasse incapace di spiegare il mistero della vita, la sua complessità, la sua capacità di creare ordine a dispetto del Secondo Principio della Termodinamica.

La teoria molecolare del codice genetico è la grande novità della Biologia che può e deve ridefinirne tutti i concetti, a partire da quello stesso dell’evoluzione.
Monod propone di individuare tre proprietà che caratterizzano gli esseri viventi e li distinguono dal resto della natura: teleonomia cioè la loro capacità di progettare; morfogenesi autonoma cioè la loro capacità di realizzare da sé le forme che progettano; invarianza riproduttiva cioè la loro capacità di trasmettere le informazioni che necessariamente danno struttura a quelle forme.

Questi aspetti non devono più essere visti in contraddizione tra loro. “Stabiliremo arbitrariamente che il progetto teleonomico essenziale consiste nella trasmissione, da una generazione all’altra, del contenuto di invarianza caratteristico della specie.” Dal punto di visto chimico, l’invarianza si riferisce agli acidi nucleici, la teleonomia alle proteine.

La vita rappresenta un ordine al tempo stesso contingente: la biosfera è un evento compatibile con le leggi della fisica ma assolutamente imprevedibile se non improbabile; ma d’altronde necessario nel modo in cui si determinano da un punto di vista molecolare la sintesi e la interazione delle proteine. L’informazione del codice genetico equivale all’entropia negativa che rende possibile ed anzi per certi aspetti necessario l’ordine della vita. “Diventa possibile comprendere in quale senso, molto reale, l’organismo trascenda effettivamente, pur non trasgredendovi, le leggi fisiche, per essere solo promozione e realizzazione del proprio progetto.”

C’è un ordine microscopico, basato in ultima analisi “sulle proprietà di riconoscimento stereospecifico di cui sono dotate le proteine”; esso potrà poi manifestarsi in strutture macroscopiche. C’è un processo spontaneo di riconoscimento estremamente specifico, che sistematicamente crea ordine dal disordine. “A partire da un miscuglio disordinato di molecole individualmente prive di qualsiasi attività, di qualsiasi proprietà funzionale intrinseca, eccettuata quella di riconoscere i partner con i quali costituire la struttura, si ha la ‘comparsa’ di ordine, di differenziamento strutturale, di acquisizione di funzioni.”

Un’interpretazione univoca si impone di un messaggio parzialmente equivoco a priori: “tra tutte le strutture possibili, una sola è effettivamente realizzabile”. “Il caso è captato, conservato e riprodotto dal meccanismo dell’invarianza e trasformato in ordine, regola, necessità”.

Sulla casualità delle modificazioni genetiche, di cui pure poi l’evoluzione delle specie sa trarre vantaggio, Darwin aveva già detto una parola definitiva, che la biogenetica molecolare oggi è in grado oggettivamente di spiegare. “Queste alterazioni sono accidentali, avvengono a caso. E poiché esse rappresentano la sola fonte possibile di modificazione del testo genetico, a sua volta unico depositario delle strutture ereditarie dell’organismo, ne consegue necessariamente che soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione: oggi questa nozione centrale della Biologia non è più un’ipotesi fra le molte possibili o perlomeno concepibili, ma è la sola concepibile in quanto è l’unica compatibile con la realtà quale ce la mostrano l’osservazione e l’esperienza.”

“Una volta inscritto nella struttura del DNA, l’avvenimento singolare, e in quanto tale essenzialmente imprevedibile, verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e trasposto in milioni o miliardi di esemplari.
Uscito dall’ambito del puro caso, esso entra in quello della necessità, delle più inesorabili determinazioni. La selezione opera in effetti in scala macroscopica, cioè a livello dell’organismo.” Non, come è stato impropriamente detto, la lotta per la vita: ma “il tasso differenziale di riproduzione in seno ad una specie” è ogni volta la conferma di come la vita sappia evolversi, di come la selezione, da sola, “abbia potuto trarre da una fonte di rumore tutte le musiche della biosfera”. Da errori di duplicazione o trascrizione ogni nuovo ordine evolutivo.

È un falso dilemma contrapporre invarianza e perturbazioni, innatismo ed empirismo. “Quando il comportamento implica elementi acquisiti dall’esperienza, questi elementi sono tali in quanto seguono un programma che è il solo ad essere innato, cioè geneticamente determinato”. Ma quindi a loro modo hanno ragione anche gli empiristi. “È perfettamente vero che, negli esseri viventi, tutto deriva dall’esperienza, compreso l’innatismo genetico, sia quello riguardante il comportamento stereotipato delle api oppure quello degli schemi innati della conoscenza umana. Ma non si tratta dell’esperienza reale che si rinnova per ogni individuo, a ogni generazione, bensì di quella accumulata dall’intera ascendenza della specie nel corso della sua evoluzione.”

Lo stesso dualismo tra corpo ed anima, tra materia e spirito, può essere riconsiderato e ridefinito. “Rinunciare all’illusione che vede nell’anima una ‘sostanza’ immateriale non significa negare la sua esistenza, ma al contrario cominciare a riconoscere la complessità, la ricchezza, l’insondabile profondità del retaggio genetico e culturale, al pari dell’esperienza personale, cosciente o no, che costituiscono nell’insieme il nostro essere, unico e innegabile testimone di se stesso.”

Alla fine del suo saggio Monod, amico intimo peraltro del filosofo esistenzialista Albert Camus, mostra anche la sua natura di filosofo pessimista, intravedendo nell’evoluzione sempre più culturale e sempre meno naturale dell’uomo, il rischio di una degenerazione, di un processo in cui l’evoluzione non sia più in grado di premiare il più adatto. “Le condizioni non selettive, o selettive a ritroso, che regnano nelle società progredite rappresentano, per la specie, un pericolo certo.”

Il discorso di Monod diventa cupo, evocando come una sorta di Regno delle tenebre, quello in cui l’uomo sia in grado di proteggere i suoi rappresentanti più inetti, ed in cui sia possibile che si delinei una sorta di male dell’anima, un malinteso rapporto tra l’uomo e la natura, in cui l’uomo non riconosca più nella natura stessa i suoi limiti. Un esito infausto, un po’ quello della condizione di Sisifo su cui Albert Camus aveva scritto un saggio, a cui poter porre rimedio. “Il prestigioso sviluppo della conoscenza da tre secoli a questa parte impone all’uomo contemporaneo un’angosciosa revisione del concetto di se stesso e del suo rapporto con l’universo, concetto ormai radicato in lui da decine di migliaia di anni.”

L’uomo è un animale culturale, ed a placare la sua conseguente angoscia di fronte all’universo della non è sufficiente l’oggettività scienza. “La scelta, inconsapevole all’origine, di una pratica scientifica, ha indirizzato l’evoluzione culturale in una via a senso unico; traiettoria che, secondo le affermazioni del progressismo scientistico del XIX secolo, doveva inevitabilmente sfociare in uno sviluppo prodigioso dell’umanità mentre vediamo oggi spalancarsi innanzi a noi un tenebroso abisso.”

L’etica della conoscenza

La via d’uscita indicata da Monod è quella che lui chiama un’etica della conoscenza, un fondarsi e rinsaldarsi della conoscenza, attraverso una scelta autonoma e consapevole, su priorità e motivazioni morali. “Nell’etica della conoscenza, la scelta etica di un valore primitivo fonda la conoscenza.”

“Per l’elevatezza stessa della sua ambizione, l’etica della conoscenza potrebbe forse soddisfare quest’esigenza di superamento. Essa definisce un valore trascendente, la conoscenza vera, e propone all’uomo non di servirsene ma ormai di servirla con una scelta deliberata e cosciente. Tuttavia essa è anche un umanesimo, poiché rispetta nell’uomo il creatore e il depositario di questa trascendenza.
L’etica della conoscenza è anche, in un certo senso, conoscenza dell’etica, delle pulsioni, delle passioni, delle esigenze e dei limiti dell’essere biologico. Nell’uomo essa sa riconoscere l’animale, non assurdo ma strano, prezioso per la sua stessa stranezza, essere che, appartenendo contemporaneamente a due regni – la biosfera e il regno delle idee – è al tempo stesso torturato e arricchito da questo dualismo lacerante che si esprime nell’arte, nella poesia e nell’amore umano.”

1 commento

  1. Ricordo che il dottor Monod fu un acerrimo nemico del compianto dottor Beliansky che ebbe l’unica colpa di aver dimostrato che il Nobel era stato attribuito per una scoperta falsa (la trascrittasi inversa esiste contrariamente a quanto affermato da Monod, confermato da altri studi quali quelli di Luc Montagner).
    Il dottor Beliansky allora ricercatore all’Institut Pasteur venne imprigionato con accuse ridicole e morì in prigione, con l’unica colpa di aver dimostrato che quel Nobel era immeritato.
    Per amore della verità.

Share This