Maxine Sheets-Johnstone, filosofa statunitense nata nel 1930, ha saputo condurre un’approfondita indagine – nella complementarità tra scienza e fenomenologia – di come il movimento sia alla base della coscienza, di come il cogito vada ricondotto ad un corpo senziente e semovente, di come il linguaggio, sia pure nelle sue astrazioni formali, derivi comunque – anche evolutivamente – dalle nostre emozioni. Il lògos è un carattere bio-logico. In principio era il movimento. Il movimento è la nostra madrelingua.
Le radici del pensiero
È il nostro corpo vivente che ha svolto la funzione di modello semantico. “La tesi che il pensiero sia modellato sul corpo è attualmente supportata dalla stessa evidenza che supporta l’evoluzione degli ominidi”. Il pensiero è modellato sul corpo, se questo venga non ridotto a mero comportamento ma inteso come esperienza tattile-cinestetica, come forma animata.
Dall’esperienza tattile-cinestetica scaturiscono nuove intuizioni, che si traducono in nuovi modi di pensare, che rendono possibili nuove percezioni. Ogni conoscenza è il riconoscimento di una precedente esperienza. I bambini, quando imparano a parlare, “riconoscono un mondo fino a quel momento non verbale in uno verbale”. Se il medium è il linguaggio, è perché anzitutto lo è il linguaggio del corpo. “Ciò che era – ed è – originariamente pensato, era – ed è – fondato su un lògos corporeo”. Sbagliano i relativisti a ritenere di non poter ritrovare questa origine comune, sbagliano i dualisti a considerare la mente finalmente come qualcosa di separato dal corpo. “Una bona fide antropologia filosofica richiede uno studio dell’evoluzione degli esseri umani ed al tempo stesso richiede un senso del corpo libero dai suoi tipici ormeggi cartesiani”. Non riconoscere quanto la vita sia incarnata in un corpo induce invece un senso di separatezza.
Le radici della moralità
Nel suo libro The Roots of Morality (2008) Maxine Sheets-Johnstone si propone di comprendere la moralità a partire dalla comprensione della natura umana, di quale esperienza sia propria alla natura umana.
Per Hume (Trattato sulla natura umana, 1739), che già aveva fondato l’etica sul sentimento umano più che sul rigore di una legge morale, l’uomo è meno egoista che simpatetico. Alla base, comunque, di entrambe queste due opposte inclinazioni, l’egoismo e l’empatia, c’è quell’esperienza propriamente umana, che è la paura della morte. “Quella umana è l’unica specie animale che sa di condurre una esistenza destinata a interrompersi. La consapevolezza che gli uomini hanno che la morte sia insuperabile è una formidabile e severa condanna a vita”.
Da questa fragilità discendono in fondo il male ed il bene, la guerra e la pace, i conflitti di potere e la naturale solidarietà.
Dalla natura dell’uomo può scaturire l’istinto di sopraffazione, la sua paura della morte convertirsi in una volontà omicida. Ma fa parte della nostra natura anche l’empatia che troviamo nella spontaneità con cui i bambini giocano tra di loro, nella fiducia, nell’accudimento reciproco.
“Se gli uomini si considerano nel complesso buoni e giusti, mentre la loro storia e la loro cultura testimoniano di azioni disgustose e letali, allora evidentemente gli uomini hanno ancora grandemente bisogno – ancora nel nostro ventunesimo secolo – di apprendere qualcosa al riguardo della loro natura”.
L’educazione gioca un ruolo importante. “In quale direzione l’intelligenza – e l’empatia – siano coltivate, ciò determina il vigore dei rami e a sua volta in quale direzione le radici della moralità crescono o meno”.
“È sicuramente il momento per l’Homo sapiens sapiens di lasciarsi alle spalle la ricerca di voler tutto dominare e di cominciare a coltivare e sviluppare la sua sapienza e la sua saggezza nell’intento di rivolgersi e di nutrire e di rafforzare quel preziosissimo muscolo che è il suo cuore”.
Fenomenologia della Danza
The Phenomenology of Dance è il titolo di uno scritto di MaxineSheets-Johnstone già apparso nel 1966, e poi più volte riedito.
La danza fa del movimento nello spazio e nel tempo una rappresentazione del mondo, che è una parte stessa del mondo che rappresenta. Il cuore della danza è d’altronde la cinestesia, la sensibilità propriocettiva di chi danza. È possibile riconoscere l’evoluzione da una consapevolezza del movimento in riferimento all’ambiente esterno verso una consapevolezza tutta interiore del movimento. La danza può in questo senso essere vista come un processo di crescita e di autorealizzazione. Oltre che ovviamente come una forma d’arte.
La danza è un’esperienza vivente, in cui è sospeso ogni giudizio o riflessione. Danza e Fenomenologia si richiamano l’una con l’altra. “Il significato di ogni danza diviene per noi vivo solo quando noi stessi abbiamo una esperienza vissuta della danza, non è il risultato né di una precedente conoscenza della danza né di un successivo sforzo di riflessione”. L’esperienza vissuta è di primaria importanza per giungere all’essenza della danza. Nulla è da presupporre prima di quella creativa manifestazione che è la danza. “Non c’è nulla in nessuna danza che esista prima della sua unica creazione.”
“La danza prende esattamente vita quando i danzatori sono implicitamente consapevoli di sé e la forma in quanto tale si muove attraverso di loro”. I danzatori sono completamente immersi in ciò che stanno creando. “I danzatori e la danza sono una sola cosa”.
L’unico approccio valido alla danza è perciò fenomenologico. “Approcciare la danza come una fenomenale presenza significa non presupporre nulla prima della sua immediata esperienza”.
E la fenomenologia sa farci scorgere come spazio e tempo siano fondati sull’originaria temporalità e spazialità della coscienza del corpo. C’è uno schema corporeo che è una proiezione fluida e mutevole del movimento del corpo come di una forma, una Gestalt. Noi siamo questo corpo-coscienza estatico, una originaria proiezione di sé fuori nello spazio e nel tempo. “La danza e il danzatore sono ciascuno in una relazione estatica; entrambi sono, spazialmente e temporalmente, il loro passato, presente e futuro, in modo da non essere nessuno di questi in nessun singolo luogo o momento; sono sempre danza e danzatore entrambi in volo, davanti e dietro di sé”.
Ciò che è peculiare della danza è di creare e di fare esperienza, attraverso il movimento del corpo, di un’illusione di forza. Il movimento è la rivelazione di una forza, la danza come simbolo evoca a sua volta la proiezione dinamica di una ulteriore forza virtuale. La danza crea un suo spazio ed un suo tempo.
La danza è una raffinata astrazione. “Attraverso l’astrazione le forme dell’umano sentire esistono in un nuovo contesto che è simbolico, ed il movimento esiste in un nuovo contesto che è espressivo in modo simbolico piuttosto che sintomatico o referenziale”. La danza rivela la forma assolutamente dinamica delle nostre emozioni. Anzi, ciò di cui ne va nella danza sono le nostre emozioni come puri fenomeni, prima ancora che noi possiamo averle formulate nel linguaggio. Le emozioni trovano nella danza la loro forma assoluta e libera.
La danza astrae le emozioni dal loro contesto e le esprime attraverso il movimento. “Sebbene possa sicuramente servire come impulso di una danza, un’idea deve essere trasformata in movimento, dal momento che la danza è movimento e solo movimento dall’inizio alla fine”.
L’approccio fenomenologico alla danza ne riconosce finalmente la sua natura espressiva come arte, ed il suo alto valore che è educativo, se non anche terapeutico.