La pubblicazione nel 1975 di Against Method di Paul Feyerabend riscosse immediato successo, ma provocò anche sconcerto ed aspre critiche, facendone un enfant terrible del pensiero contemporaneo. Fu un evento di rottura oltre che un libro, l’autore venendo adorato dai giovani, esecrato dall’establishment. Un autore che scrisse di preferire che il lettore si facesse di lui un immagine come di un irriverente dadaista, piuttosto che di un serio anarchico. Così Feyerabend si rivolge al lettore: “Voglio che tu percepisca caos dove dapprima rilevavi un’ordinata disposizione di cose e processi ben disciplinati.”
La Scienza in una società libera
“La scienza va protetta dalle ideologie; e le società, specie le società democratiche, vanno protette dalla scienza”: questo è il geniale programma enunciato nella prefazione a Contro il Metodo. La Scienza va rispettata ma non va considerata come l’unica e sola strada verso la verità e la realtà. Il Metodo non è la retta via, ma è anche saper zigzagare. Non c’è una lineare Storia della Scienza tracciata da un Unico Metodo, ma dei trucchi più o meno riusciti che ci hanno di volta in volta avvicinato alla verità e alla realtà.
Non ci sono procedure indipendenti dalle situazioni di ricerca. Se in taluni casi può andar bene una spiegazione meccanica, in altri è necessario un approccio topologico, qualitativo. “La quantificazione funziona in alcuni casi, fallisce in altri”.
Se un malinteso Razionalismo porta ad una scorretta idealizzazione della scienza occidentale, è vero invece che esistono molti generi diversi di scienza. Democratizzare la scienza significa anche giudicarla dai suoi effetti; quelli della scienza occidentale assunta come metodo universale sono trionfali, ma anche per alcuni aspetti distruttivi. Ben venga dunque che la scienza occidentale non sia l’unica ad avere cose buone da offrire. Tanto più se la Ragione diviene un gioco di potere ed un’arma distruttiva. “La scienza occidentale finora ha creato gli strumenti di morte più efficienti.”
Ci sono stati modi ingegnosi e armoniosi di conoscere per vivere meglio, i quali sono stati travolti dal Metodo Unico di un malinteso Razionalismo. “Il progresso della conoscenza e della civilizzazione– così viene chiamato il processo di diffusione dei valori occidentali a tutti gli angoli del globo – ha distrutto questi stupendi prodotti dell’ingegno e della compassione umani senza nemmeno degnarli di uno sguardo.”
Ambiguità e armonia
Scrive Francesca Castellani nell’introduzione all’edizione italiana del testo di un ciclo di lezioni che Feyerabend tenne a Trento nel 1992: “Se valutiamo il successo in base alla capacità di migliorare la vita delle persone, rendendole più capaci di amare, meno egoiste, promuovendo la giustizia, mettendo fine alle guerre e alla fame nel mondo, allora non possiamo più essere tanto sicuri che la scienza abbia avuto successo”.
Feyerabend è un filosofo della scienza che mette in campo non solo il lògos ma anche il pàthos. La conoscenza senza cuore è una cosa vuota.
Feyerabend teme che la scienza diventi esangue e priva di umanità, che diventi (Feyerabend cita Monod) un universo gelido di solitudine. Come se spiegare tutto neghi senso ad ogni cosa.
La vera utopia di Feyerabend è la democratizzazione della scienza, ossia quella di poterla considerare come un racconto a più voci della realtà in cui viviamo e di come vogliamo vivere in realtà. A questo scopo non servono competenze specifiche, ma una gioiosa educazione. “Supponiamo che ciò che accade nella nostra vita valga come dato da utilizzare nel nostro tentativo di esplorare il mondo”.
Il progresso della scienza dipende dall’esistenza di concezioni del mondo aperte. Invece l’economia come scienza, per esempio, vorrebbe imporsi ad altri modi tradizionali di trattare i fatti economici, con il rischio di “comportare una grave perdita di informazioni utili e un impoverimento della qualità della vita”.
La scienza vuole costitutivamente eliminare dalla natura i fattori di disturbo, manipolare e quasi torturare la natura, metterla – come diceva Bacone – sulla graticola. Ma la mappa non è il territorio, il laboratorio non è la vita. “La vita ha a che fare con sentimenti, legami, tradizioni”. Per la medicina, per esempio, il malato non può essere sostituito dalla nosografia.
Non che ovviamente la scienza debba essere messa da parte. Ma la scienza non dovrebbe mettere da parte ciò di cui si occupa. Un bosco, un campo hanno un delicato equilibrio ecologico. “Le generazioni che hanno vissuto in quella regione apprendendone le peculiarità e i ritmi vitali, che hanno immagazzinato questa conoscenza negli occhi, negli orecchi, nell’olfatto, nella sensibilità, nella mente, nelle storie che si raccontano nella comunità, in breve, coloro che hanno immagazzinato questa conoscenza non solo nella mente ma nell’intero loro essere possiedono informazioni che non sono contenute nei risultati di una perizia scientifica”.
“Perciò, non abbiamo più bisogno di un’applicazione della scienza sempre più aggressiva che tratta da deficienti i diretti interessati, ma di una più stretta collaborazione tra gli esperti e le persone il cui ambiente questi esperti vogliono giudicare, cambiare, migliorare”.
Conoscenza e Libertà
Anything goes, il “tutto va bene” in cui è potuto essere stato semplificato l’Addio alla Ragione di Feyerabend, “non è la proposta di un inedito principio di parità metodologica ma la parodia di un principio”. Così si legge nell’introduzione (di Matteo Collodel e Luca Guzzardi) ad un volume che recentemente (2024) ha voluto riproporre alcuni scritti di Feyerabend, sotto il titolo di Conoscenza e Libertà.
E’ un’esclamazione liberatoria, quella di Feyerabend. L’armonia che egli cerca sta nella spinta giocosa di fattori che spingano pure in direzioni differenti. “Ogni bambino deve essere protetto dalla verità così come dalle falsità, altrimenti non sarà mai in grado di decidere liberamente e magari di superare gli errori del suo tempo”.
Una società libera non ha particolarmente bisogno di esperti. “Ho un’ottima opinione della scienza, ma una scarsa considerazione degli esperti”. “Un esperto è un uomo, o una donna, che ha deciso di raggiungere l’eccellenza, l’eccellenza suprema in un campo ristretto a scapito di uno sviluppo equilibrato”.
Una società tecnocratica non è una società libera. “Le emozioni diventano rozze e irriflesse, così come i pensieri diventano freddi e disumani”. Segno ne è il linguaggio utilizzato dagli esperti: freddo, distaccato, arido, impoverito di ogni vivida esperienza. “Gli uomini pensano, ma sono anche capaci di emozioni”: gli esperti invece sistematicamente le rimuovono, le espungono dal loro modo di comunicare.
Perciò l’addestramento di esperti ha qualcosa di deprimente. “Gli esperti di oggi sono eccellenti, utili, insostituibili, ma soprattutto schiavi cattivi, competitivi e ingenerosi, schiavi nella mentalità, nel discorso e nella posizione sociale”.
Per fortuna: “Ci sono, naturalmente, menestrelli erranti che cercano di ammaliare gli spettatori lodando le bellezze della scienza, le gioie della scoperta, il carattere essenzialmente umano della ricerca della conoscenza e della verità”.
Il paradosso di molti scienziati è invece che in nome dell’empirismo, fanno a meno e riducono ai minimi termini proprio l’esperienza. Che già Aristotele definiva come qualcosa di complesso ed articolato, di irriducibile: “L’esperienza, secondo Aristotele, è ciò che percepiamo in circostanze normali, quando i nostri sensi funzionano a dovere, e che poi descriviamo in un idioma familiare a tutti”. Un esperimento può essere epistologicamente dirimente, presentare un fenomeno senza alcuna interferenza: ma non può diventare l’unica esperienza possibile.
Ma ancor peggio: la burocratizzazione della scienza la avvilisce in minuzie senza senso; oppure il metodo di ricerca la rende algida e decontestualizzata.
“Il punto non è che un ospedale debba assumere delle streghe da affiancare ai medici qualificati”. Il punto è che la scienza o è radicalmente democratica, accogliendo anche le idee ragionevoli di profani o di altre pratiche di conoscenza; oppure si trasforma in una deleteria tecnocrazia, specialistica e solo parzialmente utile. “Le singole professioni hanno spesso una visione particolare e alquanto ristretta della loro materia. I medici si occupano solo di alcuni aspetti dell’uomo, si concentrano sulla sfera fisica, ed è dunque possibile che manchino di conoscenze raccolte da alcuni non professionisti”.
Alla scienza il confronto non può che giovare: “Renderà il loro linguaggio più umano: renderà loro più umani”.
In conclusione riporto il modo in cui Feyerabend conclude la sua autobiografia, Ammazzando il tempo (1995): “Mi preoccupo che dopo la mia dipartita resti qualcosa di me: non saggi, non dichiarazioni filosofiche definitive, ma amore.”