Etienne Souriau e l’arte della similitudine

15 Agosto, 2023
Tempo di lettura: 5 minuti

Etienne Souriau (Lille 1892, Parigi 1979) è un poco noto filosofo francese, che ha avuto un ruolo molto importante nell’estetica del Novecento. “Pensatore inclassificabile, considera la filosofia una forma vitale in grado di unificare tutte le arti” (dalla presentazione dell’editore italiano Mimesis). Vogliamo qui proporre due esempi di un suo rigoroso pensiero analogico, quel pensiero che argomenta non in base al principio di identità ma in riferimento a rapporti di somiglianza. Secondo quel principio di similitudine che è fondamentale in Omeopatia.

Il senso artistico degli animali

Il senso artistico degli animali è uno scritto del 1965. Facendo ammenda del peccato originale della filosofia moderna razionalista di Cartesio, che equiparava gli animali a macchine, Souriau propone invece una comparazione degli animali, rispetto al loro senso artistico, non solo con gli uomini, ma anche con le piante. Queste ultime rivelano in tutto il loro manifestarsi, senza quasi esserne attrici attive, la bellezza come magia delle apparenze, come – direbbe Bergson – slancio vitale della natura. “Si potrebbe parlare di un istinto artistico della vita”.  L’evoluzione si concede il lusso della bellezza, dell’inventività combinatoria, dello stile. E già Darwin aveva correlato questo adattamento apparentemente inutile e superfluo alla sessualità.

Gli animali hanno senz’altro una sensibilità emissiva (il ragno opera e si riconosce nell’ordito della sua tela), più dubbio è se abbiano una sensibilità ricettiva, che presuppone l’instaurazione di un più elevato e raffinato ordine simbolico. “Delle due sensibilità, quella emissiva è di gran lunga la più profonda, la più ardente”. C’è più intensità nel fare un’opera d’arte che nel guardarla. E tuttavia “la sensibilità ricettiva, più critica in quanto meno ardente, è, per certi aspetti, di più vasta portata dell’altra, in quanto può confrontare, cosa che la sensibilità emissiva non fa mai”.

Una sensibilità artistica degli animali, che le piante non hanno, è la giocosità del movimento. “Libero dalle norme dell’utilità, il movimento può restare privo di organizzazione. È un puro e semplice rilassamento senza legge né ordine. Così, appena liberato dal guinzaglio, il cane sulla spiaggia, eccitato dall’aria viva e dal tumulto delle onde, si mette a correre a caso, ad abbaiare senza motivo, ad andare e venire a tutta velocità. Ma presto i suoi movimenti e le sue azioni si organizzano; messe da parte le norme dell’utilità pratica, sembra che la messa in forma non abbia più altra legge che norme quasi estetiche. Il nostro cane sulla spiaggia si mette a giocare davvero”. Il cane si avvicina al gusto, propriamente umano, della finzione, ma il suo punto di partenza è una sorta di entusiasmo del corpo. “L’animale sa mentire”- sa usare un linguaggio simbolico – “particolarmente nei cerimoniali di accoppiamento”. L’animale conosce le mimiche di minaccia e di sottomissione, ha un istinto di teatralità. “L’animale vive l’esteticità della propria esistenza”- tuttavia – “non se ne fa cantore”.

L’intento di questo confronto non è fare dell’antropomorfismo osservando gli animali. Semmai il contrario. “Non è male fare occasionalmente un po’ di zoomorfismo osservando gli uomini, per conoscerli bene.” E per restituire al senso artistico degli uomini il suo carattere naturale, e non solamente artificiale. “Per quanto ne dicano coloro che vorrebbero fare dell’arte un fiore di serra, e della sensibilità estetica unicamente un’introduzione ai paradisi artificiali, in realtà questi mezzi di trasfigurare la vita sono dati dalla vita stessa”.

L’importanza di questa considerazione travalica i confini dell’estetica. “L’uomo di oggi ama ripetersi di essere divenuto non solo padrone del mondo, ma padrone del suo destino. E questo errore, questa ingratitudine verso la vita, può costargli caro. Checché ne pensi, egli è ancora profondamente e fondamentalmente tributario del modo in cui la vita, misteriosamente, agisce in lui, limita i suoi poteri e lavora a modo suo ai suoi destini. È bene che egli resti in armonia con essa.”

Corrispondenza delle arti

La correspondance des arts è uno scritto del 1947. “Cosa c’è in comune tra una cattedrale ed una sinfonia, tra un quadro ed un anfora, tra un film ed una poesia?”. Souriau cerca, attraverso una sorta di estetica comparata, una definizione rigorosa di ciò che renda arte ogni differente tipo di arte. Se il musicista pensa attraverso i suoni ed il pittore lo fa attraverso i colori, ci si chiede cosa rende analoghe queste diverse forme di espressione, presupponendo che nessuna forma d’arte sia superiore alle altre.

Già Walter Benjamin aveva indicato in una sorta di lingua originaria un archivio di somiglianze immateriali. Ed il secondo Wittgenstein invitava a studiare le familiarità tra i differenti giochi linguistici. L’intento di Souriau sembra essere quello di riportare il pensiero analogico a quella intuizione originaria della facoltà mimetica di un bambino che coglie qualcosa di essenziale e sembra poterlo esprimere in modi multiformi. Dietro cui può esserci il rigore della fenomenologia di una forma pura d’arte. “Poiché l’arte non è solo il pensiero in qualche maniera privato e personale dell’artista, ma anche un insieme di esigenti necessità che a lui si impongono”.

Le differenti arti sono come lingue differenti “tra le quali l’imitazione esige traduzione”.

Ne va della definizione di cosa sia l’arte. Souriau propone di definirla come un processo instauratore, come la saggezza di portare alla luce qualcosa. La tecnica ha come obiettivo l’efficacia di un azione, l’arte l’essere di qualcosa che resta, e di cui la bellezza è solo l’impressione finale. Dunque anche nella natura c’è arte. “L’arte umana anzi si appoggia in ogni modo a questa arte naturale”. “E tuttavia, ciò facendo, se ne differenzia e la supera in ragione della sua libertà”.

L’arte è un’attività instauratrice pura. È un atto costitutivo, più o meno rappresentativo, o più o meno intrinsecamente autonomo. E riconoscere una forma pura d’arte, non significa ridurre l’estetica a formalismo. “La forma… appare come la manifestazione… di qualcosa di più intimo e creativo”.

Non c’è alcun velo da togliere. “Il velo stesso è cosa preziosa e degna d’amore”. Riabilitare le apparenze è farne l’oggetto del desiderio, rinunciando a che altro ci sia oltre che quelle apparenze. “Amanti innamorati del corpo che dà forma a questo velo, sollevate il velo; e di questo corpo, ancorché nudo, voi di nuovo non avrete – se ben ci pensate – che un vestito ancora di apparenze”. L’arte è fare del simulacro una cosa in sé preziosa, è tenerne insieme tutte le pieghe e sfaccettature in un tessuto con un unico ordito. “E tutto ciò che abita questi fantasmagorici edifici nasce da questa stessa fantasmagoria”. L’arte è autentica mistificazione.

C’è un’idea molto seria, edificativa, dietro questo elogio delle apparenze.  “Quando la lira di Anfione è ben accordata, la città che viene costruita secondo quella sua armonia ha delle mura dritte e degli abitanti sani e saggi”.

“Ogni opera d’arte crea un universo”. La magia dell’arte fa sì che, sia pure provvisoriamente, questo universo sia la realtà in cui ci troviamo. La letteratura ha la possibilità “di far sorgere, nell’anima del lettore, una evocazione viva o coinvolgente, che si insinua o sorprende, e che soprattutto sia sfavillante di verità”. Il mondo di un’opera d’arte è reale, “e lo è forse a maggior ragione, se per realtà si intende  una qualità intrinseca delle cose che sono, e non il fatto che semplicemente stiano lì”. Solo l’arte conferisce senso e significato alle cose.

La domanda di fondo si definisce nella parte finale del saggio di Souriau. “In che modo possa sopraggiungere nell’arte una sorta di musica interiore dell’essere, con segrete confluenti armonie, accurate opposizioni, curiose transizioni, numerose eco, latenti profondità, multipli piani – insomma un’architettonica puramente estetica, che faccia da armatura spirituale del mondo che essa rappresenta e che pone come a se stessa sufficiente”.

L’arte è un’esperienza di verità. E questo presupposto è anche l’anelito di una filosofia spiritualista. Nell’arte “ritroviamo al lavoro i grandi atti stessi dello spirito puro, le stesse innate attitudini alla stregua di quei gesti spirituali sui quali si sostiene e si intesse l’ordine dell’universo”. Questi elementi immateriali sono forme. “Non la forma che rinchiude e conclude, ma quella che costruisce e promuove, che apre alla realtà”.

L’azione creatrice dell’arte, in cui si rincorrono il bello, il sublime, il grazioso, l’epico, il drammatico e tutto quanto altro, è finalmente un invito, se non un obbligo, a vivere la vita intensamente. “Non crediate di poter voi stessi esistere senza arte – senza in un qualche modo fare di voi (attraverso l’armonia, l’architettura, la ricca profondità e le indefinite eco verso una trascendenza) un capolavoro”. L’arte è anzitutto l’arte di vivere.

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