Schrödinger e il paradosso del gatto

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7 Febbraio, 2023
Tempo di lettura: 5 minuti

Schrödinger e il paradosso del gatto

Erwin Schrödinger (1887-1962) è stato un fisico austriaco, grande teorico della meccanica quantistica nella versione della meccanica ondulatoria. Porta il suo nome l’equazione della funzione d’onda del 1926.

Per non dover negare la certezza dell’esistenza di un gatto di cui io possa sia pure in termini probabilistici dire se sia vivo o sia morto, Schrödinger preferì pensare che possa esistere un gatto che sia al tempo stesso vivo e morto. Anziché legare l’esistenza del gatto in una scatola al momento in cui io aprendo la scatola ne possa determinare alcune qualità, meglio è secondo Schrödinger ritenere che il gatto nella scatola abbia già tutte le qualità possibili.

Per Heisenberg la probabilità è la misura di quello che non sappiamo, che deve rimanere indeterminato, compresa l’esistenza di qualcosa prima di quando la misuriamo. La funzione d’onda di Schrödinger determina invece l’evoluzione temporale dello stato di un sistema nei termini della probabilità che si palesi in una regione dello spazio. Un sistema viene descritto come una sovrapposizione di tutti gli stati possibili fino a quando la misurazione lo fa collassare. La funzione d’onda crolla, ed il risultato della misurazione sarà solo uno degli stati sovrapposti. Dopo una misura la nostra conoscenza aumenta, ma sappiamo descrivere quali siano prima gli stati possibili. Prima di essere in un punto, un elettrone è dappertutto nell’orbitale descritto dalla funzione d’onda. Di differenti stati incompatibili, ciascuno ha la sua probabilità.

La realtà esiste anche in assenza di misure, come infinite possibilità, ovvero come sovrapposizione di stati contraddittori. Schrödinger rivendica l’esistenza della realtà, ma di quella particolare realtà che è la realtà quantistica. Una realtà in cui anche le correlazioni possono essere quantistiche, entanglement, sorrette da una causalità non lineare. Il paradosso EPR – Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen – ed il gatto di Schrödinger sono esperimenti mentali che, volendo dimostrare l’assurdità della realtà quantistica, hanno rivelato l’esistenza di una realtà quantistica incredibile e paradossale.

In una delle interpretazioni della meccanica quantistica, quella del paradosso dell’amico di Wigner, non è peraltro la semplice misurazione ma la coscienza a determinare il collasso della funzione d’onda. Ciò che spinse Jung a riferire l’entanglement al fenomeno psicologico della sincronicità.

Il limite della nostra conoscenza induce a dover descrivere la realtà come sovrapposizione di stati contraddittori, fino a che non ne abbiamo coscienza. Ovvero fino a quando l’interazione irreversibile fra i sistemi quantistici e l’ambiente esterno determina la perdita di coerenza della funzione d’onda.

Che cosa è la vita?

Ma le regole quantistiche probabilistiche si applicano agli esseri umani? Nel 1944 Schrödinger pubblica un saggio intitolato: Che cos’è la vita? In epigrafe troviamo una frase di Spinoza: “A nulla l’uomo pensa meno che alla morte; e la sua sapienza è una meditazione non della morte ma della vita”. Il tentativo di Schrödinger di dare una spiegazione fisica del fenomeno della vita darà origine alla biologia molecolare e indirizzerà Watson e Crick alla scoperta del codice genetico, del DNA. ”Alla luce delle conoscenze attuali, il meccanismo della ereditarietà è strettamente legato, anzi fondato, sulle stesse basi della teoria dei quanti”.

“La grande rivelazione della teoria dei quanti è consistita nello scoprire, nel libro della natura, dei caratteri di discontinuità in un contesto in cui qualsiasi cosa diversa dalla continuità sembrava assurda”. Un sistema deve configurarsi in un livello energetico discreto. Il passaggio da un livello all’altro è un salto quantico. Al più basso livello i nuclei sono strettamente ravvicinati, e gli atomi costituiscono una molecola. “Una molecola straordinariamente grossa… deve essere un capolavoro di ordine altamente differenziato, difesa dalla bacchetta magica della teoria dei quanti”. Tale per cui la naturale tendenza di un sistema all’equilibrio entropico venga sovvertito nel principio di stabilità della vita.

La materia vivente sfugge al decadimento verso stati di equilibrio. Quella forza vitale, che già era stata chiamata vis viva, entelechìa, è una entropia negativa. Il metabolismo del vivente trae continuamente questa entropia negativa dal suo ambiente. L’organizzazione si mantiene, estraendo “l’ordine” dall’ambienteÈ da attendersi che delle nuove leggi valgano per gli organismi. Questo è ancora il titolo di un paragrafo del libro di Schrödinger, all’inizio dell’ultimo capitolo, in epigrafe del quale leggiamo questa frase del filosofo spagnolo Miguel de Unamuno: “Se non si contraddice un uomo, sarà perché non dice mai nulla”.

Il “meccanismo” della vita è “interamente diverso dal meccanismo probabilistico della fisica”. La materia vivente sa trarre ordine, oltre che dal disordine, dall’ordine stesso. È questo un principio dinamico e non statistico, peraltro non del tutto nuovo alla fisica. È già quello, per esempio, di un orologio basato sulla trasmissione regolare degli impulsi elettrici da una centrale. Purché una molla lo ricarichi dell’energia dispersa a causa degli attriti. O che ci si trovi alla irraggiungibile temperatura zero.

Quando poi ci si riferisca ad un organismo biologico, la metafora dell’orologio assume in Schrödinger un afflato religioso: “il singolo ingranaggio non è ovviamente opera umana, ma è il più bel capolavoro mai compiuto da Dio, secondo le linee della meccanica quantistica”.

Mente e materia

Schrödinger non ha mai nascosto la sua predilezione ed attenzione per le questioni filosofiche relative alla storia ed ai concetti della fisica. Del 1956 è il suo saggio Mind and matter.

Posto che il mondo “non si manifesta per il solo fatto che esiste”, ma che la sua manifestazione “dipende da certi eventi che si verificano nel cervello”, la questione affrontata è: “che genere di processi materiali è associato direttamente con la coscienza?”

La coscienza può essere intesa come il più complesso ed ingegnoso dei meccanismi d’adattamento ai cambiamenti dell’ambiente. Ma il mondo: “Sarebbe esso rimasto altrimenti uno spettacolo davanti a panche vuote, non esistente per nessuno e dunque, propriamente parlando, inesistente?” È l’inizio della discussione del principio antropico. Altra questione poi è quella dei confini della coscienza: se le piante abbiano coscienza ovvero se tutti i fenomeni cerebrali siano o meno accompagnati dalla coscienza. Già Aristotele aveva distinto dall’anima razionale un’anima sensitiva ed una vegetativa.

Interessante l’interpretazione di Schrödinger: una sensazione, percezione o azione perde coscienza via via che si ripete uguale, che diventa abitudinaria. “Invadono la sfera cosciente solo quelle modificazioni o differenze che distinguono i nuovi avvenimenti dai precedenti”. Interpretazione già riscontrabile nello spiritualismo di Bergson. Ed infatti Schrödinger evoca il concetto introdotto da Richard Semon nel 1904, il concetto di mneme, di memoria organica.

“Il fatto è che solo le situazioni nuove e le reazioni nuove che esse suggeriscono sono illuminate dalla coscienza; ciò non succede più quando si tratta di situazioni e reazioni alle quali siamo bene assuefatti”.  La fisiologia respiratoria e cardiaca, ma anche alcune emozioni elementari non hanno bisogno della coscienza. E questo è vero anche nella filogenesi di reazioni che non hanno più per noi uomini significato, come il drizzarsi dei capelli sulla testa o la bocca secca per un’emozione intensa. Nei primi mesi di vita “nel bambino si svolge un’evoluzione stabilizzata in epoche remotissime”. “Lo sviluppo organico successivo comincia ad essere accompagnato dalla coscienza solo in quanto esistono organi che entrano un po’ alla volta in azione reciproca con l’ambiente”. La coscienza è associata con l’apprendimento. Invece “il suo saper agire è inconscio”.

Ne scaturisce qualche considerazione anche riferita all’etica, quanto meno ad un’etica del dovere fondata sul “saper vincere se stessi”. L’etica kantiana. “Donde proviene questo particolare contrasto tra io voglio e tu devi?” La nostra vita cosciente secondo Schrödinger “è effettivamente e inevitabilmente una lotta continua contro il nostro io primitivo”. Questa è la traccia di ogni nostra ulteriore evoluzione. “La resistenza della nostra volontà primitiva corrisponde nella psiche alla resistenza della forma preesistente allo scalpello trasformatore. Noi siamo dunque scalpello e statua, vincitori e vinti nello stesso tempo: si tratta di una vera e continua  vittoria su noi stessi”.  Apollineo contro dionisiaco.

L’evoluzione della coscienza deriva dall’interazione creativa con l’ambiente esterno. “Il mondo si rivela a se stesso solo quando e solo in quanto si sviluppa e dà vita a forme nuove”. “Coscienza e discordia con se stessi sono concatenate inseparabilmente”. Il teatro della nostra lotta interiore è anche lo spazio di una possibile evoluzione della nostra coscienza. Schrödinger azzarda “che siamo all’inizio d’una trasformazione biologica da un atteggiamento generale egoistico a uno altruistico”. Azzardo di un ottimismo agli albori della guerra fredda. Come Kant traeva buoni auspici dall’essere stata l’umanità spettatrice di un evento come quello della Rivoluzione Francese. E tuttavia noi sappiamo come la recrudescenza dei nazionalismi possa remare in direzione contraria. Come appunto Kant ha scritto: “Da un legno storto come quello di cui è fatto l’uomo, non si può costruire niente di perfettamente diritto”.

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