BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno X • Numero 37 • Marzo 2021
A proposito dell’assolutismo scientistico
A dieci anni dell’inizio del nostro progetto editoriale, BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena, dedicato a svelare dei retropalchi cognitivi e sociali in cui si convengono e istituiscono i termini in cui sono intese le nozioni di conoscenza1 e realtà2, rinnoviamo quest’impegno, ad un livello ancora più incisivo, dedicando l’attenzione editoriale del trimestrale al caso contro l’idea dell’apprensione3 di una realtà oggettiva universale e incontroversa.
Tale scelta è radicata nella convinzione di poter e voler offrire ai lettori una visione fuori dal pensiero unico delle camere d’eco4 del marketing della “realtà scientifica” che la nuova fase della psicopolitica e della biopolitica5, ora declinate in termini di gestione della pandemia, con i suoi accorgimenti di controllo politico-sanitari, ha inaugurato con la Covid19.
Certamente, questa nostra risposta a tale operazione riduzionistica del bio-potere si colloca distante dalle guerre tra i poteri economici finanziari e politici mondiali e locali, mascherate, oggi, da polemiche tra virologie e schieramenti politici. Infatti, ci interessa spingerci a considerare la tragica divina commedia con un respiro ampio, schiudendo, ancor di più, ai lettori interessati, delle nuove intuizioni emerse dallo scambio interdisciplinare tra neuroscienze, fisica quantistica e filosofia, elaborato nel contesto della condivisione del paradigma evoluzionista e della quantistica.
Due saranno le visioni che cercheremo di esporvi e circostanziarvi. Una, quella che considera la specie umana come famiglia degli ominidi dell’ordine dei primati che, esistendo nell’incertezza ma con un cervello strutturato e sviluppato, non può che muoversi ingaggiata nella predizione a favore della sua fitness,6cioè del suo successo riproduttivo e di sopravvivenza. L’altra, quella di una specie che elabora modelli di realtà adattiva a tale fitness, per cui non dovrebbe o potrebbe vedere l’allucinatorio eterogeneo flusso continuo dei fenomeni ma deve, effettivamente, attenersi ad una visione selettiva di conservazione,7 quasi come se nell’evoluzione si sia costituito un tabù per evitare la nostra deviazione nella follia o in comportamenti che mettano in pericolo la sopravvivenza individuale e del gruppo.
Da queste intuizioni, che contestano l’orizzonte interpretativo con cui il bio-potere e la sua psicopolitica forniscono “orizzonti di senso”, cioè dei “perché metafisici” alle popolazioni, ciascuno potrà trarre le proprie conclusioni circa quanto ci viene proposto (o propinato) come “verità scientifica” e il suo corollario di azione politica da eseguire, “verità” (o réclame) con cui la biopolitica viene legittimata.
Iniziamo questa serie di articoli editoriali, di rilevante attualità nel contesto dell’assolutismo scientistico, con un’introduzione alla teoresi evoluzionistica che contesta l’idea dell’apprensione diretta attraverso la percezione di una realtà oggettiva assoluta, proponendo, invece, che la specie umana sia condizionata ad apprendere o, più semplicemente, a vedere modelli adattivi alla sua fitness. A queste intuizioni ci accosteremo seguendo uno dei suoi egregi sostenitori, Donald Hoffman,8 che sostiene che, da quando l’Homo sapiens cammina sulla terra, la selezione naturale abbia favorito una modalità percettiva che ci nasconderebbe la complessa realtà e ci guiderebbe verso azioni utili, plasmando in questo modo i nostri sensi per mantenerci in vita e riprodurci. Sfidando le principali ipotesi accreditate che affermano che i nostri sensi riportano la realtà oggettiva, Hoffman sostiene che mentre dovremmo prenderle sul serio, non dovremmo prenderle alla lettera. Si tratta di una speculazione abbastanza controintuitiva. In effetti, come potrebbe essere pensabile che il mondo che vediamo non sia una realtà oggettiva? E come potrebbero essere utili i nostri sensi se non stanno comunicando la verità? Seguendo Hoffman, saremo alle prese con queste e altre domande nel corso di queste argomentazioni che ci faranno scrutare la nostra nozione di realtà e le nostre idee sul mondo diversamente da come le abbiamo considerate.
Perché l’evoluzione avrebbe nascosto la realtà complessa (o verità) ai nostri occhi?
Se Hoffman cercasse di spiegare la sua teoresi a qualcuno di noi forse esordirebbe con questa battuta: “I tuoi occhi ti salveranno la vita oggi. Con la loro guida, non cadrai dalle scale, non salterai davanti ad una Maserati in corsa, non afferrerai la coda di un serpente a sonagli né rosicchierai una mela ammuffita.” Certamente gli occhi sono organi preposti al senso della vista, ma, se come sostiene lui le impressioni che vediamo non sono letteralmente una realtà oggettiva, perché i nostri occhi e tutti i nostri sensi sarebbero delle guide affidabili? Al riguardo, la maggior parte di noi avrebbe un’ingenua intuizione: perché i nostri sensi ci dicono la verità. Il mondo reale, noi supponiamo naturalmente, è quello costituito da automobili, scale e altri oggetti nello spazio e nel tempo. Esistono, anche se nessuno di noi li osserva. Nelle nostre convenzioni e convinzioni, i nostri sensi sarebbero, semplicemente, una finestra su questa realtà oggettiva. Nel nostro resoconto convenzionale, solo in rare occasioni i nostri sensi sarebbero sbagliati e artisti, psicologi, cineasti ed altri personaggi sarebbero soggetti ad inventare illusioni che li ingannerebbero. In base alle nostre convinzioni culturali, i nostri sensi ci riporterebbero perfino la verità di cui avremmo bisogno per navigare in sicurezza nella vita.
Ma, pur dando credito alla nostra intuizione e convinzione, possiamo comunque permetterci di chiederci, accettando la suggestione di Hoffman, perché crediamo che i nostri sensi esistano per rivelarci “la verità”? Di nuovo, volendo pensarci lontani dal creazionismo, affrontiamo la questione con un’intuizione convenzionale, pensiamo che ciò sia semplicemente risultato dell’evoluzione. Secondo questo resoconto quelli dei nostri antenati che hanno percepito la realtà in modo più accurato, hanno avuto, di conseguenza, un vantaggio su coloro che l’hanno colta in modo meno meticoloso, particolarmente in attività critiche come l’alimentazione, il combattimento, la fuga e l’accoppiamento. Di conseguenza, sono stati più propensi a trasmettere i loro geni che hanno codificato percezioni più accurate. Dunque, stando a questa nostra convinzione tradizionale noi siamo figli di coloro che, in ogni generazione, hanno visto in modo più accurato la realtà oggettiva. Pertanto, adesso, stando alle nostre interpretazioni convenzionali, possiamo essere certi che con i nostri sensi vediamo la realtà oggettiva con precisione. La nostra impressione, in breve, è che le percezioni più vere siano percezioni più adattive. In questo nostro modo convenzionale di intendere l’evoluzione, questo processo di selezione naturale elimina le percezioni false. Ecco perché abbiamo la convinzione che la nostra percezione sia una finestra sulla realtà oggettiva che ci riporta la verità.
Questa conclusione, anche se la sua premessa riguardo il ragionamento relativo alla trasmissione dei geni più assertivi nel cogliere i comportamenti idonei stando alla visione sia corretta, considerata attraverso il contributo dell’evoluzionismo allo scambio interdisciplinare tra meccanica quantistica e neuroscienze, risulta sbagliata. La nostra percezione non è una finestra sulla realtà oggettiva. Al contrario, le nostre percezioni di serpenti e mele e anche di spazio e tempo non rivelano una realtà oggettiva ma una realtà adattiva. Il problema, tuttavia, non è che le nostre percezioni siano sbagliate su questo o quel dettaglio. Il punto della prospettiva di Hoffman indica “il linguaggio stesso di oggetti nello spazio e nel tempo” ad essere, semplicemente, un linguaggio sbagliato per descrivere una realtà oggettiva. E questo, stando a lui, non è un’intuizione ma un teorema9 dell’evoluzione per selezione naturale che sconfigge le nostre intuizioni.
L’idea che le nostre percezioni ci fuorviano sulla realtà oggettiva, in tutto o in parte, ha, di fatto, una lunga storia. Democrito, intorno al 400 a.C., affermò notoriamente che le nostre percezioni di caldo, freddo, dolce, amaro e dei colori fossero convenzioni, non realtà.10 Alcuni decenni dopo, Platone paragonò le nostre percezioni e concezioni ad ombre tremolanti proiettate da una realtà invisibile sulle pareti di una caverna.11 Da allora i filosofi hanno discusso la relazione tra percezione e realtà. La teoria dell’evoluzione, rimaneggiata con i nuovi apporti delle neuroscienze, la quantistica e i modelli computazionali, inietta nuovo rigore in questo dibattito.
Allora se le nostre percezioni ci ingannano sulla realtà oggettiva, come possono essere utili i nostri sensi e mantenerci in vita, se non ci dicono la verità sulla realtà oggettiva? Per rispondere a questa domanda Hoffman ha elaborato una metafora che intende innescare un processo cognitivo che ci conduca a cogliere la sua intuizione. Supponiamo che io stia scrivendo un articolo e che l’icona del relativo file sia gialla, rettangolare e al centro del desktop. Ciò significa che il file stesso sia giallo, rettangolare e si trovi effettivamente al centro del computer? Ovviamente no. Il colore dell’icona non è il colore del file vero. I file, cioè quei contenitori di informazioni o dati codificati e memorizzati in formato digitale nel sistema software, non hanno colore. La forma e la posizione dell’icona non corrispondono alla forma e alla posizione reali del file. In effetti, il linguaggio di forma, posizione e colore non descrivere letteralmente o effettivamente i file del software nel computer ma questi termini sono solo un’interfaccia di rappresentazione.
In effetti, lo scopo di un’interfaccia desktop non è quello di mostrare la “verità” del computer o del software, dove “verità”, in questa metafora, si riferisce a circuiti, tensioni e strati di software. Piuttosto, lo scopo di un’interfaccia è nasconderci la “verità” e mostrarci una grafica semplice che ci aiuti a svolgere attività utili come scrivere un articolo e modificare delle foto. Se io dovessi avviare i voltaggi per scrivere i miei articoli, i miei lettori forse non avrebbero più notizie da me.
La percezione della realtà o della cosiddetta verità porterebbe all’estinzione della specie
Dunque, in base al ragionamento di Hoffman, questo è ciò che avrebbe fatto l’evoluzione: ci avrebbe dotato di sensi che ci nascondono la verità e ci mostrano le semplici icone di cui abbiamo bisogno per sopravvivere abbastanza a lungo da allevare la prole. Questo significa che lo spazio, come lo percepiamo quando ci guardiamo intorno, è solo il nostro desktop: un desktop 3D. Mele, serpenti e altri oggetti fisici nella nostra interfaccia cognitiva sono semplicemente icone, oppure astrazioni o costrutti se si preferisce, nel nostro desktop cognitivo 3D. Queste icone sono, in effetti, utili perché nascondono la complessa verità sulla realtà oggettiva che altrimenti ci sovrasterebbe e ci toglierebbe agilità nel compimento delle azioni necessarie alla nostra fitness. In altre parole, stando a Hoffman, i nostri sensi si sono evoluti per darci ciò di cui abbiamo bisogno in termini di riproduzione e sopravvivenza. Potremmo voler la verità, ma non abbiamo bisogno della verità. Appunto, in base alla sua teoresi, la percezione della verità porterebbe all’estinzione della nostra specie. Pertanto, abbiamo bisogno di icone semplici che ci mostrino come agire per rimanere in vita. La conclusione di quest’argomentazione è che la percezione non sia precisamente una finestra sulla realtà oggettiva bensì un’interfaccia che nasconde la realtà oggettiva dietro un velo di icone utili.
E questo è il punto. L’evoluzione ha modellato i nostri sensi per mantenerci in vita e perciò dobbiamo prenderli sul serio. In effetti, se vedessimo una Maserati in corsa, nessuno le salterebbe davanti. Ugualmente, se si vedesse una mela ammuffita, non la si mangerebbe. Ma costituisce un errore di logica presumere che se dobbiamo prendere sul serio i nostri sensi, allora dobbiamo prenderli alla lettera. Dunque, prendiamo seriamente la nostra percezione ma non letteralmente.
Quest’idea così radicalmente controintuitiva suggerisce che abbiamo fatto una falsa supposizione. Alla luce della ricerca sono i nostri sensi ad essere plasmati dalla selezione naturale anziché il contrario. A questo punto, le nostre intuizioni vacillano: come possono essere utili i nostri sensi se non ci riportano effettivamente la verità? Al riguardo si può esplorare la metafora dell’interfaccia ammettendo, sperimentalmente, che lo spazio, il tempo e gli oggetti fisici nello spazio-tempo non siano la realtà oggettiva ma solo virtualità per aiutarci a giocare il gioco della vita.
Riflettendo, in termini convenzionali, sulla plausibilità di quest’ipotesi così controintuitiva si può argomentare che se si afferma che spazio tempo e gli oggetti nello spazio-tempo non siano la realtà oggettiva, allora ci si schianterebbe contro i fisici. Purtroppo, urtando contro il nostro senso comune, eminenti fisici ammettono che lo spazio, il tempo e gli oggetti nello spazio-tempo non siano fondamentali, arrivando a sostenere che lo spazio-tempo sia semplicemente un’unione di interfacce richiesta dalle teorie della relatività di Einstein. Altri argomentano che lo spazio-tempo sia solo un ologramma, fatto di frammenti di informazioni. Altri ci segnalano che la realtà differisce da un osservatore all’altro e che la storia dell’universo non sia fissa ma dipende da chi e da ciò che si osserva ora. La fisica e l’evoluzione puntano alla stessa conclusione: lo spaziotempo ne emerge come interfaccia cognitiva utile.
L’idea dello spazio-tempo sarebbe solo un formato che ci serve per mantenerci in vita
Se, in base alle ricerche interdisciplinari tra studiosi della fisica quantistica e delle neuroscienze accomunate nella visione evoluzionista dell’universo e della vita nel pianeta terra, lo spazio-tempo non sarebbe né un palcoscenico fondamentale né preesistente alla cognizione umana su cui si svolge il dramma dell’universo, allora che cos’è? L’idea di Hoffman è che lo spaziotempo sia solo un formato di dati – molto simile alle strutture di dati12 nel nostro dispositivo mobile – che serve per l’appunto a mantenerci in vita. I nostri sensi ci segnalano informazione riguardante la nostra fitness adattiva e un errore in questo rendiconto potrebbe rovinarci la vita. Per questa ragione i nostri sensi utilizzano “codici di correzione degli errori” per rilevare e correggere gli errori e l’interfaccia spaziotempo sarebbe solo un formato che i nostri sensi usano per segnalare i guadagni [fitness payoffs] di fitness e correggere gli errori in questi rendiconti.
L’evoluzione avrebbe modellato i nostri sensi per essere avari
La percezione può sembrare qualcosa che avviene senza sforzo, ma in realtà, pensandola dal punto di vista dell’evoluzione, essa richiede una notevole energia. Anche se oggi con la tecnologia agroalimentare e di allevamenti di animali c’è un eccedente calorico perfino nocivo, bisogna ricordare che tale disponibilità è piuttosto recente nell’evoluzione della specie umana. Agli albori, ogni caloria preziosa che bruciavamo nella percezione era una caloria che dovevamo trovare e prendere dai loro detentori, cioè dalle bacche, dai semi, dagli insetti, dai molluschi oppure da carogne che dovevamo strappare combattendo altre bestie inferocite. Le calorie erano difficili e pericolose da procurarsi, quindi l’evoluzione avrebbe modellato i nostri sensi per essere avari. Una conseguenza di questa pressione è, ad esempio, che la visione taglia gli angoli. In effetti, noi vediamo dettagli nitidi solo all’interno di una piccola finestra circolare, la macula con un diametro di circa 5,5 mm, il cui raggio di visione corrisponde la larghezza del rispettivo pollice tenuto alla distanza del proprio braccio. Se chiudiamo un occhio e allunghiamo il braccio per vedere il nostro pollice, possiamo vedere quanto sia piccolo. Pensiamo di vedere l’intero campo visivo in grandi dettagli ma per l’appunto non è così. Ogni luogo che guardiamo cade in quella piccola finestra di dettagli nitidi ma presumiamo, erroneamente, di vedere tutto in dettaglio. Solo all’interno di quella piccola finestra la nostra interfaccia sensoriale costruisce un rendiconto dettagliato dei guadagni di fitness [fitness payoffs]. Quel rendiconto percettivo cruciale è formattato come forma, colore, consistenza strutturale, movimento e identità di un oggetto fisico. Con il nostro sguardo generiamo un costrutto (oggetto) adattivo o adatto ai vantaggi della fitness. Infatti, il nostro sguardo non ricerca una verità oggettiva ma un vantaggio di fitness, vale a dire di riproduzione e sopravvivenza. Il nostro campo visivo ci guida a partecipare dove ci sono vantaggi vitali da segnalare, e quindi un oggetto da creare. In effetti, oggi le corporazioni ed altre entità interessate alla gestione delle popolazioni, esplorano le regole che governano l’attenzione per applicarle al design e al marketing. Se sbagliano, rischiano di promuovere un rivale.
Se i nostri sensi nascondono la realtà dietro un’interfaccia, allora ci si potrebbe chiedere ancora quale sia quella realtà nascosta. Sollecitati dalle intuizioni di Hoffman, possiamo chiudere per oggi la questione con questa suggestione metaforica: quando si guarda il proprio volto allo specchio si vede la pelle, i capelli, le sopracciglia, le ciglia, gli occhi, il naso, le labbra e l’espressione del proprio viso ma sappiamo che dietro la nostra faccia c’è un mondo molto più ricco. Dietro il nostro volto c’è il mondo dei nostri sogni, delle nostre paure e anche il mondo della politica, dell’amore e pure le esperienze di colori, odori, suoni, gusti e tocchi. Il viso che vediamo è solo un’interfaccia. Dietro c’è il mondo vibrante delle nostre esperienze, scelte e azioni.
Forse l’universo stesso è un’enorme rete sociale di agenti coscienti che sperimentano, decidono e agiscono. Se è così, la coscienza non sorge dalla materia. Materia e spazio-tempo nascono invece dalla coscienza, come interfaccia percettiva di un qualcosa vitalmente complesso come il mondo vibrante nascosto dietro il nostro volto allo specchio.13
Auspichiamo che la teoresi controintuitiva di Hoffman, che ipotizza che la percezione della verità inerente a una realtà oggettiva porterebbe all’estinzione della specie, paralizzata dalla sua travolgente complessità, vi fornisca delle intuizioni utili per affrontare e reinterpretare le nostre convinzioni e, particolarmente, per affrontare l’inedita svolta della psicopolitica e della biopolitica del bio-potere, ora declinate in termini di gestione della pandemia, con i suoi dispositivi di controllo politico-sanitari, inaugurata con la Covid19. Infatti, come espresso all’inizio di quest’editoriale il nostro è un tentativo di schiudere possibili orizzonti oltre la commedia tragica recitata, consapevolmente o inavvertitamente, dagli esperti dello scientismo che guiderebbero le scelte nel discorso mediatico – o istituzionale che sia – che ci informa sul nostro destino politicamente corretto.
______________Note _________________
1 Presenza nell’intelletto di una nozione oppure la capacità di conoscere o intendere.
2 In senso astratto, qualità e condizione di ciò che è reale, che esiste in sé e per sé o effettivamente. La nozione di realtà è legata al problema moderno dell’esistenza del mondo esterno. A partire di Descartes si era affermata la tesi secondo cui gli uomini conoscono soltanto le idee, ossia le rappresentazioni mentali delle cose. Ma se la nostra conoscenza è fatta solo di rappresentazioni mentali, chi ci garantisce che a esse corrisponda, fuori di noi, qualcosa di reale? Più in generale, chi ci garantisce che la realtà esista?
3 Atto, facoltà dell’apprendere. Nella filosofia scolastica, l’atto col quale l’intelletto concepisce un’idea senza formulare su questa alcun giudizio.
4 La camera dell’eco o camera d’eco è una descrizione metaforica di una situazione in cui le informazioni, le idee o le credenze vengono amplificate o rafforzate dalla comunicazione e dalla ripetizione all’interno di un sistema mediatico definito.
5 Per Foucault la biopolitica è il terreno in cui agiscono le pratiche con le quali la rete di poteri o bio-potere gestisce le discipline del corpo e le regolazioni delle popolazioni. È un’area d’incontro tra potere e sfera della vita. Il bio-potere, potere sulla vita, si è sviluppato in due direzioni complementari: la gestione del corpo umano nella società dell’economia e finanza capitalista, la sua utilizzazione e il suo controllo, e la gestione del corpo umano come specie, base dei processi biologici da controllare per una biopolitica delle popolazioni. Discipline che vanno dalla chimica e biologia alla genetica, alla medicina e alla scienza statistica, saperi quali la demografia, la psichiatria, la sociologia, la criminologia, la sessuologia hanno contribuito a tratteggiare le linee della “normalità” e a fornire alle sfere di potere gli strumenti concettuali per la gestione delle attività biologiche. Il filosofo Byung-Chul Han sostiene che alla società attuale non sia solo applicabile prevalentemente il paradigma della biopolitica, bensì quello della “psicopolitica”, situazione in cui il potere non disciplina tanto i corpi ma plasma le menti, seducendo senza costringere, sicché non incontra resistenza perché ogni individuo ha interiorizzato come propri i bisogni del sistema.
6 Andy Clark. Surfing Uncertainty. Prediction, Action and the Embodied Mind. Oxford University Press, 2019
7 Donald Hoffman. The Case Against Reality. Why Evolution Hid the Truth from our Eyes. W.W. Norton & Company, N.Y. 2019
8 Donald David Hoffman, psicologo cognitivo, professore presso il Dipartimento di Scienze Cognitive presso l’Università della California, Irvine, con incarichi congiunti presso il Dipartimento di Filosofia, il Dipartimento di Logica e Filosofia della Scienza e la School of Computer Science. Hoffman studia la coscienza, la percezione visiva e la psicologia evolutiva utilizzando modelli matematici ed esperimenti psicofisici. I suoi argomenti di ricerca includono l’attrattiva del viso, il riconoscimento della forma, la percezione del movimento e del colore, l’evoluzione della percezione e il problema mente-corpo. Coautore di “Observer Mechanics: A Formal Theory of Perception” (1989) che offre una teoria della coscienza e il suo rapporto con la fisica, e di “Automotive Lighting and Human Vision” (2005) che applica la scienza della visione all’illuminazione dei veicoli. Il suo libro Visual Intelligence: How We Create What We See (1998) presenta la scienza moderna della percezione visiva a un vasto pubblico.
9 Un teorema è una proposizione che, a partire da condizioni iniziali arbitrariamente stabilite, trae delle conclusioni, dandone una dimostrazione. I teoremi svolgono un’importantissima funzione nella matematica, nella logica, in alcune filosofie e in generale in tutte le discipline formali.
10 Taylor, C.C.W. The atomists. In A.A. Long, Cambridge Companion to Early Greek Philosophy. Cambridge University Press, 181-204, New York, 1999
11 Plato. The Republic, Book VII
12 In informatica, una struttura dati è un’entità usata per organizzare un insieme di dati all’interno della memoria del computer, ed eventualmente per memorizzarli in una memoria di massa. La scelta delle strutture dati da utilizzare è strettamente legata a quella degli algoritmi; per questo, spesso essi vengono considerati insieme. Infatti, la scelta della struttura dati influisce inevitabilmente sull’efficienza computazionale degli algoritmi che la manipolano. Essendo la struttura dati, in effetti, un metodo di organizzazione dati, quindi prescinde da ciò che è effettivamente contenuto. Ciascun linguaggio di programmazione offre strumenti per definire strutture dati, ovvero aggregare dati di tipo omogeneo o eterogeneo. Questi strumenti sono tipicamente componibili. Più formalmente, i linguaggi forniscono un insieme predefinito di tipi di dato elementari, e le strutture dati sono strumenti per costruire tipi di dati aggregati più complessi.
13 Rinaldo O. Vargas & Eugenia D’Alterio. L’osservatore globale. Ossimoro di falsità oggettive! In “BIO Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità. No. 17, pp.24-39, marzo 2016