BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno IX • Numero 33 • Marzo 2020
Il corpo della donna: faccenda privata o questione politica
Ciò che un’ideologia della persona sovrana suole considerare come qualcosa di prettamente personale, cioè il corpo della donna, sarebbe, invece, se inteso in termini di bio-politica e di psico-politica, territorio della politica, del bio-potere. Da questa prospettiva, si può dire con Victoria Bateman che il corpo della donna può essere considerato come uno dei più grandi campi di battaglia politici dei nostri tempi1. L’assalto al corpo della donna spazia dal recente freno della pianificazione familiare negli Stati Uniti d’America e della loro politica di sospensione del finanziamento alle organizzazioni internazionali che offrono l’aborto a nuove restrizioni repressive sull’abbigliamento, tra cui i “divieti di burqa”, fino alle nuove leggi che mirano ad abolire la capacità delle donne di monetizzare i loro corpi in un numero crescente di paesi europei. Infatti, i corpi delle donne, tuttora unica sede per la riproduzione della forza di lavoro e dei cittadini delle nazioni, sono un territorio del bio-potere2 e della sua bio-politica3 e psico-politica4. Di conseguenza, anche se non ce ne rendiamo conto, tutti abbiamo una visione di ciò che le donne dovrebbero o non dovrebbero fare con il proprio corpo.
L’attacco raddoppiato a ciò che pouò essere considerata l’autonomia corporea delle donne arriva, paradossalmente, in un momento in cui il femminismo è sempre più popolare, innanzitutto nella sua versione celebrativa del cervello femminile e punitiva del proprio corpo. In parte, l’espansione del femminismo può essere una risposta all’evidente regressione storica, come sostiene Victoria Bateman5 nel suo libro The Sex Factor: How Women Made the West Rich (2019). Infatti, secondo lei, le femministe non sonro del tutto irreprensibili. Nella sua interpretazione, una vena di femminismo è al centro di alcune delle crescenti restrizioni alla libertà corporea delle donne. Ad alcune “femministe” piace, ad esempio, sostenere che non si può essere femminista mentre si mette troppo in mostra il proprio corpo; altre, come lei, sostengono che non si può essere femminista mentre si copre troppo il corpo femminile. Entrambi vedono le disposizioni sull’abbigliamento come un potere per le donne. Ma la capacità delle donne di scegliere, sostiene la Bateman, sembra non trasparire; l’affermazione che siano tutte “socialmente condizionate” rende tale capacità irrilevante.
Nella sua inconsueta visione della questione femminile, Victoria Bateman propone che il più grande degli attacchi “femministi” alla libertà delle donne stesse si presenta sotto forma del femminismo di stampo “nordico”. In effetti, questo modello avrebbe reso tutto più difficile e pericoloso per le donne che scelgono di fare soldi con il proprio corpo. In questa prospettiva, mentre la monetizzazione del cervello della donna viene celebrata, la monetizzazione del proprio corpo deve, a quanto pare, essere denigrata, persino criminalizzata. Infatti, mentre possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che coloro che sono costrette a fare sesso debbano essere aiutate ad uscirne (e quelli che fanno i forzanti portati alla giustizia), a molte donne, in questo modello di gestione bio-politica e psico-politica del corpo femminile, viene contemporaneamente negato il diritto di fare le proprie scelte sull’opportunità o meno di addebitare l’accesso alla loro vagina da donne che sono, ovviamente, libere di farsi pagare per l’uso del loro cervello. In una tale posizione, si può ammettere, l’elitarismo intellettuale e l’ipocrisia sono evidenti e il disagio della società nei confronti del sesso (anche sotto forma di lavoro) consente a coloro che guidano l’attacco di rivendicare il terreno morale.
Nella sua analisi del fattore sesso, o più precisamente della fertilità e della riproduzione delle popolazioni attraverso il corpo delle donne, nella creazione della ricchezza dell’Occidente, Victoria Bateman considera che questo attacco alle libertà fisiche o corporee delle donne sia profondamente preoccupante, in particolare quando le donne stesse partecipano a quest’assalto invece di opporsi. La libertà delle donne di disporre del proprio corpo e di decidere sulle conseguenze della loro sessualità, nella sua visione, è fondamentale per rendere le nostre società più prospere, più uguali e più sostenibili dal punto di vista ambientale. Qualsiasi tentativo di minare quella libertà, non importa quanto ben intenzionato risulti quando lo confrontiamo con i nostri ideali valoriali, rende, da questa prospettiva femminista, un mondo più povero e disuguale.
Autonomia del corpo della donna e prosperità
Naturalmente, i corpi delle donne non sono un soggetto tradizionale quando si pensa alla prosperità economica o alla diseguaglianza. I primi attivisti per il controllo delle nascite, tuttavia, sapevano molto bene che i corpi delle donne avrebbero dovuto esserlo. In effetti, un mondo in cui le donne non hanno raggiunto la consapevolezza umana di cosa significhi il controllo del proprio corpo, in termini economici, di identità, di sesso e fertilità, è un mondo in cui le donne sono condannate a una vita di lavoro riproduttivo e di cure premurose di persone a carico ed a una conseguente restrizione delle loro capacità di guadagnare e di auto-sostentarsi.
Nessuna donna può avere il controllo della sua esistenza, del suo lavoro e delle sue finanze senza, anche, avere il controllo della sua fertilità. Tuttavia, oggi, quasi una gravidanza su due in tutto il mondo non è prevista6 e più di 200 milioni di donne in tutto il mondo che vorrebbero controllare la loro fertilità non hanno accesso alla tecnologia anticoncezionale. La regola del bavaglio globale, un passo della destra ascendente per impedire il controllo delle nascite da parte delle donne, aumenterà le gravidanze non pianificate e renderà più difficile l’accesso alla tecnologia di controllo delle nascite per alcune delle donne più povere del mondo. Negli Stati Uniti d’America, l’assalto al controllo delle nascite include cambiamenti che hanno attirato l’attenzione sulla legge sull’aborto in alcuni Stati e rinnovate offensive sulle organizzazioni che fornivano controllo delle nascite e servizi di salute sessuale a milioni di donne povere, nonché un movimento delle aziende per rimuovere i servizi di pianificazione familiare dalle assicurazioni sanitarie che i datori di lavoro devono fornire a certe categorie di lavoratori di quella nazione.
Nonostante la chiara relazione tra i corpi delle donne e prosperità o disuguaglianza economica, gli economisti contemporanei raramente considerano questo nesso. Questo perché l’economia opera sulla base di ipotesi che ci deprivano della nostra condizione di gender. Secondo l’ortodossia dell’economia, noi umani, siamo tutti agenti razionali, indipendenti e capaci di calcolare i nostri migliori interessi. Amore, sesso, dipendenza e società non rientrano nel modo in cui gli economisti guardano il mondo. Inoltre, gli economisti, in genere, presumono che noi umani siamo tutti liberi di fare le nostre scelte. Le potenziali restrizioni a tali libertà (dall’accesso al controllo delle nascite alla criminalizzazione del lavoro sessuale e persino ai tipi di abbigliamento) vengono ignorate. L’economia si concentra invece su ciò che facciamo con le “nostre libertà”, cioè sulle “scelte” che facciamo e perché e come tali “scelte” influenzino il comportamento dell’economia.
Se potesse aprire gli occhi, quell’attività socio-cognitiva che chiamiamo “economia” diventerebbe un alleato naturale di qualcosa che potremmo denominare la libertà delle donne. Potrebbe fornire un baluardo contro le intrusioni negli aspetti più intimi della vita a sesso femminile, anche quelli intrapresi in nome del femminismo. L’idea della “mano invisibile” era che la riproduzione della vita materiale, chiamata da questa visione del mondo, mercato, potesse arrivare al miglior risultato solo se le persone fossero libere di fare le “proprie scelte”. Quando lo Stato e la Chiesa regolavano così tanti aspetti della vita umana, compreso quali colori potevano indossare le diverse classi sociali e in quali giorni della settimana si poteva fare sesso, tutto ciò, presumibilmente, per il nostro bene o per il bene della società più ampia, come ironicamente puntualizza Maria Giuseppina Muzzarelli7, l’idea di Adam Smith non avrebbe potuto essere più radicale. Proprio come in quei vecchi tempi in cui eravamo governati dallo Stato e dalla Chiesa in nome di una visione creazionista, oggi alle singole donne viene detto, spesso da altre donne, cosa è meglio per loro.
Se l’economia, piuttosto che conoscenza privatizzata al servizio solo di certi gruppi di interesse, volesse agire come difensore della libertà delle donne, dovrebbe rimuovere i suoi paraocchi e portare direttamente le donne e i loro corpi nel cuore del pensiero circa la prosperità e la disuguaglianza. La questione del gender, ad esempio, manca quasi del tutto nel celebrato libro di Thomas Piketty, Le Capital au XXIe siècle8, e manca anche (come, tra l’altro, sono donne che contribuiscono) nei libri recenti9 che affermano di offrire nuove soluzioni all’attuale rallentamento della crescita e un nuovo modo di procedere per la macroeconomia, come segnalano Coen Teuling e Richard Balwin nella loro analisi della stagnazione secolare.
A differenza degli odierni economisti, lo studioso inglese Thomas Malthus (1766-1834) mise il sesso al centro della sua storia circa la povertà e la prosperità. Per Malthus, il sesso era fondamentale per capire perché la crescente marea economica non avrebbe sollevato tutte le barche e perché il tenore di vita della maggioranza ristagnasse alla fine. Nonostante fosse un uomo profondamente religioso, Malthus mancava di fiducia in qualsiasi tentativo di migliorare la vita delle masse, sia attraverso mezzi rivoluzionari che affettavano la torta economica (del tipo che si svolgeva in Francia durante la sua vita, e su cui altri intellettuali del suo tempo si sentivano piuttosto ottimisti) sia scatenando una crescita economica di un tipo che facesse crescere la torta economica, consentendo una fetta più grande per tutti.
Per molto tempo, la visione “lugubre” di Malthus è stata relegata nel cestino dei pensieri economici. Gli economisti, intanto, si sono scrollati di dosso la loro pessimistica reputazione per diventare alcune delle persone più ottimiste. Pochi hanno una maggiore fiducia nell’idea che l’inventiva umana, alla fine, risolverà tutti i nostri problemi. Mentre alcuni economisti certamente pronunciano la parola “stagnazione”, altri sono pronti a saltare alla difesa dell’economia, osservando10 che il pessimismo passato è sempre stato smentito: nel corso della nostra lunga storia, siamo diventati più ricchi nonostante il fatto che la popolazione si espanda di anno in anno, come sostiene Hans Rosling.
Forse non dovremmo essere così veloci a cancellare Malthus. Il sesso è ancora fondamentale per capire perché oggi così tanti paesi rimangono impantanati nella povertà e perché la disuguaglianza in Occidente è aumentata dalla fine degli anni ’70. Ma, per capire perché, dobbiamo fare un viaggio nell’Europa preindustriale, in un tempo molto più vicino a quello di Malthus di quanto non lo sia il nostro.
L’autonomia del corpo della donna nella creazione della ricchezza di Occidente
Mentre la maggior parte di noi, umani contemporanei, è stata cresciuta con l’idea che, almeno economicamente, “l’Occidente è il mondo più ricco”, per millenni l’Europa è stata un arretramento della civiltà globale. Mentre gli europei stavano inseguendo animali selvaggi, avvolti nelle pelli degli animali cacciati, più a est, in Cina, nella valle dell’Indo e in Medio Oriente, fiorirono grandi civiltà, come ci documenta Chris Nierstrasz nei sui recenti lavori Rivalry for the Trade in Tea and Texiles (2015)11 e Asia had the upper hand (2019). Il modo in cui l’Europa, il cavallo oscuro, è riuscito non solo a recuperare terreno ma a superare l’Asia è una delle domande più dibattute nella storia economica. Il tipico insieme di risposte ruota implicitamente intorno alla vita degli uomini, richiamando alla mente figure della Rivoluzione Industriale inglese come Isambard Kingdom Brunel, con le sue opere in vari campi dell’ingegneria, Isaac Newton, con i suoi contributi alla meccanica classica, James Watt, con la sua invenzione della valvola di regolazione della velocità della macchina a vapore e Richard Arkwright con il suo controverso filatoio a vapore.
Ma, cosa rese la Gran Bretagna così inventiva da diventare il fulcro della Rivoluzione Industriale? La domanda ha coinvolto molte persone. L’Illuminismo, un’economia ad alto salario e un’etica borghese sono tutte spiegazioni popolari. Tuttavia, cercando ciò che avrebbe potuto rendere la Gran Bretagna – e in effetti l’Europa più ampia – diversa dalla maggior parte delle altre parti del mondo, dandole l’ingrediente speciale che le ha permesso di passare dal basso verso l’alto nella classifica internazionale, dovremmo guardare alla vita delle donne. Quando si tratta di spiegare l’ascesa dell’Occidente, la libertà delle donne è “l’elefante nella stanza”, cioè una verità ovvia ma ignorata, evitata o minimizzata, stando a studiosi come Victoria Bateman1.
Alla vigilia della Rivoluzione Industriale, le donne in Gran Bretagna e nelle zone limitrofe d’Europa vivevano una vita nettamente diversa da quelle del resto del mondo. Sebbene non nelle alte sfere della paga, era comune per le donne impegnarsi in un lavoro retribuito ed essere libere di decidere autonomamente se, chi e quando sposarsi. Di conseguenza, alcune donne scelsero di non sposarsi affatto e l’età media di coloro che si sposavano salì a 25-26 anni, qualcosa di straordinariamente moderno alla vigilia della Rivoluzione Industriale.
Inoltre, poiché le coppie appena sposate mettevano su case indipendenti, piuttosto che una donna appena sposata fosse assorbita dalla famiglia dello sposo, il matrimonio rispondeva agli andamenti dell’economia. Se le sorti peggioravano, la gente ritardava il matrimonio e la generazione del bambino e, quindi, diminuiva la popolazione disponibile per il lavoro e l’esercito. Dovevano posticipare matrimonio e procreazione fino a quando potevano permetterselo. Ciò ha influenzato le dinamiche della popolazione in un modo che ha contribuito a tenere sotto controllo la crescita della popolazione, consentendo all’economia di sostenere un salario più elevato. Il grado relativamente più elevato di libertà delle donne in Europa ha fatto sì che l’economia entrasse nel suo circolo virtuoso in cui riduzione del tasso di crescita della popolazione, salari più alti e crescita della produttività si nutrivano positivamente a vicenda.
Mentre la globalizzazione continuava, l’Occidente perse il relativo isolamento dal resto del mondo. Il virtuoso equilibrio che diede origine alla Rivoluzione Industriale e alla continua espansione da allora si è scontrato con un tipo completamente diverso di equilibrio. Grandi parti del mondo sono ancora bloccate da un circolo vizioso, in cui si rigenera un circuito di salari bassi e abbondante disponibilità di manodopera non qualificata. Questa dinamica, nella prospettiva femminista della Bateman sarebbe conseguenza del fatto che le donne hanno scarso controllo sulla propria vita, sulla propria fertilità. Senza indipendenza finanziaria, stando a questa interpretazione, le ragazze non avrebbero i mezzi per resistere ai loro genitori ed evitare o ritardare il matrimonio. Una volta sposate, le giovani donne (ragazze) non avrebbero, quindi, la libertà di farsi carico della loro capacità riproduttiva.
Una delle grandi conquiste dell’umanità del Ventesimo secolo è avvenuta nella salute pubblica globale, negli sforzi per sradicare o ridurre radicalmente le malattie. Il successo nel ridurre il tasso di mortalità, senza un calo della fertilità di dimensioni simili, ha fatto sì che la popolazione globale aumentasse. Nel 1920, la crescita della popolazione globale non era più dello 0,6 % all’anno, non superiore a quella del 1760. Nel 1962 la popolazione globale aveva raggiunto il 2,1 %. Mentre da allora la sua crescita ha rallentato all’1,2 % circa, tutti quei bambini nati nel boom hanno contribuito, fino ad oggi, a un aumento dell’offerta globale di manodopera e la popolazione continua a crescere due volte più velocemente di quanto non fosse cresciuta storicamente. Mentre nel 1962 la popolazione mondiale non superava di molto i 3 miliardi, oggi supera i 7 miliardi. Entro il 2100, si prevede che salirà a oltre 11 miliardi. Uno dei maggiori sviluppi nella storia economica mondiale negli ultimi 35 anni è stato, di conseguenza, una significativa espansione dell’offerta di lavoro effettiva. La crescente integrazione dell’economia mondiale significa che la crescita dell’offerta di lavoro è avvertita ovunque.
Declino dell’Occidente: conquiste della salute pubblica e disposizione ridondante di mano d’opera globale
Attraverso la globalizzazione, attraverso l’immigrazione e la tecnologia della comunicazione, l’offerta di manodopera globale in espansione è diventata disponibile per un crescente numero di aziende occidentali12. Con esso, il potere di contrattazione ha sofferto in Occidente, mettendo fine, almeno per ora, alla crescita dei salari e all’equilibrio della crescita ad alta produttività. Di conseguenza, sta aumentando la disuguaglianza in Occidente. Le aziende sono state in grado di sostituire il capitale con un pool di mano d’opera più economico, con conseguente riduzione dei tassi di investimento e rallentamento della crescita della produttività. E anche se la ricchezza cresce in modo mai visto, la torta economica sta diventando più iniquamente distribuita.
Per rafforzare il tenore di vita, i singoli governi occidentali si sono rivolti al salario minimo o “ai redditi di cittadinanza” ma non hanno il potere – individualmente – di affrontare quello che è veramente un problema globale: un mondo inondato di persone. Alcuni, sostenuti dagli elettori, stanno rispondendo limitando l’immigrazione o aumentando le barriere commerciali. Alla ricerca di soluzione a questa circostanza si può prendere atto che una crisi causata da una scarsa libertà, quella di rendere il corpo della donna il ventre riproduttivo di manovalanza o di popolazione ridondante, non dovrebbe mai essere risolta limitando ulteriormente la libertà, in questo caso la libertà di comprare e vendere oltre i confini di frontiera o la libertà di muoversi alla ricerca di una vita migliore.
Se le donne avessero il controllo del proprio corpo, sostiene Victoria Bateman, farebbero scelte di fertilità che le renderebbero più autonome. Condurrebbero vite che aiuterebbero a prevenire una crescita della popolazione che mina la crescita dei salari. Il potenziamento economico, infatti, è un prerequisito per una donna di avere un tale controllo sul proprio corpo. In questa prospettiva, per ritornare allo sviluppo economico, si rendono necessarie tutte le opportunità per le donne di essere istruite, unirsi alla forza lavoro ed essere rappresentate nelle decisioni politiche (incluso il controllo delle nascite). Piuttosto che essere pedine da “sposare” in giovane età al fine di generare un bambino dopo l’altro, le donne con l’opportunità di sostenersi finanziariamente sarebbero in grado di assumere il controllo della propria vita. Avrebbero la libertà che permetterebbe loro di uscire nel mondo e costruire una vita indipendente, determinando da sole se, con chi e quando sposarsi. In questo modo il ventre delle donne potrebbe emanciparsi. Semplicemente, potendo agire nel proprio interesse personale, le donne, senza saperlo, farebbero scelte che non solo aiuterebbero sé stesse ma che si sommerebbero a un’economia globale più prospera ed equa, una migliore economia per il pianeta.
Controllo della fertilità femminile e lotta alla povertà: l’esempio della Cina
Secondo l’UNICEF, la percentuale di donne di età compresa tra 20 e 24 anni che sono state sposate per la prima volta all’età di 18 anni si attesta al 41% nell’Africa occidentale e centrale, al 35% nell’Africa orientale e meridionale e al 30% nell’Asia meridionale13. L’Asia ospita quasi la metà di tutte le spose bambine14; e un terzo di loro sono in India15. A livello globale, una ragazza su cinque si sposa prima dei 18 anni16. L’agenzia delle Nazioni Unite per la pianificazione familiare ha documentato che17, una volta sposate (e, in effetti, prima), molte delle donne più povere del mondo non hanno accesso a un controllo affidabile delle nascite. In questo momento, per molte giovani donne, il problema sta peggiorando piuttosto che migliorando.
La Cina è la grande eccezione. Nel 1980 la Cina ospitava più poveri che in qualsiasi altra parte del mondo. Tuttavia, dal 1981 ad oggi, 680 milioni di persone sono state sollevate dalla povertà. La percentuale di coloro che vivono in condizioni di estrema povertà è scesa dall’84% a meno del 10%18. Questo viene considerato il singolo sviluppo più importante nel ridurre la povertà globale e la disuguaglianza del reddito globale. Secondo le spiegazioni convenzionali, la globalizzazione e la liberalizzazione del mercato sono responsabili. Tuttavia, la natalità relativamente bassa consentite alle donne dalle politiche riproduttive cinesi ha svolto un ruolo determinante e si pone in netto contrasto con altri paesi poveri.
Adottando misure per frenare la popolazione attraverso la sua “politica del figlio unico”, lo Stato cinese ha contribuito a superare un problema di popolazione che aveva rovinato il tenore di vita nel corso della storia. Lungo la strada, il controllo della fertilità ha “liberato” le donne consentendole di lavorare fuori casa, aumentando la loro indipendenza economica e sfidando la loro subordinazione all’uomo. A dire il vero, la “politica del figlio unico” ha avuto un grande prezzo19, in termini della limitazione della scelta e delle “bambine scomparse”. I tentativi statali di reprimere direttamente la crescita della popolazione hanno una storia oscura, comprese le sterilizzazioni forzate di alcune donne più emarginate e più povere del mondo. Tali pratiche sono disgustose e l’antitesi della libertà. La storia europea offre un percorso diverso, in cui maggiori opportunità per le donne di partecipare all’economia trasformano la vita familiare e consentono alle stesse di assumere volontariamente il controllo del proprio corpo. Certamente, ciò avviene, anche se Victoria Bateman non ne fa menzione, accompagnato da un ampio processo di secolarizzazione accaduto nelle reinterpretazioni del mondo nelle élite culturali della modernità.
Economia e gender
Alcuni economisti hanno espresso profonda preoccupazione per il modo in cui un rallentamento della crescita della popolazione potrebbe danneggiare l’economia. Svariati schieramenti politici lanciano slogan sul ritorno della donna riproduttiva a casa per fare bambini con un assegno di sussidio. Questa costernazione ignora il fatto che la crescita della popolazione è dipesa, troppo spesso, dalla non libertà finanziaria delle donne e, fondamentalmente, da una visione del mondo totalmente creazionista, anche se, va ancora aggiunto, Victoria Bateman non prende in considerazione questo aspetto nella sua analisi della relazione tra economia e gender. La crescita della popolazione è stata, infatti, costruita sul lavoro duro e non retribuito delle donne. Naturalmente il “lavoro riproduttivo” e domestico delle donne è stato storicamente escluso dall’economia monetaria. Tuttavia, bisogna insistere, questo è avvenuto e continua a riproporsi perché ancora il bio-potere continua a installare nella nostra visione del mondo un eccesso di valore sulla riproduzione. Certamente, una nazione la cui popolazione decresce mette in crisi il futuro dei politici.
In ogni modo, è condivisibile la considerazione della studiosa Victoria Bateman che sostiene che in una prospettiva più ampia, una crescita equa e sostenibile, dal punto di vista ambientale, è possibile solo se si dà alle donne la libertà di farsi carico della propria fertilità. Mentre i tassi di fertilità sono diminuiti negli ultimi anni20, abbiamo ancora molta strada da percorrere fino a quando l’autonomia corporea delle donne diventi una realtà per tutte le donne. Al momento, certamente, si rischia di tornare indietro.
La disuguaglianza è una delle crisi più urgenti del nostro tempo, ma forse la stiamo affrontando esattamente nel modo sbagliato. Piuttosto che limitare la libertà delle persone, dovremmo aumentarla, in particolare la libertà delle donne di controllare e prendere decisioni sul proprio corpo. Il rispetto dell’autonomia e della personalità delle donne non solo aiuterà le donne del mondo, ma creerà una forma più equa di prosperità, una prosperità più sostenibile per il pianeta. Se l’economia arrivasse ad abbracciare il fattore sessuale, potrebbe aprirsi a considerare il corpo delle donne come uno dei più grandi campi di battaglia politica dei nostri tempi.
Questa brevissima relazione sull’argomento intende soltanto invitarci a riflettere sulle complesse interconnessioni di bio-politica tra economia, gender e i nostri metafisici ideali di democrazia, di diritti umani e di prosperità. Certamente, dietro questa riflessione si cela un altro delicato capitolo circa l’identità di gender e la procreazione. Al riguardo va segnalato che per la prima volta nella nostra brevissima storia come specie, alcuni esemplari iniziano a separare l’identità umana di gender dalla riproduzione. Per la prima volta ci accingiamo a conoscere l’esperienza sociale, e non più da individui stigmatizzati, dell’essere donna senza, necessariamente, essere madre, così come di essere uomini senza figliare. È, certamente, un capitolo difficile ma aperto nel complesso contesto di crescenti popolazioni ridondanti e di sviluppi tecnologici che continuano a prescindere da noi umani.
- Victoria Bateman. The Sex Factor: How Women Made the West Rich. Polity Press, 2019
- Bio-potere: potere sulla vita, si è sviluppato in due direzioni principali e complementari: (a) la gestione del corpo umano nella società dell’economia e finanza capitalista, la sua utilitizzazione e il suo controllo, (b) la gestione del corpo umano come specie, base dei processi biologici da controllare per una bio-politica delle popolazioni.
- Bio-politica. L’insieme delle norme e delle pratiche adottate da uno stato per regolare la vita biologica degli individui nelle sue diverse fasi e nei suoi molteplici ambiti (sessualità, salute, riproduzione, morte, ecc.).
- Psico-politica: il potere oggi non disciplina più i corpi ma plasma le menti, non costringe ma seduce, sicché non incontra resistenza perché ogni individuo ha interiorizzato come propri i bisogni del sistema.
- Victoria N. Bateman: economista e accademica femminista britannica, specializzata in storia economica. È laureata in economia al Gonville e al Caius College di Cambridge dove è direttrice degli studi di economia Tripos.
- Jonathan Bearak, Anna Popinchalk, Leontine Alkema, Gilda Sedgh. Global, regional, and subregional trends in unintended pregnancy and its outcomes from 1990 to 2014: estimates from a Bayesian hierarchical model. In “Lancet Glob Health”, Vol. 6, April 2018
- Maria Giuseppina Muzzarelli. Reconciling the Privilege of a Few with the Common Good: Sumptuary Laws in Medieval and Early Modern Europe. In “Journal of Medieval and Early Modern Studies”, 39, (3): 597-617, 2009
- Thomas Piketty, Le Capital au XXIe siècle, Éditions du Seuil, 2013
- Evolution or Revolution? Rethinking Macroeconomic Policy after the Great Recession. Edited by Olivier Blanchard & Lawrence H. Summers. The MIT Press, eBook, April 16, 2019
- Joel Mokyr. The past and the future of innovation: Some lessons from economic historic. In “Exploration in Economics History”, Vol 69, July 2018, pages 13-26
- Chris Nierstrasz. Rivalry for Trade in Tea and Textiles: The English and Dutch East India companies 1700 – 1800. Palgrave Macmillan, UK, 2015
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