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23 Settembre, 2023

Vita al di là della scala e dei sensi umani.

I rituali di accoppiamento dei cavallucci marini pigmei

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XI • Numero 43 • Settembre 2022

 

Allestimenti quasi coreografici vincolati alla riproduzione delle specie

Se si andasse a ritroso negli articoli di  BIO, si potrebbe verificare che, sin dall’inizio, il progetto editoriale ama ritornare all’argomento del concetto vita e alla questione, ad esso correlata, della limitatezza della scala e dei sensi umani riguardo l’idea della vita, includendo, altre volte, brevi esposizioni circa la ristrettezza del modello sessuato con cui pensiamo alla riproduzione.1 Di fatto, per un controllo immediato di questa dichiarazione basterebbe semplicemente ritornare al numero precedente in cui abbiamo discusso sul pantano metafisico di cosa intendiamo per riproduzione, concludendo che ripensare la riproduzione potrebbe richiederci l’accettazione del fatto ardito e polemico che la vita asessuata non si adatta alle nostre intuizioni sull’identità e l’individualità, né su dove una cosa inizi ed un’altra finisca.2

In quest’occasione, e tornando al tema della riproduzione, vi chiedo nuovamente di ricrederci ancora circa le nostre convenzioni spostando la vostra attenzione verso una meraviglia nascosta e in miniatura, vale a dire la vita sessuale dei cavallucci di mare pigmei o Hippocampus bargibanti.3 Lo scopo, sicuramente, non è quello di farvi addentrare in un’esposizione specialistica dell’argomento ma quello di mettervi in contatto con immagini metaforiche gravide di intuizioni che potrebbero consentirvi di rileggere i nostri umani comportamenti quotidiani – perfino i nostri rituali istituzionali – da una prospettiva di competizione e di allestimento coreografico vincolati alla riproduzione della specie.

Chiaramente, riguardo l’esplorazione e la descrizione dei rituali di accoppiamento dei cavallucci marini pigmei, non sono io a guidarvi in prima persona. Io soltanto mi occupo di suggerire intuizioni metaforiche relative al comportamento umano, suggerite da alcuni studiosi4 e colte da me, nei rituali del mondo animale. Indubbiamente, curo ugualmente la narrazione di Richard Smith, ambientalista marino,5 seguendo le sue immersioni riportate in The World Beneath: The Life and Times of Unknown Sea Creatures and Coral Reefs.6 Tuttavia, va indicato subito, la sua narrativa, al pari della mia, ha, senz’altro, il registro antropomorfico con cui noi, umani, descriviamo le nostre esperienze nel mondo, pure quando interpretiamo la vita di altre specie e, addirittura, quando affermiamo di parlare scientificamente.

Prima della breve esposizione sulla vita sessuale o, meglio, riproduttiva dei cavallucci marini pigmei si rende ugualmente necessario ricordare che per noi, umani, l’associazione fra esperienza sessuale e riproduzione appare, a prima vista, talmente ovvia da far dimenticare che la sessualità è solo uno dei meccanismi predisposti alla riproduzione o propagazione della specie. Tale sovrapposizione è attribuibile all’antropomorfismo (o tendenza ad umanizzare e, di conseguenza, a moralizzare tutti i fenomeni naturali) che investe il nostro linguaggio, la nostra cognizione ed esperienza della vita.

In tutta franchezza, seguendo la documentazione della ricerca in materia, il sesso, vale a dire, in termini generali, il mescolamento dei geni di due individui e, più specificamente, la meiosi e la fusione di nuclei gametici aploidi atti a formare un nucleo diploide, risulta la modalità riproduttiva di più recente introduzione nell’evoluzione delle specie. Divisione eucariotica, gemmazione, partenogenesi, ecc., risultano, di gran lunga, meccanismi più originari e proficui. L’unica problematica di queste modalità sarebbe però quella di generare popolazioni di individui eccessivamente omogenee e, di conseguenza, complessivamente esposte a potenziali nocivi.

Da questa prospettiva evoluzionista, il maschio, o comunque il genere che meno investe in tempo gestazionale e cure parentali, sarebbe comparso solo in un secondo tempo della storia evolutiva. Lo scopo principale, se non unico, sarebbe quello di differenziare la specie. Al riguardo si potrebbe congetturare che milioni di spermatozoi con milioni di possibilità genetiche diverse sarebbero uno sfarzo che le specie meno differenziate e complesse non si possono concedere. Uno sfarzo però che si paga con la necessità della ricomposizione, dell’obbligatorietà di rintracciare un partner adatto e disponibile e, per i maschi, con l’aggravante della pericolosa e poliforme competizione per l’accesso al rituale riproduttivo.

La fecondazione esterna, invece, come quella dei pesci, consente, se non altro, una dissociazione temporale fra i partners e una concentrazione sulle complicazioni seduttive rispetto a quelle copulative. Nella sessualità più propriamente intesa, cioè quella finalizzata alla fecondazione all’interno del corpo femminile, il peso delle problematiche tecniche genitali o extra genitali aumenta. Basti pensare all’infertilità canina da lesioni agli arti posteriori. Nella nostra specie umana vanno considerate altresì le sovrastrutture culturali che, se non riescono a spegnere completamente le pulsioni istintuali naturali, di certo condizionano l’esperienza sessuale e riproduttiva. In realtà, una delle caratteristiche che noi umani presentiamo sarebbe un eccesso della potenzialità sessuale rispetto alla necessità riproduttiva. Tale eccedente libidico sembra costituisca la questione oppure, se si preferisce, il Tallone di Achille di ogni civiltà e, di conseguenza, il retroscena di tutte le nostre apparizioni in pubblico, sia come cittadini, sia come classe dirigente e in quanto specie.

 

 

 

 

 

Sfide provenienti dalle barriere coralline ai nostri schemi umani di famiglia, parentela e sessualità

Su una remota scogliera a Sulawesi, in Indonesia, minuscoli cavallucci marini maschi competono tra loro nella rischiosa e poliforme gara per l’accesso al rituale riproduttivo. I loro combattimenti quotidiani si svolgono sulla superficie di un corallo rosa a 12 metri sotto la superficie dell’oceano. Richard Smith li sta osservando da mesi. Immergendosi lungo la loro casa di coralli, spesso rimane talmente affascinato dai loro rituali e talmente concentrato sulla registrazione delle sue osservazioni che dimentica che ogni cavalluccio marino è poco più grande di un chicco di riso. La scala minuscola di questi ippocampi gli sembra irrilevante quando guarda i cavallucci marini pigmei che tentano di strangolarsi a vicenda.

Come bene suggerisce Smith, coloro che non hanno pensato molto alle relazioni dei pesci, inclusi i cavallucci marini, potrebbero essere perdonati se si aspettano comportamenti impassibili e sguardi freddi e privi di emozioni, specialmente dal momento che quei pesci sono misurati in millimetri. Ma durante i molti mesi che lui avrebbe trascorso osservando i rituali di accoppiamento dei cavallucci marini pigmei, avrebbe appreso che, nonostante le loro dimensioni, questi animali vivono vite che potrebbero essere interpretate come ricche e drammatiche, vite che potremmo aspettarci di trovare in una telenovela anziché in un diario scientifico. Le vite complesse di questi piccoli organismi sfidano le nostre dimensioni umane che solitamente usiamo per inquadrare, ad esempio, le nostre esperienze soggettive che culturalmente chiamiamo famiglia, parentela e sessualità.

Stando a quanto referito da Smith,7 nel 1969, la prima specie di cavalluccio marino pigmeo, conosciuta come il cavalluccio marino pigmeo di Bargibant, sarebbe stata identificata dal ricercatore Georges Bargibant, presso l’Acquario di Nouméa in Nuova Caledonia. Tale esemplare non sarebbe stato trovato direttamente sulle barriere coralline dell’isola, ma su una grande gorgonia Muricella8 viola presa per la collezione dell’acquario. Scrutando da vicino la superficie del corallo, Bargibant avrebbe trovato una coppia di cavallucci marini lunghi 25 mm aggrappati alla sua superficie. Il loro colore e la consistenza della superficie imitavano quasi perfettamente i polipi chiusi del corallo, spiegando perché non erano stati avvistati prima.9

Oggi, i cavallucci marini pigmei non sarebbero ancora così conosciuti come i cavallucci marini più grandi. Finora sarebbero state identificate solo otto specie (sette dall’inizio del millennio) con la specie più piccola che raggiungerebbe i 14 mm e la più grande 27 mm.10 A metà del 2000, Smith avrebbe iniziato a studiare le loro interazioni sociali e riproduttive come parte della ricerca per il suo dottorato. Osservandoli, alcuni aspetti della loro biologia gli avrebbero suggerito che i cavallucci pigmei potrebbero differire dai cavallucci marini più grandi non solo per le dimensioni. Questo sarebbe stato il primo studio sulla biologia e sul comportamento specifico del cavalluccio marino pigmeo, al di là del nome della specie Bargibant, attribuito non proprio da Georges Bargibant stesso ma da Whitley nel 1970. Tale ricerca lo avrebbe portato in località remote intorno al Triangolo del Corallo e sarebbe stato durante questo lavoro sul campo che Smith avrebbe iniziato a descrivere e interpretare, per la prima volta, le vite elaborate di questi minuscoli pesci.

Per la sua ricerca di dottorato, Smith avrebbe studiato particolarmente il cavalluccio Bargibant e un’altra specie che vive sulle gorgonie, nello specifico, il cavalluccio marino pigmeo di Denise,11 descritto per la prima volta nel 2003,12 più piccolo e snello di quello di Bargibant. Entrambi si sarebbero trovati in tutta la regione del Triangolo del Corallo che abbraccia gran parte del sud-est asiatico, con il loro areale che si estende anche nell’Oceano Pacifico. Durante le immersioni in siti in questa regione, Smith avrebbe scoperto che il Bargibant vive solo su specie di gorgonie Muricella, mentre Denise vive su 10 diversi generi di gorgonie, alcune grandi quanto il parabrezza di un’auto. Avrebbe, inoltre, identificato che i cavallucci marini pigmei trascorrerebbero la loro intera vita adulta aggrappandosi alla superficie di un unico corallo gorgonia.13

Questi minuscoli pesci vivono e si riproducono sulle superfici dei loro mondi sommersi di gorgonie e ciò che interessava particolarmente a Smith nella sua ricerca era la loro riproduzione. I cavallucci marini sarebbero diventati famosi per le loro relazioni monogame e per il modo in cui i maschi coverebbero le uova in una sacca specializzata nella parte inferiore del loro corpo. Attraverso rituali di corteggiamento quotidiani, coppie legate di cavallucci marini maschi e femmine sincronizzerebbero i loro cicli riproduttivi.14 Comunicando attraverso queste elaborate danze, o coreografie, una femmina saprebbe quando preparare una covata di uova in concomitanza con il maschio che si appresterebbe a predisporre la sua sacca di covata. Quando sarebbero entrambi pronti, la coppia salirebbe attraverso una colonna d’acqua e la femmina passerebbe le sue uova non fecondate nella sacca del maschio.15 Tale fecondazione delle uova avvenuta soltanto quando entrano nella sacca sarebbe una peculiarità del loro ciclo riproduttivo, particolarità che ne avrebbe determinato un’altra che, chiaramente, coinvolgerebbe il nostro sistema valoriale pieno di una metafisica a sfondo patriarcale. Il punto sarebbe che il maschio feconderebbe le uova unicamente quando entrerebbero nel suo sistema riproduttivo per essere certo che ogni prole sia sua. Al riguardo, Smith sostiene che si tratterebbe di un comportamento estremamente raro nel regno animale.16 L’interpretazione di questa rarità sarebbe che i maschi di cavallucci pigmei si siano evoluti per prendersi cura della prole in via di gestazione meglio di qualsiasi altro maschio nel regno animale proprio a causa della certezza della paternità.17

Ippocampo pigmeo di Bargibant (Hippocampus bargibanti).

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

Vita e tempi dei cavallucci marini pigmei

Fino all’inizio di questo secolo XXI, i cavallucci pigmei non sarebbero mai stati oggetto di alcuna ricerca mirata per diversi motivi: la loro scoperta relativamente recente, l’estrema difficoltà di mantenerli in cattività, nonché il loro eccellente mimetismo, rarità e dimensioni ridotte. Queste peculiarità li renderebbero tipi difficili da individuare. Stando a Richard Smith la fortuna della sua ricerca sarebbe stata il fatto che i cavallucci marini pigmei che lui avrebbe osservato vivessero in piccoli gruppi discreti sulla superficie di una singola gorgonia, quindi una volta trovato un gruppo, avrebbe potuto visitarli tutte le volte che ne aveva bisogno. Gli ippocampi pigmei vivrebbero queste vite relativamente limitate a causa del loro camuffamento estremo, che consentirebbe loro di mimetizzarsi perfettamente con le loro case di corallo dai colori vivaci, ma li renderebbero delle anatre sedute se si trasferissero altrove.18

Aneddoticamente, stando a Smith, mentre osservava un gruppo di tre pigmei che condividevano una gorgonia, riflettendo sulle altre differenze tra cavallucci marini più grandi e più piccoli, sarebbe cominciato a interrogarsi sulla sessualità pigmea. Gli studi in materia avevano verificato che specie più grandi formano legami monogami duraturi, ma questi gruppi pigmei rappresentavano qualcosa di più complicato nell’attuazione della loro riproduzione sessuata. Questo lo avrebbe portato a ribattezzali Tom, Dick, Harry e Josephine.

Durante centinaia di immersioni attraverso il Triangolo del Corallo, Smith avrebbe registrato ogni dettaglio, a lui percepibile, della vita riproduttiva e sociale di gruppi di cavallucci marini pigmei di Denise e avrebbe seguito alcuni gruppi per molte settimane o, in alcuni casi, addirittura mesi. In una di queste immersioni, in bilico in un remoto angolo di Sulawesi, avrebbe individuato un gruppo particolarmente intrigante aggrappato a una gorgonia Annella rosa brillante sotto uno strapiombo. Scattando fotografie estremamente ravvicinate delle loro regioni inferiori, Smith avrebbe realizzato che il gruppo comprendeva tre maschi e una sola femmina.

Nei mesi successivi all’individuazione e dopo aver assegnato un nome a ciascun membro del gruppo, Smith si sarebbe immerso nelle vite del quartetto. Ogni giorno, in assoluta soggezione per i luoghi avrebbe osservato i maschi che sembravano voler strangolarsi a vicenda. Con solo le loro code prensili a mostrare il dominio, i maschi erano abbastanza limitati nel modo in cui avrebbero potuto svolgersi i loro combattimenti nel rituale di accesso alla riproduzione. Quando non avrebbero usato la coda, avrebbero “lottato al collo” cercando di abbattersi a vicenda, proprio come fanno le giraffe.

Questo gruppo sarebbe stato un modello perfetto per capire come poteva funzionare la riproduzione all’interno di gruppi di cavallucci marini pigmei. C’erano tre maschi e una sola femmina nel gruppo sotto osservazione e, supponendo che si fosse formata una coppia, due maschi sarebbero rimasti disaccoppiati. Osservare questi abbinamenti non sarebbe stato facile dal momento che scattare immagini subacquee in primo piano era diventato fondamentale in quanto documentazione per questo lavoro. Smith sarebbe stato in grado di catturare immagini di Josephine mentre il suo corpo si gonfiava di uova e mostrava ancora una volta le sue dimensioni ridotte dopo aver trasferito la sua covata a uno dei maschi. Sebbene siano lunghi meno di 2 cm, si gonfiano come minuscoli palloni da calcio poiché all’interno crescono fino a una dozzina di discendenti. Guardando da vicino, avrebbe ugualmente potuto distinguere i maschi dopo il parto per via delle smagliature.

Con il passare delle settimane, Smith avrebbe notato che Josephine produceva una covata di uova ogni sette giorni. Ciò corrispondeva ai due maschi più grandi, Tom e Dick, che rimanevano in gravidanza alternativamente ogni due settimane. Dopo che uno dei maschi avrebbe partorito, sarebbe rimasto immediatamente incinto di nuovo, e una settimana dopo le sue due settimane di gravidanza l’altro maschio avrebbe partorito e poi sarebbe rimasto incinto nuovamente. L’interpretazione che fa Smith dell’andamento da lui descritto osservando questi cavallucci sarebbe che vivere in tali piccoli gruppi in un habitat così ricco permetteva a Josephine di nutrirsi a sufficienza per produrre più covate di quanto ci si aspetterebbe dai cavallucci marini più grandi. Sulla gorgonia, stando a Smith, i rituali di accoppiamento e le danze si svolgevano in gruppo e queste esibizioni sociali consentivano a Josephine di sincronizzare i suoi cicli con due maschi alla volta. Il terzo maschio, Harry, non sarebbe mai rimasto incinto durante il periodo dell’osservazione. Era lungo solo 1,4 cm, molto più piccolo degli altri due. Forse, ipotizza Smith, stava imparando le regole e aspettava il suo tempo finché uno degli altri non fosse morto e lo spazio riproduttivo fosse diventato disponibile per lui.

Trascorrere del tempo con Tom, Dick, Harry e Josephine, così come con dozzine di altri minuscoli personaggi, avrebbe avuto un profondo effetto sul modo in cui Smith avrebbe iniziato a pensare alla vita e avrebbe sfidato il suo senso delle dimensioni della vita e delle modalità della sessualità. Di fatto, tendiamo ad avere una totale disistima per alcuni dei più piccoli esseri viventi della Terra, come puntualizza Sonia Contera nel suo libro Nano comes to Life.19 Queste modalità di vita sono spesso etichettate come “insetti” e intesi come organismi che vivono vite meno preziose rispetto a specie più grandi e notevolmente carismatiche, come segnala ugualmente Appleton nel suo saggio Insectophilia.20 Ma la vita esiste molto al di là della scala e dei sensi umani. Le barriere coralline sono piene di esseri altrettanto piccoli e ben mimetizzati. Non solo ci sono un numero enorme di queste piccole specie ancora da scoprire, ma ognuna probabilmente avrà le sue storie e comportamenti affascinanti da condividere. Nella nostra fretta di considerare le specie che meritano la nostra attenzione e cura, spesso dimentichiamo quelle ai margini della nostra conoscenza sensoriale e dei nostri bisogni strumentali.

Stando allo stesso Smith, il tempo che lui avrebbe trascorso a filmare i rituali di accoppiamento e la vita sessuale dei cavallucci marini pigmei in primo piano gli avrebbe insegnato quanto sia difficile e necessario espandere la nostra empatia e immaginazione per includere gli abitanti più piccoli del nostro pianeta. Anche ora, minuscoli cavallucci marini maschi, poco più grandi di un chicco di riso, starebbero cercando di bloccare il respiro l’uno all’altro per avere la possibilità di rimanere incinti su un corallo rosa brillante in un angolo remoto dell’Oceano Pacifico e che solo nostra immaginazione può renderli esistenti e parti delle nostre conversazioni e azioni. Forse in un modo simile a come fanno i maschi umani nella pericolosa e poliforme competizione per l’accesso al rituale riproduttivo anche quando non sarebbe più necessario.

 

Eccesso della potenzialità sessuale rispetto alla necessità riproduttiva.

La disponibilità femminile alla sessualità, anche al di fuori della fase ovulatoria, segnala l’evoluzione della sessualità umana a funzioni più ampie e complesse della semplice riproduzione. Molto si è discusso su questa svolta evolutiva improvvisa dopo che la strategia aveva portato i primati ad evidenze vistosissime, basti pensare alla cromia glutea del macaco in fase ovulatoria. Il fatto sembra spiegarsi con la necessità di favorire i legami di coppia in specie, come quella dell’uomo ma anche degli uccelli, costrette all’allevamento di prole fortemente immature con necessità prolungate di accudimento.

Dalla necessità del maschio di presidiare costantemente la femmina, se desidera la certezza della propria trasmissione genica,21 sembra derivare la sproporzionata frequenza coitale della nostra specie. Su questa già evidente singolarità naturale si innesta il fatto che ogni società o ambito culturale definisce frequenze e modi corretti di accoppiamento. Se il legame corporeo piacevole e frequente sembra quindi funzionale agli aspetti di legame di coppia, la ridotta funzionalità temporale del periodo fertile, complica però non poco le cose, sia nella pianificazione della riproduzione, sia nella competizione poliforme per l’accesso al rituale riproduttivo. Ed è in questa espressiva poliedricità, simbolica e reale, della competizione coitale riproduttiva atavica dove, con curiosità, generosità ed ironia, bisognerebbe spostare il nostro sguardo umano e, forse, si intravvederebbe un’altra divina commedia nell’esibizionismo narcisistico che caratterizza i comportamenti umani, perfino la competizione politica. Una tale intuizione relativa ai nostri comportamenti umani è stata proposta con ampiezza, utilizzando le metafore delle anatre e degli uccelli giardinieri e del paradiso, nell’articolo “Il sesso delle anatre. Conflitto sessuale ed evoluzione estetica22 nel quale vengono documentati gli inverosimili rituali di competizione tra gli uccelli maschi per accedere alla femmina nell’accoppiamento riproduttivo.

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______________Note _________________

1 Rinaldo Octavio Vargas. Origini della nostra vita riproduttiva: campo d’indagine piuttosto sconosciuto. In BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena, Anno VII, Numero 30, Giugno 2019

2 Rinaldo Octavio Vargas. Il pantano metafisico di cosa intendiamo per riproduzione È possibile adeguare il nostro concetto di riproduzione biologica? BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena, Anno XI, Numero 42, Giugno 2022

3 Hippocampus bargibanti: piccolo pesce marino appartenente alla famiglia Syngnathidae. Questa specie è diffusa nell’Indopacifico, dall’Indonesia, a Papua Nuova Guinea fino all’Australia (Queensland) e alla Nuova Caledonia. Abita le barriere coralline, in acque basse. La conformazione è tipica dei cavallucci marini: testa equina, allungata, corpo verticale con ventre prominente e arrotondato, piccola pinna dorsale e coda allungata e prensile, anche se H. bargibanti presenta forme più tozze e meno spigolose. La caratteristica più evidente però è la gran quantità di tubercoli che decorano il corpo, aumentando l’effetto mimetico della livrea, che presenta un corpo bianco vivo con pattern finemente marmorizzato di rosso carminio. I tubercoli sono carminio vivo. Le dimensioni sono molto minute: raggiunge una lunghezza massima di 2 cm circa. Come per tutti i cavallucci marini la riproduzione è molto interessante: la femmina depone le uova in una speciale sacca incubatrice nel ventre del maschio. Alla schiusa, il maschio espelle gli avannotti con delle contrazioni addominali simili al parto femminile. Molto spesso forma coppie monogame stabili. Il periodo riproduttivo è molto ampio: in Australia avviene tutto l’anno con l’eccezione del trimestre dicembre-gennaio-febbraio.

4 David Rothenberg. Survival of teh Beautiful: Art, Science and Evolution. Bloomsbury Press, New York, 2011 / Richard O. Prum. Aesthetic evolution by mate choice: Darwin’s really dangerous idea. In “Philosophical Transactions of the Royal Society of London B”, vol. 367, pp.2253-2265, 2012

5 Membro dell’IUCN che riunisce esperti in cavallucci marini, pesci ago e draghi marini.

6 Richard Smith. The World Beneath: The Life and Times of Unknown Sea Creatures and Coral Reefs. Apollo Publishers, 2019

7 Richard Smith. Sex lives of the pygmy seahorses – a hidden, miniature marvel. In Psyche, 20 July 2022

8 Infatti, forma e livra di H. bargibanti sono frutto di un’evoluzione atta al mimetismo per confondersi con le gorgonie del genere Muricella: infatti il corpo bianco imita la struttura ramificata mentre i tubercoli rossi sono del tutto simili ai polipi delle gorgonie appartenenti al genere Muricella. Sembra che i piccoli cerchino protezione in qualsiasi corallo e gorgonia, mentre i giovani si affrettano a vivere solo nelle gorgonie rosse e bianche del genere, fino ad avere assembramenti numerosi (28 esemplari di H. bargibanti in un solo ramo di gorgonia).

9 Richard Smith, op. cit. 2022

10 Ibidem

11 Il cavalluccio marino pigmeo di Denise è un piccolo pesce che può raggiungere una lunghezza massima di 2,4 cm che lo rende uno dei più piccoli rappresentanti dei cavallucci marini. Questo cavalluccio marino pigmeo ha un muso corto, un corpo snello con una coda prensile. Il suo corpo è completamente liscio o presenta alcune escrescenze bulbose, questi ultimi sono tuttavia meno numerosi e meno sviluppati che nell’Hippocampus bargibanti. Il cavalluccio marino pigmeo di Denise usa il camuffamento adattivo, cambiando il suo colore per abbinarlo a quello delle gorgonie circostanti. Infatti, la sua colorazione va dal giallo, più o meno brillante, all’arancio con spesso piccoli punti scuri con la possibilità di avere bande più scure in coda. Lo Slender Pygmy Seahorse si nutre di piccoli crostacei e altro zooplancton. Un individuo rimarrà su un singolo corallo per tutta la durata della sua vita. La specie è ovovivipara, ed è il maschio che cova le uova nella sua tasca ventrale. Quest’ultimo comprende villi ricchi di capillari che circondano ogni ovulo fecondato creando una sorta di placenta che rifornisce gli embrioni. Quando sono completamente cresciuti, i cuccioli vengono espulsi dalla tasca e si evolvono in maniera del tutto autonoma. È stato registrato che i maschi hanno dato alla luce 6-7 piccoli dopo 11 giorni di gestazione e hanno eseguito quattro gravidanze sequenziali della stessa durata di gestazione.

12 Sara A. Lourie and John E. Randall. A New Pygmy Seahorse, Hippocampus denise (Teleostei: Syngnathidae), from the Indo-Pacific. In Zoological Studies 42(2): 284-291 (2003)

13 Richard Smith, op. cit. 2019

14 Ibidem

15 Ibidem

16 Ibidem

17 Ibidem

18 Richard Smith, op. cit. 2022

19 Sonia Contera. Nano Comes to Life: How Nanotechnology Is Transforming Medicine and the Future of Biology. Princeton University, 2019

20 Andrea Appleton. Insectophilia. In AEON, 4 March 2015

21 L’insicurezza maschile sulla paternità sarebbe così proverbiale da strutturarsi in battute e modi di dire.

22 Rinaldo Octavio Vargas, Eugenia D’Alterio e Sara Palma. Il sesso delle anatre. Conflitto sessuale ed evoluzione estetica. In BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena, Anno III, Numero 12, Dicembre 2014