Redazione

Le orche di Genova maestre di vita

3 Gennaio, 2020
Tempo di lettura: 2 minuti

Non sappiamo con precisione come siano arrivate fino a qui, sappiamo che arrivano dall’Islanda ed hanno percorso più di 5000 chilometri. Ma quello a cui abbiamo assistito in questi giorni è la storia della vita, dell’amore materno, della perdita e di quanto la comunità sia importante. Abbiamo guardato come esseri viventi così diversi come l’uomo e le orche possano essere così simili.

SN114, questa la sigla dell’orca, per giorni ha tentato invano di rianimare il suo cucciolo. SN114 ha dovuto lasciarlo andare, maturando e svolgendo il suo lutto. Lo ha fatto nel modo più dolce e commuovente che io abbia mai visto. Lo ha fatto danzando, girandoci intorno, toccandolo e sostenendolo, spingendolo con il muso. Lo ha fatto in tempo pieno di necessità, pieno di tentativi per rianimarlo e di costruzione della consapevolezza di averlo perso. Alla fine lo lascia andare, è arrivato quel momento in cui deve andare, dove il suo amore non dice più resta, ma sii quello che sei, o anche non essere. In questo non è mai stata da sola, è sempre stata accompagnata da Riptide (Sn113), da Aquamarin (Sn116), e da Dropi (Sn115), il suo gruppo, la sua famiglia. Le sono rimasti accanto, hanno nuotato insieme, fino a quando per SN114 è stato necessario a vivere tutto, anche la perdita.

E’ l’esempio che le orche ci lasciano, in questa coda dell’anno, che mi spinge a pensare a come per noi sia sempre più difficile il rapporto con il dolore o con la perdita. Abbiamo fretta di sbarazzarcene, di smettere di soffrire, di andare subito oltre, senza permettere a noi stessi di guarirci, affidando tutto al tempo futuro. Questo può provocare sedimenti dell’anima. La soluzione di un dolore, il suo superamento è uno sforzo che giova al nostro spirito, ma anche al nostro corpo, aggiungiamo altre qualità al nostro progetto di vita.

I sentimenti vanno sperimentati fino in fondo, tutti i sentimenti, per questo dobbiamo compiere un piccolo sforzo per riappropriarci di questa pratica. Il dolore viene troppo spesso vissuto con vergogna, come inadeguato; la società spinge verso un immaginario della felicità in cui non c’è spazio per il dolore del singolo. Ma quelle orche no, nuotavano insieme a SN114, danzavano insieme, accompagnandola fino a quando non è arrivato per lei il momento giusto per andare. Il benessere di uno è in carico allo sforzo di tutti, alla capacità del gruppo di essere in sintonia con il singolo, alle sue urgenze.

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