Ci sono persone che cercano nel cibo conforto e sollievo, come se il corpo potesse colmare ciò che la vita ha lasciato incompleto. E ci sono persone che, al contrario, lo allontanano, lo rifiutano, come se anche il proprio corpo fosse di troppo, un ingombro da alleggerire, da far sparire.
Due gesti opposti, una stessa radice: il dolore invisibile.
Quello che non ha trovato parole, né sguardi, né accoglienza. Il dolore che si rifugia nel corpo, che parla attraverso la fame o il digiuno, la compulsione o il controllo, i vuoti da colmare o da cancellare. In chiave psicosomatica, il corpo non è mai un nemico, né un problema da correggere. È un luogo sacro di comunicazione. È il primo luogo dove si manifesta la memoria delle emozioni non elaborate, delle ferite non curate, dei bisogni non ascoltati.
L’atto del nutrirsi diventa allora simbolico. Ogni boccone può rappresentare molto più che cibo: può significare accoglienza, assenza, mancanza, rabbia, bisogno d’amore, bisogno di controllo, desiderio di esistere o di scomparire. Il sintomo non è mai il nemico: è un messaggero. Non chiede punizione, ma ascolto.
Il corpo ascolta ogni emozione
Nel linguaggio psicosomatico, lo stomaco non digerisce solo alimenti, ma anche emozioni. Il fegato non filtra solo tossine, ma anche rabbia trattenuta. L’intestino non assorbe solo nutrienti, ma anche il nostro vissuto più profondo. La fame può non avere nulla a che vedere con il metabolismo. E la sazietà non sempre arriva da un piatto pieno. Per questo la chiave non è la dieta, ma l’ascolto profondo. Non il conteggio calorico, ma la domanda: “Cosa sto cercando davvero?” In un percorso salutogenico, il sintomo è una guida. Non è da combattere, ma da decifrare. Non si lavora “contro” il disturbo, ma “con” il corpo, per scoprirne il significato, trasformarlo, integrarlo. È così che il disagio diventa occasione di evoluzione. È così che la cura si trasforma in cammino.
I fiori che parlano all’anima
Nel momento in cui le emozioni iniziano ad affiorare, si possono attivare strumenti sottili ma profondi, come i Fiori di Bach.
Rimedi vibrazionali che non agiscono sopprimendo, ma riequilibrando le frequenze emozionali disarmoniche.
Ogni fiore racconta una qualità dell’anima, e la sostiene nel suo movimento di guarigione.
Per chi si rifugia nel cibo per bisogno d’amore o per paura dell’abbandono, Walnut, Chicory, Centaury.
Per chi controlla tutto fino al rifiuto del nutrimento, Rock Water, Crab Apple, Pine.
Per chi vive in altalena emotiva, Agrimony, Cherry Plum, Mustard.
I Fiori di Bach non parlano al sintomo, ma alla persona che lo vive.
Ed è lì che inizia la vera cura: nel punto in cui ci si sente visti.
Il messaggio del germoglio
Quando la coscienza ha iniziato a fare spazio, e le emozioni trovano un loro nome, è possibile attivare rimedi che favoriscono il cambiamento anche a livello fisiologico, profondo, sistemico. La fitoembrioterapia utilizza l’energia vitale dei germogli e delle gemme, la parte embrionale della pianta dove si concentra il massimo potenziale di crescita, rigenerazione e riorganizzazione biologica. Sono rimedi archetipici, che parlano alla parte viva e trasformativa dell’essere umano.
Fico – Il fiore che si fa nutrimento
Nel cuore del fico non c’è un solo frutto, ma un mondo di fiori custoditi in silenzio. È una pianta che ci insegna l’arte del trasformare, il passaggio invisibile ma potente che dal fiore porta al frutto. Il fitoembrioestratto di Ficus carica, ricavato dalle gemme, è regolatore degli assi profondi: sistema digerente e sistema nervoso. Aiuta a digerire non solo i cibi, ma anche gli eventi della vita — soprattutto quelli che restano “bloccati” nella mente e nello stomaco, generando tensioni, gastriti, ansia somatizzata.
Ma il fico è anche archetipo di integrazione: ci parla di ciò che è stato concepito dentro (il fiore), che poi si trasforma in qualcosa che nutre (il frutto). Ogni passaggio difficile, ogni esperienza non compresa, può diventare cibo per l’anima, se accolto, lavorato e integrato. In un percorso salutogenico, il fitoembrioestratto di Ficus carica è un alleato nelle fasi di:
- rielaborazione del passato,
- gestione dello stress psicosomatico,
- ritorno a un ritmo digestivo e interiore più pacificato.
Per chi ha bisogno di pace tra stomaco e cuore, tra pensiero e vissuto. Per chi sente che qualcosa è rimasto “non digerito”, e vuole tornare a trasformarlo in vita. “Come il fico, anche tu puoi custodire dentro i tuoi fiori invisibili, e farli diventare frutto. Nutrimento. Presenza.”
Abete bianco – Verticalità e dignità del proprio essere
In questo cammino, un altro alleato potente è il fitoembrioestratto di Abies pectinata, l’Abete bianco.
Pianta maestosa e verticale, è simbolo di centratura e forza silenziosa. Lavora sulle strutture profonde dell’essere, aiutando a ritrovare dignità, radicamento e direzione. È utile nelle situazioni in cui la persona fatica a sentirsi “all’altezza”, quando il corpo è vissuto come un peso o una vergogna, quando l’identità si frantuma nella ricerca dell’approvazione. Abies pectinata restituisce la forza del proprio asse interiore, il coraggio di occupare il proprio spazio nel mondo con presenza e leggerezza. Il cibo non è il nemico. Il corpo non è il problema. Il sintomo è una soglia: una voce che chiede ascolto, comprensione, trasformazione.
Il percorso salutogenico, integrato da strumenti psicosomatici e naturali come i Fiori di Bach e i fitoembrioestratti, non ha l’obiettivo di normalizzare.
Ha l’obiettivo di riconnettere il corpo con l’anima. Il dolore con il senso. La ferita con la trasformazione.
“Ogni disarmonia può diventare nutrimento. Ogni invisibile può diventare frutto. Ogni presenza ritrovata, cura.”