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15 Marzo, 2020

Colpevolizzare le vittime del virus non ci aiuterà

RedazioneRedazione
atteggiamenti discriminatori verso gruppi etnici o malati non fanno che incrementare comportamenti a rischio

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Lo stigma sociale

C’è un male peggiore del coronavirus, che si diffonde più velocemente ed è molto difficile da estirpare. Si nutre di ignoranza e faciloneria, di stereotipi e sensazionalismi. È un male che, in questo momento in cui l’Italia è in difficoltà, cresce rigogliosamente investendo ogni segmento della popolazione. A questo male possiamo dare il nome di stigma sociale. Abbiamo avuto un assaggio di quanto questa piaga fosse pervasiva quando, all’inizio della diffusione del COVID-19, la malattia era stata associata alle persone di origine cinese. In pochi giorni era cominciata una “caccia al cinese”, con persone malmenate in mezzo alla strada, sbattute fuori o non fatte entrare negli autobus, respinte da ogni attività commerciale. Eppure, per un lungo periodo iniziale, i cinesi risultati positivi ai tamponi sono stati pochissimi. al massimo un paio.

La febbre “cinese”

Ma allora perché questa insensata ordalia? Perché in televisione, sui giornali e nei media in generale non si era prestata alcuna attenzione al tipo di comunicazione che si adottava. In questo modo il COVID-19 era diventata la “febbre cinese”, servizi di ogni tipo sono stati rilanciati da tutte le testate, che parlavano delle strane abitudini alimentari della gente di Wuhan, del fatto che si nutrissero di pipistrelli, serpenti, e chissà quale altra diavoleria. Addirittura, arrivando a picchi di irresponsabilità forse mai raggiunti nella nostra pur disastrata Repubblica, il Governatore del Veneto Zaia si è lasciato andare a farneticanti dichiarazioni razziste sui “cinesi che tutti abbiamo visto mangiare topi vivi” e altre assurdità del genere. La reazione bestiale della gente non deve sorprendere. È già stata ampiamente trattata in letteratura la reazione dell’uomo, se messo in condizione di estrema difficoltà: come cavie messe in un labirinto troppo angusto, le persone tendono a scagliarsi l’una contro l’altra, velocizzando la fine per tutti.

Cattivi esempi

Se mezzi d’informazione e politici (o forse sarebbe meglio dire politicanti), in teoria custodi della nostra tenuta sociale, intraprendono questa via, è difficile poi chiedere alla popolazione di agire diversamente, o di discernere le notizie vere dalle fake news, create con l’esplicito scopo di procurare allarme. Eppure è proprio questo quello che dovremmo cercare di fare, combattere la disinformazione con notizie più precise e puntuali possibili, provenienti da fonti accreditate, che possano combattere i pregiudizi che come un’onda montano in questi giorni. Ora che la Cina pare aver vinto la sua battaglia col virus, mentre l’Italia agli occhi di tutto il mondo è uno dei focolai principali del contagio, capiremo presto, anzi lo stiamo già capendo, sulla nostra pelle cosa voglia dire essere additati come untori. Senza avere colpe, e quasi sempre senza avere alcuna via d’uscita. Se da un secolo cerchiamo di scrollarci da dosso l’etichetta di esportatori di mafia nel mondo, presto dovremo scrollarcene anche un’altra, peggiore.

I nuovi untori

Lo stigma sociale, inoltre, non colpisce solo gruppi etnici. Ne esiste un’altra versione ben più odiosa: quella verso i malati. Da quando le notizie sulla contagiosità del COVID-19 hanno cominciato a circolare tra l’opinione pubblica, le persone infette, o solo potenzialmente a rischio di essere tali, sono state colpevolizzate per la loro situazione, in ragione del pericolo che costituiscono per la “società dei sani”. Atteggiamenti discriminatori di questo tipo sono stati poi incentivati dalle molte persone irresponsabili che, violando le norme di contenimento della malattia, hanno effettivamente esposto al contagio molte altre persone. Questo però non deve farci dimenticare che la larghissima maggioranza dei malati non ha alcuna responsabilità, e spesso lotta contro il virus in condizioni di estrema difficoltà. Questo marchio a fuoco, stampato sulle persone malate, oltre ad essere disumano incentiva un gran numero di atteggiamenti deleteri per la stessa salute pubblica. Se una persona che mostra un sintomo viene portata a pensare che, comunicandolo, otterrebbe insulti e minacce invece che aiuto e sostegno, è molto probabile che cercherà di nasconderlo, spingendo così ancora un passo oltre l’infezione.

Autoregolamentarsi

Per questo motivo è importante che tutti noi, ma per primi i rappresentanti delle istituzioni e i giornalisti, si diano un codice di comportamento, delle “regole di ingaggio” con le quali affrontare questo argomento in un momento così delicato. E ricordino che le persone sono, appunto, persone, non casi, tabelle o numeri; che il virus colpisce tutte le etnie allo stesso modo, e sarà vinto solo con l’aiuto di tutti.