Ho deciso di entrare nel Comitato Terapia Domiciliare del Covid 19, fondato da Erich Grimaldi, tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021. Il motivo di questa decisione è semplice: vedevo intorno a me molta gente ammalata e abbandonata a se stessa, fino a quando qualcuno non finiva in ospedale, e a volte perdeva la vita. Questo accadeva perché non si affrontava adeguatamente la malattia nella fase inziale, anche se era noto da tempo che, per scongiurarne le conseguenze negative, è fondamentale intervenire precocemente, fin dai primi sintomi simil-influenzali. Invece, i protocolli ufficiali, basati sulla ‘tachipirina e vigile attesa’, sembravano addirittura scoraggiare quei medici di base che desiderassero intervenire precocemente.
Il gruppo fondato da Grimaldi e il movimento Ippocrate si erano, quindi, organizzati in maniera tale da garantire assistenza a domicilio i pazienti Covid, facendoli seguire – via telefono, Skype e, se possibile, in presenza – da medici che adottavano un protocollo terapeutico attivo, basato sull’idrossiclorochina e altri farmaci comuni, disponibili in ogni farmacia, che, se somministrati precocemente a domicilio, potevano bloccare la malattia e sventare le sue complicanze, riducendo drasticamente il numero dei ricoveri e degli esiti letali.

Milano 6 giugno 2021 – Piazza del Duomo.
Manifestazione del Comitato per la Terapia Domiciliare Covid-19
Ho potuto verificare che è vero. Ho seguito, finora, una cinquantina di casi, ma ci sono colleghi che ne hanno seguiti molte centinaia. Per tutti, la percentuale di ospedalizzazione è stata bassissima e la mortalità quasi inesistente.
La mia paziente più anziana è stata una signora di 91 anni, in terapia farmacologica per insufficienza valvolare mitrale e tricuspidale, fibrillazione atriale, broncopneumopatia ostruttiva, osteoartrosi grave. Da segnalare che anche la badante e la figlia (che non vive con lei) hanno avuto il Covid nello stesso periodo. Per fortuna, aveva una nipote medico che ha collaborato con me nell’applicazione del protocollo all’intera famiglia. Tutti guariti.
Ogni medico del gruppo può raccontare storie simili, e documentarle. Cambia solo la gravità e il numero dei pazienti guariti, in base alla disponibilità personale, visto che la maggioranza degli operatori sanitari – non ci sono solo i medici, come vedremo – segue i pazienti Covid nel tempo lasciato libero dall’attività principale. E questi pazienti, una volta presi in carico, vanno seguiti e monitorati tutti i giorni.
ll nucleo fondamentale della terapia è l’applicazione del protocollo, al quale ognuno è libero di aggiungere, secondo la propria esperienza e le necessità del caso, farmaci diversi, integratori – molti sono già nel protocollo – o rimedi omeopatici. Quest’ultimo è stato il mio caso. Ma andiamo per ordine.
Perché Dunkerque.
Credo che molti ricorderanno la storia, immortalata da un famoso film, dei cittadini inglesi che accorsero con le loro imbarcazioni nel porto francese di Dunkerque – Dunkirk in inglese – per affiancare i cacciatorpedinieri della Royal Navy in una gigantesca operazione di evacuazione dell’esercito inglese, bloccato in Francia in una situazione rischiosissima, con le truppe di Hitler alle spalle e il canale della Manica di fronte.
Dal momento che le imbarcazioni militari non erano sufficienti all’impresa, anche perché dovevano continuare a operare su altri fronti, Churchill aveva fatto un appello alla popolazione, chiedendo che chiunque possedesse una barca e fosse capace di navigare partecipasse alle operazioni di soccorso. E così accadde.
Le scene del film, che mostrano una flotta di navi da pesca e da diporto, guidate dagli stessi proprietari, che attraversano la Manica assieme alle navi militari, per andare a recuperare i soldati intrappolati in Francia, mi sono tornate alla memoria appena ho iniziato a frequentare il Comitato.

Milano 6 giugno 2021 – Piazza del Duomo.
Manifestazione del Comitato per la Terapia Domiciliare Covid-19
La struttura portante dell’organizzazione è formata da un gruppo di medici molto esperti, internisti, cardiologi, pneumologi, che si possono paragonare ai cacciatorpedinieri dell’esercito inglese, ma ad affiancarli ci sono medici di formazioni e specializzazioni diverse, che spesso non avevano più molta dimestichezza con i farmaci del protocollo e con le problematiche ad essi connesse: radiologi, odontoiatri, psichiatri e, appunto, omeopati.
Come i civili di Dunkerque avevano cercato di adattare le loro imbarcazioni ordinarie all’operazione straordinaria di recupero del loro esercito intrappolato sulla costa francese, questi medici hanno, quindi, cercato di adattare la loro preparazione ordinaria all’impegno straordinario di curare i malati di Covid-19, che nessuno stava curando.
Hanno ripreso in mano i libri di medicina – o le versioni aggiornate – e hanno ri-studiato quei capitoli che servivano ad affrontare la situazione. Niente di particolarmente complicato, dal punto di vista tecnico, visto che tutti, bene o male, avevamo una laurea in Medicina. Ma per alcuni – e io sono tra questi – si è trattato di uno sforzo di cambio di prospettiva, del recupero di strategie e processi mentali non più frequentati.
Quest’operazione, nel mio caso, è stata facilitata dal fatto che avevo già riflettuto sulla possibilità di considerare il rapporto tra medicina tecnico-scientifica e omeopatia alla luce dell’antica complementarità tra la conoscenza pratica e incisiva della téchne, efficace ma ecologicamente miope, e quella più completa e comprensiva dell’epistème. Si tratta di due conoscenze che, con finalità, strumenti e abilità diverse, possono convergere sulla stessa problematica: l’importante è avere ben chiari i limiti e le potenzialità di ognuna di esse. Una condizione di emergenza può, quindi, indurre a utilizzare momentaneamente gli strumenti della medicina technica, per tornare a preferire una medicina epistemica non appena le condizioni lo permettano.
È vero, però, che anche l’omeopatia ha la potenzialità di curare il Covid, soprattutto nella fase iniziale, e io stesso avevo avuto alcuni successi nei mesi precedenti. E allora, ci si potrà chiedere, perché non ho deciso di continuare con la sola medicina omeopatica? Per alcuni motivi fondamentali.
Il più importante è che, per stare nel Comitato e usufruire delle sue energie e della sua organizzazione, è indispensabile utilizzare il protocollo. I colleghi più esperti mettono a disposizione tempo e impegno per illustrarlo ai nuovi arrivati, attraverso diversi seminari online, e sono attive alcune chat dove, se si ha un dubbio, si trova sempre un collega disponibile a dare una mano.
In cambio, ci si impegna ad applicarlo, e a farlo subito. Il Covid si batte in velocità, e quindi la raccomandazione è quella di iniziare la terapia immediatamente, ai primi sintomi influenzali, anche prima di avere il risultato del tampone. Prescrivere un rimedio diverso a pazienti lontani, che non si conoscono, espone al rischio di perdere tempo prezioso, nel caso che il farmaco non sia quello giusto.
Inoltre, alcuni pazienti – soprattutto se non sono abituati a curarsi con l’omeopatia – possono avere difficoltà a reperire subito il rimedio omeopatico, soprattutto nei giorni festivi e nei piccoli paesi, e specie nel caso, molto frequente, di intere famiglie in quarantena. E questo fa perdere tempo prezioso.
Ho quindi deciso di aggiungere la cura omeopatica al protocollo del Comitato. Ho caricato sulla mia ‘barchetta’, oltre ai rimedi omeopatici, gli integratori, l’idrossiclorochina e gli altri farmaci del protocollo, e sono salpato per Dunkerque.
È stata un’esperienza veramente forte. L’incredulità e l’angoscia nel toccare con mano la realtà di tanta gente completamente abbandonata dalle istituzioni, si sono sciolte nella calda e infinita gratitudine delle persone che si sentivano finalmente seguite e curate.
Non avevo mai sentito tanta riconoscenza per il mio lavoro. I messaggi di ringraziamento dei pazienti guariti sono stati un’esperienza veramente gratificante, spesso commovente. Vedere – e sentire – migliaia di persone in piazza del Duomo, a Milano, scandire in coro: «Gra-zie! Gra-zie!» a un gruppo di medici in piedi sul palco, è stata un’esperienza indimenticabile, di quelle che ripagano di tutte le fatiche. Un bagno di folla particolarmente gradito, e anche un’ottima cura per le conseguenze dello stigma sociale subito dagli omeopati negli ultimi anni.
Alla gente che chiede aiuto per il Covid, invece, non importa assolutamente nulla delle polemiche sull’omeopatia. Tutti hanno acconsentito ad assumere anche i rimedi omeopatici, grati al medico che li prescriveva. Gli unici dubbi, semmai, sono stati sull’idrossiclorochina, farmaco che oggi si può prescrivere solo facendo firmare il consenso informato: per una volta, dunque, i rimedi omeopatici non sono stati gli unici farmaci off-label, perché tutto il protocollo è off-label, e addirittura l’idrossiclorochina – il suo cavallo di battaglia – un sorvegliato speciale!

Roma 8 maggio 2021 – Piazza del Popolo.
Manifestazione del Comitato per la Terapia Domiciliare Covid-19
Sarà, forse, anche per questo senso condiviso di essere parte di una sorta di comunità di carbonari, che ho sentito molta solidarietà, non solo tra i medici, ma anche con gli altri operatori sanitari. Nel comitato, infatti, ci sono anche infermieri, farmacisti, biologi, psicologi e fisioterapisti, e ci sono i bravissimi moderatori, che hanno il compito fondamentale di filtrare le richieste e mettere in contatto i medici con i pazienti. Un’organizzazione eccellente, sostenuta da persone che lavorano gratuitamente, nel tempo libero da altri impegni, mosse unicamente dal desiderio di essere di aiuto, senza invidie o rivalità: chi chiede aiuto, viene aiutato, e si riconosce e accetta l’autorevolezza dei più esperti. Gli unici confronti dialettici sono stati su un argomento molto urgente oggi, che non riguarda la terapia della malattia ma la sua (eventuale) prevenzione. Non è difficile indovinare. Ma sulle terapie, nessuna polemica. Tutti pronti a dare una mano.
Inoltre, con alcune sporadiche eccezioni, anche la stragrande maggioranza degli operatori sanitari non si è dichiarata ostile alla medicina omeopatica. A parte il fatto che vi sono altri omeopati ‘a tempo pieno’, imbarcati anche loro verso Dunkerque, e molti colleghi che utilizzano in maniera integrata le medicine non convenzionali, ho notato, nella maggioranza dei medici, un atteggiamento di apertura verso tutte le possibilità terapeutiche.
Ricordo bene che, durante uno dei webinar di addestramento, il collega esperto che teneva il seminario ha dichiarato che l’emergenza ci ha fatto capire che non bisogna avere preclusioni di principio, che bisogna accettare e includere nella terapia tutto ciò che funziona, ad esempio – ha detto proprio così – anche la medicina omeopatica.
Credo che questo atteggiamento più disponibile nei confronti dell’omeopatia sia stato favorito anche dall’aver toccato con mano il fatto che gli ostracismi da parte degli auto-proclamatisi portavoce della ‘scienza ufficiale’ non sono sempre motivati da evidenze scientifiche, ma possono dipendere da oscure motivazioni politiche e economiche, che ieri hanno combattuto la medicina omeopatica, oggi le cure domiciliari.
Non è un caso che, contro le cure domiciliari, si sia in gran parte schierata la stessa task force di «esperti da salotto» che da anni combatte l’omeopatia, «esperti» che adesso, in questi ambienti, sono biasimati nella stessa maniera che nel mondo omeopatico.
C’è da augurarsi che l’avvicinamento tra i due ambienti possa essere duraturo, e che rappresenti la base di una nuova forma di solidarietà tra quei medici mossi dal desiderio sincero di curare persone malate, nel rispetto del reciproco lavoro e senza preclusioni ideologiche
Si compirebbe pienamente, in questo modo, la profezia contenuta nei celebri versi di Hölderlin, che si è già potentemente manifestata nelle organizzazioni per le cure domiciliari: Ma là dov’è pericolo, cresce anche ciò che salva.
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